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lunedì 23 febbraio 2015

Francesco Mazzaferro. Fortuna critica ed eredità spirituale di Max Klinger nell'arte europea del XX secolo. Parte Terza


Francesco Mazzaferro
Fortuna critica ed eredità spirituale di Max Klinger
nell'arte europea del XX secolo 

Parte Terza


[Versione originale: febbraio 2015 - nuova versione: aprile 2019]

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Fig. 5) Il fascicolo di 16 pagine della retrospettiva del 1947 a Lipsia

Un ciarlatano?

Nel 1917 (in piena guerra) Klinger festeggiò il suo sessantesimo compleanno. In suo onore furono organizzate mostre e pubblicati volumi (tra cui quello già citato di Avenarius); gli furono assegnate onorificenze. Due anni dopo Pittura e disegno fu ripubblicato da Insel Verlag, storico editore tedesco con sede a Lipsia, nell’ambito della celeberrima collana della Biblioteca Insel (Insel-Bücherei) [64]. Seguirono le ristampe – postume – del 1921, 1930 e 1935, sempre nella stessa serie.

Tutto ciò premesso, è però chiaro che Klinger era oggetto di giudizi sempre più sprezzanti. Il critico d’arte Max Friedländer, per prenderne le difese, dovette prendere in considerazione gli argomenti ingiuriosi di chi ne parlava addirittura come di un ‘ciarlatano’: [65]

Pochi mesi fa, il 18 Febbraio, Max Klinger ha compiuto 60 anni. Quest’occasione per discutere pubblicamente su di lui, il suo lavoro e la sua fama non ha contribuito molto – per quanto io possa aver seguito – allo sperato chiarimento o addirittura ad un accordo nel giudizio su di lui. Il pendolo oscilla ampiamente, da un omaggio acritico ed esagerato, basato su argomenti locali e patriottici, ad una riflessione che combina esitazione e rifiuto. (…) Al di là del bello e del brutto l’opera di Klinger è divenuta parte della cultura tedesca ed ha trovato il suo posto nel Walhalla del popolo tedesco, non troppo lontano da quello di Richard Wagner. Vogliamo distinguere nel nostro giudizio tra la fama di Klinger e la sua opera. Questo maestro ha soddisfatto in modo così completo alcuni pregiudizi, inclinazioni e desideri del pubblico tedesco che è potuto nascere il sospetto che egli si sia predisposto a soddisfarne gli istinti, come un vero e proprio ciarlatano. Un tale sospetto è ingiustificato. Klinger è sempre stato onesto e sincero, a suo modo addirittura ingenuo; le sue creazioni sono sorte organicamente da un talento naturale.” [66]


Meier-Graefe all’attacco

Quando nel 1920 Klinger morì, si verificò qualcosa di clamoroso e di pessimo gusto. Lo storico dell’arte Meier-Graefe scatenò contro di lui un attacco di inaudita violenza, pubblicando sulla rivista Ganimede una stroncatura che si concludeva con le parole “l’unico onore che possiamo pagare a certa gente è di sotterrarla per sempre” [67]. La sua tesi era che Klinger era stato (insieme a Böcklin e a Wagner) il simbolo di un pangermanesimo culturalmente aggressivo che cercava di conquistare il potere mondiale, in antitesi agli illuministi francesi Diderot e D’Alembert. Quei tre erano “i rappresentanti più puri non solamente dell’arte tedesca, ma del pensiero tedesco, che si pensò di accentuare con l’aggettivo ‘germanico’. Questo Germanesimo – in mancanza di una concordanza europea e tedesca – si è rivolto ad una finzione atemporale che da noi si vorrebbe chiamare volentieri ‘Romanticismo’ e che era una vera e propria malattia, una pestilenza.” Non si trattò del romanticismo vero e proprio, del ‘romanticismo divino’, ma di un “nuovo romanticismo senza forma, una scemenza da barbari, puro materialismo”. E Meier-Graefe continuava: “Wagner, Böcklin, Klinger hanno provato che Goethe è stato inutilmente in Italia e che il nostro medioevo è così vivo come ai tempi di Grünewald. Da noi tutti vorrebbero essere un Grünewald, un Faust, un Barbarossa. Con la nostra Metafisica si può fare di tutto. (…) Come giustificazione si potrebbe dire (…) che Klinger diede maggior dignità alla carnevalata di Böcklin.” E poi l’affondo sulla sua opera grafica: “se Klinger era un disegnatore, allora il disegno di Dürer e Holbein, di Rubens e Poussin, di Marées e Menzel erano qualcosa d’altro. (…) Nulla mancò a Klinger più crudelmente della capacità di ballare, ridere o piangere con un tratto di disegno (…) Disegnò un guanto, era un guanto e nulla più. La gamba era una gamba, il volto un volto. La capacità di tradurre qualcosa di piegato in un guanto, di trarre da qualcosa tremolante una gamba, da qualcosa arricciato un volto gli mancava completamente. Assolutamente non un artista. Ancor meno artista di Böcklin (che lo avrebbe potuto essere ed almeno una volta lo fu), ma anzi né carne né pesce [n.d.r. ein Zwischending], un ricambio [n.d.r. ein Ersatz], un arruffone dell’arte [n.d.r. ein Kunstgewerbler].”

La progressione incessante di giudizi negativi continua: “Era un arruffone di portata assai modesta. Ci sono belle cornici anticheggianti e cose simili della sua gioventù, ben disegnate, in bianco e nero, diabolicamente modeste. Quelle cose le sapeva fare. Nella sua gioventù ha disegnato sul modello di Goya. Quelle cose le ha prodotte girando con il dito attorno a Goya. Fece dell’erotismo, al di là del tema cose insopportabilmente banali, ma indecenti: erotismo artificiale. Come Bouguereau sostituì con il tema il ritmo che non era neppure lontanamente presente. Fece quadri al cui paragone Cornelius, Kaulbach, Anton v. Werner [nota dell’editore: tutti pittori per i quali Meier-Graefe non ha alcuna considerazione] tremano. Il suo ‘Cristo sull’Olimpo’ è la battaglia della Marna dello spirito tedesco. Tali quadri rivelano un pensiero zelante sui problemi della vita. Anche le sue incisioni sono testimonianze di molteplici muse. Era un pensatore. Se era un incisore, Rembrandt non ha inciso. Se fosse stato disegnatore, avrebbe anche disegnato, avrebbe dipinto, male, bene, in qualche modo, avrebbe in qualche modo ravvivato la superficie. Non gli riuscì né in disegno né in pittura.”

L’articolo si conclude con un aspetto che abbiamo già incontrato in altre occasioni: nonostante tutti i suoi difetti, anche Maier-Graefe dovette riconoscere che Klinger era un uomo nobile (vornehmer Mensch): “Quando io fui da lui l’ultima volta, quindici o venti anni fa, chiese alla fine di un colloquio sul ‘Dramma’ che era nel suo studio: ‘Dunque, Lei non crede affatto che io sia un artista?’. Quando io gli diedi la risposta che lui si attendeva, ci demmo la mano e bevemmo un bicchiere. Lo lasciai dignitosamente ed un po’ triste.”

