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martedì 17 febbraio 2015

Francesco Mazzaferro. Fortuna critica ed eredità spirituale di Max Klinger nell'arte europea del XX secolo. Parte Seconda


Francesco Mazzaferro
Fortuna critica ed eredità spirituale di Max Klinger
nell'arte europea del XX secolo 

Parte seconda 


[Versione originale: febbraio 2015 - nuova versione: aprile 2019]



Fig. 2) Cartolina originale della IX Mostra della Secessione di Vienna (1901), La stanza dedicata a Max Klinger. 

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Mondi contrapposti si stavano creando attorno a Klinger, lungo precisi diaframmi ideologici. Nel 1891 egli aveva cercato, con Pittura e disegno, di combinare esigenze diverse, offrendo un comune quadro estetico ai cultori della forma e a quelli del contenuto, ai naturalisti francesi e ai neo-idealisti tedeschi, guardando all’arte totale e al ritorno all’arte classica come sublimazione dei conflitti dei decenni precedenti. Quel compromesso era stato accettato con entusiasmo nei primissimi anni del nuovo secolo, e aveva segnato profondamente l’arte tedesca. Ora nuove fratture si stavano aprendo, ed anzi si sarebbe presto giunti a contrasti forse incolmabili, a scontri che sembravano inappellabili. Eppure, ad un secolo di distanza, le nuove divaricazioni che si aprirono in quegli anni meritano oggi di essere riconsiderate, e di non essere più viste come il risultato di opzioni incompatibili. Quei mondi opposti avevano in realtà radici comuni. Ma la parabola di Klinger stava comunque declinando.


La nascita dell’espressionismo all’ombra di Klinger

Uno dei migliori amici e più grandi ammiratori della Raumkunst (arte spaziale) di Klinger fu Fritz Schumacher (1869-1947), professore di architettura degli interni (Raumkunstlehre) a Dresda a partire dal 1901, all’epoca convinto seguace dello Jugendstil ed in seguito uno tra i maggiori architetti razionalisti nella Repubblica di Weimar. Come ha scritto Aya Soika nel catalogo della mostra di Lipsia del 2007, Schumacher, che scrisse nel 1902 un saggio sull’“Elemento decorativo in Max Klinger” [26], era un professore dinamico ed innovativo, che attirava i giovani studenti più vogliosi di cimentarsi con la modernità: tra loro Ernst Ludwig Kirchner, Erich Deckel, Fritz Bley e Karl Schmidt-Rottluff, ovvero i quattro fondatori del Ponte (Brücke), e gli inventori dell’Espressionismo, che si conobbero proprio nel 1902 sui banchi universitari di Schumacher. Dunque, all’origine dell’espressionismo vi furono gli stessi ambienti secessionisti al cui interno Klinger si muoveva.

Il Ponte venne creato a Dresda nel 1905, in una fase in cui tutti i giovani artisti (l’espressione junge Künstler ha in tedesco un doppio significato: significa sia ‘artisti giovani’ sia ‘artisti d’arte moderna’) erano obbligati – nel bene e nel male – a confrontarsi con Pittura e disegno. È improbabile che essi non abbiano – come minimo – avuto tra le mani l’edizione Thieme del 1903 (che venne poi ripubblicata nel 1907, 1910 e 1913). Aya Soika è anzi certa che Max Pechstein – che entrò nel Ponte nel 1906 – avesse letto il testo di Klinger [27]. 


Dalle tesi contenute nel pamphlet di Klinger i giovani espressionisti ricavarono – senza mai riconoscerlo – quattro insegnamenti. Primo: la centralità della grafica come l’arte più espressiva, che permette all’artista di narrare in forma poetica (per usare le parole di Klinger, che gli espressionisti hanno assorbito, ma mai utilizzato) ‘la metà oscura del mondo’ (basti ricordare che il Manifesto del Ponte fu pubblicato nel 1906 in forma di incisione su legno). Secondo: la centralità del nudo, uno dei temi fondamentali del Ponte. Terzo: il rapporto tra pittura e spazio, la Raumkunst, con tentativi di creare fregi ed affreschi (basta riferirsi a quanto Kirchner scrisse nella “Cronaca del Ponte”, un breve testo del 1913 sulla storia del gruppo, scritto quando il sodalizio si era ormai già sciolto, sul tentativo “di armonizzare l’ambiente con la nuova pittura” [28]). Quarto: il riferimento all’arte del passato: l’arte rinascimentale tedesca (ed in particolare Dürer e gli altri incisori della Germania meridionale), Rembrandt e Goya.


Klinger e i giovani artisti tedeschi del primo Novecento: prima di tutto un gentiluomo

Klinger era un gentiluomo, un vero e proprio signore, e spesso godeva (anche presso chi aveva idee molto differenti) di grande prestigio personale. Nel corso degli anni fu capace di sopportare giudizi che si facevano via via sempre più pungenti. Il critico d‘arte Karl Scheffler (1869- 1951), testimone d’eccezione di quegli anni, editore della rivista “L’Arte e gli Artisti” (Kunst und Künstler), parlando, nella seconda edizione del suo libro “Talenti” (pubblicato da Paul Cassirer nel 1919), dei giovani artisti viventi a Berlino e del loro approcciarsi a Klinger così scrive: 

