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lunedì 2 febbraio 2015

Carlo Ludovico Ragghianti recensisce Konrad Fiedler (1963)


Konrad Fiedler
L'attività artistica
Tre saggi di estetica e teoria della "pura visibilità"

Vicenza, Neri Pozza, 1963

Hans Thoma, Ritratto di Konrad Fiedler (1884)


[1] I titoli dei tre saggi:

1. Il giudizio sulle opere d’arte figurativa (1876)
2. È possibile favorire l’interesse per l’arte? (1879)
3. Sull’origine dell’attività artistica (1887).


[2] Testo della bandella:

“La RACCOLTA PISANA è particolarmente lieta di presentare la prima traduzione italiana, opera di Carlo Sgorlon, di tre dei grandi saggi di Konrad Fiedler, di cui si conoscono soltanto gli Aforismi.

Anche a giudizio del Croce, il Fiedler è stato il maggiore e più originale filosofo dell’arte in Europa nella seconda metà del secolo XIX, e per il rigore della concezione e la forza espressiva è paragonabile soltanto a Francesco De Sanctis.

Si potrà finalmente, con la lettura di questi saggi, profondi e illuminanti, sceverare la «pura visibilità» dalla commistione e deformazione che essa ha avuto nelle dottrine della psicologia della forma, e recuperare una speculazione che, svolgendo soprattutto la teoria kantiana della conoscenza, ha fondato – col concetto generale dell’autonomia dell’espressione – un accertamento positivo e concreto dei caratteri e del processo del fare artistico nella sua distinzione da quello verbale e da quello musicale.”


[3] Per gentile concessione della Fondazione Ragghianti, si riporta recensione all’opera apparsa in data 19 ottobre 1963 a firma Carlo L. Ragghianti sul quotidiano La Stampa. L’originale dell’articolo è custodito all’interno di Raccolta di articoli e altri ritagli di giornale di Luciano Mazzaferro, conservata presso la Biblioteca Comunale Giulio Cesare Croce di San Giovanni in Persiceto.

Un precursore dell’estetica di Croce 
Parola e arte

di Carlo L. Ragghianti

Carlo Ludovico Ragghianti

In tempi antichissimi, dalla preistoria alle civiltà mediterranee, vi furono certamente fasi o zone in cui l’attività della vita umana e lo spiegarsi della coscienza si manifestarono col linguaggio figurativo piuttosto che col linguaggio verbale. Nel senso che dal gesto, dalla mimica, dalla danza e dal rito sino alla pittura e alla scultura, il linguaggio visivo costruito dall’uomo ne assicurò non solo l’espressione, ma la comunicazione, dalla logica alla tecnica.

Vi è traccia sicura di questo fenomeno storico anche dopo l’espansione dell’epos omerico, nella stessa filosofia sino a Pitagora ed anche ai sofisti. Ma proprio la creazione di Omero da una parte, cioè per la potenza poetica, e successivamente il pensiero di Socrate, col rilievo dato all’interiorità etica, posero le arti figurative, che pur continuavano con una forza creativa eccezionale proprio nell’Ellade, in una condizione di inferiorità e di soggezione alla poesia e al pensiero.

Malgrado le opposizioni anche aspre degli artisti, si affermò con la filosofia greca e con la «poetica» quella differenza e gerarchia tra mente e mano, per cui tutte quelle arti che non fossero di parola o discorso furono considerate «meccaniche», non libere e legate alla materia, mentre il loro valore s’identificava nella loro capacità di tradurre visivamente contenuti etici, storici, oratori, poetici.

È per ciò che allora e nei secoli successivi le teorie o le intuizioni rivolte a spiegare quel che c’era di intrinseco e di specifico nelle arti figurative sono dovute quasi del tutto ad artisti. Ma la cultura filosofica e letteraria prevalente influenzava anche loro, costringendoli ad inserire in quel quadro le loro esigenze, e quindi con risultati misti o di scarso potere liberatore. D’altronde erano e si sentivano isolati, in un mondo culturale che non accettava la premessa dell’indipendente valore dell’arte, anzi negava la rivendicazione della sua humanitas e la riduceva a servizio sensuale o pratico, sino al punto di confinare gli artisti in un rango sociale inferiore.

Non si può dire che il «Rinascimento» come epoca di eccezionale intensità creativa nelle arti abbia motivato il rovesciamento della situazione. Anche tutto il Medioevo è epoca di altrettanta creatività. Il rovesciamento si deve alla concezione dell’uomo come creatore, fatto eguale a Dio e alla Natura, in quanto produttore di nuove esistenze viventi che prendono posto nel mondo in modo perpetuo. Poiché questa concezione dell’uomo sorge proprio in ragione dell’inaudita espansione delle arti e dei loro geni, ecco che la vecchia «poetica» deve assumere come protagonista anche l’arte.