Pur nella sua virulenza, la stroncatura di Meier-Graefe non giunse inattesa. Già in un libro precedente (Il caso Böcklin, del 1905) il critico aveva discusso i limiti del simbolismo tedesco, dando chiari segni del fatto che il suo giudizio negativo si sarebbe presto esteso a Klinger. In una lettera del 1910 (l’epistolario di Meier-Graefe è stato pubblicato nel 2001) aveva parlato del “caso Klinger” (e anche del “caso Klimt”) per citare “differenze tra onore e valore”. [68] È ancora più significativo che nella sua imponente “Storia dello sviluppo dell’arte moderna” in tre tomi (disponibili su internet) non avesse trovato alcuna ragione di citare Klinger, se non una sola volta [69].


Gustav Pauli contro Klinger

Il martellamento continuò un anno dopo, nel 1921, con Gustav Pauli, in coincidenza di una retrospettiva tenutasi a Berlino e dedicata a Klinger ad un anno dalla scomparsa. Ecco che cosa scrisse alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo. “La mostra di Klinger ha avuto l’effetto di una catastrofe. Davanti al grande quadro del Cristo in Olimpo, prestato dalla Galleria di Vienna, mi son chiesto, del tutto stupito: com’è possibile che questo quadro – che sembra sia solamente un lontano parente dell’arte [n.d.r. gleich einem Artverwandten] – abbia potuto avere un successo così risonante solamente due decenni fa? L’esempio di Klinger ci mostra che nulla può invecchiare così rapidamente di un successo sensazionale. Klinger, che era un uomo sincero e modesto, se ne accorse lui stesso.” [70]

E un decennio dopo (nel 1930) Pauli fornì, sempre alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo, un giudizio categorico sul ‘Beethoven’, che si trovava al Museo delle Belle Arti di Lipsia. ”Per i tempi moderni Klinger ha un certo peso. È il santo locale dell’arte di Lipsia ed un tabù, dunque non viene discusso, il che non significa che non lo si consideri a volte come scomodo. Il suo imponente Beethoven seduto è una fonte continua d’imbarazzo, dal momento che è impossibile mostrarlo in modo che sia ad esso propizio. Due dei suoi gruppi scultorei li hanno già messi in magazzino, ovvero li mostrano in un luogo talmente scuro che non si può che passar loro a fianco senza notarli.” [71]


Ostracismo

Era iniziata la stagione dell’ostracismo nei confronti dell’opera klingeriana. Una parte importante dell’establishment culturale della Repubblica di Weimar gli voltò le spalle. Era l’intellighenzia liberale, quella aperta agli influssi francesi e pronta a seguire la via della piena integrazione dell’arte tedesca nei filoni delle avanguardie internazionali. Erano gli anni d’oro della Repubblica di Weimar, quando sembrava che l’iper-inflazione fosse ormai un ricordo del passato e la crisi del 1929 non era ancora sopraggiunta. In questi anni, la Germania era culturalmente all’avanguardia (si pensi all’esplosione del cinema tedesco). Ebbene, in quell’epoca di pieno fulgore, Klinger non fu più ammesso agli onori del dibattito estetico.

Un caso particolarmente indicativo è che Pittura e disegno non fu incluso nell’antologia delle fonti di storia dell’arte del 1925 di Paul Westheim (1886-1963), che pur offriva un’amplissima raccolta antologica da Hans von Marées, Hans Thoma, Max Liebermann e Lovis Corinth a cavallo tra i due secoli fino a de Chirico, Léger, Malewitch e persino Charlie Chaplin (come esponente della nuova arte, il cinema). L’assenza del libro di Klinger era segno che le sue teorie estetiche non erano più viste come compatibili con l’avanguardia.

Ancora più significativo fu quel che successe cinque anni dopo. Erano ormai anni di grande instabilità, dopo la crisi del 1929. Nel 1933 i nazisti vinsero le elezioni; dai loro programmi elettorali era chiaro quel che pensavano dell’arte moderna. A loro parere, essa andava radicalmente soppressa, perché era di impronta ‘ebraica’ e ‘negroide’ ed era una ‘degenerazione’ dell’arte ariana. Questa tesi (propagandata da Alfred Rosenberg) era l’opinione della maggioranza dei nazisti, ma non di tutti. Vi era un circolo di critici d’arte vicini al nazismo che sperava nel sostegno di Josef Goebbels e nel suo risaputo interesse come collezionista d’arte moderna (inclusi gli espressionisti). Essi ritenevano che proprio l’espressionismo fosse una forma tedesco-scandinava d’arte di cui il nazismo doveva appropriarsi, per fare della Germania la nazione guida dell’arte contemporanea. Quel piccolo gruppo fu epurato, ma lo storico Max Sauerlandt tenne nel 1933 un ciclo di lezioni ad Amburgo, piene di elogi ad Hitler ed al nazismo, ed al tempo stesso tutte concepite per tracciare un disegno ardito dell’arte contemporanea in Germania e per fare di Emil Nolde il nuovo campione della nuova arte del Terzo Reich. Nel libro [72] che raccoglieva le lezioni (L’arte degli ultimi trent’anni) l’autore si confrontò con impressionismo, Nolde, Ponte (Brücke) e Nuova Oggettività, ma non citò una sola volta Max Klinger. Non solo: anche la sua corrispondenza, pubblicata nel 2013 [73], non lo menzionò mai. Dunque, Klinger era ormai un estraneo non solo per la critica liberale, ma anche per quella di orientamento politico conservatore. Lo dimostrano anche le parole di Ludwig Justi, il direttore della Galleria nazionale d’arte moderna di Berlino, nel 1931: “La scottante fama di Klinger si è spenta presto, oggi lo si è quasi dimenticato. Il suo talento era davvero grande, anche se non solamente diretto alla pittura; l’incisore e lo scultore fecero perdere la testa al pittore, la pomposità della Germania guglielmina lo sedussero verso l’eccessiva accentuazione, ed inoltre egli cadde nel fuoco incrociato di rinascimento, Jugendstil ed impressionismo.” [74]


Il silenzio del dopoguerra nella Repubblica Federale Tedesca

Il silenzio su Klinger nella Germania occidentale del dopoguerra è davvero impressionante. Un silenzio pressoché totale. Fra il 1945 ed il 1970 non fu pubblicata alcuna monografia dedicata all’artista; non c’è quindi da stupirsi che nemmeno Pittura e disegno sia stato ripubblicato in quel periodo. Nel corso di venticinque anni gli furono dedicate solo sette mostre: di queste, una solamente su pittura e scultura (a Wuppertal, nel 1968). Tutte le altre riguardavano solamente la grafica: nel 1952 a Celle, nel 1956 a Monaco, nel 1959 a Krefeld, nel 1962 a Leverkusen, nel 1966 a Darmstadt e nel 1969 a Friedrichshafen. Va pur detto che la quasi totalità delle opere sopravvissute alla guerra era in Sassonia (ovvero in Germania Est), e sarebbe stato impossibile mostrarle al pubblico della Germania occidentale.

