Francesco Mazzaferro
Fortuna critica ed eredità spirituale di Max Klinger
nell'arte europea del XX secolo
Parte Terza
[Versione originale: febbraio 2015 - nuova versione: aprile 2019]
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Nel 1956 fu stampata a Berlino est una pubblicazione dell’Accademia tedesca delle arti [78] che tracciava una storia della grafica tedesca, a partire da Klinger fino agli anni cinquanta. L’interpretazione era marxista; la rinascita della grafica, scrive l’autore Gerhard Pommeranz-Liedtke, è avvenuta negli anni di Marx, ed è legata alla denuncia della realtà sociale.
In questo contesto, Klinger viene visto come il
capostipite tecnico ed artistico di una scuola profondamente tedesca. La sua
erede principale, che ne recepisce i tratti realistici di denuncia, è Käthe
Kollwitz. Da lei ha origine una scuola realista di orientamento socialista
(Lührig). Solo mezza pagina è dedicata al Ponte, mentre è chiara la simpatia
per gli artisti che avevano presso chiare posizioni di sinistra nella
Repubblica di Weimar (Baluschek, Hofer, Pechstein, Grosz, Beckmann, Nagel) ed
in Austria (Kubin, Kokoschka). Dunque, Klinger era visto come il capostipite
dell’arte socialista nella DDR.
Klinger era già visto
nel 1956 come uno dei padri fondatori dell’arte della DDR, ed il centro di
diffusione dell’arte klingeriana era rimasto Lipsia. La storia della Germania
– fortemente influenzata da basi localistiche in maniera molto simile a quanto
succede in Italia – fece infatti sì che Klinger rimanesse a Lipsia un idolo
artistico per decenni: come si erano tenute retrospettive a lui dedicate nel
1937 (sotto chiara influenza nazista), così fu anche nel 1947 (prima ancora
della creazione della DDR, la Repubblica democratica tedesca, e perciò ancora sotto diretta occupazione dell’Armata
Rossa). La mostra fu organizzata dal Consiglio della città. Una seconda importante esibizione si tenne sempre a Lipsia dieci anni dopo, nel 1957.
“Riabilitare Max Klinger?” Così
presidente e direttore della Kunsthalle
di Brema aprirono la loro breve introduzione al catalogo del 1970 (76 pagine).
“Alcuni si opporranno fermamente contro
quest’intenzione: arte concettuale, pallida, della borghesia intellettuale del
XIX secolo, cui diamo volentieri l’intera responsabilità delle catastrofi e
degli aspetti più sospetti della nostra epoca, per non cercarla tra noi. Il
mondo dei pelouche dei nostri nonni. Mai più.” [89] Eppure - scrissero i
due - le ragioni per un’apertura, sia pur molto timida, c’erano eccome.
Infatti, nonostante tutto quel che di male si potesse dire delle sue pitture e
sculture, Klinger era stato il caposcuola di una lunga serie di incisori, ed con
il ciclo “Drammi” aveva trasmesso ad alcuni di loro anche una consapevolezza
sociale, in particolare grazie a Käthe Kollwitz. Un ragionamento simile si
poteva ricavare dalla monografia di Berlino Est del 1956; del resto, Brema era
il Land (Stato) più spostato a sinistra della Germania Federale. Il catalogo di Brema
fu concepito come primo tentativo di fornire al pubblico tedesco occidentale
tutti gli strumenti critici per la comprensione dell’estetica klingeriana: 10
pagine di testi selezionati dai suoi scritti (lettere. diario, Pittura e disegno) ed altrettante pagine
di antologia critica di scritti a lui dedicati, fra il 1897 e il 1915. Le
pagine scelte da Pittura e disegno
erano tutte dedicate alla grafica.
[Versione originale: febbraio 2015 - nuova versione: aprile 2019]
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Un ciarlatano?
Nel 1917 (in piena guerra) Klinger festeggiò il suo sessantesimo
compleanno. In suo onore furono organizzate mostre e pubblicati volumi (tra cui
quello già citato di Avenarius); gli furono assegnate onorificenze. Due anni
dopo Pittura e disegno fu
ripubblicato da Insel Verlag, storico editore tedesco con sede a Lipsia,
nell’ambito della celeberrima collana della Biblioteca
Insel (Insel-Bücherei) [64].
Seguirono le ristampe – postume – del 1921, 1930 e 1935, sempre nella stessa
serie.
Tutto ciò premesso, è però chiaro che Klinger era oggetto di giudizi sempre
più sprezzanti. Il critico d’arte Max Friedländer, per prenderne le difese,
dovette prendere in considerazione gli argomenti ingiuriosi di chi ne parlava
addirittura come di un ‘ciarlatano’: [65]
“Pochi mesi fa, il 18 Febbraio, Max
Klinger ha compiuto 60 anni. Quest’occasione per discutere pubblicamente su di
lui, il suo lavoro e la sua fama non ha contribuito molto – per quanto io possa
aver seguito – allo sperato chiarimento o addirittura ad un accordo nel
giudizio su di lui. Il pendolo oscilla ampiamente, da un omaggio acritico ed
esagerato, basato su argomenti locali e patriottici, ad una riflessione che
combina esitazione e rifiuto. (…) Al di là del bello e del brutto l’opera di
Klinger è divenuta parte della cultura tedesca ed ha trovato il suo posto nel
Walhalla del popolo tedesco, non troppo lontano da quello di Richard Wagner.
Vogliamo distinguere nel nostro giudizio tra la fama di Klinger e la sua opera.
Questo maestro ha soddisfatto in modo così completo alcuni pregiudizi,
inclinazioni e desideri del pubblico tedesco che è potuto nascere il sospetto
che egli si sia predisposto a soddisfarne gli istinti, come un vero e proprio
ciarlatano. Un tale sospetto è ingiustificato. Klinger è sempre stato onesto e
sincero, a suo modo addirittura ingenuo; le sue creazioni sono sorte
organicamente da un talento naturale.” [66]
Meier-Graefe all’attacco
Quando nel 1920 Klinger
morì, si verificò qualcosa di clamoroso e di pessimo gusto. Lo storico
dell’arte Meier-Graefe scatenò contro di lui un attacco di inaudita violenza,
pubblicando sulla rivista Ganimede
una stroncatura che si concludeva con le parole “l’unico onore che possiamo pagare a certa gente è di sotterrarla per
sempre” [67]. La sua tesi era che Klinger era stato (insieme a Böcklin e a
Wagner) il simbolo di un pangermanesimo culturalmente aggressivo che cercava di
conquistare il potere mondiale, in antitesi agli illuministi francesi Diderot e
D’Alembert. Quei tre erano “i
rappresentanti più puri non solamente dell’arte tedesca, ma del pensiero
tedesco, che si pensò di accentuare con l’aggettivo ‘germanico’. Questo
Germanesimo – in mancanza di una concordanza europea e tedesca – si è rivolto
ad una finzione atemporale che da noi si vorrebbe chiamare volentieri
‘Romanticismo’ e che era una vera e propria malattia, una pestilenza.” Non
si trattò del romanticismo vero e proprio, del ‘romanticismo divino’, ma di un
“nuovo romanticismo senza forma, una
scemenza da barbari, puro materialismo”. E Meier-Graefe continuava: “Wagner, Böcklin, Klinger hanno provato che
Goethe è stato inutilmente in Italia e che il nostro medioevo è così vivo come
ai tempi di Grünewald. Da noi tutti vorrebbero essere un Grünewald, un Faust,
un Barbarossa. Con la nostra Metafisica si può fare di tutto. (…) Come
giustificazione si potrebbe dire (…) che Klinger diede maggior dignità alla
carnevalata di Böcklin.” E poi l’affondo sulla sua opera grafica: “se Klinger era un disegnatore, allora il
disegno di Dürer e Holbein, di Rubens e Poussin, di Marées e Menzel erano
qualcosa d’altro. (…) Nulla mancò a Klinger più crudelmente della capacità di
ballare, ridere o piangere con un tratto di disegno (…) Disegnò un guanto, era
un guanto e nulla più. La gamba era una gamba, il volto un volto. La capacità
di tradurre qualcosa di piegato in un guanto, di trarre da qualcosa tremolante
una gamba, da qualcosa arricciato un volto gli mancava completamente.