Come sia il rapporto dei nostri migliori artisti nei confronti dell’ormai sessantenne Klinger, lo si poté osservare nella primavera del 1909 quando (a Secessione di Berlino non ancora divisa [nota dell’editore: nel 1910 avvenne la rottura tra Liebermann e Cassirer da un lato e gli espressionisti dall’altro; fu Emil Nolde a provocare la rottura, con una lettera di denuncia indirizzata appunto a Scheffler]) nel corso di un’esibizione di tutti i lavori di Klinger fu per la prima volta mostrato il monumento a Brahms [fig. 32]. La sera prima dell’inaugurazione la Secessione aveva offerto una cena in onore dell’artista, nei locali superiori della propria sede. Durante la cena vi furono discorsi in elogio di Klinger, brindisi ed altre dichiarazioni di grande stima. Una volta finita la cena, tuttavia, mentre Klinger si intratteneva con i responsabili, cominciarono ad entrare uno dietro l’altro, senza interruzione, piccoli gruppi di artisti ed intenditori, circondarono il marmo e lo commentarono in maniera assai ostile. Di tanto in tanto si poteva sentire la parola ‘Kitsch’ sussurrata nella sala. Entrambe le cose - la critica al piano di sotto e i festeggiamenti al piano di sopra – erano intese in modo del tutto sincero, entrambe si svolsero in parallelo, e gli artisti non percepirono alcuna contraddizione. (…) E così accade (…) a Klinger, se artisti ed intenditori discutono su di lui. Non danno grande considerazione né allo scultore né al pittore, e danno importanza solamente relativa all’incisore; definiscono il suo disegno come accademico e freddo, trovano le forme delle sue sculture non plastiche e senza il giusto gusto per la forma, e rimproverano alla sua fantasia una direzione letterario-filosofica. Ma sono pur sempre pronti in ogni momento a citare Klinger come uno dei membri più onorabili della comunità tedesca degli artisti [n.d.r. deutsche Künstlerschaft]. Le singole opere vengono più o meno duramente rigettate, la persona del loro creatore, che si leva dietro di loro, viene invece trattata con il massimo rispetto.” [29] 

Ed infatti tutti i giovani artisti che lo incontrarono ne descrissero l’estrema gentilezza e disponibilità, ma al tempo stesso mossero critiche anche dure sulla sua arte.

È il caso di Paula Modersohn Becker (1876-1907), una delle figure più tragiche dell’arte tedesca del Novecento (morì di embolia, qualche giorno dopo il parto della figlia, a soli 31 anni). Da Parigi, Paula portò in Germania, nella colonia artistica di Worpswede, lo stile di Cezanne. Accompagnata da zia e sorella, incontrò Klinger a Lipsia a soli ventidue anni, nell’aprile 1898, su suggerimento del padre. Di lei ci resta – nonostante la morte precoce – un amplissimo epistolario. Ecco che cosa scrive sull’incontro con Klinger, in una lettera inviata alla madre del 3 novembre 1900, quasi tre anni dopo l’evento. 

Otto [n.d.r. il marito di Paula] ha incontrato Klinger da [n.d.r. Gustav] Pauli. Vi è davvero qualcosa di magnifico nell’invincibilità di questa personalità. È uno di quei sovrani, e per giunta benevoli! Se penso a quello sguardo che mi diede tre anni fa quando ci salutammo; io ero così del tutto immatura, davvero così del tutto immatura e così improduttiva. Ed il suo sguardo era come se lui mi accarezzasse dolcemente i capelli.” [30] 

E tuttavia, Modersohn Becker non è del tutto convinta dell’arte di Klinger, come scrive al padre, l’8 febbraio 1900: 

Per i miei gusti egli [n.d.r. Klinger] è troppo sotto l’influsso dell’antico. È l’occhio oggettivo dell’antico con cui egli oggi guarda il mondo. E prima era così soggettivo e ancor più specificamente Klinger. E l’antico mi lascia fredda. (…) L’antico mi opprime nella sua oggettività glaciale. Non se ne può afferrare la personalità.” [31]

Ed ancora, Paula scrisse un’intera lettera sul tema a Rainer Maria Rilke (di cui fu grande amica) l’1 dicembre 1900, confidandosi con lui un giorno prima di ricevere la visita di Klinger a Worpswede. Spiegò come fosse rimasta incantata dell’artista, come avesse pianto di nascosto per l’emozione al momento di congedarsi, ma poi concluse: “Da allora Klinger è sempre stato più lontano ogni giorno che passava. Era sorto Rodin. Ed io vedevo i difetti del primo.” [32] 

Lo stesso rapporto di rispetto per la persona, ma di disapprovazione per la sua arte si può dire ebbe Max Beckmann (1884-1950). Beckmann beneficiò della generosità di Klinger, dato che fu uno dei primi borsisti a Villa Romana, nell’inverno fra il 1906 ed il 1907.

Il dipinto che gli valse la vincita della borsa di studio per Villa Romana, e che riscosse grande interesse alla mostra dell’Associazione tedesca degli artisti (Deutscher Künstlerbund) a Weimar, era Ragazzi al mare, che accomunava citazioni di von Marées, Cezanne e Hodler ad una di Klinger. [33] A Klinger piacque lo studio del nudo e la composizione orizzontale, quasi un fregio, che gli ricordava molte delle sue opere [34]. Temi klingeriani (anche ripresi da Munch), come quello della morte della madre, sono riscontrabili anche in un altro quadro giovanile, intitolato Una grande scena di morte, del 1906.