L’unico critico d’arte tedesco ad esprimere un giudizio su Klinger fu Werner Haftmann, prima in “Pittura moderna nel XX secolo” (1954) e poi nella monografia “Il paradiso in terra” (1960), dedicata all’arte nel diciannovesimo secolo. Hartmann fu il maggior critico d’arte contemporanea del dopoguerra, lo studioso che promosse la riscoperta dell’arte degenerata, l’interprete di una storia dell’arte tedesca riconciliata con quella europea (fu anche grandissimo estimatore dell’Italia e della sua arte), l’organizzatore di iniziative per far conoscere l’espressionismo in tutto il mondo occidentale ed infine fu protagonista  della cultura artistica tedesca con l’organizzazione delle prime tre edizioni di Documenta a Kassel, nel 1955, 1959 e 1964. Dunque, il massimo rappresentante dell’estetica della Germania di Adenauer. Il suo giudizio su Klinger fu molto simile a quello di Julius Meier-Graefe e Gustav Pauli: poche righe per scrivere che “una spiacevole stonatura pervade la maggior parte delle creazioni di Klinger. Sono viste in modo troppo acuto e pensate in modo troppo ricco. (…) egli sovraccarica corpi eterei con dettagli preziosi, e cerca di combinare un naturalismo penetrante e indulgente con una monumentalità da visionario. È raro che la sua arte vada al di là della semplice ricerca di effetti speciali, anche se a volte, per la verità, il suo impiego di tecniche e materiali diversi offre un interessante contrasto” [75].

Sarebbe profondamente sbagliato ritenere che tutto ciò fosse casuale e dipendente da preferenze estetiche personali. Cercando di legarsi alla tradizione francese (postimpressionismo, cubismo, fauvismo, dada) e soprattutto a quella americana (espressionismo astratto, concettualismo, avanguardie, pop), la Germania occidentale optò decisamente (non senza polemiche, cui si è fatto riferimento nei post precedenti su Karl Hofer e Max Pechstein) in favore dell’informale. Anzi, nel pieno della guerra fredda, il linguaggio pittorico astratto fu considerato come una forma di libertà assoluta di espressione, da contrapporre al realismo socialista di stampo stalinista. L’intera arte moderna tedesca fu dunque riletta in funzione della giustificazione degli stili del dopoguerra. Lo spazio per Max Klinger, in questa chiave di lettura, era assai limitato. Gli eroi dell’arte tedesca del primo Novecento divennero il Ponte (die Brücke), il Cavaliere azzurro (Blaue Reiter), ma soprattutto Ernst Nolde. Elementi di continuità con il neo-romanticismo, il simbolismo e la tradizione classica di fine secolo divennero sospetti ideologicamente e soprattutto non più omogenei rispetto alla successiva evoluzione dell’arte.

In linea con tutto ciò, l’antologia delle fonti della storia dell’arte di Hans Eckstein [76], pubblicata a Darmstadt nel 1954, continuò ad ignorare completamente Pittura e disegno di Max Klinger, così come aveva fatto Paul Westheim nel 1925. Due sole pagine di Klinger furono pubblicate invece in un’antologia di lettere di artisti dei cinque secoli precedenti (pubblicata nel 1926 da Hermann Uhde-Bernays), antologia che si apriva con Leon Battista Alberti e si chiudeva con una lettera di Kandinsky a Paul Westheim [77].


Max Klinger nella Repubblica Democratica Tedesca e a Lipsia

Nel 1956 fu stampata a Berlino est una pubblicazione dell’Accademia tedesca delle arti [78] che tracciava una storia della grafica tedesca, a partire da Klinger fino agli anni cinquanta. L’interpretazione era marxista; la rinascita della grafica, scrive l’autore Gerhard Pommeranz-Liedtke, è avvenuta negli anni di Marx, ed è legata alla denuncia della realtà sociale.


In questo contesto, Klinger viene visto come il capostipite tecnico ed artistico di una scuola profondamente tedesca. La sua erede principale, che ne recepisce i tratti realistici di denuncia, è Käthe Kollwitz. Da lei ha origine una scuola realista di orientamento socialista (Lührig). Solo mezza pagina è dedicata al Ponte, mentre è chiara la simpatia per gli artisti che avevano presso chiare posizioni di sinistra nella Repubblica di Weimar (Baluschek, Hofer, Pechstein, Grosz, Beckmann, Nagel) ed in Austria (Kubin, Kokoschka). Dunque, Klinger era visto come il capostipite dell’arte socialista nella DDR.

Klinger era già visto nel 1956 come uno dei padri fondatori dell’arte della DDR, ed il centro di diffusione dell’arte klingeriana era rimasto  Lipsia. La storia della Germania – fortemente influenzata da basi localistiche in maniera molto simile a quanto succede in Italia – fece infatti sì che Klinger rimanesse a Lipsia un idolo artistico per decenni: come si erano tenute retrospettive a lui dedicate nel 1937 (sotto chiara influenza nazista), così fu anche nel 1947 (prima ancora della creazione della DDR, la Repubblica democratica tedesca, e perciò  ancora sotto diretta occupazione dell’Armata Rossa). La mostra fu organizzata dal Consiglio della città. Una seconda importante esibizione si tenne sempre a Lipsia dieci anni dopo, nel 1957.

Anche Disegno e pittura fu ripubblicato a Lipsia da Insel Verlag, nel 1950 e nel 1978 (esattamente come le due Germanie, anche l’editore si era ‘sdoppiato’; quello tedesco orientale – che pubblicò il pamphlet di Klinger – era in realtà di proprietà statale). Non furono pochi i critici d’arte locali (Margerete Hartig, Johannes Jahn, Paul Angerholm) che ebbero modo di specializzarsi sulla sua opera. Né furono poche le mostre a lui dedicate, sicuramente in circostanze e località più prestigiose di quelle che abbiamo elencato con riferimento alla Germania Ovest: a Lipsia (1947, 1951, 1954, 1957, 1961); a Berlino Est (1956), a Weimar (1957) ed Altenburg (1965).

Fig. 6) Il fascicolo di 20 pagine sulla mostra di Lipsia del 1957

Il fascicolo della mostra del 1957 si compone solamente di due articoli di dieci pagine l’uno (il primo su pittura e scultura ed il secondo sul disegno). La sua lettura è però davvero interessante, perché mostra la completa assenza (fatto assai strano, per la verità) di ogni aspetto propagandistico. Non si parla di materialismo storico né di lotta di classe; né si cerca (a differenza della già citata monografia dell’anno precedente) di fare di Klinger un predecessore dell’arte socialista. Si ammette anzi che i meriti artistici di Klinger si erano affievoliti rispetto alle letture entusiastiche del primo Novecento. Quel testo fu scritto in sostanziale continuità con l’analisi formale fornita dai critici estimatori dell’arte klingeriana all’inizio del secolo, ma senza la zavorra di un inutile nazionalismo.