Assolutamente non un artista. Ancor meno artista di Böcklin (che lo avrebbe
potuto essere ed almeno una volta lo fu), ma anzi né carne né pesce [n.d.r.
ein Zwischending], un ricambio
[n.d.r. ein Ersatz], un arruffone
dell’arte [n.d.r. ein Kunstgewerbler].”
La progressione
incessante di giudizi negativi continua: “Era
un arruffone di portata assai modesta. Ci sono belle cornici anticheggianti e
cose simili della sua gioventù, ben disegnate, in bianco e nero, diabolicamente
modeste. Quelle cose le sapeva fare. Nella sua gioventù ha disegnato sul
modello di Goya. Quelle cose le ha prodotte girando con il dito attorno a Goya.
Fece dell’erotismo, al di là del tema cose insopportabilmente banali, ma
indecenti: erotismo artificiale. Come Bouguereau sostituì con il tema il ritmo
che non era neppure lontanamente presente. Fece quadri al cui paragone
Cornelius, Kaulbach, Anton v. Werner [nota dell’editore: tutti pittori per
i quali Meier-Graefe non ha alcuna considerazione] tremano. Il suo ‘Cristo sull’Olimpo’ è la battaglia della Marna dello
spirito tedesco. Tali quadri rivelano un pensiero zelante sui problemi della
vita. Anche le sue incisioni sono testimonianze di molteplici muse. Era un
pensatore. Se era un incisore, Rembrandt non ha inciso. Se fosse stato
disegnatore, avrebbe anche disegnato, avrebbe dipinto, male, bene, in qualche
modo, avrebbe in qualche modo ravvivato la superficie. Non gli riuscì né in
disegno né in pittura.”
L’articolo si conclude
con un aspetto che abbiamo già incontrato in altre occasioni: nonostante tutti
i suoi difetti, anche Maier-Graefe dovette riconoscere che Klinger era un uomo
nobile (vornehmer Mensch): “Quando io fui da lui l’ultima volta,
quindici o venti anni fa, chiese alla fine di un colloquio sul ‘Dramma’ che era
nel suo studio: ‘Dunque, Lei non crede affatto che io sia un artista?’. Quando
io gli diedi la risposta che lui si attendeva, ci demmo la mano e bevemmo un
bicchiere. Lo lasciai dignitosamente ed un po’ triste.”
Pur nella sua virulenza,
la stroncatura di Meier-Graefe non giunse inattesa. Già in un libro precedente
(Il caso Böcklin, del 1905) il
critico aveva discusso i limiti del simbolismo tedesco, dando chiari segni del
fatto che il suo giudizio negativo si sarebbe presto esteso a Klinger. In una
lettera del 1910 (l’epistolario di Meier-Graefe è stato pubblicato nel 2001)
aveva parlato del “caso Klinger” (e anche del “caso Klimt”) per citare
“differenze tra onore e valore”. [68] È ancora più significativo che nella sua
imponente “Storia dello sviluppo dell’arte
moderna” in tre tomi (disponibili su internet) non avesse trovato alcuna
ragione di citare Klinger, se non una sola volta [69].
Gustav Pauli contro Klinger
Il martellamento continuò
un anno dopo, nel 1921, con Gustav Pauli, in coincidenza di una retrospettiva
tenutasi a Berlino e dedicata a Klinger ad un anno dalla scomparsa. Ecco che
cosa scrisse alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo. “La mostra di Klinger ha avuto l’effetto di
una catastrofe. Davanti al grande quadro del Cristo in Olimpo, prestato dalla Galleria di Vienna, mi son
chiesto, del tutto stupito: com’è possibile che questo quadro – che sembra sia
solamente un lontano parente dell’arte [n.d.r. gleich einem Artverwandten] – abbia
potuto avere un successo così risonante solamente
due decenni fa? L’esempio di Klinger ci mostra che nulla può invecchiare così
rapidamente di un successo sensazionale. Klinger, che era un uomo sincero e
modesto, se ne accorse lui stesso.” [70]
E un decennio dopo (nel
1930) Pauli fornì, sempre alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo, un
giudizio categorico sul ‘Beethoven’,
che si trovava al Museo delle Belle Arti di Lipsia. ”Per i tempi moderni Klinger ha un certo peso. È il santo locale
dell’arte di Lipsia ed un tabù, dunque non viene discusso, il che non significa
che non lo si consideri a volte come scomodo. Il suo imponente Beethoven seduto
è una fonte continua d’imbarazzo, dal momento che è impossibile mostrarlo in
modo che sia ad esso propizio. Due dei suoi gruppi scultorei li hanno già messi
in magazzino, ovvero li mostrano in un luogo talmente scuro che non si può che
passar loro a fianco senza notarli.” [71]
Ostracismo
Era iniziata la stagione
dell’ostracismo nei confronti dell’opera klingeriana. Una parte importante
dell’establishment culturale della Repubblica di Weimar gli voltò le spalle.
Era l’intellighenzia liberale, quella
aperta agli influssi francesi e pronta a seguire la via della piena
integrazione dell’arte tedesca nei filoni delle avanguardie internazionali.
Erano gli anni d’oro della Repubblica di Weimar, quando sembrava che
l’iper-inflazione fosse ormai un ricordo del passato e la crisi del 1929 non
era ancora sopraggiunta. In questi anni, la Germania era culturalmente
all’avanguardia (si pensi all’esplosione del cinema tedesco). Ebbene, in
quell’epoca di pieno fulgore, Klinger non fu più ammesso agli onori del
dibattito estetico.
Un caso particolarmente
indicativo è che Pittura e disegno
non fu incluso nell’antologia delle fonti di storia dell’arte del 1925 di Paul
Westheim (1886-1963), che pur offriva un’amplissima raccolta antologica da Hans
von Marées, Hans Thoma, Max Liebermann e Lovis Corinth a cavallo tra i due
secoli fino a de Chirico, Léger, Malewitch e persino Charlie Chaplin (come
esponente della nuova arte, il cinema). L’assenza del libro di
Klinger era segno che le sue teorie estetiche non erano più viste come
compatibili con l’avanguardia.
