Max Klinger
Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno)
Parte Terza: L'arte classica e la ricerca dell'arte totale
(Recensione di Francesco Mazzaferro)
[Versione originale: gennaio 2015 - nuova versione: aprile 2019]
Fig. 13) La traduzione inglese di Pittura e disegno di Max Klinger's , tradotta da Fiona Elliot e Christopher Croft, e con un saggio di Jonathan Watkins (Birmingham, Ikon Gallery, 2005) |
È ancora possibile l’arte totale
(Gesamtkunst)?
Dopo aver constatato che l’invenzione della stampa ha creato le condizioni
per una divaricazione tra pittura e disegno, Klinger si interroga se vi siano
ancora le condizioni per un’arte totale. Ecco che cosa scrive, con tono di
rimpianto: “Esistono oggi architettura e scultura, pittura e incisione,
decorazione e arti minori, ma manca un senso complessivo, manca l’espressione
artistica del nostro esistere. Abbiamo solo un insieme di arti, non l’arte". [94]
Egli non considera ineluttabile la divisione tra pittura e disegno:
è la conseguenza di fenomeni tecnologici, ma altre tecnologie verranno e lo
spirito dell’arte unica verrà ristabilito, anche se si tratta di un cammino
lungo e difficile. “Quotidianamente leggiamo lamenti circa la nostra attuale
decadenza artistica, e sempre più dipendiamo, nella pittura, nella scultura,
nell’architettura, da modelli appartenenti a epoche lontane, da modelli morti.
Neppure le innovazioni più consistenti, ad esempio l’architettura in acciaio o
la pittura di luce e colore, riescono a generare uno stile, anche se è chiaro
che esso sorgerà dalle nuove tecniche e dai nuovi materiali.” [95]
Del resto, l’arte totale – che era stata la caratteristica del rinascimento
e di cui il rococò aveva invano tentato la riaffermazione – non è mai andata
persa: è ancora preservata dall’arte di Wagner ed ha precedenti nel passato,
anche se di questi precedenti è rimasto poco (del mondo greco, pittura e musica erano perse,
come la policromia delle sculture). “Nei drammi musicali di Wagner si attua una
cooperazione tra tutte le arti che a noi non riesce ancora di emulare
completamente. Vestigia di una simile cooperazione, inoltre, ci sono giunte da
civiltà di grande fioritura artistica, ma solo attraverso oblio e devastazione.
Di fatto, oggi per noi parlare di pittura equivale a parlare di quadri.” [96]
Nel passato “sembra che esista una sola arte: a orientare gli artisti è il
presupposto che architettura, pittura, scultura devono essere organizzate
insieme e che ognuna raggiunga la propria perfezione solo disponendosi a
servire le altre. (…) Suprema ambizione è quella di rendere artistico lo spazio
nella sua totalità.” [97]
Al centro di ogni arte totale vi è l’elemento coloristico: “Nelle epoche di
grande fioritura artistica il colore è l’elemento di connessione delle tre
arti, architettura, pittura e scultura. Le circostanze più diverse
contribuiscono a consolidare o a negare simile funzione connettiva – il ritorno
alla supposta monocromia della scultura antica, ad esempio, separa scultura e
colore. [98] (…) Con la colorata fioritura del rococò assistiamo di nuovo a una
ricerca stilistica che si estende omogenea a tutte le arti, ma si amano troppo
i virtuosismi perché alcunché di monumentale possa davvero prodursi. Gli artisti
cercano esclusivamente di dimostrarsi originali. La grande rivoluzione, il
falso ritorno dell’antica Grecia e della scultura antica, intesa nel senso
della monocromia, perdono infine completamente i principi della cooperazione
tra le arti.” [99]
Il ruolo della scultura
Un ruolo centrale per l’affermazione dell’arte totale è – per Klinger -
l’uso della policromia nella scultura.