Anche in questo caso bisogna distinguere il rispetto per Klinger come persona dal giudizio sull’opera. Minna Beckmann-Tube (moglie di Max) ricordò nelle sue memorie la visita che la coppia di sposi aveva fatto nell’autunno 1906 a Klinger, nella sua abitazione di Lipsia, poco prima della partenza per Firenze, per ringraziare della borsa di studio. Al ritorno a Berlino “nel volto di Max vi era qualcosa di raggiante, e forse – in quella stazione desolata – egli visse il momento più solare della sua vita.” [35] Commentando invece nel 1908 il monumento su Brahms (fig. 32), Max Beckmann scrisse: “Schifoso, assolutamente insopportabile in ogni senso. Per il resto, naturalmente, la personalità di Klinger non può essere ignorata. E tuttavia la sua non è arte.” [36]

Un altro giovane artista che espresse grande stima per la personalità di Klinger fu Oskar Kokoschka (1886-1980), anche se il suo stile ne fu assolutamente lontano. Nel 1916 scrisse alla sorella, raccontando di un incontro avvenuto il 12 novembre: “Pensa, sono stato una lunga serata a casa del grande e venerando Max Klinger a Lipsia. Quando arrivai alla casa, il suo maggiordomo mi disse che Klinger mi aspettava. E subito mi venne incontro alla porta. Ebbi come l’impressione che il vecchio Goethe uscisse dalla stanza. Così anziano e così giovane e così accattivante. (…) Egli ascoltò sempre in modo così gentile e rise sempre con così gran piacere, quando io aprii a lui il mio cuore, cosa che mi riuscì così facile con lui. Abbiamo vuotato due bottiglie di vino rosso (…) Ha voluto ancora cenare con me. Io dovetti però andarmene, perché sentivo il bisogno di affrettarmi sulla strada, tanta era l’impressione che ebbi. Mi accompagnò fino alla porta nella notte, e mi diede un arrivederci in modo straordinariamente caloroso. Io gli sussurrai nell’orecchio: ’Non ho mai avuto così rispetto di una persona come per Lei’ e poi scappai.” [37] A Klinger Kokoschka consegnò una copia con dedica personale del suo ciclo grafico sulla cantata di Bach "Oh eternità, parola di tuono". Quell’anno Kokoschka aveva pubblicato la serie grafica “Colombo incatenato”, composta nel 1913: si tratta di una serie allegorica, perché il colombo incatenato è in realtà Kokoschka stesso, legato con le catene amorose di Alma Mahler, vedova non inconsolabile del grande musicista. 

Karl Hofer, nella corrispondenza con il filosofo tedesco Leopold Ziegler, scrisse il 4 marzo 1901 di aver ricevuto un sostegno finanziario da Klinger [38], ma poco dopo egli si lamentò delle “schifezze” di Leibl, Thoma e Klinger esposte al museo di Mannheim [39].

Infine, anche Max Pechstein ebbe modo di sperimentare la gentilezza di Klinger. In una lettera del 30 agosto 1913, citata da Aya Soika [40], il pittore lo ringraziò con grande deferenza per avergli consentito una permanenza a Villa Romana per due mesi, insieme al suo migliore amico, il pittore Alexander Gerbig, che aveva vinto la borsa di studio nel 1912. Un anno prima aveva però definito l’arte di Klinger come del tutto priva di gusto, anche se la sua grafica degli anni del Ponte risentiva ancora di un gusto simbolista e concettuale di tipo klingeriano. In realtà, Klinger era stato messo di fronte al fatto compiuto, e scrivendo all’amico Kalckreuth aveva annotato: “P.S.: Ieri Max Pechstein mi ha inviato una lettera dalla Villa Romana, dove è stato ospite per due mesi senza che ne avessi la minima idea. Sai, mi ha fatto comunque piacere. Ha una calligrafia come un manico di scopa, come la sua pittura. Ma mi scrive sui primitivi italiani ed il paesaggio. E si sente che la permanenza ha avuto effetto.” [41] Abbiamo già notato in un altro post che il soggiorno di Pechstein in Italia portò ad uno stile più sereno e per certi aspetti più italiano.

Fig. 4) La copertina di un numero speciale della rivista Jugend dedicato a Max Klinger,
in occasione dei suoi sessant’anni (1917)


I seguaci tra i giovani artisti: Käthe Kollwitz, Alfred Kubin e Georg Kolbe 

Tre furono i giovani artisti che riconobbero apertamente Klinger come loro maestro, e (pur variandone lo stile in modo netto) si ispirarono in particolare alla sua grafica. Si tratta di Käthe Kollwitz, Alfred Kubin e Georg Kolbe. 

La Kollwitz pronunciò una delle orazioni al funerale di Klinger, l’8 luglio 1920. Parlò (oltre ad una lunga lista di altri oratori [42]) a nome della Libera secessione, ovvero di uno dei tre gruppi di pittori che si formarono in seguito al collasso della prima Secessione di Berlino, nel 1910. Dopo quell’anno nella geografia politica dei pittori secessionisti berlinesi si era creata, con varie vicissitudini e fortune, una tripartizione. Su una posizione d’avanguardia vi era (sull’ala ‘progressista’) la Nuova Secessione, guidata dapprima da Max Pechstein e con la maggior parte degli Espressionisti; su una posizione marcatamente ‘conservatrice’, sotto la guida di Lovis Corinth, vi era un piccolo gruppo che fu chiamato non a caso il “Tronco della Secessione” (Rumpf-Sezession). La Libera secessione era dunque il gruppo ‘centrista’, e comprendeva la maggior parte del gruppo originario degli impressionisti tedeschi (incluso Liebermann). Era a questo gruppo centrista che Klinger aveva continuato a partecipare, sia pur a distanza, da Lipsia. E Käthe Kollwitz (che pur sarebbe divenuta in seguito un’artista di marcate preferenze socialiste) portò proprio l’estremo saluto di questa associazione. Va detto che nel suo diario [43] ebbe modo di esternare la sua sorpresa nell’osservare quanto pochi fossero i ‘giovani artisti’ al funerale.