Ancora più significativo
fu quel che successe cinque anni dopo. Erano ormai anni di grande instabilità,
dopo la crisi del 1929. Nel 1933 i nazisti vinsero le elezioni; dai loro
programmi elettorali era chiaro quel che pensavano dell’arte moderna. A loro
parere, essa andava radicalmente soppressa, perché era di impronta ‘ebraica’ e
‘negroide’ ed era una ‘degenerazione’ dell’arte ariana. Questa tesi
(propagandata da Alfred Rosenberg) era l’opinione della maggioranza dei
nazisti, ma non di tutti. Vi era un circolo di critici d’arte vicini al nazismo
che sperava nel sostegno di Josef Goebbels e nel suo risaputo interesse come
collezionista d’arte moderna (inclusi gli espressionisti). Essi ritenevano che
proprio l’espressionismo fosse una forma tedesco-scandinava d’arte di cui il
nazismo doveva appropriarsi, per fare della Germania la nazione guida dell’arte
contemporanea. Quel piccolo gruppo fu epurato, ma lo storico Max Sauerlandt
tenne nel 1933 un ciclo di lezioni ad Amburgo, piene di elogi ad Hitler ed al
nazismo, ed al tempo stesso tutte concepite per tracciare un disegno ardito
dell’arte contemporanea in Germania e per fare di Emil Nolde il nuovo campione
della nuova arte del Terzo Reich. Nel libro [72] che raccoglieva le lezioni (L’arte degli ultimi trent’anni) l’autore
si confrontò con impressionismo, Nolde, Ponte
(Brücke) e Nuova Oggettività, ma non
citò una sola volta Max Klinger. Non solo: anche la sua corrispondenza,
pubblicata nel 2013 [73], non lo menzionò mai. Dunque, Klinger era ormai un
estraneo non solo per la critica liberale, ma anche per quella di orientamento
politico conservatore. Lo dimostrano anche le parole di Ludwig Justi, il
direttore della Galleria nazionale d’arte moderna di Berlino, nel 1931: “La scottante fama di Klinger si è spenta
presto, oggi lo si è quasi dimenticato. Il suo talento era davvero grande,
anche se non solamente diretto alla pittura; l’incisore e lo scultore fecero
perdere la testa al pittore, la pomposità della Germania guglielmina lo
sedussero verso l’eccessiva accentuazione, ed inoltre egli cadde nel fuoco
incrociato di rinascimento, Jugendstil ed impressionismo.” [74]
Il silenzio del dopoguerra nella Repubblica
Federale Tedesca
Il silenzio su Klinger
nella Germania occidentale del dopoguerra è davvero impressionante. Un silenzio
pressoché totale. Fra il 1945 ed il 1970 non fu pubblicata alcuna monografia
dedicata all’artista; non c’è quindi da stupirsi che nemmeno Pittura e disegno sia stato ripubblicato
in quel periodo. Nel corso di venticinque anni gli furono dedicate solo sette
mostre: di queste, una solamente su pittura e scultura (a Wuppertal, nel 1968).
Tutte le altre riguardavano solamente la grafica: nel 1952 a Celle, nel 1956 a
Monaco, nel 1959 a Krefeld, nel 1962 a Leverkusen, nel 1966 a Darmstadt e nel
1969 a Friedrichshafen. Va pur detto che la quasi totalità delle opere
sopravvissute alla guerra era in Sassonia (ovvero in Germania Est), e sarebbe
stato impossibile mostrarle al pubblico della Germania occidentale.
L’unico critico d’arte
tedesco ad esprimere un giudizio su Klinger fu Werner Haftmann, prima in “Pittura moderna nel XX secolo” (1954) e
poi nella monografia “Il paradiso in
terra” (1960), dedicata all’arte nel diciannovesimo secolo. Hartmann fu il
maggior critico d’arte contemporanea del dopoguerra, lo studioso che promosse
la riscoperta dell’arte degenerata, l’interprete di una storia dell’arte
tedesca riconciliata con quella europea (fu anche grandissimo estimatore
dell’Italia e della sua arte), l’organizzatore di iniziative per far conoscere
l’espressionismo in tutto il mondo occidentale ed infine fu protagonista della cultura artistica tedesca con
l’organizzazione delle prime tre edizioni di Documenta a Kassel, nel 1955, 1959 e 1964. Dunque, il massimo
rappresentante dell’estetica della Germania di Adenauer. Il suo giudizio su
Klinger fu molto simile a quello di Julius Meier-Graefe e Gustav Pauli: poche
righe per scrivere che “una spiacevole
stonatura pervade la maggior parte delle creazioni di Klinger. Sono viste in
modo troppo acuto e pensate in modo troppo ricco. (…) egli sovraccarica corpi
eterei con dettagli preziosi, e cerca di combinare un naturalismo penetrante e
indulgente con una monumentalità da visionario. È raro che la sua arte vada al
di là della semplice ricerca di effetti speciali, anche se a volte, per la
verità, il suo impiego di tecniche e materiali diversi offre un interessante
contrasto” [75].
Sarebbe profondamente
sbagliato ritenere che tutto ciò fosse casuale e dipendente da preferenze
estetiche personali. Cercando di legarsi alla tradizione francese
(postimpressionismo, cubismo, fauvismo, dada) e soprattutto a quella americana
(espressionismo astratto, concettualismo, avanguardie, pop), la Germania
occidentale optò decisamente (non senza polemiche, cui si è fatto riferimento
nei post precedenti su Karl Hofer e Max Pechstein) in favore dell’informale.
Anzi, nel pieno della guerra fredda, il linguaggio pittorico astratto fu
considerato come una forma di libertà assoluta di espressione, da contrapporre
al realismo socialista di stampo stalinista. L’intera arte moderna tedesca fu
dunque riletta in funzione della giustificazione degli stili del dopoguerra. Lo
spazio per Max Klinger, in questa chiave di lettura, era assai limitato. Gli
eroi dell’arte tedesca del primo Novecento divennero il Ponte (die Brücke), il Cavaliere azzurro (Blaue Reiter), ma soprattutto Ernst
Nolde. Elementi di continuità con il neo-romanticismo, il simbolismo e la
tradizione classica di fine secolo divennero sospetti ideologicamente e
soprattutto non più omogenei rispetto alla successiva evoluzione dell’arte.
In linea con tutto ciò,
l’antologia delle fonti della storia dell’arte di Hans Eckstein [76],
pubblicata a Darmstadt nel 1954, continuò ad ignorare completamente Pittura e disegno di Max Klinger, così
come aveva fatto Paul Westheim nel 1925. Due sole pagine di Klinger furono pubblicate invece in
un’antologia di lettere di artisti dei cinque secoli precedenti (pubblicata nel
1926 da Hermann Uhde-Bernays), antologia che si apriva con Leon Battista Alberti e si chiudeva con una lettera di Kandinsky a Paul Westheim [77].
Max Klinger nella Repubblica Democratica Tedesca e
a Lipsia
Nel 1956 fu stampata a Berlino est una pubblicazione dell’Accademia tedesca delle arti [78] che tracciava una storia della grafica tedesca, a partire da Klinger fino agli anni cinquanta. L’interpretazione era marxista; la rinascita della grafica, scrive l’autore Gerhard Pommeranz-Liedtke, è avvenuta negli anni di Marx, ed è legata alla denuncia della realtà sociale.