La permanenza dell’interesse per l’arte e gli scritti di Klinger a Lipsia, tuttavia, non era solamente il tributo che si rendeva ad un artista autoctono o la semplice conseguenza del persistere di un forte interesse per la sua grafica all’interno dell’Accademia delle Belle Arti locale, dove Klinger stesso era stato nominato professore nel 1919. La Repubblica Democratica Tedesca (che, secondo la cosiddetta Dottrina di Hallstein, non era riconosciuta in Occidente, né dalla Germania Federale né dai suoi alleati) ebbe un interesse esistenziale a riaffermare, anche attraverso l’arte, le sue radici nella storia tedesca, e dunque a non essere considerata (almeno agli occhi della sua popolazione) come pura ‘zona di occupazione’ dell’Unione Sovietica.

Dopo la guerra, inoltre, gli espressionisti (come spiegato da Christian Saehrendt [79]) furono per molti decenni sostanzialmente boicottati in Germania Orientale, come espressione di un’arte borghese ‘formalista’, che non aveva saputo resistere alla pressione nazista e non era in linea con il realismo socialista. Dunque, per molti versi, gli occhi con cui si guardava all’arte tedesca di primo Novecento furono molto più tradizionalisti nella Germania Est rispetto a quella Occidentale. Per legittimare questo approccio, nella DDR non si esitò a rivedere l’intera arte tedesca e si teorizzò addirittura il primato del “classico” Dürer sull‘“espressionista” Grünewald. Si cercò di creare un legame diretto tra l’arte della DDR e i maestri dell’Ottocento (von Menzel, Leibl). Si è già detto che si vide in Max Klinger l’iniziatore di una scuola socialmente impegnata di artisti grafici moderni ispirati al rinascimento. Si creò così alla fine degli anni sessanta uno stile (la cosiddetta “scuola di Lipsia”) che rifiutava l’informale della Germania Ovest, ne condannava l’entusiasmo per gli espressionisti e cercava di radicarsi sulla traccia degli artisti più orientati al classicismo della Germania del primo Novecento, cercando di creare un moderno “moderato”.

Che non si trattasse solamente di un riflesso campanilistico fu provato dal fatto che Pittura e disegno, nel 1969, fu incluso nell’antologia sovietica delle fonti di storia dell’arte [80], riconoscendo all’autore un ruolo di patriarca della letteratura artistica tedesca, insieme a Hans von Marées, Adolf von Hildebrand, Max Liebermann, Lovis Corinth, Käthe Kollwitz, Ernst Barlach, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Franz Marc, Vasily Kandinsky, (per la Germania) e Ferdinand Hodler e Paul Klee (per la Svizzera). Furono incluse quattro pagine della parte introduttiva dello scritto di Klinger, insieme ad un testo di commento che inquadrava Klinger nell’ambito del simbolismo tedesco e gli riconosceva un influsso anche sull’arte russa precedente l’Unione Sovietica. Vista da Mosca, la notorietà di Klinger rimase dunque invariata, forse anche perché gli orientamenti estetici socialisti erano molto più legati di quelli americani agli schemi classici e figurativi.


Il successo di Klinger nella DDR degli anni ‘70 ed ‘80

La mostra a Lipsia del 1970 [81], a cinquant’anni dalla morte, fu concepita dalle autorità come la mostra di maggior rilievo dedicata all’artista dopo la celebrazione nazista del 1937, che era stata tutta dedicata alla ‘germanizzazione’ dell’arte di Klinger ed era servita da pretesto alla rimozione della cosiddetta ‘arte degenerata’ dal Museo delle Belle Arti della città (per mancanza di spazio). Le retrospettive del 1947 e del 1957 avevano tenuto alta la bandiera di Klinger a Lipsia. Tuttavia, non solamente nessuno catalogo (solamente due fascicoli) era stato pubblicato in quelle occasioni, ma mancava ancora un riesame complessivo dell’arte di Klinger basato su criteri marxisti.

Fig. 7) Il catalogo della mostra di Lipsia del 1970

L’ambizione fu dunque quella – attraverso le parole del direttore Gerhard Winkler – di offrire un’interpretazione dell’arte di Klinger che non fosse esclusivamente legata ad interessi locali, ma potesse anche sottrarsi alla trappola del cosiddetto ’soggettivismo’, ovvero il continuo “cambiamento tra sopravvalutazione e sottovalutazione, una tipica caratteristica della critica artistica tardo-borghese, specchio di una realtà distrutta da contrapposizioni antagoniste. In tal modo i testi di critica servono allo scopo di creare confusione tra gli spettatori, in modo da incitare giudizi erronei e suscitare istinti avversi contro l’arte intera”. [82] Il catalogo ricostruì dunque l’intera vicenda della critica artistica su Klinger come un complotto della Berlino guglielmina che (dopo l’unificazione del 1871) si poneva “ideali eroici tipici della smania prussiano-tedesca per la pompa e la rappresentazione.” [83] Tale fine dell’arte ufficiale bismarckiana e guglielmina costituì una rottura con i migliori elementi della storia tedesca, ed in particolare con gli ideali dell’umanesimo classico a cui Klinger si orientava e che avevano alimentato la rivoluzione del 1848. Quella rottura con le migliori tradizioni si concretizzò in un’alleanza tra il grande capitale e la casa imperiale reggente. Klinger decise perciò di rompere con l’accademismo dell’epoca, ma non ebbe altre risorse intellettuali per risolvere le contraddizioni di quanto gli offriva il nichilismo filosofico di Schopenhauer e Nietzsche. Rimanendo all’interno del modo di ragionare borghese, egli cercò di risolvere la contraddizione attraverso il dualismo tra pittura e disegno, la prima legata alla realtà (essere) e la seconda al pensiero utopico-borghese (dover essere). Il suo diretto valore rivoluzionario fu quello di rompere il tabù borghese che sottraeva alla grafica la dignità di arte completa [84], ed in particolare “la negazione di norme estetico-dogmatiche in ‘Disegno e pittura’ ”. [85] Il tentativo di rendere fra loro compatibili “le crescenti contraddizioni dei rapporti sociali” ed il concetto stesso di “arte totale” (Gesamtkunst) “mischiavano gli elementi della crisi della cultura tardo-borghese con gli elementi di una cultura democratica in formazione”. [86]

Il catalogo di Lipsia del 1970 offrì dunque – per la prima volta – un’integrale interpretazione marxista di Pittura e disegno (che non solo era estranea alla brochure del 1957 ma non era neppure inclusa nell’antologia sovietica nel 1969).

