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lunedì 30 marzo 2015

Desiderius Lenz. Canone divino. L'arte e la regola della scuola di Beuron. Castelvecchi editore, 2015 (Parte Seconda)

English Version

Desiderius Lenz
Canone divino
L’arte e la regola della scuola di Beuron

A cura di Paolo Martore

Parte Seconda

Castelvecchi editore, 2015

Scuola artistica di Beuron, Cartone per una stazione della Via Crucis nella Chiesa di Santa Maria di Stoccarda, 1887
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0283

Il canone

Nel suo commento Hubert Krins riassume per punti i contenuti del canone. Contenuti ostici, sia chiaro, in cui i numeri si caricano di una valenza mistica e simbolica. Riportiamo parte della spiegazione qui sotto (cfr. pp. 27-28), rimandando alla Nota esplicativa presente alle pp. 127-137:

  1. “Dio ha creato ogni cosa secondo misura, calcolo e peso…
  2. Lenz accosta le figure geometriche basilari, in particolare i solidi regolari, all’essere trinitario di Dio, nel seguente modo: il quadrato, o anche il cubo, a Dio Padre; il triangolo, o il tetraedro, a Cristo; il cerchio, o la sfera, allo Spirito Santo
  3. Dato che Dio ha creato l’uomo a sua immagine, ne consegue che per Lenz esiste una misura, una geometria sacra, anche dietro l’archetipo dell’immagine umana. Il peccato originale, tuttavia, ha oscurato questa norma, che si è manifestata di nuovo solo in Gesù Cristo;
  4. Quest’immagine umana originale si declina in due maniere diverse ma equivalenti: maschile e femminile. Perché senza l’uomo non esiste immagine della femminilità; e senza la Vergine, non è possibile al Verbo farsi uomo. Maria Vergine è per Lenz la figura chiave, la norma del genere femminile.
  5. Lenz crede che si possa ridurre l’immagine normativa dell’uomo alla funzione di radice […] Egli ricava l’immagine normativa della donna […] da un’altra radice, radice di 5 […]: la diagonale del doppio quadrato, cioè la sezione aurea.
  6. I principi estetici appresi per rivelazione divina costituiscono la premessa di tutta l’arte religiosa del futuro”


Scuola artistica di Beuron, Miniatura per un Vangelo
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0284


Realtà e simbolismo

Il fine ultimo dell’artista è rappresentare la realtà secondo ciò che essa ha di “tipico”. Quello di “tipico” è un concetto fondamentale: non sta a significare ciò che è precipuo di ogni singolo individuo od oggetto; non indica insomma il particolare, il diverso; ma, anzi, sta a segnalare l’idea (di origine chiaramente platonica) che lo sostanzia. Il tipico è espresso tramite la trasposizione di una geometria che Lenz chiama non a caso “estetica”. E tale geometria è diretta espressione dell’essenza divina. Con un gioco di parole potremmo dire che, per Lenz, la realtà è espressa dal simbolo. Va quindi rigettata in toto tutta l’arte basata sull’imitazione (più o meno selettiva) della natura. In questo senso la storia dell’arte riletta da padre Desiderius è esattamente agli antipodi di quella che, ad esempio, aveva proposto un Burckhardt solo qualche anno prima: se infatti fino all’età di Giotto (e di Cennino Cennini, citato a p. 96) ci si salva, perché, sia pur in maniera inconsapevole. la pittura si basa su elementi tradizionali e decorativi, la vera degenerazione è costituita dal Rinascimento. Dove per “Rinascimento” s’intende, genericamente tutta l’arte che fa ricorso alla prospettiva, come mezzo di rappresentazione bidimensionale di una realtà tridimensionale. Ci sono intere pagine dedicate alla sonora bocciatura di tutti i movimenti artistici successivi alla scoperta della prospettiva. Riportiamo, a titolo esemplificativo, un brano dedicato a Michelangelo. Sappiamo tutti che il giudizio storico su Michelangelo è stato, nel corso dei secoli, controverso e che, specie fra Seicento e Settecento, i fautori dell’idea del bello non mancarono di criticarlo aspramente. Ebbene, agli occhi di Lenz non esiste alcuna distinzione fra Michelangelo, Raffaello ed i Carracci:

Scuola artistica di Beuron, Immagine del timpano della Cappella di San Mauro a Beuron, 1871
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0290


“Un secolo più tardi, quando l’arte fece un passo ulteriore svoltando bruscamente in direzione del metodo realista, sorse sull’esempio di quei maestri una scuola che crescendo dissipò l’elemento sublime di solenne armonia. Michelangelo, portabandiera di questa scuola, fu l’artista meno dotato di quell’elemento. Egli più di chiunque altro (a detta dei suoi successori) contribuì a rendere lo squilibrio compositivo una tecnica fine a se stessa. Invece di chiarezza di contenuto, dunque, introdusse e fondò l’arte sul tormento e l’inquietudine […] Non fatico ad ammettere che ai suoi tempi Michelangelo sia stato indiscutibilmente un gigante; nondimeno, oggi è l’artista da evitare come la peste, perché dopo di lui capriccio e tormento si sono riverberati senza controllo su quasi tre secoli e tuttora fiaccano a morte le nostre ossa” (pp. 61-62).

