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lunedì 9 marzo 2015

Pietro Giordani. Panegirico ad Antonio Canova. A cura di Gabriele Dadati



Pietro Giordani
Panegirico ad Antonio Canova

A cura di Gabriele Dadati
Introduzione di Fernando Mazzocca

Piacenza, Tip.le.co, 2008


Antonio Canova, Paolina Bonaparte come Venere vincitrice (1805-1808), Galleria Borghese, Roma
[1] Il titolo completo dell’opera è Panegirico ad Antonio Canova dedicandosi il suo busto nell’Accademia di Belle Arti in Bologna, 28 giugno 1810. Di per sé, l’indicazione di una precisa circostanza e di una data esatta a cui fa riferimento il Panegirico non deve trarre in inganno. Il Panegirico fu pubblicato nella sua versione più completa (o meno incompleta, perché è incompiuto) soltanto postumo (a cura di Antonio Gussalli); e non si può nemmeno dire che si tratti di opera redatta per l’occasione e poi rimasta inedita per oltre quarant’anni; siamo in realtà di fronte a un progetto nato in quella circostanza e mai perfezionato da Giordani. Il Panegirico è stato poi riproposto in diverse occasioni, in versione più o meno integrale (basti ricordare l’edizione a cura di Giuseppe Chiarini o gli ampi estratti proposti da Paola Barocchi e da Fernando Mazzocca nelle loro antologie). Mancava però un’edizione critica e per di più del livello di quella ora proposta da Gabriele Dadati (va peraltro segnalato che nella stessa collana – Biblioteca Storica Piacentina – l’editrice Tip.le.co. aveva pubblicato quattro anni prima l’eccellente Carteggio fra Giordani, Antonio Canova ed il di lui fratellastro Giovanni Battista Sartori). L’opera si compone di due parti: un ampio saggio introduttivo in cui si ripercorrono la storia dell’amicizia Giordani-Canova e i non tantissimi elementi noti relativamente alla redazione del Panegirico; si propongono inoltre alcuni spunti comparativi fra il Panegirico di Giordani, la Storia della scultura di Leopoldo Cicognara e Canova et ses ouvrages di Quatremère de Quincy; la seconda parte presenta l’opera in edizione critica (ci si basa sul testo così come stabilito nella versione Gussalli) e le relative annotazioni esegetiche. Preziosissimi i materiali proposti in appendice: si comincia con tre testi felicemente definiti come risalenti all’“archeologia del Panegirico”: “si tratta della Lettera che il piacentino prepone al volumetto di versi che doveva accogliere Canova a Bologna nell’autunno 1809, il Compendio letto nel giugno 1810 presso l’Accademia di Belle Arti e infine un frammento di lettera a Leopoldo Cicognara dell’agosto 1810 in cui il Piacentino racconta l’attesa creata nella città petroniana dall’auspicato arrivo dello scultore e quanto fatto da lui una volta giunto” (pp. X-XI). Si propongono infine gli autografi di Giordani relativi al Panegirico conservati presso il Fondo Pietro Giordani della Biblioteca Medicea Laurenziana (si tratta fondamentalmente di schemi, abbozzi e materiali preparatori). 


Antonio Canova, Le tre Grazie (1813-1816), Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo

