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venerdì 27 marzo 2015

Desiderius Lenz. Canone divino. L'arte e la regola della scuola di Beuron. Castelvecchi editore, 2015 (Parte Prima)

English Version

Desiderius Lenz
Canone divino
L’arte e la regola della scuola di Beuron

A cura di Paolo Martore

Parte Prima

Castelvecchi editore, 2015

Scuola artistica di Beuron, Soffitto della Cappella della Crocifissione a Monte Cassino (1880)
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0276

Canone divino presenta per la prima volta al pubblico italiano gli scritti di Padre Desiderius (al secolo Peter) Lenz (1832-1928), fondatore della scuola artistica di Beuron. Un nome che ai più dirà assai poco, ma che invece merita di essere riscoperto. Padre Desiderius, infatti, si fa promotore, fra la seconda metà del 1800 e i primi vent’anni del Novecento di una rifondazione dell’arte sacra in senso ieratico ed antinaturalista, raccogliendo l’interesse di molti artisti: tramite Jan Verkade, anch’egli membro del monastero benedettino di Beuron, nella Foresta Nera, la sua arte influenza ad esempio pittori Nabis come Maurice Denis e Paul Sérusier; la scuola di Beuron partecipa con grande successo alla mostra viennese della Secessione del 1905; non sono pochi infine coloro che ritengono che la ‘geometria estetica’ di Padre Desiderius abbia in qualche modo giocato un ruolo nella nascita del cubismo. Facciamo una premessa: su tutti questi argomenti ci permettiamo di rinviare alla seconda parte di Francesco Mazzaferro, Jan Verkade,Cennino Cennini e la ricerca dell’arte spirituale durante la Prima guerra mondiale, già pubblicato su questo blog.

Il monastero di Beuron nella Marca degli Hohenzollern
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0272

La cappella di San Mauro a Beuron
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0272

Qui cerchiamo di affrontare aspetti che ci sembrano egualmente importanti. L’edizione italiana dell’opera, curata da Paolo Martore, presenta una raccolta di scritti di Desiderius Lenz. Va detto immediatamente che l’artista, nel corso della sua lunga esistenza (morì a 96 anni) provò varie volte a pubblicare un testo che potesse divulgare in maniera completa il suo pensiero, ma che per un motivo o per un altro non vi riuscì. I saggi che compaiono in questo libro vanno cronologicamente dal 1865 al 1921 e si devono in parte a Jan Verkade, che cercò, negli anni conclusivi della vita di Desiderius, di aiutarlo a sviluppare uno scritto più chiaro possibile.

A questi testi si accompagnano l’introduzione che Maurice Denis scrisse per la traduzione francese de L’estetica di Beuron, pubblicata fra 1904 e 1905 e condotta da Paul Sérusier; nonché un articolo (commentato anch’esso nel post che abbiamo segnalato all’inizio) intitolato L’arte di Beuron, scritto nel 1929 da un giovane Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. Infine è presentato un commento più ampio, e soprattutto a noi di fatto contemporaneo, operato da Hubert Krins, curatore dell’Archivio dell’Abbazia di San Martino di Beuron.


Le testimonianze dell’arte di Beuron

C’è da dire che l’arte di Beuron si caratterizza per la sua monumentalità: l’arte, per sua natura, deve essere monumentale. Purtroppo per noi, molte delle testimonianze delle opere dei monaci beuronesi sono andate perse durante i bombardamenti della II guerra mondiale. Basti pensare, ad esempio, che dal 1876 al 1880 prima, e dal 1885 al 1887 poi, i monaci di Beuron lavorarono in Italia alla ristrutturazione della Torretta del Convento di Montecassino; e che sempre a Montecassino si lavorò nella Cripta dal 1899 al 1910. Le decorazioni della Torretta sono andate irrimediabilmente perdute; la Cripta è invece stata restaurata dopo la II guerra mondiale. Oggi le poche testimonianze originali si rinvengono nella cappella di San Mauro, vicino a Beuron e nel convento di San Gabriele a Praga. Le immagini che trovate a corredo di questa recensione sono tratte da un saggio dedicato all’arte beuronese pubblicato nel 1908 all’interno di Die Kunst für Alle, a cura di Fritz Schwartz e di cui l’Università di Heidelberg ha digitalizzato una copia nella sua biblioteca virtuale. Molte di queste opere – lo si ripete – non esistono più.

Scuola artistica di Beuron. Cartone per un mosaico nella Cripta di Monte Cassino (1904)
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0273

Scuola artistica di Beuron, Dettaglio della cripta a Monte Cassino: mosaico e opere in scultura
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0276