Scuola artistica di Beuron, Altare della Cappella di San Mauro a Beuron
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0285


Per un lettore disattento potrebbe sembrare un’autentica assurdità che Desiderius Lenz, sostenitore di una geometria “estetica” bocci l’imitazione della natura individuando nella scoperta della prospettiva il maggiore di tutti i mali. In fin dei conti la prospettiva è geometria, e un Piero della Francesca, ad esempio, è inscindibilmente artista e matematico. Ma dobbiamo essere consapevoli che qui stiamo parlando di due geometrie diverse. Quella umanistica ha al centro l’uomo come misura di tutte le cose; quella estetica di Lenz ha al suo centro Dio e la percezione del disegno armonico della creazione tramite la fede.

Scuola artistica di Beuron, Gli anziani dell'Apocalisse (affresco nella Cappella della Crocifissione di Montecassino), 1880
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0291

Se tuttavia astraiamo un attimo (e non è facile, nel caso di Lenz) dalle motivazioni religiose che stanno alla base delle sue idee, è facile capire come la nuova arte religiosa del padre benedettino, basata su simboli e solidi geometrici, possa aver interessato i simbolisti (e quindi ad esempio i pittori Nabis) e in qualche modo anticipi di decenni l’arte astratta; in particolare il cubismo.  È questa l’eredità maggiore che ci consegna, oggi, la scuola di Beuron

Scuola artistica di Beuron, Progetto per la chiesa votiva di Santa Elisabetta a Vienna (1897)
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0286



L’arte religiosa, Riforma e Controriforma.

Confessiamo che, andando avanti nella lettura, ci siamo chiesti quale potesse essere l’atteggiamento di Lenz nei confronti dei grandi eventi storici che coinvolgono arte e cristianità nel corso del XVI secolo. Stiamo parlando, naturalmente, della riforma luterana da un lato e del Concilio di Trento dall’altro. Come noto il risultato del Concilio di Trento è la creazione di una serie di regole iconografiche che l’artista deve rispettare in termini di politica delle immagini. Queste regole sono sostanzialmente enunciate dal cardinal Gabriele Paleotti nel suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane del 1582.

Scuola artistica di Beuron, Crocefissione (affresco nel Santuario di S, Benedetto a Montecassino)
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0288

Come immaginabile, agli occhi di Lenz la politica delle immagini imposta dalla Controriforma non rappresenta lo spartiacque che effettivamente fu nel mondo artistico cattolico. L’arte religiosa era già stata inquinata dal realismo e dal verismo; né potevano essere le nuove regole imposte dal Concilio a riscoprire le regole dogmatiche del Canone. Semplicemente, già prima di Lutero, l’arte religiosa era tale solo nominalmente. A riprova di ciò, Desiderius cita il fatto che non era un caso se quasi tutte le immagini miracolose dell’Occidente erano di diretta derivazione o ispirazione bizantina (cfr. p. 51). Ma seguiamo meglio il ragionamento:

Scuola artistica di Beuron, Affresco su un pilastro nella Cappella di S. Mauro a Beuron, 1871
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0289

“Da allora [n.d.r dai tempi dell’Umanesimo] ci fu un’arte solo nominalmente religiosa, un’arte che non esigeva più nulla da nessuno. Sparita la vergogna, era difficile che vi fosse un’arte davvero religiosa, pura e santa. […] A questo punto l’arte, anche quella della Santa Chiesa, era ormai questione di naturalismo profano; di ideale restava soltanto l’appellativo sacro che la adornava, o il titolo altisonante, o le meraviglie della bellezza naturale e della natura stessa. […]

Allora, l’unione di queste forze rappresentò un flusso rovinoso per la santità e la purezza dell’arte, ovvero per ciò che attiene alla dignità, alla moralità e al decoro che spetta all’arte sacra preservare; un flusso in cui certamente l’arte poteva prosperare, e in effetti prosperò, nello spirito dello pseudo-Umanesimo, con ogni umana, carnale seduzione (ad esempio Raffaello ecc…). […]

Scuola artistica di Beuron, Fregio affrescato nella Cappella di San Mauro a Beuron, 1871
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0293

Scuola artistica di Beuron, Fregio affrescato nella Cappella di San Mauro a Beuron, 1871
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0294


Nell’arte del Sud [n.d.r. intendendo come tale i paesi non colpiti dalla Riforma luterana] […] l’emancipazione della carne ebbe luogo senza riguardi per la disciplina e la sacralità né, quindi, per l’arte ecclesiastica; ogni impulso di (troppo umana) libertà ricevette l’incoraggiamento non della Chiesa, bensì dello Spirito del Tempo [n.d.r. il concetto celeberrimo e tutto tedesco di Zeitgeist è usato da Lenz sempre in senso negativo], che ammaliatore imperversava senza limiti o remore. Con i frutti di quest’arte degenerata [n.d.r. impossibile non operare il paragone, suggestivo ma improprio, con l’arte degenerata nazista] l’emanazione visibile della Santa Chiesa venne distorta e i nomi a lei assegnati dalla devozione servirono solo da copertura per distogliere l’attenzione e confondere le acque.

Al Nord [n.d.r. nei paesi della Riforma] giudicarono questo traviamento dell’arte cristiana, questo allontanamento dallo spirito e dal sentimento della Chiesa (ossia di Cristo), senza le attenuanti delle circostanze. L’indignazione fu generale, sicché venne contestato il principio stesso dell’autorità della Chiesa e così fu evocato un altro demone: la separazione dalla Chiesa di Cristo e il rigetto della sua tradizione” (pp. 111-112).

Un giudizio certo non convenzionale e che sicuramente fece storcere il naso a molti anche nell’ambito delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche. Ci è sembrato il caso di proporlo, a dimostrazione di quanto la lettura del Canone di Padre Desiderius possa risultare stimolante e ricca di spunti.

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