Le giustificazioni tradizionali e i riferimenti alle qualità del discorso sono duri a morire, anzi continueranno sino all’Ottocento e ad oggi. Ma con Leonardo la millenaria soggezione dell’arte alla parola si rompe, e troviamo in lui la rivendicazione lucida che la pittura è scienza, cioè totale e illimitata capacità di conoscenza, non solo autonoma poesia, ma nei suoi termini stessi, e nei caratteri specifici del suo operare, filosofia e analisi e prassi, che non ha bisogno della mediazione e tanto meno della condizione della parola, anzi ne supera grandemente le possibilità.

Ancora per quasi tre secoli questo nuovo lievito sarà ignorato dall’estetica e dalla filosofia. Ma ecco che col Lessing il problema si ripresenta ed è posto con una forza, che non è ancora spenta. Il principio generale dell’attività artistica dell’uomo avrà definizioni diverse e ulteriori, ma da allora in poi si dovrà affrontare la realtà delle diverse forme dell’espressione nei loro caratteri peculiari e non confondibili, poesia, musica, arte figurativa.

Il Croce, sin dal 1901, affermò senza esitazione che la teoria estetica più notevole prodotta in Germania nella seconda metà dell’800 era quella di Konrad Fiedler, nota col nome di «teoria della pura visibilità». Era quanto dire che egli riconosceva soltanto nel Fiedler un precedente del suo pensiero; ed era vero.

Chi era il Fiedler, poco noto anche allora nella cultura tedesca, oggi dimenticato, e in quella italiana presente per via del Croce? Nato a Oederan in Sassonia nel 1841, da giovane frequentò i circoli monacensi, nel 1866 scese in Italia e a Roma, dal 1872 in poi si stabilì a Firenze, quindi alternò dimore italiane e viaggi in patria, e morì a Monaco nel 1895. Poco si sa della sua formazione. In Italia si legò con lungo sodalizio col pittore idealista von Marées e con lo scultore Hildebrand, ambedue sottili meditatori e fecondi interlocutori, restando però al Fiedler l’intera iniziativa intellettuale. I saggi più importanti del Fiedler, pubblicati a partire dal 1876, furono pensati e scritti in Italia. 

Da tempo si attendeva la traduzione italiana delle sue opere maggiori, dopo la presentazione fatta da Antonio Banfi degli Aforismi (1945). Quest’attesa è ora appagata con la stampa di tre dei grandi saggi del pensatore tedesco, sotto il titolo L’attività artistica (Raccolta Pisana n. 11, Pozza editore, prefazione di C.L. Ragghianti di pp. 40, testo di pp. 180 tradotto egregiamente da Carlo Sgorlon).

Sarebbe impossibile riassumere il pensiero fiedleriano, per la sua ricchezza e complessità, anche per l’estremo rigore. Perciò basti limitarsi al nucleo più nuovo e pregnante, che si pone ancor oggi come condizione del progresso estetico e critico, come esperienza che nessun uomo di moderna cultura può evitare, e che del resto, dalle dense pagine, è vitalissima. 

Il Fiedler, con la stessa lucida sicurezza del Croce, sceverò nel pensiero kantiano quanto restava aderente alla vecchia estetica del bello, e puntò risolutamente sulla dottrina della «ragion pura» e sulla distinzione tra conoscenza intuitiva, sensibile, artistica del reale, e conoscenza logica. Fu attento anche al pensiero hegeliano, nell’intendere i rapporti e passaggi della vita spirituale nel loro movimento come nell’unità dialettica. Erede della grande poesia e critica tedesca del romanticismo, si chiarì subito l’identità di conoscenza intuitiva e di linguaggio, come attività originaria dell’uomo, formatrice della sua realtà.

Questo inquadramento del suo pensiero, sebbene così rilevante storicamente, non darebbe la sua vera originalità. Riprendendo e svolgendo il Lessing, il Fiedler affronta i concreti e storici linguaggi umani, poesia, musica, arte figurativa. Di quest’ultima esamina la fonte di produzione e i processi costruttivi delle immagini, nel loro essere attività del soggetto non generalmente intese, ma tali che si realizzano in termini di visibilità. Nell’analizzare questi processi il Fiedler scopre che la produzione artistica ha coscienza di se stessa, e che proprio come visione creativa attua tutte senza eccezione le attività della coscienza. Il linguaggio figurativo è dimostrato totale fuori del discorso verbale. 

Col Fiedler, dunque, si conclude un millenario ciclo di pensiero, e se ne apre uno nuovo, e qualunque possano essere le obbiezioni o i dissensi o i superamenti, è inevitabile porsi e cercare di risolvere il problema com’è stato impostato e svolto da lui. Non di molti libri, anche in un lungo periodo di tempo, si può affermare una tale originalità e un tal carattere fondamentale. Per gli studi italiani sull’arte, la meditazione e la discussione del Fiedler potrà segnare una data di estrema importanza.

[4] Nel 2006 Aesthetica Edizioni ha pubblicato gli Scritti sull’arte figurativa di Konrad Fiedler, con una nuova traduzione a cura di Andrea Pinotti e Fabrizio Scrivano. Vi compaiono in particolare il primo ed il terzo dei saggi presenti in questo volume.

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