Anche Disegno e pittura fu ripubblicato a
Lipsia da Insel Verlag, nel 1950 e nel 1978 (esattamente come le due Germanie,
anche l’editore si era ‘sdoppiato’; quello tedesco orientale – che pubblicò il
pamphlet di Klinger – era in realtà di proprietà statale). Non furono pochi i
critici d’arte locali (Margerete Hartig, Johannes Jahn, Paul Angerholm) che
ebbero modo di specializzarsi sulla sua opera. Né furono poche le mostre a lui
dedicate, sicuramente in circostanze e località più prestigiose di quelle che
abbiamo elencato con riferimento alla Germania Ovest: a Lipsia (1947, 1951,
1954, 1957, 1961); a Berlino Est (1956), a Weimar (1957) ed Altenburg (1965).
Fig. 6) Il fascicolo di 20 pagine sulla mostra di Lipsia del 1957 |
Il fascicolo della mostra
del 1957 si compone solamente di due articoli di dieci pagine l’uno (il primo
su pittura e scultura ed il secondo sul disegno). La sua lettura è però davvero
interessante, perché mostra la completa assenza (fatto assai strano, per la
verità) di ogni aspetto propagandistico. Non si parla di materialismo storico
né di lotta di classe; né si cerca (a differenza della già citata monografia
dell’anno precedente) di fare di Klinger un predecessore dell’arte socialista.
Si ammette anzi che i meriti artistici di Klinger si erano affievoliti rispetto
alle letture entusiastiche del primo Novecento. Quel testo fu scritto in
sostanziale continuità con l’analisi formale fornita dai critici estimatori
dell’arte klingeriana all’inizio del secolo, ma senza la zavorra di un inutile
nazionalismo.
La permanenza
dell’interesse per l’arte e gli scritti di Klinger a Lipsia, tuttavia, non era
solamente il tributo che si rendeva ad un artista autoctono o la semplice
conseguenza del persistere di un forte interesse per la sua grafica all’interno
dell’Accademia delle Belle Arti locale, dove Klinger stesso era stato nominato
professore nel 1919. La Repubblica Democratica Tedesca (che, secondo la
cosiddetta Dottrina di Hallstein, non era riconosciuta in Occidente, né dalla
Germania Federale né dai suoi alleati) ebbe un interesse esistenziale a
riaffermare, anche attraverso l’arte, le sue radici nella storia tedesca, e
dunque a non essere considerata (almeno agli occhi della sua popolazione) come
pura ‘zona di occupazione’ dell’Unione Sovietica.
Dopo la guerra, inoltre,
gli espressionisti (come spiegato da Christian Saehrendt [79]) furono per molti
decenni sostanzialmente boicottati in Germania Orientale, come espressione di
un’arte borghese ‘formalista’, che non aveva saputo resistere alla pressione
nazista e non era in linea con il realismo socialista. Dunque, per molti versi,
gli occhi con cui si guardava all’arte tedesca di primo Novecento furono molto
più tradizionalisti nella Germania Est rispetto a quella Occidentale. Per
legittimare questo approccio, nella DDR non si esitò a rivedere l’intera arte
tedesca e si teorizzò addirittura il primato del “classico” Dürer
sull‘“espressionista” Grünewald. Si cercò di creare un legame diretto tra
l’arte della DDR e i maestri dell’Ottocento (von Menzel, Leibl). Si è già detto
che si vide in Max Klinger l’iniziatore di una scuola socialmente impegnata di
artisti grafici moderni ispirati al rinascimento. Si creò così alla fine degli
anni sessanta uno stile (la cosiddetta “scuola di Lipsia”) che rifiutava
l’informale della Germania Ovest, ne condannava l’entusiasmo per gli
espressionisti e cercava di radicarsi sulla traccia degli artisti più orientati
al classicismo della Germania del primo Novecento, cercando di creare un
moderno “moderato”.
Che non si trattasse
solamente di un riflesso campanilistico fu provato dal fatto che Pittura e disegno, nel 1969, fu incluso nell’antologia sovietica delle fonti di storia dell’arte [80], riconoscendo all’autore
un ruolo di patriarca della letteratura artistica tedesca, insieme a Hans von
Marées, Adolf von Hildebrand, Max Liebermann, Lovis Corinth, Käthe Kollwitz,
Ernst Barlach, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Franz Marc, Vasily Kandinsky,
(per la Germania) e Ferdinand Hodler e Paul Klee (per la Svizzera). Furono
incluse quattro pagine della parte introduttiva dello scritto di Klinger,
insieme ad un testo di commento che inquadrava Klinger nell’ambito del simbolismo
tedesco e gli riconosceva un influsso anche sull’arte russa precedente
l’Unione Sovietica. Vista da Mosca, la notorietà di Klinger rimase dunque
invariata, forse anche perché gli orientamenti estetici socialisti erano molto
più legati di quelli americani agli schemi classici e figurativi.
Il successo di Klinger nella DDR degli anni ‘70 ed
‘80
La mostra a Lipsia del
1970 [81], a cinquant’anni dalla morte, fu concepita dalle autorità come la
mostra di maggior rilievo dedicata all’artista dopo la celebrazione nazista del
1937, che era stata tutta dedicata alla ‘germanizzazione’ dell’arte di Klinger
ed era servita da pretesto alla rimozione della cosiddetta ‘arte degenerata’
dal Museo delle Belle Arti della città (per mancanza di spazio). Le retrospettive
del 1947 e del 1957 avevano tenuto alta la bandiera di Klinger a Lipsia.
Tuttavia, non solamente nessuno catalogo (solamente due fascicoli) era stato
pubblicato in quelle occasioni, ma mancava ancora un riesame complessivo dell’arte di Klinger basato
su criteri marxisti.
Fig. 7) Il catalogo della mostra di Lipsia del 1970 |
L’ambizione fu dunque
quella – attraverso le parole del direttore Gerhard Winkler – di offrire
un’interpretazione dell’arte di Klinger che non fosse esclusivamente legata ad
interessi locali, ma potesse anche sottrarsi alla trappola del cosiddetto
’soggettivismo’, ovvero il continuo “cambiamento
tra sopravvalutazione e sottovalutazione, una tipica caratteristica della
critica artistica tardo-borghese, specchio di una realtà distrutta da
contrapposizioni antagoniste. In tal modo i testi di critica servono allo scopo
di creare confusione tra gli spettatori, in modo da incitare giudizi erronei e
suscitare istinti avversi contro l’arte intera”. [82] Il catalogo ricostruì
dunque l’intera vicenda della critica artistica su Klinger come un complotto
della Berlino guglielmina che (dopo l’unificazione del 1871) si poneva “ideali eroici tipici della smania
prussiano-tedesca per la pompa e la rappresentazione.” [83] Tale fine
dell’arte ufficiale bismarckiana e guglielmina costituì una rottura con i
migliori elementi della storia tedesca, ed in particolare con gli ideali
dell’umanesimo classico a cui Klinger si orientava e che avevano alimentato la
rivoluzione del 1848. Quella rottura con le migliori tradizioni si concretizzò
in un’alleanza tra il grande capitale e la casa imperiale reggente. Klinger
decise perciò di rompere con l’accademismo dell’epoca, ma non ebbe altre
risorse intellettuali per risolvere le contraddizioni di quanto gli offriva il
nichilismo filosofico di Schopenhauer e Nietzsche. Rimanendo all’interno del
modo di ragionare borghese, egli cercò di risolvere la contraddizione
attraverso il dualismo tra pittura e disegno, la prima legata alla realtà
(essere) e la seconda al pensiero utopico-borghese (dover essere). Il suo
diretto valore rivoluzionario fu quello di rompere il tabù borghese che
sottraeva alla grafica la dignità di arte completa [84], ed in particolare “la negazione di norme estetico-dogmatiche in
‘Disegno e pittura’ ”. [85] Il tentativo di rendere fra loro compatibili “le crescenti contraddizioni dei rapporti
sociali” ed il concetto stesso di “arte totale” (Gesamtkunst) “mischiavano gli elementi della crisi della cultura
tardo-borghese con gli elementi di una cultura democratica in formazione”. [86]
Il catalogo di Lipsia del
1970 offrì dunque – per la prima volta – un’integrale interpretazione marxista
di Pittura e disegno (che non solo
era estranea alla brochure del 1957 ma non era neppure inclusa nell’antologia
sovietica nel 1969).