Peter Lenz

Peter Lenz nasce nel 1832. Frequenta in gioventù l’Accademia di Belle Arti di Monaco, subendo l’influenza del movimento nazareno e di Peter von Cornelius in particolare. L’arte dei nazareni, la loro eleganza, semplicità, il ritorno alla purezza dello spirito e del sentimento lo affascina immediatamente. Grazie allo stesso Cornelius, Lenz ottiene una borsa di studio con cui riesce a trasferirsi a Roma. Qui resta tre anni; e fa almeno due scoperte. La prima è quella religiosa. Pio IX gli sembra un gigante. Sono gli ultimi anni del potere temporale della Chiesa; quelli in cui – per capirci – lo Stato Pontificio è ridotto al solo Lazio, e la Chiesa si sente circondata, anche fisicamente. A queste minacce, su un piano puramente teologico, Pio IX risponde puntando su nuovi dogmi: quello dell’Immacolata Concezione e quello che sancisce l’infallibilità papale. Nel 1864 Pio IX condanna con un’enciclica il pensiero progressista e liberale come un errore. La fede di Lenz è alimentata dal dogma. Si può dire, anzi, - ed è una costante di tutta la sua vita – che il suo percorso artistico sia caratterizzato dalla ricerca continua di un dogma (che chiama “canone”) da dover applicare in arte, esattamente come succede in ambito religioso. Per essere precisi: per Lenz l’arte è arte perché è religione. Si tratta del modo con cui Dio ha scelto di rivelarsi all’uomo. Non esiste arte all’infuori della religione: esiste il verismo, esiste il naturalismo, la finta imitazione della natura, basati in ultima analisi sullo studio del nudo e del corpo umano: tutti aspetti che devono essere duramente condannati.
Dove cerca il suo dogma Peter? Nello studio della pittura vascolare greca. Ma il vero colpo di fulmine è l’incontro (meramente letterario) con l’arte degli Egizi. Lenz capisce immediatamente che si tratta dell’arte rivelata; dell’unica arte possibile, fondata sulla rappresentazione di immagini archetipe e normative in base a principi costruiti su numeri e misure. Allo studio dell’arte egizia dedicherà tutta la sua vita. Dopo qualche anno trascorso nel Tirolo ed a Berlino, Peter è attratto dall’esperienza del nuovo monastero benedettino di Beuron, dove esiste un gruppo di monaci che già si dedica allo studio del canto gregoriano. L’applicazione del dogma alla musica. Lenz entra a Beuron nel 1872, fonda la scuola di pittura, assieme ad altri confratelli che hanno vissuto lo stesso percorso spirituale, e diventa Padre Desiderius nel 1877. Salvo periodi trascorsi all’estero per lavori come quelli di Montecassino la sua esistenza si consumerà tutta all’interno delle mura di Beuron.

Scuola artistica di Beuron, Madonna con Santi (affresco nel monastero di Monte Cassino), 1880
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0274

Scuola artistica di Beuron, Fuga in Egitto dalla "Vita di Maria" , 1883
(cartone per dipinto a tempera nell'Abbazia di Emmaus a Praga)
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0278


Far quadrare le cose

C’è una prima, grande contraddizione nel pensiero di Peter Lenz; qualcosa di cui egli stesso si rende immediatamente conto e descrive nei suoi appunti: com’è possibile cercare un dogma per l’arte sacra e riconoscerlo proprio in quella degli Egizi e nei modelli Greci? come è possibile cioè rifarsi ad un’esperienza pagana per riscoprire la vera arte cristiana? Qui – sia chiaro - non stiamo parlando di questioni di gusto personale. L’arte è una questione di fede, e se, ad esempio, Lenz raffigura la Madonna in forme che ci ricordano chiaramente la Dea Isis non è per suo gusto personale. Naturalmente uno storico delle religioni potrebbe spiegarci che la trasformazione, nel corso dei millenni, del culto della Dea Isis in quello della Madonna è proprio ciò che è successo all’umanità nel corso dei millenni; ma qui padre Desiderius non è l’inconsapevole erede di una tradizione iconografica. La Madonna di Lenz è simile ad Iside perché gli Egizi conoscono le misure e le norme della rappresentazione della donna. Non è possibile una spiegazione se non ricorrendo proprio alla religione. La ricerca intellettuale di Lenz si basa sul brano dell’Antico Testamento che dice che Dio ha creato ogni cosa “secondo misura, calcolo e peso”. Numeri: la realtà è costituita da numeri. Esiste una geometria divina che comporta che l’Uno sia in Tre e il Tre in Uno (Padre, Figlio e Spirito Santo). Ora, posto che Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine a somiglianza, ne consegue che Adamo ed Eva rappresentavano la figura ideale dell’uomo e della donna (non credo sia una sorpresa se segnaliamo che negli scritti di Lenz compare una dura condanna del darwinismo – cfr. p. 40). Poi, Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso terrestre, ma tramandarono ai posteri l’armonia della creazione divina, il canone della proporzione. Tale armonia giunse agli Egizi tramite i patriarchi ebraici; e gli Egizi prima, i Greci poi riuscirono a riconoscerla a preservarla pur credendo in falsi idoli:

Scuola artistica di Beuron, La morte di San Benedetto (affresco nella Cappella della Crocifissione di Monte Cassino), 1880
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0281

Scuola artistica di Beuron, Angeli (Cartone per un fregio a fresco nella Cappella di S. Mauro a Beuron), 1871
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0282

“L’arte degli antichi conosceva le leggi sacre di ordine e logica, della vera proporzione divina in natura: le leggi tramandate in origine (dal Paradiso). Così, per mezzo della bellezza governata da regole, riuscì a progredire sul suo cammino in direzione del bene e del vero; seppe individuarli e forse addirittura con essi colmare d’entusiasmo gli animi semplici. Certo non poteva insegnare il bene; o, meglio, poteva farlo  fino a un certo punto con la morale, ma non con la fede” (p. 81).


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