Ecco le parole della Kollwitz: 

La Libera Secessione, di cui Max Klinger è stato membro onorario per molti anni, invia a mio mezzo l’ultimo saluto. Mi preme però in questo momento esprimere al maestro scomparso anche il mio ringraziamento a titolo personale. È difficile esprimere a parole quel che Max Klinger è per me stato negli anni della giovinezza. Fu davvero un grande avvenimento, quando conobbi le acqueforti di Klinger. E come a me, lo stesso accadde anche a migliaia di altri. Noi giovani ci precipitammo nei gabinetti di grafica a Monaco e Berlino per vedere le acqueforti di Klinger. Quel che ci travolse, quel che amavamo in questi fogli, non era la perfezione tecnica. L’incredibile impulso vitale, l’energia dell’espressione furono quel che ci conquistò. Lo sapevamo: Max Klinger non rimane alla superficie delle cose, egli s’immerge nella profondità oscura della vita. Questi fogli ribollono e tuonano, così come nel foglio della Fantasia su Brahms dove riecheggia una musica mostruosa. Egli ha attivato tutte le tonalità della vita, ne ha catturato tutti i suoi aspetti violenti e mesti e ci li ha mostrati. Per questo ti ringraziamo, Max Klinger.” [44] 

Nei suoi diari [45], la Kollwitz racconta di aver letto Pittura e disegno durante gli anni in cui frequentava l’accademia di Monaco. Ancora diciasettenne, aveva ammirato nel 1884 a Berlino la serie grafica “Una vita”, dopo che il fratello gli aveva parlato dell’amico Klinger. In seguito, la lettura del pamphlet l’aveva convinta di avere una predisposizione per il disegno, e non per la pittura. Con un proprio ciclo di litografie vinse poi la borsa di studio per Villa Romana nel 1907. La Kollowitz era di aperte simpatie socialiste; nel 1919 fu nominata (prima donna in assoluto) professoressa dell’Accademia delle Belle Arti di Berlino. All’arrivo del potere dei nazisti fu espulsa dall’Accademia, e a partire dal 1936 l’esposizione delle sue opere fu proibita dai nazisti.

Ancora più forte fu l’influenza di Klinger su Alfred Kubin, come egli stesso scrisse nelle sue memorie. Si tratta di pagine dolorose, in cui l’autore racconta di una fase della sua vita contraddistinta da malattia e profondo disagio psicologico. Siamo nel 1899: 

Avevo allora un amico intimo di cui devo parlare qui; era un musicista molto intelligente (…). Un giorno venne al mio capezzale, durante i giorni della malattia, e vide i miei ultimi disegni. Gli ricordarono per certi aspetti i disegni di Klinger, di cui mi raccomandò di seguire l’esempio. Una volta guarito, mi misi alla ricerca del gabinetto delle acqueforti e scoprii la serie d’incisioni chiamate La scoperta di un guanto. Tremai di gioia. Si offriva ai miei occhi un’arte assolutamente nuova, che mi apriva un campo dove s’intravedevano dei mondi virtuali dei sensi. Davanti a quei disegni feci un voto solenne di consacrare la mia vita a creare cose simili. Con il cuore traboccante, mi recai in città e la sera andai in un locale con musica, perché cercavo un ambiente indifferente ed al tempo stesso rumoroso, per compensare la sensazione sempre più violenta che mi opprimeva. Allora accadde un fenomeno fisico strano e per me decisivo, che ancora oggi non riesco a comprendere, nonostante vi abbia lungamente riflettuto. Mentre l’orchestrina iniziava a suonare, tutto quel che era attorno a me appariva sempre più chiaro e distinto, come sotto un’altra luce. Sui volti degli spettatori nella sala apparivano tutto ad un tratto dei segni curiosi che talvolta avevano l’apparenza di bestie e talvolta di uomini. Ormai svincolati dalle loro fonti, tutti i suoni erano stranamente bizzarri. In me risuonava come una lingua sarcastica, fatta di lamenti e sussurri, un linguaggio comune a tutti quegli esseri, un linguaggio che io non potevo capire ma che sembrava avere un significato nascosto del tutto fantasmagorico. Mi sentivo triste benché uno strano sentimento di benessere mi permeasse, e ripensavo ai disegni di Klinger, mentre riflettevo sul modo in cui da quel momento in poi avrei lavorato. Ed allora fui tutto d’un colpo assalito dalla visione di un torrente di disegni in bianco e nero.” [46]