“La scultura policroma, per cui abbiamo [tanta fervente trepidazione: nota
del traduttore] [100], trova la sua collocazione nell’ambito dell’arte
monumentale. Per ogni complesso monumentale si pone la necessità di
accompagnare il nudo spazio architettonico inferiore con sculture singole o
gruppi di figure: la collocazione degli elementi plastici deve seguire
l’articolazione interna dell’edificio e la rappresentazione di un singolo
carattere sublime o di un sentimento unanimemente condiviso conferisce senso
alle realizzazioni puramente fantastiche poste in alto. La sensazione d’assieme
che abbiamo in simili luoghi è legata al colore: non vediamo perché, allora, le
sculture a terra dovrebbero essere prive di colore e presentarsi come semplici silhouette prodotte da un elementare
contrasto di ombra e di luce, contravvenendo alla loro destinazione ed al loro
scopo. È indispensabile che il colore rientri nel pieno possesso dei propri
diritti: che articoli lo spazio, in altre parole, ne produca un sentimento, gli
dia parola. È del tutto in errore chi contesta la scultura policroma come
volgarmente realistica: si indulgerà a vani effetti di colore solo se si
produrranno opere prive di riferimento a spazi architettonici essi stessi
colorati.” [101]
Fig. 14) La traduzione italiana di Michele Dantini (Nike Editions, Segrate, 1998) |
E proprio per studiare la scultura che Klinger si reca a Roma. Se la
produzione scultorea (a partire dalla seconda versione della Nuova
Salomè, che è del 1893, e dunque viene realizzata al suo ritorno a Lipsia)
appartiene ad una fase successiva, dell’esperienza di studio romana rimane
un’impronta di netta derivazione classica. Scrive de Chirico: “La scultura di
Klinger è assolutamente classica. Egli tentò in molte statue policrome, come in
quella meravigliosa Cassandra
[n.d.r.: un tema riproposto più volte] di ritrovare l’emozione della statua
gioiello, quale deve essere stata in Grecia nelle epoche auree. (…) Cercò
sempre, anche col marmo, di fissare la figura umana nel suo aspetto spettrale
ed eterno, di farla sorgere quale apparizione, non destinata al momento che
fugge, ma appartenente al passato ed al futuro, apparizione già stata e
ventura.” [102]
Raumkunst: l’"arte
spaziale" dell’avvenire, quasi un’installazione
Pittura e disegno ci offre con il termine Raumkunst la chiave di lettura per l’opera più famosa ed anche più
contestata di Klinger: il Beethoven
del 1902, una statua gigantesca (alta tre metri) i cui primi studi furono
avviati nel 1885 a Parigi. È un gruppo statuario policromo e polimaterico. È
realizzato con marmo di Sira (Grecia), marmo dei Pirenei, alabastro tirolese,
bronzo, avorio, vetro, agata, diaspro e madreperla.
A questi effetti coloristici della
statua si deve aggiungere che l’opera era esposta nella sede della secessione
di Vienna, insieme ai celeberrimi fregi beethoveniani di Klimt, nella forma di
un’installazione ad-hoc disegnata
dall’architetto Josef Hoffmann.
Raumkunst sta a significare l’unitarietà tra le arti. Il
termine Raum è di difficile
traduzione in italiano. Implica il concetto di spazio: ha la stessa radice
dell’inglese room, ma è usato anche
per parlare dello spazio interplanetare. Oggi in tedesco Raumkunst è utilizzato come equivalente di ‘arredamento’:
un’accezione che non corrisponde al significato assai più vasto con cui lo
usava Klinger.
