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giovedì 12 febbraio 2015

Vincenzo Scamozzi, L'Idea dell'Architettura Universale (1615)



Vincenzo Scamozzi
L'Idea dell'Architettura Universale
di Vincenzo Scamozzi architetto veneto

Prefazione di Franco Barbieri
Con un testo di Werner Oechslin

Vicenza, Centro Internazionale di Studi Andrea Palladio, 1997


[1] “Questa ristampa della prima edizione dell’Idea della Architettura Universale di Vincenzo Scamozzi (Venezia 1615) è la riproduzione anastatica della copia conservata nella Raccolta Cappelletti della Biblioteca del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio (Cap. CXVII 21-1/2)” (p. VI).

Il frontespizio dell'Idea dell'Architettura Universale (1615)
Fonte: Wikimedia Commons

[2] Confessiamo un qualche imbarazzo nel parlare del trattato. È fuori di dubbio che sul lavoro dell’architetto vicentino si sia andata sedimentando una serie di enunciati (o luoghi comuni?) che però non può celare un dato di fatto: lo studio analitico dell’opera nella sua integralità (o, meglio, dei soli sei Libri che furono pubblicati rispetto ai dieci preannunciati nel frontespizio) è ancora in alto mare. Non esiste un’edizione critica o comunque commentata dell’Idea; non è probabilmente un caso che, fra tutti i trattati previsti nell’ambito della fondamentale collana Classici italiani di scienze, tecniche ed arti: Trattati di architettura edita da Il Polifilo, solo il lavoro di Scamozzi non sia riuscito a vedere le stampe e, sotto questo punto di vista, già questa pregevole ristampa anastatica (preceduta da uno scritto di Werner Oechslin intitolato Premesse a una nuova lettura dell’Idea dell’Architettura Universale di Scamozzi) rappresenta un notevole passo avanti. Va peraltro segnalato che in anni recenti si sta delineando un tentativo più “umile” di affrontare il trattato sviscerandone i molti significati per singoli aspetti; sotto questo punto di vista si distingue per costanza il lavoro di Lucia Collavo (vale la pena citare il suo saggio Sic ad aethera virtus. Un trattato d’architettura di Vincenzo Scamozzi, pubblicato su Il Veltro. Anno 2004 n. 1-2).

Vincenzo Scamozzi, Villa Pisani a Lonigo (Vicenza)
Fonte: http://www.wga.hu/html_m/s/scamozzi/pisani.html

[3] Quello di Scamozzi è citato unanimemente come l’ultimo trattato di architettura di respiro rinascimentale, ovvero teso a fornire un’immagine della disciplina come scienza universale (riallacciandosi dunque a Leon Battista Alberti e naturalmente a Vitruvio). Tutto ciò premesso, ben presto si è finito con l’aggiungere che il tentativo di Scamozzi si caratterizza per la particolare pesantezza del testo e per l’eccessivo sfoggio di erudizione (non vi è dubbio che Scamozzi fosse uomo di sconfinata cultura) che non ne favoriscono certo lettura ed interpretazione. Si tratta di giudizio pressoché univoco, di cui è possibile trovare tracce sin dal Temanza per arrivare allo Schlosser. Sicché si è persino ritenuto che le numerose riduzioni dell’opera, pubblicate in Olanda, in Francia e in Germania, ma anche in Italia e concentrate soprattutto sulla teoria degli ordini architettonici, abbiano, di fatto, posto in essere un’operazione utile a Scamozzi stesso, ovvero depurare il trattato di quell’eccesso di erudizione che lo rendeva di difficilissima lettura (cfr. le pagine XI-XX del saggio di Oechslin). Così facendo, naturalmente, sono nati un altro trattato ed un altro Scamozzi. La sfida dei prossimi anni è quella di far riemergere il progetto originario (anche, e se possibile, nelle parti dell’opera che non furono pubblicate) in tutta la complessità dell’intreccio fra architettura, filosofia e scienza proposto dall’architetto vicentino.

Vincenzo Scamozzi, Planimetria di Villa Pisani
Fonte: Deutsche Fotothek Architektur Profanbau Villa  Grundriss