A riprova del successo che il testo di Klinger continuò ad avere nella Germania Democratica Tedesca l’editore Reclam di Lipsia (ancora una volta siamo di fronte ad un editore che si sdoppia in seguito alla Guerra fredda; quello orientale è il ramo statalizzato del marchio) stampò nel 1985 e nel 1987 un’edizione che univa al testo di Pittura e Disegno, anche il diario e una selezione di lettere dell’artista [87]. Va detto che (a differenza del catalogo del 1970) la curatrice Anneliese Hübscher non volle eccedere con le interpretazioni ideologiche. La sua è senz’altro una buona introduzione.
A riprova del successo che il testo di Klinger continuò ad avere nella Germania Democratica Tedesca l’editore Reclam di Lipsia (ancora una volta siamo di fronte ad un editore che si sdoppia in seguito alla Guerra fredda; quello orientale è il ramo statalizzato del marchio) stampò nel 1985 e nel 1987 un’edizione che univa al testo di Pittura e Disegno, anche il diario e una selezione di lettere dell’artista [87]. Va detto che (a differenza del catalogo del 1970) la curatrice Anneliese Hübscher non volle eccedere con le interpretazioni ideologiche. La sua è senz’altro una buona introduzione.
Lipsia poi, stava
conoscendo una nuova stagione artistica: negli anni ‘70 e ‘80 il gruppo di
pittori e docenti all’interno dell’Accademia di Belle Arti della città portò la
Scuola di Lipsia (ovviamente col consenso e il supporto del regime) ad avere
grande fama anche al di fuori della DDR; di quel movimento d’arte moderna, di
chiara natura figurativa, si cominciò a parlare in tutto il mondo. Il legame
iconografico diretto con Klinger, ma anche con la Nuova oggettività e con il
surrealismo confermò ed anzi rafforzò l’idea che Lipsia fosse la patria di una
forma nuova di modernità artistica, di orientamento classicheggiante. Oggi tutti
i musei della Germania riunificata espongono Mattheuer, Rink, Tübke, Rauch e
gli altri pittori della Scuola come parte di un patrimonio comune della
Germania.
La lenta riscoperta di Pittura e disegno e dell’arte di Klinger in Germania Occidentale…
La lenta riscoperta di Pittura e disegno e dell’arte di Klinger in Germania Occidentale…
In occasione del
cinquantenario dalla morte, Klinger si vide dedicare una retrospettiva (a
Brema). La Kunsthalle di Brema possedeva una copia completa della collezione
grafica di Kingler. Fu questo il motivo per cui sembrò naturale tenere lì
l’esposizione. La mostra [88] fu l’occasione per riscoprire l’artista.
Se si sfogliano i
cataloghi pubblicati nella Germania Ovest dopo quello del 1970 in occasione di
mostre a lui dedicate, è possibile riconoscere immediatamente il processo di
riscoperta che ha accompagnato la figura di Klinger. Si prova una sensazione
strana. È come ascoltare diverse versioni di una medesima sinfonia di Mahler, ogni
volta eseguita da un’orchestra con un diverso ed importante direttore.
Tra 1970 e 1984 si
tennero nella Repubblica Federale diverse esibizioni dedicate a Klinger
(Bielefeld nel 1976, Monaco nel 1980 e Kiel nel 1983, oltre ad una
retrospettiva a Vienna nel 1981), ma il vero spartiacque che marca il diverso
approccio all’artista è costituito dalla mostra di Hildesheim [90] del 1984. Fu
nel catalogo di Hildesheim che comparve la prima edizione moderna tedesco
occidentale di Pittura e disegno,
accompagnata dalla laudatio di de
Chirico su Klinger del 1920 e da un’ampia antologia (circa 100 pagine) di
scritti di critici, organizzata in senso cronologico, dal 1882 al 1978. Si
trattò insomma di un volume fondamentale per ricostruire l’intero percorso
critico cui l’arte di Klinger era stata sottoposta nel secolo.
… e nella Germania unita
La mostra tenutasi allo
Städel [91] di Francoforte nel 1992, a Germania unificata, segna il pieno
ritorno di Klinger nell’alveo centrale della storia dell’arte tedesca di fine
Ottocento. Il catalogo contiene tre saggi di spessore sui monumenti di Klinger dedicati
a Beethoven, Brahms e Wagner (quest’ultimo mai eseguito, anche per colpa di una
certa megalomania del progetto) e si centra sul rapporto strettissimo tra arte
e musica, tipico di tutta l’arte tedesca di quel tempo (si pensi ad Anselm
Feuerbach per le generazioni precedenti Klinger e a Paul Klee per quelle
seguenti) ma anche caratteristico della personalità di Klinger, non a caso
ottimo pianista.
Fig. 8) Il catalogo della mostra allo Städel nel 1992 |
Quindici anni dopo, nel
2007, con la celebrazione dei centocinquanta anni dalla nascita, l’attenzione
si sposta da Klinger come artista legato alla cultura tardo-romantica a Klinger
come ispiratore dell’arte moderna a lui contemporanea e successiva, in rapporti
espliciti ed impliciti di contiguità e continuità stilistica ed estetica.
A Karlsruhe [92] – dove
Klinger aveva studiato – si tenne una mostra dell’opera grafica con una sezione
sugli artisti da lui ispirati: l’immagine dell’artista ne risultava spostata da
innovatore della Germania guglielmina ad ispiratore di quella weimariana. Ma è
soprattutto a Lipsia [93], ancora una volta, che una nuova grande esibizione fu
dedicata, sempre nel 2007, al tema dell’eredità dell’arte di Klinger, con
sezioni tematiche dedicate al rapporto con Max Beckmann, Salvator Dalí, Giorgio
de Chirico, Max Ernst, Otto Greiner, Georg Kolbe, Alfred Kubin, Edvard Munch,
Max Pechstein, Alberto Savinio e Heinrich Vogelers. Linguisticamente, il titolo
della mostra contiene un gioco di parole intraducibile in italiano: le “Folgen” di Klinger, cui la mostra fu
dedicata, possono essere sia gli ‘effetti’ successivi della sua opera nel tempo
come pure le sue ‘serie’ grafiche. La mostra fu replicata ad Amburgo qualche
mese dopo. È l’imponente catalogo di Lipsia/Amburgo ad avere più fortemente
influito sulla stesura di queste pagine.