A riprova del successo che il testo di Klinger continuò ad avere nella Germania Democratica Tedesca l’editore Reclam di Lipsia (ancora una volta siamo di fronte ad un editore che si sdoppia in seguito alla Guerra fredda; quello orientale è il ramo statalizzato del marchio) stampò nel 1985 e nel 1987 un’edizione che univa al testo di Pittura e Disegno, anche il diario e una selezione di lettere dell’artista [87]. Va detto che (a differenza del catalogo del 1970) la curatrice Anneliese Hübscher non volle eccedere con le interpretazioni ideologiche. La sua è senz’altro una buona introduzione.

Lipsia poi, stava conoscendo una nuova stagione artistica: negli anni ‘70 e ‘80 il gruppo di pittori e docenti all’interno dell’Accademia di Belle Arti della città portò la Scuola di Lipsia (ovviamente col consenso e il supporto del regime) ad avere grande fama anche al di fuori della DDR; di quel movimento d’arte moderna, di chiara natura figurativa, si cominciò a parlare in tutto il mondo. Il legame iconografico diretto con Klinger, ma anche con la Nuova oggettività e con il surrealismo confermò ed anzi rafforzò l’idea che Lipsia fosse la patria di una forma nuova di modernità artistica, di orientamento classicheggiante. Oggi tutti i musei della Germania riunificata espongono Mattheuer, Rink, Tübke, Rauch e gli altri pittori della Scuola come parte di un patrimonio comune della Germania.


La lenta riscoperta di Pittura e disegno e dell’arte di Klinger in Germania Occidentale…

In occasione del cinquantenario dalla morte, Klinger si vide dedicare una retrospettiva (a Brema). La Kunsthalle di Brema possedeva una copia completa della collezione grafica di Kingler. Fu questo il motivo per cui sembrò naturale tenere lì l’esposizione. La mostra [88] fu l’occasione per riscoprire l’artista.

 Riabilitare Max Klinger?” Così presidente e direttore della Kunsthalle di Brema aprirono la loro breve introduzione al catalogo del 1970 (76 pagine). “Alcuni si opporranno fermamente contro quest’intenzione: arte concettuale, pallida, della borghesia intellettuale del XIX secolo, cui diamo volentieri l’intera responsabilità delle catastrofi e degli aspetti più sospetti della nostra epoca, per non cercarla tra noi. Il mondo dei pelouche dei nostri nonni. Mai più.” [89] Eppure - scrissero i due - le ragioni per un’apertura, sia pur molto timida, c’erano eccome. Infatti, nonostante tutto quel che di male si potesse dire delle sue pitture e sculture, Klinger era stato il caposcuola di una lunga serie di incisori, ed con il ciclo “Drammi” aveva trasmesso ad alcuni di loro anche una consapevolezza sociale, in particolare grazie a Käthe Kollwitz. Un ragionamento simile si poteva ricavare dalla monografia di Berlino Est del 1956; del resto, Brema era il Land (Stato) più spostato a sinistra della Germania Federale. Il catalogo di Brema fu concepito come primo tentativo di fornire al pubblico tedesco occidentale tutti gli strumenti critici per la comprensione dell’estetica klingeriana: 10 pagine di testi selezionati dai suoi scritti (lettere. diario, Pittura e disegno) ed altrettante pagine di antologia critica di scritti a lui dedicati, fra il 1897 e il 1915. Le pagine scelte da Pittura e disegno erano tutte dedicate alla grafica.


Se si sfogliano i cataloghi pubblicati nella Germania Ovest dopo quello del 1970 in occasione di mostre a lui dedicate, è possibile riconoscere immediatamente il processo di riscoperta che ha accompagnato la figura di Klinger. Si prova una sensazione strana. È come ascoltare diverse versioni di una medesima sinfonia di Mahler, ogni volta eseguita da un’orchestra con un diverso ed importante direttore.

Tra 1970 e 1984 si tennero nella Repubblica Federale diverse esibizioni dedicate a Klinger (Bielefeld nel 1976, Monaco nel 1980 e Kiel nel 1983, oltre ad una retrospettiva a Vienna nel 1981), ma il vero spartiacque che marca il diverso approccio all’artista è costituito dalla mostra di Hildesheim [90] del 1984. Fu nel catalogo di Hildesheim che comparve la prima edizione moderna tedesco occidentale di Pittura e disegno, accompagnata dalla laudatio di de Chirico su Klinger del 1920 e da un’ampia antologia (circa 100 pagine) di scritti di critici, organizzata in senso cronologico, dal 1882 al 1978. Si trattò insomma di un volume fondamentale per ricostruire l’intero percorso critico cui l’arte di Klinger era stata sottoposta nel secolo.

… e nella Germania unita

La mostra tenutasi allo Städel [91] di Francoforte nel 1992, a Germania unificata, segna il pieno ritorno di Klinger nell’alveo centrale della storia dell’arte tedesca di fine Ottocento. Il catalogo contiene tre saggi di spessore sui monumenti di Klinger dedicati a Beethoven, Brahms e Wagner (quest’ultimo mai eseguito, anche per colpa di una certa megalomania del progetto) e si centra sul rapporto strettissimo tra arte e musica, tipico di tutta l’arte tedesca di quel tempo (si pensi ad Anselm Feuerbach per le generazioni precedenti Klinger e a Paul Klee per quelle seguenti) ma anche caratteristico della personalità di Klinger, non a caso ottimo pianista.

Fig. 8) Il catalogo della mostra allo Städel nel 1992

Quindici anni dopo, nel 2007, con la celebrazione dei centocinquanta anni dalla nascita, l’attenzione si sposta da Klinger come artista legato alla cultura tardo-romantica a Klinger come ispiratore dell’arte moderna a lui contemporanea e successiva, in rapporti espliciti ed impliciti di contiguità e continuità stilistica ed estetica.

A Karlsruhe [92] – dove Klinger aveva studiato – si tenne una mostra dell’opera grafica con una sezione sugli artisti da lui ispirati: l’immagine dell’artista ne risultava spostata da innovatore della Germania guglielmina ad ispiratore di quella weimariana. Ma è soprattutto a Lipsia [93], ancora una volta, che una nuova grande esibizione fu dedicata, sempre nel 2007, al tema dell’eredità dell’arte di Klinger, con sezioni tematiche dedicate al rapporto con Max Beckmann, Salvator Dalí, Giorgio de Chirico, Max Ernst, Otto Greiner, Georg Kolbe, Alfred Kubin, Edvard Munch, Max Pechstein, Alberto Savinio e Heinrich Vogelers. Linguisticamente, il titolo della mostra contiene un gioco di parole intraducibile in italiano: le “Folgen” di Klinger, cui la mostra fu dedicata, possono essere sia gli ‘effetti’ successivi della sua opera nel tempo come pure le sue ‘serie’ grafiche. La mostra fu replicata ad Amburgo qualche mese dopo. È l’imponente catalogo di Lipsia/Amburgo ad avere più fortemente influito sulla stesura di queste pagine.