[4] Per un breve excursus sui contenuti del trattato si rimanda alle pp. 118-120 di Teoria dell’architettura. 117 trattati dal Rinascimento ad oggi. Noi riportiamo qui quanto lo Schlosser scrive in merito nella sua Letteratura artistica alle pp. 416-417 (ricordando che il suo giudizio su Scamozzi non è dei più positivi): “Dopo una lunga introduzione generale di teoria dell’arte il primo libro ci dà un sommario storico dei maggiori architetti e scrittori di architettura... Con ampiezza quasi insopportabile vengono poi esposte le cognizioni teoriche preliminari dell’architettura. Caratteristico per questo tempo... è l’excursus storico al cap. 18, in cui l’architettura medievale viene biasimata con tutto il disprezzo proprio dell’architetto classicheggiante, e in cui appare anche la tipica alterigia del teorico e pedante italiano di fronte agli empirici del Settentrione [n.d.r. sulle esperienze personali di Scamozzi nel nord Europa si veda il suo Taccuino di viaggio da Parigi a Venezia (14 marzo – 11 maggio 1600)]... Il secondo libro contiene fra l’altro una esposizione abbastanza ampia delle leggi che regolano la costruzione delle città; di particolare valore le considerazioni sulla posizione delle città più importanti, anche fuori d’Italia. Vi è annesso un trattato sull’architettura militare che ha uno speciale interesse in quest’epoca e in quell’ambiente... Il terzo libro tratta delle costruzioni civili, e si riconnette naturalmente alla casa antica...; di particolare interesse per noi la discussione sulla disposizione dei musei, specie delle «gallerie» veneziane e del loro contenuto, che è uno dei primi saggi sistematici del genere.... Degli altri libri [n.d.r. pubblicati] il VI... tratta del catechismo di ogni «vera» architettura, cioè dei cinque ordini, in maniera amplissima e pedante fino ai più minuti particolari; né vi possono mancare le caratteristiche invettive contro le ridicole invenzioni dei «barbari». Il libro VII si intrattiene sui materiali architettonici; della direzione delle costruzioni in generale parla l’ottavo libro, redatto senza alcun ordine e in fretta, con mano sempre più debole.”


Vincenzo Scamozzi, Villa Molin alla Mandria (Padova)
Fonte: Wikimedia Commons


[5] Sempre sul trattato è consigliabile leggere le pp. 55-67 di Vincenzo Scamozzi, la monografia tuttora essenziale pubblicata da Franco Barbieri nel 1952.

[6] Non è qui il caso di soffermarsi a lungo sull’erudizione di Scamozzi. Vale la pena tuttavia segnalare che le postille da lui apposte ad una copia del De architectura di Vitruvio commentato da Daniele Barbaro e alle Vite del Vasari, nonché l’indice collocato all’inizio dell’edizione veneziana dei libri serliani nel 1584 trovano puntuale riscontro anche all’interno dell’Idea dell’Architettura Universale.

Vicenza, Teatro Olimpico
Le scene lignee di Scamozzi visibili oltre la porta regia del proscenio disegnato da Palladio
Fonte: Wikimedia Commons

[7] Per quanto concerne l’influenza del trattato di Scamozzi nei Paesi Bassi si riportano qui sotto alcune note a Konrad Ottenheym, L’Idea dell’Architettura universale de Vincenzo Scamozzi et l’architecture du XVIIe siècle aux Pays-Bas, pubblicato in Théorie des arts et création artistique dans l’Europe du Nord du XVIe au début du XVIIIe siecle, a cura di Michèle-Caroline Heck, Frédérique Lemerle e Yves Pauwels (2003).


Konrad Ottenheym
L’Idea dell’Architettura universale de Vincenzo Scamozzi et l’architecture du XVIIe siècle aux Pays-Bas


Jacob van Campen, Mauritshuis, L'Aia

È noto il grande successo che l’Idea dell’Architettura universale di Vincenzo Scamozzi ebbe nei Paesi Bassi nel 1600. Ottenheym segnala come il fenomeno del recepimento di trattati italiani in quei luoghi e in quegli anni non fosse certo raro. A partire dal 1625, l’architetto Jacob van Campen prima, ed i suoi allievi poi, cominciano a proporre edifici che riflettono fedelmente quanto esposto da Scamozzi nel suo trattato. Sono passati dieci anni dalla pubblicazione dell’opera e, chiaramente, van Campen si basa sulla prima edizione. Dal 1640 in poi, tuttavia, e per tutto il secolo, l’Idea dell’architettura editoriale conosce una grande fortuna editoriale nei Paesi Bassi, a partire dalla prima traduzione in neerlandese proposta ad Amsterdam. L’opera viene pubblicata integralmente o in estratti (richiestissimo è il sesto libro, ovvero quello relativo agli ordini architettonici), in edizioni di pregio o in altre destinate alla consultazione ad opera di carpentieri e tagliapietre (cfr. pp. 130-135), con accurati commenti o priva di testo e con le sole illustrazioni. L’aspetto che più incuriosisce è come mai Scamozzi conosca questa grande fortuna nei Paesi Bassi, mentre altrove ad affermarsi sono soprattutto Palladio o Vignola. Fra le varie spiegazioni fornite da Ottenheym, ci piace riportarne una che ci sembra particolarmente suggestiva: “L'architetto italiano non parla soltanto dei palazzi della grande nobiltà. Distingue tre tipologie di spazi abitativi; quella del monarca, quella della nobiltà e quella dell'(alta) borghesia. In questo modo integra l'abitazione borghese nel grande sistema dell'architettura vitruviana. Nei Paesi Bassi, luogo di cultura borghese e mercantile, vi era un particolare interesse per le indicazioni fornite in tal senso” (p. 137). Insomma, Scamozzi offre una soluzione “vitruviana” al problema abitativo dell’alta borghesia in un contesto urbano, e non può che raccogliere la viva attenzione di una società che fa dei nuovi ceti borghesi il proprio punto di forza.https://letteraturaartistica.blogspot.com/2013/11/julius-schlosser-magnino-la-letteratura.html

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