Figg. 15 e 16) La statua di Max Klinger al centro dell’installazione di Josef Hoffmann, con i fregi di Klimt (XIV mostra della Secessione di Vienna, Palazzo della Secessione, 1902) Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/dkd1902/0191?sid=793344a9dded1f519077659a8db759dd |
Utilizzo l’espressione ‘arte spaziale’, pur sapendo che il termine fu usato
in tutt’altro senso da Lucio Fontana a metà ‘900. Dantini parla di “Arte
monumentale”, Fiona Elliot e Christopher Croft hanno preferito lasciare Raumkunst ed aggiungere in nota: “Per
Klinger il termine Raumkunst, che
letteralmente significa ‘arte in una stanza’ o ‘arte spaziale’ e che non ha una
traduzione adeguata in questo contesto, comprende in questo senso sia gli interni affrescati di un edificio sia l’opera d’arte totale che Klinger voleva creare nel
suo proprio lavoro.” [103] L’arte spaziale comprende in questo senso tutte le
arti - pittura, scultura ed architettura - e ripristina, con il colore come
elemento centrale, l’unità che era stata propria dell’arte classica ed aveva
trovato l’ultima espressione, sia pur limitata, nel rococò. Un articolo di
Joseph August Lux del 1902 affronta il tema della Raumkunst e offre delle foto splendide di tutte le opere
dell’installazione. [104]
Klinger si era già posto il problema della Raumkunst fin dal 1883, cimentandosi con gli affreschi a villa
Albers, [105] trovandosi di fronte alla necessità di combinare arti diverse in
uno spazio a sviluppo orizzontale. Un problema che affrontò anche col Cristo
sull’Olimpo, iniziato a Roma nel 1889, e che lo tenne occupato fino al 1898.
Ecco che cosa scrive Klinger in Pittura e disegno: “Le norme cui attenersi, artistiche o meglio estetiche, variano se passiamo a considerare decorazione e pittura monumentale. Nell’uno e nell’altro caso non si tratta più di assicurare la compiutezza della rappresentazione e l’unità della singola opera in vista dell’effetto che esse devono produrre su di noi: il problema è divenuto quello dell’unità di uno spazio o se si preferisce del contesto in cui viene ad inserirsi l’intervento del pittore. È il contesto stesso, ora, a dover produrre l’effetto ricercato. È necessario che la rappresentazione si accordi al luogo e alla sua funzione e che l’equilibrio interno non vada perduto: l’accordo tra immagine, contesto e funzioni, infatti, non si realizzerà senza ricorrere a motivi simbolici o allegorici, [nota del traduttore: a meno che non si vogliano realizzare] semplici paesaggi o vedute di carattere meramente ornamentale [106]. Appena la superficie da dipingere travalica dimensioni modeste l’esigenza di una bella connessione reciproca tra forme e colori perde di significato: è decisivo che l’immagine sia esemplarmente chiara e leggibile nei significati, nella dimensione emotiva, nella partizione interna. Si ampliano i problemi commessi alla figurazione. La contiguità con architettura e decorazione obbliga già le singole figure ad assumere carattere allegorico, e sappiamo come per un pittore di allegorie l’abilità nel restituire idee in forma figurata non sia meno importante della bravura semplicemente pittorica.” [107]
Ecco che cosa scrive Klinger in Pittura e disegno: “Le norme cui attenersi, artistiche o meglio estetiche, variano se passiamo a considerare decorazione e pittura monumentale. Nell’uno e nell’altro caso non si tratta più di assicurare la compiutezza della rappresentazione e l’unità della singola opera in vista dell’effetto che esse devono produrre su di noi: il problema è divenuto quello dell’unità di uno spazio o se si preferisce del contesto in cui viene ad inserirsi l’intervento del pittore. È il contesto stesso, ora, a dover produrre l’effetto ricercato. È necessario che la rappresentazione si accordi al luogo e alla sua funzione e che l’equilibrio interno non vada perduto: l’accordo tra immagine, contesto e funzioni, infatti, non si realizzerà senza ricorrere a motivi simbolici o allegorici, [nota del traduttore: a meno che non si vogliano realizzare] semplici paesaggi o vedute di carattere meramente ornamentale [106]. Appena la superficie da dipingere travalica dimensioni modeste l’esigenza di una bella connessione reciproca tra forme e colori perde di significato: è decisivo che l’immagine sia esemplarmente chiara e leggibile nei significati, nella dimensione emotiva, nella partizione interna. Si ampliano i problemi commessi alla figurazione. La contiguità con architettura e decorazione obbliga già le singole figure ad assumere carattere allegorico, e sappiamo come per un pittore di allegorie l’abilità nel restituire idee in forma figurata non sia meno importante della bravura semplicemente pittorica.” [107]
Sul nudo
Qual è l’elemento di unità ultimo dell’arte totale? Disegno e pittura – come già detto – cita il colore, ma le ultime
pagine del pamphlet sono legate al nudo. È la figura umana, svestita, ad essere
l’unità di misura comune all’arte ed alle sue proporzioni. Non a caso
Beethoven, nella scultura viennese del 1902, è ritratto nudo.