Pittura e disegno fuori
dalla Germania
Nel 1996 è stata
pubblicata la prima traduzione italiana di Pittura
e disegno, a cura di Giuseppe Scattone, in occasione di una grande mostra
retrospettiva a Ferrara [94]. La mostra, curata da Beatrice Buscaroli Fabbri,
si concentrò sul rapporto di Klinger con la cultura tedesca di fine secolo ed
in particolare con la musica. Una particolare attenzione fu anche rivolta al
rapporto di Klinger con i cosiddetti ‘tedeschi romani’, sia quelli di una
generazione a lui precedente sia i contemporanei, da Anselm Feuerbach a von
Marées, da Hildebrand a Fiedler, da Böcklin a Stauffer-Bern.
La conclusione della
Buscaroli Fabbri fu che la ricezione di Klinger da parte di de Chirico e Max
Ernst, di Munch e Dalí non era stata la conseguenza di una consapevole volontà
di Klinger di “gettare il ponte verso il futuro, il Moderno, di cui Klinger
diffida”, ma il frutto di un’affinità elettiva, un interesse metafisico e
atemporale, risultato di un’astrazione più che di una continuità stilistica.
[95] Si tratta di una tesi cara anche ad una delle maggiori studiose di
Klinger, Renate Hartleb, che l’ha sviluppata in numerosi studi, fissando
paletti alla tesi della continuità tra Klinger, surrealisti e scuola di Lipsia;
anch’ella ha contribuito al ricco catalogo ferrarese. Non è però la tesi che ho
seguito.
È del 1998 la seconda
traduzione italiana a cura di Michele Dantini, pubblicata presso l’editore Nike
insieme ad un bel saggio del curatore ed alla laudatio di De Chirico [96]; è l’edizione da cui ho tratto tutte le
citazioni in italiano nei post precedenti.
Nel 2005 è comparsa anche
la prima edizione in inglese, “Painting
and Drawing” a cura di Fiona Elliot e Christopher Croft, per i tipi
dell’editore Ikon di Birmingham, in occasione di una mostra all’Ikon Gallery di
Birmingham [97].
Non vi sono altre
edizioni moderne in altre lingue; le traduzioni polacca e russa del 1908 sono
introvabili.
Dulcis in fondo, vorrei citare il catalogo della recente mostra klingeriana del 2014 a
Bologna, la mia città natale, che - con un saggio di Paola Giovanardi Rossi su
Klinger come ispiratore dell’arte europea fra Ottocento e Novecento – fa sua la
convinzione ormai acquisita che l’artista fosse non solamente un uomo del suo
tempo, ma anche una cerniera tra classico e moderno. L’autrice (oltre ad essere
collezionista di Klinger) è una notissima neuropsichiatra, e il saggio apre
nuove strade interpretative dell’onirico klingeriano, tenendo conto che gli
anni della pubblicazione di Disegno e
pittura erano stati quelli della nascita della psicologia moderna nel mondo
tedesco, ed in particolare della diffusione dell’opera di Freud.[98]
Fig. 9) Il catalogo della mostra bolognese del 2014 |
I motivi ultimi di una rinascita
Oggi l’arte di Klinger va per la maggiore. L’artista non è certamente più
considerato alla pari con Michelangelo (come suggerivano gli adulatori del
primo Novecento) ma ha finito di essere un paria, come gli successe per lunghi
decenni nel dopoguerra (con l’eccezione della sola Repubblica democratica
tedesca).
Questa serie di post su fortuna ed eredità di Klinger ha consentito in
particolare di documentare le vicissitudini storiche del suo scritto Pittura e Disegno. Nato come riflessione
giovanile nel 1891, con l’obiettivo di consentire la conquista di nuovi spazi
di libertà agli artisti dell’epoca, il pamphlet fu di grande successo e fu
ripubblicato numerose volte. Permise di conciliare visioni differenti dell’arte
(il naturalismo francese e il neo-idealismo tedesco); promosse l’idea di ‘arte
spaziale’ (Raumkunst) come tentativo
di sintesi dei generi artistici contrapposti attraverso l’uso del colore come
elemento unificante; pose al centro della modernità il tentativo di recuperare,
attraverso il rapporto con l’arte classica, l’arte totale. Al di fuori della
Germania, fu un testo di riferimento nel mondo scandinavo ed in quello slavo.
Il massimo successo si registrò nel mondo tedesco, in Germania e
nell’Impero austro-ungarico, intorno ai primi anni del Novecento, quando le
teorie estetiche di Klinger – sia esplicitamente (grazie a Kollwitz; Kubin;
Kolbe) sia implicitamente (con il Ponte; Max Beckmann; i surrealisti) sia
ancora indirettamente (tramite Edvard Munch) – contribuirono alla nascita di
decenni d’arte grafica di grandissima qualità e significato artistico. Il testo
fu incluso in una delle collezioni di maggiore diffusione per il largo pubblico.
Era dunque una lettura obbligata.
Onori e festeggiamenti ufficiali per Klinger ebbero il loro culmine con il
sessantesimo compleanno nel 1917, ma i suoi sostenitori fecero l’errore di
trascinare sempre più la sua opera in un ambito nazional-germanico in cui il
pamphlet (concepito a Parigi e scritto a Roma) non fu mai concepito. Klinger fu
definito il più tedesco degli artisti tedeschi (da Lovis Corinth, nel 1914, in
piena atmosfera nazionalista, poco prima dell’inizio della Prima guerra
mondiale) e molte delle pubblicazioni a lui dedicate seguirono una traccia
anti-francese. Si tradì in questo modo la volontà dell’artista che (con la
creazione di Villa Romana a Firenze) voleva assicurare che i nuovi artisti tedeschi
si confrontassero con l’arte del Rinascimento italiano, e con il suo valore
universale.
La soluzione estetica proposta da Klinger (con la definizione di campi
diversi per pittura e disegno) si dovette però presto confrontare con le nuove,
differenti intuizioni estetiche dei giovani artisti tedeschi, segnando chiare
fratture generazionali. I contemporanei percepirono l’incolmabilità del
sentiero che divideva Klinger e gli espressionisti. Un’attitudine più
bilanciata avrebbe indubbiamente mostrato gli elementi in comune, in
particolare nella grafica. Oggi la rilettura di quelle esperienze ne sottolinea
anche gli elementi di continuità.
La morte di Klinger segna un punto di demarcazione: gli attacchi di Julius
Meier Grafe nel 1920 (secondo cui l’unica cosa da fare era seppellire in tutta
fretta l’arte di Klinger insieme a lui) e quelli di Pauli portarono
l’intellighenzia liberale degli anni d’oro della Repubblica di Weimar a
decretarne la scomparsa sulla scena artistica e culturale dell’epoca: Klinger sparì
presto dalle più importanti antologie sulle fonti di storia dell’arte.