Pittura e disegno fuori dalla Germania

Nel 1996 è stata pubblicata la prima traduzione italiana di Pittura e disegno, a cura di Giuseppe Scattone, in occasione di una grande mostra retrospettiva a Ferrara [94]. La mostra, curata da Beatrice Buscaroli Fabbri, si concentrò sul rapporto di Klinger con la cultura tedesca di fine secolo ed in particolare con la musica. Una particolare attenzione fu anche rivolta al rapporto di Klinger con i cosiddetti ‘tedeschi romani’, sia quelli di una generazione a lui precedente sia i contemporanei, da Anselm Feuerbach a von Marées, da Hildebrand a Fiedler, da Böcklin a Stauffer-Bern.

La conclusione della Buscaroli Fabbri fu che la ricezione di Klinger da parte di de Chirico e Max Ernst, di Munch e Dalí non era stata la conseguenza di una consapevole volontà di Klinger di “gettare il ponte verso il futuro, il Moderno, di cui Klinger diffida”, ma il frutto di un’affinità elettiva, un interesse metafisico e atemporale, risultato di un’astrazione più che di una continuità stilistica. [95] Si tratta di una tesi cara anche ad una delle maggiori studiose di Klinger, Renate Hartleb, che l’ha sviluppata in numerosi studi, fissando paletti alla tesi della continuità tra Klinger, surrealisti e scuola di Lipsia; anch’ella ha contribuito al ricco catalogo ferrarese. Non è però la tesi che ho seguito.

È del 1998 la seconda traduzione italiana a cura di Michele Dantini, pubblicata presso l’editore Nike insieme ad un bel saggio del curatore ed alla laudatio di De Chirico [96]; è l’edizione da cui ho tratto tutte le citazioni in italiano nei post precedenti.

Nel 2005 è comparsa anche la prima edizione in inglese, “Painting and Drawing” a cura di Fiona Elliot e Christopher Croft, per i tipi dell’editore Ikon di Birmingham, in occasione di una mostra all’Ikon Gallery di Birmingham [97].

Non vi sono altre edizioni moderne in altre lingue; le traduzioni polacca e russa del 1908 sono introvabili.

Dulcis in fondo, vorrei citare il catalogo della recente mostra klingeriana del 2014 a Bologna, la mia città natale, che - con un saggio di Paola Giovanardi Rossi su Klinger come ispiratore dell’arte europea fra Ottocento e Novecento – fa sua la convinzione ormai acquisita che l’artista fosse non solamente un uomo del suo tempo, ma anche una cerniera tra classico e moderno. L’autrice (oltre ad essere collezionista di Klinger) è una notissima neuropsichiatra, e il saggio apre nuove strade interpretative dell’onirico klingeriano, tenendo conto che gli anni della pubblicazione di Disegno e pittura erano stati quelli della nascita della psicologia moderna nel mondo tedesco, ed in particolare della diffusione dell’opera di Freud.[98]


Fig. 9) Il catalogo della mostra bolognese del 2014



I motivi ultimi di una rinascita

Oggi l’arte di Klinger va per la maggiore. L’artista non è certamente più considerato alla pari con Michelangelo (come suggerivano gli adulatori del primo Novecento) ma ha finito di essere un paria, come gli successe per lunghi decenni nel dopoguerra (con l’eccezione della sola Repubblica democratica tedesca).

Questa serie di post su fortuna ed eredità di Klinger ha consentito in particolare di documentare le vicissitudini storiche del suo scritto Pittura e Disegno. Nato come riflessione giovanile nel 1891, con l’obiettivo di consentire la conquista di nuovi spazi di libertà agli artisti dell’epoca, il pamphlet fu di grande successo e fu ripubblicato numerose volte. Permise di conciliare visioni differenti dell’arte (il naturalismo francese e il neo-idealismo tedesco); promosse l’idea di ‘arte spaziale’ (Raumkunst) come tentativo di sintesi dei generi artistici contrapposti attraverso l’uso del colore come elemento unificante; pose al centro della modernità il tentativo di recuperare, attraverso il rapporto con l’arte classica, l’arte totale. Al di fuori della Germania, fu un testo di riferimento nel mondo scandinavo ed in quello slavo.

Il massimo successo si registrò nel mondo tedesco, in Germania e nell’Impero austro-ungarico, intorno ai primi anni del Novecento, quando le teorie estetiche di Klinger – sia esplicitamente (grazie a Kollwitz; Kubin; Kolbe) sia implicitamente (con il Ponte; Max Beckmann; i surrealisti) sia ancora indirettamente (tramite Edvard Munch) – contribuirono alla nascita di decenni d’arte grafica di grandissima qualità e significato artistico. Il testo fu incluso in una delle collezioni di maggiore diffusione per il largo pubblico. Era dunque una lettura obbligata.

Onori e festeggiamenti ufficiali per Klinger ebbero il loro culmine con il sessantesimo compleanno nel 1917, ma i suoi sostenitori fecero l’errore di trascinare sempre più la sua opera in un ambito nazional-germanico in cui il pamphlet (concepito a Parigi e scritto a Roma) non fu mai concepito. Klinger fu definito il più tedesco degli artisti tedeschi (da Lovis Corinth, nel 1914, in piena atmosfera nazionalista, poco prima dell’inizio della Prima guerra mondiale) e molte delle pubblicazioni a lui dedicate seguirono una traccia anti-francese. Si tradì in questo modo la volontà dell’artista che (con la creazione di Villa Romana a Firenze) voleva assicurare che i nuovi artisti tedeschi si confrontassero con l’arte del Rinascimento italiano, e con il suo valore universale.

La soluzione estetica proposta da Klinger (con la definizione di campi diversi per pittura e disegno) si dovette però presto confrontare con le nuove, differenti intuizioni estetiche dei giovani artisti tedeschi, segnando chiare fratture generazionali. I contemporanei percepirono l’incolmabilità del sentiero che divideva Klinger e gli espressionisti. Un’attitudine più bilanciata avrebbe indubbiamente mostrato gli elementi in comune, in particolare nella grafica. Oggi la rilettura di quelle esperienze ne sottolinea anche gli elementi di continuità.

La morte di Klinger segna un punto di demarcazione: gli attacchi di Julius Meier Grafe nel 1920 (secondo cui l’unica cosa da fare era seppellire in tutta fretta l’arte di Klinger insieme a lui) e quelli di Pauli portarono l’intellighenzia liberale degli anni d’oro della Repubblica di Weimar a decretarne la scomparsa sulla scena artistica e culturale dell’epoca: Klinger sparì presto dalle più importanti antologie sulle fonti di storia dell’arte.