Si tratta di un tema che – come osserva Marsha Morton [108] - lega Klinger
non solamente agli elementi più classicheggianti degli artisti a lui
immediatamente precedenti (von Mareés, Hildebrand, Fiedler) ma anche alla
riflessione estetica dei suoi contemporanei francesi (Pissarro, Seurat,
Cezanne). È certo che quelle pagine sono la fonte diretta d’ispirazione del
manuale “Apprendere la pittura” di
Lovis Corinth.
“Tutto, in arte, ruota attorno alla figura umana: il corpo è termine
generale di confronto [nota del traduttore: da cui originano le arti per i loro
sviluppi successivi [109]]. Una corretta impostazione della questione
stilistica può derivare unicamente dalla soluzione delle difficoltà connesse
alla sua rappresentazione. Un’opera d’arte, non importa se dipinto o scultura,
edificio o elemento d’arredo discende dalla figura umana in ogni sua parte e
nel modo più intimo: sia la brocca sia il capitello le sono, ad esempio,
proporzionali.” [110]
“Si pone adesso spontaneamente una
domanda: è nata prima l’arte del sarto o la pruderie?
Non possono esserci dubbi: per chi desideri affrontare correttamente il
problema più difficile e prestigioso – la rappresentazione del nudo –
l’osservazione di modelli non impacciati da panni e stracci è condizione
essenziale. Non vogliamo che il nudo popoli l’arte sempre e comunque, senza
necessità, né discernimento: ma è necessario che sia riconosciuto il suo
diritto, senza falsa vergogna o ipocrite tutele di una stupida innocenza,
laddove la raffigurazione di una figura svestita risulti appropriata e
figurativamente conseguente.” [111]
Ecco come Klinger affronta, non senza qualche imbarazzo, la questione della
sessualità: “Il durevole innalzamento di una massa slanciata e pesante insieme,
poggiante su due elementi deformabili in tre direzioni, costituisce un
difficile problema di meccanica. Il nostro corpo ha
per di più un baricentro elevato e molto mobile: se trasporta, sostiene un
difficile problema di meccanica. La parte superiore del corpo si adatta
costantemente a quella inferiore, ed è solo da questa capacità di adattamento
che discende sicurezza nei movimenti. Tutte le possibilità di configurazione e
movimento del corpo si definiscono nel bacino e all’interno del suo perimetro,
tra le sue estremità sporgenti. Nel bacino si riflettono tutti i tipi di
movimento e perfino la costituzione del singolo corpo, snello o massiccio,
vigoroso o esile.” [112] “Il lembo di stoffa che usualmente copre le presunte
vergogne e perfino l’incredibile foglia di fico rompono l’unità dei corpi e
spezzano la continuità esistente tra torso e gambe: è a causa dei rimedi che i
nostri nudi sembrano così brutti! È del tutto conseguente alla nostra mancanza
di cultura il fatto che non arriviamo a riconoscere simili orrori come ingiurie
portate alla natura.” [113]
Klinger e la tentazione del
simbolismo in pittura
Il quadro teorico è dunque chiaro: da un lato pittura, dall’altro disegno,
come generi separati, che non ammettono confusione. L’arte totale ha bisogno
della scultura policroma, e si avvarrà in futuro di nuove tecnologie.
Max Klinger si attenne sempre a questa categorizzazione? No, non sempre. Il
quadro teorico fu messo per iscritto per la prima volta nei diari nel 1883. Ma il
giovane artista voleva riservarsi spazi di libertà.
