Jacopo Aconcio
Trattato sulle fortificazioni
A cura di Paola Giacomoni
Con la collaborazione di Giovanni Maria Fara e Renato Giacomelli
Edizione e traduzione di Omar Khalaf
Firenze, Leo S. Olschki, 2011
[1] Jacopo Aconcio scrisse un Trattato sulle fortificazioni nel corso degli anni trascorsi in
Inghilterra. È lui stesso a farci sapere, in una sua lettera del novembre 1562,
che sta provvedendo a tradurre dall’italiano al latino un trattato
sull’architettura militare, dapprima (ma non sappiamo quanto prima) redatto in
italiano. La traduzione in latino ha lo scopo di rendere lo scritto fruibile a
un pubblico di natura più internazionale, e, naturalmente, in Inghilterra, dove
Aconcio è stato chiamato in virtù della sua fama di esperto del settore. Il
manoscritto latino prende il nome di Ars
muniendum oppidorum. Purtroppo, il manoscritto è andato perso. In anni
recentissimi, tuttavia, è stato ritrovato nell’Archivio della Petworth House
(segnatura HMC 143) un altro manoscritto, datato 14 giugno 1573. Si tratta
della traduzione dal latino all’inglese del trattato di fortificazioni,
traduzione operata da Thomas Blundeville (booke
of fortefyinge). I passaggi che si sono verificati sono dunque i seguenti:
a) redazione del trattato in italiano ad opera di Aconcio; b) traduzione
dall’italiano al latino sempre ad opera di Aconcio; c) traduzione dal latino
all’inglese, per mano del Blundeville; d) traduzione moderna (quella presente
in questo libro) dall’inglese all’italiano (con testo a fronte) del testo di
Blundeville. Edizione e traduzione moderna sono a cura di Omar Khalaf.
Naturalmente, non giureremmo sul fatto che, in tutti questi passaggi, il testo
non abbia subito più o meno involontarie modifiche o stravolgimenti.
Pianta di circuito urbano con fronti bastionati a cortine ritirate e piattaforme intermedie, e con cittadella quadrilatera Fonte: Figura 26 del libro (per gentile concessione dell'Editore) |
[2] Teologo, giurista, filosofo: non ci saremmo mai
aspettati che Jacopo Aconcio avesse scritto un trattato di fortificazioni.
Eppure, pur non essendo un ingegnere militare, Aconcio aveva una buona
conoscenza della materia, conoscenza che, per sua stessa ammissione, gli
derivava dai soggiorni nelle corti del nord Italia (in particolare a Milano
attorno al 1555) e dalla frequentazione di ingegneri addetti alle
fortificazioni delle città (cfr. pp. 40-41). Ed è proprio questa conoscenza che
gli permette, in un’esistenza di forzati spostamenti dovuta alle sue
convinzioni religiose eterodosse, di trasferirsi in Inghilterra nel 1559, al
servizio della regina Elisabetta I, col compito di occuparsi della costruzione
della fortezza di Berwick, baluardo contro un possibile attacco
franco-scozzese.
[3] Proprio per la poliedricità degli interessi di
Aconcio, il libro è un lavoro a tre mani. Nell’introduzione Paola Giacomoni si
sofferma soprattutto sulle analogie fra il trattato di fortificazioni e lo Stratagemata Satanae, testo religioso
pubblicato da Aconcio nel 1565 che, come il titolo stesso fa intuire, condivide
aspetti anche lessicali con il booke of
fortefyinge. Segue Renato Giacomelli,
con La riflessione metodologica di Jacopo
Aconcio nel trattato sulle fortificazioni; qui ci si confronta di più con il
filosofo, autore nel 1558 del De methodo.
“Il De methodo rappresentava un
manifesto programmatico di rifondazione delle arti e delle scienze e la sola
trattazione teorica appariva allo stesso Aconcio insufficiente per dimostrarne
le effettive potenzialità pratiche” (p. 23). Proprio per questo “Aconcio
annunciava… la preparazione di alcuni esempi di trattazione metodica, ovvero
l’elaborazione di alcune arti secondo i precetti metodologici” (ibidem). Non vi è dubbio che il trattato
di fortificazione rientri a pieno titolo in questo tentativo di sollevare ad
arte una disciplina fino ad allora particolarmente incline alla descrizione
esclusivamente ingegneristica delle tecniche: uno scritto, dunque, che astragga
dal caso particolare a favore della sistematicità della trattazione.
Veduta prospettica di fronte bastionato con raddoppiamento dei fianchi e indicazione delle linee di tiro Fonte: Figura II del libro (per gentile concessione dell'Editore) |
[4] Dell’esame del manoscritto dal punto di vista più specifico
dell’architettura militare si occupa invece Giovanni Maria Fara in Il booke of fortefyinge e l’architettura militare al tempo di
Aconcio. “Lo Jacopo esperto di fortificazione non è un condottiero o un
uomo d’armi; in senso compiuto nemmeno un progettista o costruttore di
fortezze” (p. 60). Aconcio è “certo non originale per le soluzioni offerte,
che, ancora una volta, si basano sulla trattatistica italiana a lui precedente
(e quindi, di nuovo de’ Zanchi, Lanteri, Cataneo, Maggi e Castriotto); ma è in
parti come queste che emerge con nettezza… il suo ruolo di mediatore presso
un’altra lingua e cultura di una tradizione culturale e tecnica che si era
venuta a formare sotto i suoi occhi” (ibidem).
Proprio avendo riguardo alle fonti, Fara, ben conscio che è Aconcio stesso che
dice di aver quasi completato la traduzione del trattato in una lettera del
1562, ritiene tuttavia di dover spostare in avanti di qualche anno la
compilazione dello stesso: “le fonti precisamente riprese dall’Aconcio, che
sono stato in grado di riconoscere, riguardano tutte trattati di architettura
militare di area nord-italiana, stampati fra Venezia e Brescia fra il 1557 e il
1564” (p. 44 n. 4). Da ricordare che, oltre agli autori sopra citati, Aconcio
non disdegna di rivolgere la sua attenzione anche alle fonti classiche, e in
particolare a Vitruvio e a Palladio Rutilio Tauro Emiliano, recuperati
tramite le Annotationes a Vitruvio di
Guillaime Philandrier.
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