Forse è con Kubin – suddito dell’impero austro-ungarico, di cui è non certo se abbia mai fisicamente incontrato Klinger [47] – che si realizza a pieno l’idea fondamentale di Disegno e Pittura, che definisce la grafica come rappresentazione della ‘metà oscura del mondo’. Anche la concezione dello spazio di Klinger (tipica sia delle sue incisioni come pure dell’opera artistica in genere) sembra essersi trasmessa a Kubin (ed in seguito a de Chirico). Dunque, anche se forse non si incontrarono mai, fu un’affinità elettiva (Wahlverwandschaft) fortissima, per usare il lessico di Goethe. Ciò nonostante è interessante leggere come il maggior critico di Kubin durante la Repubblica di Weimar, Ernst Willy Bredt, differenziasse tra le visioni di Kubin, che definiva in senso positivo come “germaniche”, e quelle di Klinger, troppo impregnate a suo dire di classicismo e dunque insufficienti. “Klinger crea artisticamente di seconda mano. È troppo pensato, troppo sferico, troppo segreto, troppo costruito, troppo ricavato dalla natura. (…) Kubin è autoctono nell’originale mondo germanico dei sogni e di tutto quel che fa orrore. Klinger fu invece sempre il viaggiatore nordico in Ellade, ma (misurato già solo sulla base dei suoi centauri) non si è sufficientemente immedesimato in questo mondo degli dei.” [48] L’articolo di Bredt (che non cita le memorie di Kubin e la sua ammirazione per Klinger) documenta l’emergere di una chiave di lettura nazionalista ed anzi del tutto razzista della storia dell’arte (la lunga discussione per rassicurare il lettore che il cognome Kubin non è di origine slava all’inizio dell’articolo lo dimostra), di cui in questo caso furono vittima Klinger ed il suo classicismo, considerato da Bredt estraneo all’arte tedesca. Se Kubin fu qui visto come campione del nazionalismo germanico, altri lo interpreteranno invece come seguace dei simbolisti Félicien Rops (1833 –1898) e Odilon Redon (1840-1916) e dell’opera freudiana. E ciò gli valse l’inclusione nella lista degli autori produttori di cosiddetta arte degenerata da parte dei nazisti nel 1937.

Georg Kolbe (1877-1947), famoso scultore, ma anche disegnatore e pittore nella prima fase della sua attività artistica, fu grande amico di Otto Greiner, con cui condivise l’interesse per Klinger. Kolbe e Greiner si conobbero a Roma, dove Kolbe visse tra il 1898 ed il 1901. Al ritorno in Germania incontrò Klinger a Lipsia. Il maestro non mancò di sostenerlo anche finanziariamente. Nel 1905 fu uno dei primi vincitori della borsa di studio per Villa Romana a Firenze. Nella collezione di scritti di Georg Kolbe [49] due testi sembrano particolarmente rilevanti ai nostri fini: uno è un articolo del 1920 intitolato “Plastica e disegno” (Plastik und Zeichnung) e l’altro (del 1937) è “Max Klinger nel suo ottantesimo compleanno” (Max Klinger zu seinem 80. Geburtstag).

Il primo scritto applicò alla scultura le medesime categorie intellettuali di Pittura e disegno: “La plastica è consapevolezza, il sapere di esistere – non la rappresentazione. La Plastica non si fa disegnare o preparare su disegni, perché la plastica è il primario, al massimo si lascia ‘ritrarre’. Ma si può, d’altro lato, disegnare in modo plastico, e lo scultore darà ai suoi disegni sempre qualcosa dell’anima della plastica (…) Per lo scultore il disegno è una lingua speciale, una lingua che può vivere a fianco del suo lavoro, ma che non ha nulla in comune con l’essenza dei suoi mezzi espressivi plastici. (…) In conclusione: Plastica e disegno – due arti – due lingue – due mondi”. [50] 

Il secondo scritto è un affettuoso ricordo di Klinger:

Max Klinger era differente da tutti gli artisti del suo tempo. In realtà non era un pittore o uno scultore, piuttosto un disegnatore. Era infatti soprattutto un pensatore, nonostante la sua rara capacità di dar forma alle immagini. Traeva dalle sue idee (ossessionate dalle sue fantasie) come un creatore che deve rendere visibile il suo mondo e fa uso a tal fine di una forma espressiva tutta sua. A noi giovani Max Klinger sembrò come un uomo che solleva le tende. Quando poi lo incontrai [n.d.r: a Lipsia, nel 1901], trovai una persona mitissima, sempre premurosa, non un uomo che cercasse il potere, ma un uomo che capisce e conosce. Al di fuori della nostra cerchia, però, altri– che pensavano fosse loro dovere di compiere ogni sfida – volevano farci da maestri a noi giovani apprendisti. A tal fine il ‘Profeta’ dovette essere ridimensionato, anche nell’interesse delle speculazioni del mercato dell’arte, che aveva ormai il marchio dell’impressionismo. E proprio Max Klinger fu il primo grande intenditore ed ammiratore degli impressionisti francesi, certamente non uno dei loro seguaci. (…)” [51] 

Politicamente, Kolbe fu inizialmente su posizioni chiaramente internazionaliste, come testimoniano molti degli scritti degli anni 20, tutti anti-nazionalisti. Poi; all’arrivo del nazionalsocialismo, fece un voltafaccia: fu addirittura arruolato tra i firmatari di un manifesto pro-Hitler degli esponenti della cultura tedesca, quando i tedeschi furono chiamati a confermare con un referendum la presa dei pieni poteri di Adolf Hitler nel 1933 (da allora non fu più cancelliere, ma Führer).