Il passare degli anni portò ad un oblio sostanziale, con l’eccezione della città natale, Lipsia. Lì si tennero retrospettive sull’artista nel 1937 (sotto il regime nazista: fu quella l’occasione per rimuovere la cosiddetta arte ‘degenerata’ dal museo, per mancanza di spazio), nel 1947 (sotto il controllo dell’amministrazione militare sovietica) e nel 1957 (nel quadro delle esibizioni di regime dalla DDR). A Lipsia Pittura e disegno continuò ad essere pubblicato (mentre scomparve dal mercato librario della Repubblica Federale Tedesca).

Mentre in Germania occidentale Klinger venne spesso considerato come un ‘ciarlatano’, in Germania orientale rimase un chiaro punto di riferimento. Alle differenti posizioni tra Ovest ed Est corrispondeva anche una totale differenza di preferenze estetiche.

Da un lato la Repubblica federale tedesca aveva fatto dell’espressionismo weimeriano la sua bandiera, e ne aveva sottolineato sia la contiguità con l’arte europea contemporanea sia la continuità con l’arte statunitense dei decenni successivi. Inoltre, Klinger era ormai visto come sinonimo dei risentimenti estetici anti-francesi e dunque completamente impresentabile nella Germania tutta volta all’unificazione europea. Dall’altro lato nella Repubblica democratica tedesca l’espressionismo era considerato una degenerazione formalista, e Klinger assicurava due obiettivi strategici: assicurare all’arte della DDR la continuità con le proprie radici germaniche e mostrare che anche il neo-classicismo del realismo socialista aveva radici tedesche.

Pittura e disegno, testo stigmatizzato come estetica conservatrice e nazionalista nella Germania di Bonn, divenne uno scritto di riferimento per l’estetica comunista nella Germania di Berlino Est. L’arte di Klinger continuò, però, anche ad orientare i circoli di Lipsia, essendo fonte di riflessione sul rapporto con la classicità ed il nudo, e d’ispirazione per forme moderate di modernità. Ne nacquero decenni di pittura della Scuola di Lipsia, oggi riconosciuta come patrimonio comune della Germania unita.

Un elemento che aiutò al recupero di Klinger nella Germania occidentale fu il giudizio nettamente positivo che ne diede Giorgio de Chirico, definendo Max Klinger come il pittore moderno per antonomasia, lo stesso anno della terribile stroncatura di Meier-Graefe. Altri fattori aiutarono: tra questi le numerose reminiscenze klingeriane tra i surrealisti, la fine della guerra fredda, la riunificazione tedesca.

Vi è però in conclusione un elemento fondamentale che può spiegare perché la passione per Klinger sia rinata. È il nuovo interesse per l’arte figurativa che si è incontrato tra le avanguardie artistiche a partire dagli anni Ottanta (inclusa la Scuola di Lipsia). Ogni giudizio sull’arte passata è necessariamente anche una meditazione su quella contemporanea. È annunciata per quest’estate una mostra allo Städel sulla pittura figurativa nella Germania Occidentale degli anni Ottanta.[99]

Visto in questa prospettiva, l’ostracismo nei confronti di Klinger nella Germania occidentale negli anni cinquanta e sessanta era prima di tutto l’espressione quasi ovvia dell’identificazione del moderno con la rottura di tutti gli schemi canonici classici. Negli anni Sessanta e Settanta era forse incomprensibile che l’umanità desiderasse che l’arte recuperasse il riferimento visivo alla realtà.

Forse il progressivo ritorno al mondo figurativo – in questi ultimi decenni – è stato un segno di incertezza, crisi e mancanza di fiducia, piuttosto che di affermazione di valori classici. L’astrazione era originariamente legata all’idea di spiritualità nell’arte, e dunque ad una forte fiducia nel destino del mondo. Nel momento in cui le grandi ideologie fallivano, e nuovi problemi si rivelavano di difficilissima soluzione, il nostro mondo ha forse sentito il bisogno di ritornare a far delle persone l’oggetto principale dei propri quadri. È la stessa ragione per la quale può essere rassicurante guardarci ogni giorno allo specchio. Ed è allora che, in piena crisi esistenziale, è stato utile riscoprire l’arte ed il pensiero estetico di Max Klinger.


NOTE

[64] La casa editrice Insel – fondata a Lipsia nel 1901 – e la collana ‘Biblioteca Insel’ esistono ancora, come parte del gruppo Suhrkamp dal 1960 (oggi in gravi difficoltà, in conseguenza della crisi dell’editoria tedesca). Di Insel, dopo la divisione della Germania alla fine della guerra, vi erano un ramo orientale statalizzato, a Lipsia, ed uno occidentale, prima a Wiesbaden e poi a Francoforte.

[65] Friedländer, Max – Max Klingers Radierungen (Le acqueforti di Max Klinger), in Kunst und Künstler, Vol. 15, 1917, pp. 305-307 (si veda http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kk1917/0327?sid=ca00987ba8452b7368e0e12d1d5be48a)

[66] Max Klinger. Wege zum Gesamtkunstwerk (Max Klinger. Percorsi verso l’arte totale). Con contributi di Manfred Boetzkes, Dieter Gleisberg, Ekkehart Mai, Hans-Georg Pfeifer, Ulrike Planner-Steiner, Hellmuth Christian Wolff ed un'antologia critica su Klinger. Completamente riprodotti: Max Klinger: Malerei und Zeichnung (1891) e Giorgio De Chirico: Max Klinger (1920), Hildesheim, Philipp von Zabern, 1984. Citazione a pagina 129.

[67] Klinger, Max - Wege zum Gesamtkunstwerk(citato). Il testo completo é alle pagine 150-151.  

[68] Meier-Graefe, Julius – Kunst ist nicht für Kunstgeschichte da. Briefe und Dokumente (L’arte non esiste per la storia dell’arte. Lettere e documenti), Göttingen, Wallstein Verlag, 2001, 573 pagine. La citazione é a pagina 103.

[69] Meier-Greafe, Julius - Entwicklungsgeschichte der Modernen Kunst (Storia dello sviluppo dell’arte moderna), Piper Verlag, (3 Volumi, 1904, 1914 e 1924) Si veda: 

[70] Roettig, Petra – Zeit und Ruhm – Max Klinger und Alfred Lichtwark (Tempo e fama – Max Klinger ed Alfred Lichtwark), in: Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen (Un amore – Max Klinger ed il seguito), catalogo a cura di Hans-Werner Schmidt e Hubertus Gaẞner, Museo delle Belle Arti di Lipsia, 11 Marzo – 24 Giugno 2007; Kunsthalle di Amburgo, 11 Ottobre 2007 – 13 Gennaio 2008, edizioni Christof Kerber, Bielefeld – Lipsia, 2007, pagine 62-65. Il testo del 5 ottobre 1921 è di una corrispondenza di Gustav Pauli alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo. Non è pubblicato (si veda nota 35).