Il passare degli anni portò ad un oblio sostanziale, con l’eccezione della
città natale, Lipsia. Lì si tennero retrospettive sull’artista nel 1937 (sotto
il regime nazista: fu quella l’occasione per rimuovere la cosiddetta arte
‘degenerata’ dal museo, per mancanza di spazio), nel 1947 (sotto il controllo
dell’amministrazione militare sovietica) e nel 1957 (nel quadro delle
esibizioni di regime dalla DDR). A Lipsia Pittura
e disegno continuò ad essere pubblicato (mentre scomparve dal mercato
librario della Repubblica Federale Tedesca).
Mentre in Germania occidentale Klinger venne spesso considerato come un
‘ciarlatano’, in Germania orientale rimase un chiaro punto di riferimento. Alle
differenti posizioni tra Ovest ed Est corrispondeva anche una totale differenza
di preferenze estetiche.
Da un lato la Repubblica federale tedesca aveva fatto dell’espressionismo
weimeriano la sua bandiera, e ne aveva sottolineato sia la contiguità con
l’arte europea contemporanea sia la continuità con l’arte statunitense dei
decenni successivi. Inoltre, Klinger era ormai visto come sinonimo dei
risentimenti estetici anti-francesi e dunque completamente impresentabile nella
Germania tutta volta all’unificazione europea. Dall’altro lato nella Repubblica
democratica tedesca l’espressionismo era considerato una degenerazione
formalista, e Klinger assicurava due obiettivi strategici: assicurare all’arte
della DDR la continuità con le proprie radici germaniche e mostrare che anche
il neo-classicismo del realismo socialista aveva radici tedesche.
Pittura e disegno, testo stigmatizzato come estetica conservatrice
e nazionalista nella Germania di Bonn, divenne uno scritto di riferimento per
l’estetica comunista nella Germania di Berlino Est. L’arte di Klinger continuò,
però, anche ad orientare i circoli di Lipsia, essendo fonte di riflessione sul
rapporto con la classicità ed il nudo, e d’ispirazione per forme moderate di
modernità. Ne nacquero decenni di pittura della Scuola di Lipsia, oggi
riconosciuta come patrimonio comune della Germania unita.
Un elemento che aiutò al recupero di Klinger nella Germania occidentale fu
il giudizio nettamente positivo che ne diede Giorgio de Chirico, definendo Max
Klinger come il pittore moderno per antonomasia, lo stesso anno della terribile
stroncatura di Meier-Graefe. Altri fattori aiutarono: tra questi le numerose
reminiscenze klingeriane tra i surrealisti, la fine della guerra fredda, la
riunificazione tedesca.
Vi è però in conclusione un elemento fondamentale che può spiegare perché
la passione per Klinger sia rinata. È il nuovo interesse per l’arte figurativa
che si è incontrato tra le avanguardie artistiche a partire dagli anni Ottanta
(inclusa la Scuola di Lipsia). Ogni giudizio sull’arte passata è
necessariamente anche una meditazione su quella contemporanea. È annunciata per
quest’estate una mostra allo Städel sulla pittura figurativa nella Germania
Occidentale degli anni Ottanta.[99]
Visto in questa prospettiva, l’ostracismo nei confronti di Klinger nella
Germania occidentale negli anni cinquanta e sessanta era prima di tutto
l’espressione quasi ovvia dell’identificazione del moderno con la rottura di
tutti gli schemi canonici classici. Negli anni Sessanta e Settanta era forse
incomprensibile che l’umanità desiderasse che l’arte recuperasse il riferimento
visivo alla realtà.
Forse il progressivo ritorno al mondo figurativo – in questi ultimi decenni
– è stato un segno di incertezza, crisi e mancanza di fiducia, piuttosto che di
affermazione di valori classici. L’astrazione era originariamente legata
all’idea di spiritualità nell’arte, e dunque ad una forte fiducia nel destino
del mondo. Nel momento in cui le grandi ideologie fallivano, e nuovi problemi
si rivelavano di difficilissima soluzione, il nostro mondo ha forse sentito il
bisogno di ritornare a far delle persone l’oggetto principale dei propri
quadri. È la stessa ragione per la quale può essere rassicurante guardarci ogni
giorno allo specchio. Ed è allora che, in piena crisi esistenziale, è stato
utile riscoprire l’arte ed il pensiero estetico di Max Klinger.
NOTE
[64] La casa
editrice Insel – fondata a Lipsia nel
1901 – e la collana ‘Biblioteca Insel’
esistono ancora, come parte del gruppo Suhrkamp dal 1960 (oggi in gravi
difficoltà, in conseguenza della crisi dell’editoria tedesca). Di Insel, dopo
la divisione della Germania alla fine della guerra, vi erano un ramo orientale
statalizzato, a Lipsia, ed uno occidentale, prima a Wiesbaden e poi a
Francoforte.
[65] Friedländer, Max – Max Klingers Radierungen (Le acqueforti di Max Klinger), in Kunst und Künstler, Vol. 15, 1917, pp.
305-307 (si veda http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kk1917/0327?sid=ca00987ba8452b7368e0e12d1d5be48a)
[66] Max Klinger. Wege
zum Gesamtkunstwerk (Max Klinger. Percorsi verso l’arte totale). Con
contributi di Manfred Boetzkes, Dieter Gleisberg, Ekkehart Mai, Hans-Georg
Pfeifer, Ulrike Planner-Steiner, Hellmuth Christian Wolff ed un'antologia critica su Klinger. Completamente riprodotti: Max Klinger: Malerei
und Zeichnung (1891) e Giorgio De Chirico: Max Klinger (1920), Hildesheim,
Philipp von Zabern, 1984. Citazione a
pagina 129.
[67] Klinger, Max - Wege zum Gesamtkunstwerk… (citato). Il testo completo é alle pagine 150-151.
[68] Meier-Graefe, Julius – Kunst ist nicht für Kunstgeschichte da. Briefe und Dokumente (L’arte non esiste per la storia dell’arte. Lettere
e documenti), Göttingen,
Wallstein Verlag, 2001, 573 pagine. La citazione é a pagina 103.
[69] Meier-Greafe,
Julius - Entwicklungsgeschichte der
Modernen Kunst (Storia dello sviluppo dell’arte moderna), Piper Verlag, (3
Volumi, 1904, 1914 e 1924) Si veda:
Secondo tomo: https://archive.org/details/entwicklungsgesc02meieuoft.
Terzo tomo: https://archive.org/details/entwickl03meie
[70] Roettig, Petra – Zeit und Ruhm – Max Klinger und Alfred Lichtwark (Tempo e fama –
Max Klinger ed Alfred Lichtwark), in: Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen
(Un amore – Max Klinger ed il seguito), catalogo a cura di Hans-Werner Schmidt
e Hubertus Gaẞner, Museo delle Belle Arti di Lipsia, 11 Marzo – 24 Giugno 2007;
Kunsthalle di Amburgo, 11 Ottobre 2007 – 13 Gennaio 2008, edizioni Christof
Kerber, Bielefeld – Lipsia, 2007, pagine 62-65. Il testo del 5 ottobre 1921 è di una corrispondenza di Gustav Pauli alla
Commissione della Kunsthalle di Amburgo. Non è pubblicato (si veda nota 35).
[71] Roettig, Petra – Zeit und Ruhm – Max Klinger und Alfred
Lichtwark, (citato). Il testo del
17 maggio 1930 è di una corrispondenza di Gustav Pauli alla Commissione della
Kunsthalle di Amburgo. Non è pubblicato (si veda nota 36).