Klinger e i giovani artisti tedeschi del primo Novecento: le ragioni di un disaccordo

Se Klinger si comportò come un gentiluomo con i giovani artisti, non era però pronto ad accettarne l’arte, che considerò una vera e propria disgrazia. Tuttavia, a differenza di altri (si pensi per esempio a quel che avevano fatto Liebermann e Corinth, espellendo Nolde dalla Secessione di Berlino), non cercò mai realmente lo scontro istituzionale con loro. Nel 1919 (un anno terribile per la Germania, dopo la sconfitta militare nel 1918) Klinger inviò due lettere dedicate all’arte moderna: la prima, il 24 giugno, è indirizzata allo scultore Georg Wrba (1872 -1939); la seconda (del 21 agosto) fu spedita al pittore Leopold von Kalckreuth (1855-1928). Eccone alcuni brani:

"Caro Wrba! 
(…) Kokoschka: †††. [N.d.r: le tre croci indicano disapprovazione]. Con orrore sono stato oggi alla nostra associazione degli artisti [n.d.r. Kunstverein]. Il 50% dei nostri giovani artisti alla nostra mostra annuale di Lipsia è posseduto dalla medesima febbre. E al 100% sono posseduti dall’identica pazzia di colori, forme e luci. Mi sono detto, quest’oggi: Grazie a Dio non mi tocca di vivere in questo tempo. Infatti il nostro mondo, come è stato fino ad oggi, certamente resisterà fino alla mia scomparsa a miglior vita. Di quel che succederà in seguito non mi importa. (…) 
M.Klinger. " [52]


"Caro Kalckreuth!
Ti invio un articolo di [n.d.r. Woldemar von] Seidlitz sull’ ”Arte moderna”. Ti porto i suoi saluti di cuore; ti prega, dopo averlo letto, di inviarlo di nuovo al suo indirizzo (…) L’occasione per l’articolo furono: (i) la nomina di Kokoschka all’Accademia di Dresda, contro cui sia io sia lui eravamo schierati, inutilmente; (ii) alcune dichiarazioni per lettera che io gli ho inviato (…). Ti vorrei dire quel che ho già scritto a Seidlitz: (…) così come ho imparato a conoscere questi pittori espressionisti, non c’è proprio nulla da fare. Si tratta di un fanatismo solo per metà consapevole e che soprattutto non vuol essere oggetto di alcuna predica (il termine è inesatto: bisognerebbe dire discussione). (…) 
Tuo MK" [53]

Un giudizio tranciante. Molti dei giovani artisti non furono da meno con Klinger. Uno dei più critici fu forse Paul Klee. Nel dicembre 1905, egli espresse un giudizio negativo su Pittura e disegno, con un’annotazione nei suoi taccuini a Berna: “Ho letto: Meier-Graefe, Il caso Böcklin, Manet e la sua cerchia; Baudelaire: I fiori del male; (…) Klinger, Pittura e disegno, davvero di dubbio valore. Come se solamente la bellezza fosse ammissibile nell’arte! La bellezza che non sia forse da separare dall’arte non fa riferimento all’oggetto, ma alla rappresentazione dell’immagine. In questo modo e non in altro modo l’arte può superare il brutto, senza poter far a meno di lui.” [54] 

Significativa il riferimento simultaneo alla lettura del già citato libro di Meier-Graefe (che pone in dubbio il valore artistico del simbolismo tedesco) e la contemporanea valutazione negativa sul pamphlet di Klinger. Del resto il giovanissimo Klee, a soli diciotto anni aveva scritto di uno dei suoi maestri d’accademia, il 23 Novembre 1898: “Vuol far di me in ogni modo un Klinger. Penso sarebbe una maledizione”. [55] E poi, il 1 maggio 1902: “Il Beethoven di Klinger è uno scandalo. Odio quest’arrivista brutale, oggi più di sempre. Comunque, egli sta a pennello nella vuota Secessione viennese. Le parole non bastano ad esprimere il mio disprezzo.” [56] Ciò nonostante, entrambi i cataloghi relativi alle mostre tenutesi per il 150nario della nascita di Klinger (a Karlsruhe e a Lipsia) mostrano importanti citazioni klingeriane nella grafica del giovane artista.

Uno dei fondatori del Ponte (Brücke), il pittore ed incisore Erich Heckel (1883-1970), in una lettera allo storico dell’arte Christian Töwe citata da Aya Soika [57], descrive nel 1945 l’opera di Klinger come assolutamente ‘incompatibile’ con il proprio stile e parla di totale “estraneità nei confronti della raffinatezza della sua tecnica grafica, dell’elemento letterario in molte sue opere e del naturalismo della sua rappresentazione.” Quel drastico giudizio d’incompatibilità di quei tempi oggi viene riconsiderato. Klinger ed Il Ponte non avevano certo lo stesso stile. Tuttavia interpretavano forse una poetica diversa, ma contigua.

Il Klinger ventenne che aveva conquistato Berlino nei primi anni ottanta del 1800 con la sua arte grafica, priva di ogni rispetto per le rigide convenzioni della Germania guglielmina, non era in realtà molto diverso dai giovani scatenati del 1905, come Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff o Max Pechstein. Sia l’uno sia gli altri ebbero la medesima passione per la trasgressione e per la nudità e colsero la centralità dell’arte grafica come forma di contestazione ed espressione delle sensazioni più estreme, del pessimismo e della tragedia. Oggi si riconosce che, senza Klinger, la rinascita dell’arte grafica in Germania (resa possibile dall’evolversi delle tecnologie) avrebbe forse seguito sentieri molto diversi. 