[71] Roettig, Petra – Zeit und Ruhm – Max Klinger und Alfred Lichtwark, (citato). Il testo del 17 maggio 1930 è di una corrispondenza di Gustav Pauli alla Commissione della Kunsthalle di Amburgo. Non è pubblicato (si veda nota 36).

[72] Sauerlandt, Max – Die Kunst der letzten 30 Jahre (L’arte degli ultimi 30 anni), Berlin, Rembrandt Verlag, 1935, 270 pagine. Il libro fu subito requisito dalle autorità naziste. Il testo fu pubblicato di nuovo nel 1948 da Hermann Laatzen Verlag di Amburgo, eliminando tutti i passaggi sul nazismo.

[73] Sauerlandt, Ethos des Kunsturteils. Korrespondenz 1908-1933 (L’ethos del giudizio sull’arte. Corrispondenza 1908-1933), Hamburg, Hoffmann und Campe, 2013, 464 pagine

[74] Justi, Ludwig – Von Runge bis Thoma (Da Runge a Thoma), Berlino, 1932 (pagine 203-205). Si veda: Max Klinger. Wege zum Gesamtkunstwerk… (citato), p. 159

[75] Haftmann, Werner – Das irdische Paradies. Kunst im neunzehnten Jahrhundert (Il paradiso in terra. Arte nel diciannovesimo secolo), Monaco, 1960, pagine 223 e seguenti. Si veda: Max Klinger. Wege zum Gesamtkunstwerk… (citato), p. 178.

[76] Künstler über Kunst. Briefe und Aufzeichnungen von Malern, Bildhauern, Architekten (Artisti sull’arte. Lettere e appunti di pittori, scultori ed architetti), ausgewählt und kommentiert von Hans Eckstein, Darmstadt, Im Stichnote Verlag, 1954, 278 pagine.

[77] Künstlerbriefe über Kunst. Bekenntnisse von Malern, Architekten und Bildhauern aus fünf Jahrhunderten, (Lettere di artisti. Confessioni di pittori, architetti e scultori da cinque secoli) herausgegeben von Hermann Uhde-Bernays, Francoforte sul Meno, Zurigo, Vienna, Büchergilde Gutenberg, 1962, 712 pagine.

[78] Pommeranz-Liedtke, Gerhard – Der Graphische Zyklus vom Max Klinger bis zur Gegenwart. Ein Beitrag zur Entwicklung der deutschen Graphik von 1880 bis 1995 (Il ciclo grafico da Max Klinger al presente. Un contributo allo sviluppo della grafica tedesca dal 1880 al 1995), Deutsche Akademie der Künste, Berlino, 1956, 227 pagine

[79] Saehrendt, Christian – „Die Brücke“ zwischen Staatskunst und Verfemung. Expressionistische Kunst als Politikum in der Weimarer Republik, im „Dritten Reich“ und im Kalten Krieg („Il ponte“ tra arte di stato e proscizione. L’arte espressionista nella Repubblica di Weimar, nel “Terzo Reich” e nella guerra fredda), Stoccarda, Franz Steiner Verlag, 2005

[80] Su quest’opera imponente si veda il mio post precedente
 http://letteraturaartistica.blogspot.de/2014/10/francesco-mazzaferro-i-maestri-dellarte.html.

[81] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler vom 4. Juli bis 20. September 1970 (Max Klinger. Esibizione in occasione del cinquantenario dalla morte dal 4 luglio al 20 settembre 1970), Lipsia, VEB Interdruck, 124 pagine più 84 illustrazioni in bianco e nero fuori testo.

[82] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 6

[83] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 7

[84] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 10

[85] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 11

[86] Max Klinger. Ausstellung zum 50. Todestag des Künstler (citato), p. 10

[87] Klinger, Max – Malerei und Zeichnung, Tagebuchaufzeichnungen und Briefe (Pittura e disegno, Diari illustrati e Lettere), a cura di Anneliese Hübscher con 40 riproduzioni di disegni di Max Klinger, Leipzig, Verlag Philipp Reclam jun. Leipzig 1985, Repubblica Democratica Tedesca.

[88] Max Klinger zum 50. Todestag, Das Druckgraphische Werk, Ausstellung Kunsthalle Bremen 20. September bis 25 Oktober 1970 (Max Klinger in occasione del cinquantenario dalla morte. L’opera grafica. Mostra alla Kunsthalle di Brema, 20 Settembre-25 Ottobre 1970), 76 pagine.

[89] Max Klinger zum 50. Todestag (citato) p. 3

[90] Max Klinger, Wege zum Gesamtkunstwerk (Percorsi verso l’opera d’arte totale), con contributi di Manfred Boetzkes, Dieter Gleisberg, Ekkehart Mai, Hans-Gerorg Pfeifer, Ulrike Lanner-Steiner, Hellmuth Christian Wolff ed un‘ampia antologia critica su Klinger. Riproduzione totale di Max Klinger, Pittura e disegno (1891) e Giorgio de Chirico, Max Kinger (1920), Mostra al Roemer- und Pelizaeus-Museum, Hildesheim, 4 Agosto – 4 Novembre 1984, 299 pagine

[91] Max Klinger 1857-1920. Catalogo della mostra allo Städel, 12 Febbraio – 7 Giugno 1992, a cura di Dieter Gleisberg, 386 pagine

[92] Max Klinger, Die druckgraphischen Folgen (Le serie grafiche), Catalogo della mostra alla Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe, 27 Gennaio – 9 Aprile 2007, Edition Braus, Heidelberg 2007, 184 pagine.

[93] Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen (Un amore – Max Klinger ed il seguito), catalogo a cura di Hans-Werner Schmidt e Hubertus Gaẞner, Museo delle Belle Arti di Lipsia, 11 Marzo – 24 Giugno 2007; Kunsthalle di Amburgo, 11 Ottobre 2007 – 13 Gennaio 2008, edizioni Christof Kerber, Bielefeld – Lipsia, 2007, 352 pagine


[95] Max Klinger, a cura di Beatrice Buscaroli Fabbri. Saggi e schede di Beatrice Buscaroli Fabbri, Marisa Volpi, Renate Hartleb, Andreas Stolzenburg, Susanne Petri, Karl-Heinz Mehnert, Dietulf Sander. E con il testo di Max Klinger Pittura e disegno, Ferrara Arte Editore, 1996, 372 pagine, completamente illustrato in bianco e nero con 89 tavole a colori. Le citazioni sono a pagina 5 e a pagina 45.

[96] Klinger, Max – Pittura e disegno (citato), 1988

[97] Klinger, Max – Painting and Drawing, Birmingham, Ikon, 2005, pp. 37

[98] Max Klinger. L’inconscio della realtá. Incisioni dalla Collezione Paola Giovanardi Rossi, a cura di Paola Giovanardi Rossi e Francesco Poli, catalogo della mostra a Palazzo Fava, Bologna, 25 Settembre – 14 Dicembre 2014, Bononia University Press, 2014, 141 pagine


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