Un esempio: secondo il pamphlet il simbolismo si applica al disegno e
all’arte totale, non alla pittura in quanto tale: “È chiaro, alla luce di
quanto si è esposto, che alla pittura sono preclusi l’allegorico, il fiabesco,
l’eccessivamente fantastico [das
Überphantastische]: in breve tutto quanto spinga la mente dell’osservatore
via dal quadro in una direzione speculativa. Solo le opere dei maestri
comunicano un senso di profonda pace interiore e segnano il limite di
perfezione cui può giungere chi dipinge: limite di perfezione raggiungibile
attraverso forme, colori, atteggiamenti e stati d’animo. Gli elementi
fantastici che è possibile ammettere non devono alterare nessuna delle quattro
componenti: non devono, in altre parole, venire meno ai principi di naturalezza
e di plausibilità su cui si regge la rappresentazione.” [114]
Ciò nonostante, gli esempi della pittura “fantastica” di Klinger sono numerosissimi. Non a
caso l’artista è passato alla storia più come pittore simbolista che come naturalista.
Il quadro “Legazione” in cui dei
trampolieri fanno visita ad una bella ragazza discinta, sdraiata nuda sulla
spiaggia, combina naturalismo e simbolismo. Alla fine del suo saggio, Marsha
Morton si rammarica del fatto che il pittore non abbia saputo trattenersi,
mancando di coerenza [115]. In fin dei conti si divertiva, e la verve del
pittore prevalse spesso sul teorico.
NOTE
[94] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 41
[95] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 36
[96] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 22
[97] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 39
[98] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 40
[99] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 41
[100] Il testo
tedesco “dem wir so merkwürdig zaudernd genenüberstehen“ viene tradotto in
senso negativo in italiano (“per cui abbiamo così tante riserve”) e positivo in
inglese “which we regard with such remarkable trepidation”). Il problema
principale è la traduzione del vocabolo “merkwürdig” che significa
letteralmente “degno di nota” (remarkable) ma che nel tedesco moderno è ormai
usato quasi solamente in senso negativo. Non così però necessariamente cento
anni fa: dunque il senso potrebbe essere positivo.
[101] Klinger, Max –
Pittura e disegno (citato), 1988, p. 21
[102] De Chirico,
Giorgio – Max Klinger (citato) p. 104.
[103] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 13
[104] Lux, Joseph August, Klinger's Beethoven und die
moderne Raum-Kunst, in: Deutsche Kunst und Dekoration 10, no. 1 (1902), pp. 475-482.
Si veda
http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/dkd1902/0191?sid=793344a9dded1f519077659a8db759dd
http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/dkd1902/0191?sid=793344a9dded1f519077659a8db759dd
[105] Streicher, Elizabeth - Max
Klinger's Malerei und Zeichnung: The Critical Reception of the Prints and Their
Text, in: Studies in the History of Art, Vol. 53, Symposium Papers XXXI:
Imagining Modern German Culture: 1889–1910 (1996), pp. 228-249. See:
http://www.jstor.org/discover/10.2307/42622157?sid=21105582739343&uid=3737864&uid=70&uid=2134&uid=4&uid=2, citazione a pagina 231
http://www.jstor.org/discover/10.2307/42622157?sid=21105582739343&uid=3737864&uid=70&uid=2134&uid=4&uid=2, citazione a pagina 231
[106] Testo originale: “wenn man nicht blos auf
eine landschafliche oder vedutenhafte Ausschmückung ausging“ (edizioni Thieme,
1903 e 1907, p. 18; edizione Reclam, 1985, p. 28)
[107] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, pp. 19-20
[108] Morton, Marsha – “Malerei und
Zeichnung”: The History and Context of Max Klinger’s Guide to the Arts, in:
Zeitschrift fü Kunstgeschichte, Anno 85, vol. 4 (1995), pp. 548
[109] Originale tedesco: “Der Kern- und Mittelpunky aller Kunst, and den sich alle Beziehungen
knüpfen, von dem sich die Künste in der weitesten Entwicklungen loslösen,
bleibt der Mensch und der menschliche Körper“. Edizioni 1903 e 1907 (Editore Thieme) alla pagina
52; edizione 1985 (Editore Reclam) alla pagina 48.
[110] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 42
[111] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 43
[112] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 44
[113] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 45
[114] Klinger, Max –
Pittura e disegno, (citato) 1988, p. 19
[115] Morton, Marsha – “Malerei und Zeichnung”(citato),
p. 568
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