[72] Sauerlandt, Max – Die Kunst der letzten 30 Jahre (L’arte degli ultimi 30 anni),
Berlin, Rembrandt Verlag, 1935, 270 pagine. Il libro fu subito requisito dalle autorità naziste. Il testo fu pubblicato
di nuovo nel 1948 da Hermann Laatzen Verlag di Amburgo, eliminando tutti i
passaggi sul nazismo.
[73] Sauerlandt, Ethos
des Kunsturteils. Korrespondenz
1908-1933 (L’ethos del giudizio sull’arte. Corrispondenza 1908-1933), Hamburg,
Hoffmann und Campe, 2013, 464 pagine
[74] Justi, Ludwig – Von Runge bis Thoma (Da Runge a Thoma), Berlino, 1932 (pagine
203-205). Si veda: Max Klinger. Wege zum Gesamtkunstwerk… (citato), p. 159
[75] Haftmann, Werner – Das irdische Paradies. Kunst im neunzehnten Jahrhundert (Il
paradiso in terra. Arte nel diciannovesimo secolo), Monaco, 1960, pagine 223 e
seguenti. Si veda: Max Klinger. Wege zum Gesamtkunstwerk… (citato), p. 178.
[76] Künstler über Kunst. Briefe
und Aufzeichnungen von Malern, Bildhauern, Architekten (Artisti sull’arte. Lettere e appunti di pittori,
scultori ed architetti), ausgewählt und kommentiert von Hans Eckstein,
Darmstadt, Im Stichnote Verlag, 1954, 278 pagine.
[77] Künstlerbriefe über Kunst.
Bekenntnisse von Malern, Architekten und Bildhauern aus fünf Jahrhunderten, (Lettere di artisti. Confessioni di pittori, architetti e scultori da
cinque secoli) herausgegeben von Hermann Uhde-Bernays, Francoforte sul Meno,
Zurigo, Vienna, Büchergilde Gutenberg, 1962, 712 pagine.
[78] Pommeranz-Liedtke, Gerhard – Der Graphische Zyklus
vom Max Klinger bis zur Gegenwart. Ein Beitrag zur Entwicklung der deutschen
Graphik von 1880 bis 1995 (Il ciclo grafico da Max Klinger al presente. Un contributo allo sviluppo della grafica tedesca
dal 1880 al 1995), Deutsche Akademie der Künste, Berlino, 1956, 227 pagine
[79] Saehrendt, Christian – „Die Brücke“ zwischen
Staatskunst und Verfemung. Expressionistische Kunst als Politikum in der
Weimarer Republik, im „Dritten Reich“ und im Kalten Krieg („Il ponte“ tra arte
di stato e proscizione. L’arte
espressionista nella Repubblica di Weimar, nel “Terzo Reich” e nella guerra
fredda), Stoccarda, Franz Steiner Verlag, 2005
[80] Su quest’opera
imponente si veda il mio post precedente
http://letteraturaartistica.blogspot.de/2014/10/francesco-mazzaferro-i-maestri-dellarte.html.
http://letteraturaartistica.blogspot.de/2014/10/francesco-mazzaferro-i-maestri-dellarte.html.
[81] Max Klinger. Ausstellung zum
50. Todestag des Künstler vom 4. Juli bis 20. September
1970 (Max Klinger. Esibizione in occasione del cinquantenario dalla morte dal 4 luglio al 20
settembre 1970), Lipsia, VEB Interdruck, 124 pagine più 84 illustrazioni in
bianco e nero fuori testo.
[82] Max Klinger. Ausstellung
zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 6
[83] Max Klinger. Ausstellung
zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 7
[84] Max Klinger. Ausstellung
zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 10
[85] Max Klinger. Ausstellung
zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 11
[86] Max Klinger. Ausstellung
zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 10
[87] Klinger, Max – Malerei und Zeichnung, Tagebuchaufzeichnungen und Briefe (Pittura e
disegno, Diari illustrati e Lettere), a cura di Anneliese Hübscher con 40
riproduzioni di disegni di Max Klinger, Leipzig, Verlag Philipp Reclam jun.
Leipzig 1985, Repubblica Democratica Tedesca.
[88] Max Klinger zum 50.
Todestag, Das Druckgraphische Werk, Ausstellung Kunsthalle Bremen 20. September
bis 25 Oktober 1970 (Max Klinger
in occasione del cinquantenario dalla morte. L’opera grafica. Mostra alla
Kunsthalle di Brema, 20 Settembre-25 Ottobre 1970), 76 pagine.
[89] Max Klinger zum 50. Todestag (citato) p. 3
[90] Max
Klinger, Wege zum Gesamtkunstwerk
(Percorsi verso l’opera d’arte totale), con contributi di Manfred Boetzkes,
Dieter Gleisberg, Ekkehart Mai, Hans-Gerorg Pfeifer, Ulrike Lanner-Steiner,
Hellmuth Christian Wolff ed un‘ampia antologia critica su Klinger. Riproduzione totale di Max Klinger, Pittura e
disegno (1891) e Giorgio de Chirico, Max Kinger (1920), Mostra al Roemer- und
Pelizaeus-Museum, Hildesheim, 4 Agosto – 4 Novembre 1984, 299 pagine
[91] Max Klinger 1857-1920. Catalogo della mostra allo Städel, 12 Febbraio – 7
Giugno 1992, a cura di Dieter Gleisberg, 386 pagine
[92] Max Klinger, Die druckgraphischen Folgen (Le serie
grafiche), Catalogo della mostra alla Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe, 27
Gennaio – 9 Aprile 2007, Edition Braus, Heidelberg 2007, 184 pagine.
[93] Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen
(Un amore – Max Klinger ed il seguito), catalogo a cura di Hans-Werner Schmidt
e Hubertus Gaẞner, Museo delle Belle Arti di Lipsia, 11 Marzo – 24 Giugno 2007;
Kunsthalle di Amburgo, 11 Ottobre 2007 – 13 Gennaio 2008, edizioni Christof
Kerber, Bielefeld – Lipsia, 2007, 352 pagine
[95] Max Klinger, a
cura di Beatrice Buscaroli Fabbri. Saggi e schede di Beatrice Buscaroli Fabbri,
Marisa Volpi, Renate Hartleb, Andreas Stolzenburg, Susanne Petri, Karl-Heinz Mehnert,
Dietulf Sander. E con il testo di Max Klinger Pittura e disegno, Ferrara Arte
Editore, 1996, 372 pagine, completamente illustrato in bianco e nero con 89
tavole a colori. Le citazioni sono a pagina 5 e a pagina 45.
[96] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988
[97] Klinger, Max – Painting and Drawing, Birmingham, Ikon,
2005, pp. 37
[98] Max Klinger. L’inconscio della realtá. Incisioni dalla Collezione Paola
Giovanardi Rossi, a cura di Paola Giovanardi Rossi e Francesco Poli, catalogo
della mostra a Palazzo Fava, Bologna, 25 Settembre – 14 Dicembre 2014, Bononia
University Press, 2014, 141 pagine
[99] Si veda http://www.staedelmuseum.de/en/exhibitions/80ies
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