[2] Giordani conosce personalmente Canova a Roma, nel 1806, quando lo scultore è già all'apice del suo successo. È scontato che il desiderio di incontrare un uomo il cui nome era sulla bocca di tutti fosse grande; meno scontato che fra i due sia nata subito una naturale e personale amicizia, che si protrasse per decenni e che (per nostra fortuna) più sui rari incontri si fondò su un fitto scambio epistolare su cui hanno scritto Matteo Ceppi e Claudio Giambonini nel Carteggio già citato. Giordani dal 1808 è prosegretario dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e frequenta assiduamente il salotto della contessa Cornelia Martinetti, anch’ella grande ammiratrice dello scultore di Possagno. È naturale quindi, che, quando nel 1809, sembra concretizzarsi la possibilità che, nel corso di uno spostamento fra Roma e Possagno, Canova possa effettuare una tappa bolognese, tutta la società felsinea, quella mondana da un lato e quella artistica dall’altro, si appresti a tributare allo scultore i dovuti onori. In realtà, in quella circostanza, non vi fu nessuna tappa bolognese: lo scultore (assieme al fratellastro Giovanni Battista Sartori), informato della presenza di briganti attorno a Bologna, preferì tornarsene a Roma. La contessa decise di pubblicare ugualmente un libretto in versi in onore di Canova (Per l’aspettato arrivo di Canova in Bologna, gennaio 1810), con una Lettera di Giordani a mo’ di prefazione (qui pubblicata in appendice). Le celebrazioni ufficiali previste dall’Accademia di Belle Arti furono invece rimandate al giugno del 1810, in occasione della distribuzione dei premi annuali. Il 28 giugno fu scoperto il busto di Canova, opera dello scultore ravennate Gaetano Monti, e Giordani lesse il suo Compendio dell’Orazione panegirica pel Canova. Il Compendio – si badi bene – non fu mai pubblicato, fino all’edizione postuma delle Opere di Giordani a cura di Antonio Gussalli, ma costituisce senza dubbio il progetto embrionale del più ampio Panegirico, quello cioè di pubblicare un saggio che da un lato celebri lo scultore come l’uomo che non solo ha fatto tornare la scultura agli antichi fasti del mondo classico, ma che l’ha vivificata e ulteriormente condotta a nuovi vertici grazie alla sua opera, e dall’altro sottolinei la grande bontà e statura morale di Canova come individuo; il tutto legato ad una data simbolica, quella appunto dello scoprimento del busto dell’artista avvenuto a Bologna nel giugno del 1810. Nel corso dei decenni Giordani dissemina nel suo epistolario indicazioni, spesso vaghe, sull’avanzamento dei lavori del Panegirico (pp. 25-31); si percepisce il conflitto interiore di chi vuole da un lato rimanere fedele al progetto iniziale ed al contempo si chiede (e viene richiesto) di tener conto degli avvenimenti successivi (ignorare ad esempio il recupero delle opere d’arte italiane una volta caduto Napoleone Bonaparte, su cui, nel trionfo generale, si avverte qualche fastidiosa voce critica (cfr. p. 26)?; non tener conto delle opere successive al 1810? e della morte dello scultore, avvenuta nel 1822?); si avverte poi una forma di pudore alla pubblicazione (o di consapevole inadeguatezza al compito), che blocca Giordani per decenni; fors’anche l’intenzione di non essere confuso con tanta parte di letteratura canoviana, spesso non eccelsa, che riempie gli scaffali delle librerie italiane in quegli anni. Eppure nella sostanza appare chiaro che il piacentino si mantiene fedele al progetto iniziale.

[3] Passano (molti) anni e finalmente nel 1836 compaiono in una strenna Vallardi (Non ti scordar di me. Strenna pel Capo d’Anno, ovvero pei Giorni Onomastici) i primi quattro capitoli del Panegirico; tre anni dopo, in una seconda strenna (Fiori d’arte e di lettere italiane per l’anno 1839) si aggiungono altri cinque capitoli (e siamo a nove). In una lettera a Giovanni Battista Sartori, Giordani si scusa per la modestia del materiale pubblicato (“molta importunità di amici e di stampatori [n.d.r. esigenze economiche?] mi ha sforzato mio malgrado a lasciarne uscire in due volte due pezzi, che da se non possono avere valore” (p. 30), ed appare sfiduciato sulla possibilità che molto più in là si possa andare. In effetti, Giordani muore senza che altro materiale sia pubblicato (se si esclude un’edizione Le Monnier non autorizzata dall’autore che – comunque – ripropone sostanzialmente il Panegirico come già apparso nelle strenne). Bisogna attendere l’edizione postuma delle Opere (1854-1862), a cura di Antonio Gussalli per vedere pubblicata la parte finale del nono capitolo ed il decimo. “Seguono dieci note che sviluppano ancora la materia, anche nella direzione filosofica che avrebbe dovuto essere presente, per poi arrivare agli schemi, rispettivamente in sette e dodici punti, dei capitoli su Canova Ristoratore dell’Arte e Gratitudine del mondo cogli onori. Dell’eventuale parte sull’impresa parigina, che a Sartori era stata promessa almeno post mortem, non c’è traccia” (p. 31).

[4] A puro titolo di cronaca, va ricordato poi che la visita di Canova a Bologna vi fu, finalmente, dal 29 al 31 luglio del 1810 (cfr. p. 8).

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