Un tema che certamente divise fu la rappresentazione del corpo. L’intento era il medesimo: porre il corpo nudo al centro dell’arte e far sì che dalla sua rappresentazione derivassero le sensazioni più forti. Ma i modi furono diversi: il corpo nudo venne curvato secondo stili classici da Klinger, deformato secondo stili primitivi dai secondi. In entrambi i casi, l’obiettivo era però quello dell’eccitazione, della frenesia, dello stimolo. Per certi aspetti, quello di Klinger fu anch’esso un espressionismo, sia pur del tutto onirico; scritto sopra le righe, ma formalmente all’interno di un quadro classico. Gli espressionisti tendevano invece al minimalismo del segno, come forma di rottura della scrittura classica e ridiscussione esistenziale di tutto l’equilibrio tra forma e colore. In Klinger, l’eccitazione avveniva attraverso il sogno (o l’incubo), e non era parte integrante della realtà. Per gli espressionisti, erano la realtà (non il sogno) e la sua deformazione a creare l’eccitazione creativa. Forse questo spiega perché Klinger piacque a pittori metafisici come de Chirico e ai surrealisti molto più che agli espressionisti. E spiega anche l’importanza dell’arte di Klinger nella pittura della DDR, ed in particolare della “scuola di Lipsia” (si veda il dipinto ‘Colosso II’ di Wolfgang Mattheuer.


L’influsso su de Chirico 

Nella laudatio del 1920, de Chirico fa di Klinger l’ispiratore della sua arte metafisica. Ecco cosa scrive sul dipinto La passeggiata

Un’altra pittura profonda di Klinger è quella intitolata: La passeggiata. Davanti a un muro basso e lungo fatto di mattonelle, si vedono alcuni uomini che passeggiano al sole e le loro ombre si profilano sulla terra e salgono sul muro. L’orizzonte è vuoto. Quel muro sembra segni i limiti del mondo; sembra come se dietro a esso debba esserci il nulla. Il senso di noia e di infinito sgomento, quel non so che d’interrogativo che nasce dalla linea dell’orizzonte, s’infonde in tutto il quadro: nelle figure, nella terra, nelle ombre e nella luce.” [58] 

Il richiamo all’arte metafisica è ancora più forte quando de Chirico si riferisce alla grafica:

è un sogno e nello stesso tempo è una realtà: a chi la guarda sembra scena già vista, senza poter ricordare, quando né dove. (…) Profondità e senso metafisico. (…) Klinger al senso romantico-moderno aggiunge una fantasia di sognatore e di narratore, tenebrosa e infinitamente metafisica.” [59]


Max Ernst e i surrealisti

Nel 1960 il romanziere, poeta e traduttore americano-francese Édouard Roditi (1910 –1992) intervistò Max Ernst (1891 –1976) insieme ad altri artisti (Victor Brauner, Carlo Carrà, Marc Chagall e Léonor Fini) sui principi dell’arte [60]. E Max Ernst gli disse: “Max Klinger, questo importante artista tedesco della fine del secolo, realista e simbolista, mi ha per la prima volta fornito l’ispirazione per lo stile dei miei collages, in particolare nelle sue stampe, che avevano spesso gli incubi come tema.” [61]

Ernst era nato nel 1891, l’anno della pubblicazione di Pittura e disegno. Nel 1912, a soli ventun anni, aveva scritto un articolo sul ruolo delle donne fatali nell’arte; qui aveva detto che la Salomè di Max Klinger aveva la stessa essenza artistica della Lulù di Wedekind, della Hedda Gabler di Ibsen e addirittura della Gioconda di Leonardo [62]. Klinger non è citato in alcun altro testo di Ernst, mentre invece già nel 1919 vi sono riferimenti importanti a Giorgio de Chirico, l’ispiratore dei collages che vengono pubblicati da Ernst a partire dal 1920.

Attraverso Ernst e de Chirico, Max Klinger ebbe un effetto indiretto su gli altri surrealisti ed in particolare su Salvator Dalí (1904-1989), che (già negli anni 50) possedeva la collezione completa della grafica di Klinger.

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NOTE

[26] Il saggio è pubblicato in: Schumacher, Fritz – Im Kampfe um die Kunst. Beiträge zu architektonischen Zeitfragen (La battaglia per l’arte. Contributi su questioni contemporanee di architettura), J.H.E. Heitz, Strasburgo, 1902. Si veda
https://archive.org/stream/imkampfeumdiekun00schu#page/102/mode/2up

[27] Soika, Aya – Ein ungeliebtes Vorbild (citato), p. 71

[28] Cronaca dell’Unione Artistica “Brücke”, 1913. Il testo integrale in italiano è pubblicato in Apollonio, Umbro, “Die Brücke” e la cultura dell’espressionismo, Alfieri Editore, Venezia, 1952 (citazione a pagina 40)

[29] Scheffler, Karl, Talente (Talenti), Berlin, 1921 (seconda edizione), pp.41-42

[30] Paula Modersohn-Becker in Briefen und Tagebüchern (Paula Modersohn-Becker nelle lettere e nei diari), a cura di Günter Busch e Liselotte von Reinken. Edizione rivista e ampliata a cura di Wolfgang Werner su incarico della Fondazione Paula Modersohn-Becker, S. Fischer, Frankfurt am Main, 2007, 797 pagine. Citazione a pagina 280.

[31] Paula Modersohn-Becker in Briefen und Tagebüchern (citato) p. 230.

[32] Paula Modersohn-Becker in Briefen und Tagebüchern (citato) p. 286.

[33] Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen (Un amore – Max Klinger ed il seguito), catalogo a cura di Hans-Werner Schmidt e Hubertus Gaẞner, Museo delle Belle Arti di Lipsia, 11 Marzo – 24 Giugno 2007; Kunsthalle di Amburgo, 11 Ottobre 2007 – 13 Gennaio 2008, edizioni Christof Kerber, Bielefeld – Lipsia, 2007, 352 pagine. Si veda pagina 260

[34] Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen(citato). La citazione è a pagina 37.

[35] Max Beckmann frühe Tagebücher 1903/04 und 1912/13 (I diari giovanili di Max Beckmann 1903/04 e 1912/13), München, Piper Verlag, 1985, p. 172

[36] Beckmann, Max – Leben in Berlin. Tagebuch 1908-1909 (Vita a Berlino Diario 1908-1909), Monaco, Piper, 1984, pagina 22 (9 gennaio 1908)

[37] Max Klinger, Die druckgraphischen Folgen (Le serie grafiche), Catalogo della mostra alla Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe, 27 Gennaio – 9 Aprile 2007, Edition Braus, Heidelberg 2007, 184 pagine. Citazione a pagina 161.

[38] Leopold Ziegler, Karl Hofer: Briefwechsel 1897-1954 (Leopold Ziegler, Karl Hofer: Corrispondenza 1897-1954), Würzburg, Königshausen u. Neumann, 2004, 162 pagine. La citazione é a pagina 24.

[39] Leopold Ziegler, Karl Hofer: Briefwechsel 1897-1954 (citato) Vedi pagina 93.

[40] Soika, Aya – Ein ungeliebtes Vorbild (citato), p. 71

[41] Lettera citata in Kuhn Philipp, Die Villa Romana von ihrer Gründung bis zum Ausbruch des ersten Weltkrieges (La Villa Romana dalla sua fondazione allo scoppio della prima guerra mondiale), in: http://www.villaromana.org/upload/Texte/Archivtext2.pdf

[42] Il funerale di Max Klinger é descritto con molta dovizia di particolari nel sito internet del museo di Naumburg (http://www.mv-naumburg.de/klingers-grab).

[43] Kollowitz, Käthe – Die Tagebücher 1908-1943 (I diari 1908-1943) BTB Verlag, Monaco, 2012, 957 pagine. La citazione é a pagina 476

[44] Kollowitz, Käthe – Die Tagebücher (citato). La citazione è a pagina 866.

[46] Kollowitz, Käthe – Die Tagebücher (citato). „Non riuscivo a progredire sul colore. Io lessi per caso la brochure “Pittura e disegno” di Max Klinger. Allora mi resi conto: io non ero una pittrice” (p. 739). Ancora diciasettenne, aveva già ammirato nel 1884 a Berlino la collezione “Una vita”, sia pur mal esposta, dopo che il fratello gli aveva parlato dell’amico Klinger (p 737).

[47] Kubin, Alfred, Ma vie (La mia vita, traduzione francese dell’originale Aus meinem Leben), Paris, Editions Allia (pp.40-42).

[48] In una lettera del 1904 ad un amico, Kubin annuncia una prossima visita a Klinger a Lipsia, ma non è chiaro se tale incontro si sia mai concretizzato. Si veda Hoberg, Annegret – Max Klinger und Alfred Kubin (Max Klinger e Alfred Kubin), in Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen (citato) p. 60
[49] Hoberg, Annegret – Max Klinger und Alfred Kubin (citato) p. 61. L’opera di Ernst Bredt è l’articolo „Von Kubin, Bosch und Klinger“ (Su Kubin, Bosch e Klinger), pubblicato in “Die Kunst für Alle“, Luglio 1923, pagine 293-304. Si veda:
http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1922_1923/0310.

[50] Kolbe, Georg – Auf wegen der Kunst. Schriften – Skizzen – Plastiken (In nome dell’arte. Scritti, schizzi, plastiche), con 90 foto. Introduzione di Ivo Beucker, Verlag  Konrad Lemmer, Berlin Zehlendorf, 1949

[51] Kolbe, Georg – Auf wegen der Kunst. (citato), pp. 10-12

[52] Kolbe, Georg – Auf wegen der Kunst. (citato), pp. 35-36

[53] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 (Lettere di Max Klinger dal 1874 al 1919), a cura di Hans Wolfgang Singer, Lipsia, Verlag E. A. Seemann, 1924, pp. 232. La lettera – indirizzata allo scultore Georg Wrba – ha il numero 173 ed è riprodotta alle pagine 228-229.

[54] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 (quotato). La lettera – indirizzata al pittore Leopold von Kalckreuth – ha il numero 172 ed è riprodotta alle pagine 227-228.

[55] Klee Paul, Tagebücher 1898-1918 (Diari 1898-1918), nuova edizione critica a cura della Fondazione Klee, sotto la direzione di Wolfgang Kersten, Verlag Gerd Hatje e Verlag Artur Niggli, 1988, p. 230

[56] Max Klinger, Die druckgraphischen Folgen (citato), p.159

[57] Max Klinger, Die druckgraphischen Folgen (citato), p.159

[58] Soika, Aya – Ein ungeliebtes Vorbild (citato), p. 71

[59] De Chirico, Giorgio – Max Klinger, in: Klinger, Max – Pittura e disegno, a cura di Michele Dantini con un saggio di Giorgio de Chirico, Milano, Nike, 1988, p. 129. La citazione è a pagina p. 103.

[60] De Chirico, Giorgio – Max Klinger (citato). Citazioni alle pagine 98 e 100

[61] Roditi, Edouard - Dialogues on Art (Dialoghi sull’arte), Londra, Secker & Warburg, 1960

[62] Pech, Jürgen – Max Klinger, Max Ernst und die Prismatisierung der Wahrnehmung (Max Klinger, Max Ernst e la lettura della realtà attraverso un prisma), in Eine Liebe: Max Klinger und die Folgen (citato), pagine 45-48.

[63] Ernst, Max – Hedda Gabler, in: Bonner Volksmund, Nr. 97, Anno 7, 4 dicembre 1912

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