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venerdì 9 gennaio 2015

Jacopo Aconcio. Trattato sulle fortificazioni. A cura di Paola Giacomoni. Firenze, Leo S. Oschki, 2011

English Version


Jacopo Aconcio
Trattato sulle fortificazioni

A cura di Paola Giacomoni
Con la collaborazione di Giovanni Maria Fara e Renato Giacomelli
Edizione e traduzione di Omar Khalaf

Firenze, Leo S. Olschki, 2011


[1] Jacopo Aconcio scrisse un Trattato sulle fortificazioni nel corso degli anni trascorsi in Inghilterra. È lui stesso a farci sapere, in una sua lettera del novembre 1562, che sta provvedendo a tradurre dall’italiano al latino un trattato sull’architettura militare, dapprima (ma non sappiamo quanto prima) redatto in italiano. La traduzione in latino ha lo scopo di rendere lo scritto fruibile a un pubblico di natura più internazionale, e, naturalmente, in Inghilterra, dove Aconcio è stato chiamato in virtù della sua fama di esperto del settore. Il manoscritto latino prende il nome di Ars muniendum oppidorum. Purtroppo, il manoscritto è andato perso. In anni recentissimi, tuttavia, è stato ritrovato nell’Archivio della Petworth House (segnatura HMC 143) un altro manoscritto, datato 14 giugno 1573. Si tratta della traduzione dal latino all’inglese del trattato di fortificazioni, traduzione operata da Thomas Blundeville (booke of fortefyinge). I passaggi che si sono verificati sono dunque i seguenti: a) redazione del trattato in italiano ad opera di Aconcio; b) traduzione dall’italiano al latino sempre ad opera di Aconcio; c) traduzione dal latino all’inglese, per mano del Blundeville; d) traduzione moderna (quella presente in questo libro) dall’inglese all’italiano (con testo a fronte) del testo di Blundeville. Edizione e traduzione moderna sono a cura di Omar Khalaf. Naturalmente, non giureremmo sul fatto che, in tutti questi passaggi, il testo non abbia subito più o meno involontarie modifiche o stravolgimenti.

Pianta di circuito urbano con fronti bastionati a cortine ritirate e piattaforme intermedie, e con cittadella quadrilatera
Fonte: Figura 26 del libro (per gentile concessione dell'Editore)

[2] Teologo, giurista, filosofo: non ci saremmo mai aspettati che Jacopo Aconcio avesse scritto un trattato di fortificazioni. Eppure, pur non essendo un ingegnere militare, Aconcio aveva una buona conoscenza della materia, conoscenza che, per sua stessa ammissione, gli derivava dai soggiorni nelle corti del nord Italia (in particolare a Milano attorno al 1555) e dalla frequentazione di ingegneri addetti alle fortificazioni delle città (cfr. pp. 40-41). Ed è proprio questa conoscenza che gli permette, in un’esistenza di forzati spostamenti dovuta alle sue convinzioni religiose eterodosse, di trasferirsi in Inghilterra nel 1559, al servizio della regina Elisabetta I, col compito di occuparsi della costruzione della fortezza di Berwick, baluardo contro un possibile attacco franco-scozzese.

[3] Proprio per la poliedricità degli interessi di Aconcio, il libro è un lavoro a tre mani. Nell’introduzione Paola Giacomoni si sofferma soprattutto sulle analogie fra il trattato di fortificazioni e lo Stratagemata Satanae, testo religioso pubblicato da Aconcio nel 1565 che, come il titolo stesso fa intuire, condivide aspetti anche lessicali con il booke of fortefyinge. Segue Renato Giacomelli, con La riflessione metodologica di Jacopo Aconcio nel trattato sulle fortificazioni; qui ci si confronta di più con il filosofo, autore nel 1558 del De methodo. “Il De methodo rappresentava un manifesto programmatico di rifondazione delle arti e delle scienze e la sola trattazione teorica appariva allo stesso Aconcio insufficiente per dimostrarne le effettive potenzialità pratiche” (p. 23). Proprio per questo “Aconcio annunciava… la preparazione di alcuni esempi di trattazione metodica, ovvero l’elaborazione di alcune arti secondo i precetti metodologici” (ibidem). Non vi è dubbio che il trattato di fortificazione rientri a pieno titolo in questo tentativo di sollevare ad arte una disciplina fino ad allora particolarmente incline alla descrizione esclusivamente ingegneristica delle tecniche: uno scritto, dunque, che astragga dal caso particolare a favore della sistematicità della trattazione.

Veduta prospettica di fronte bastionato con raddoppiamento dei fianchi e indicazione delle linee di tiro
Fonte: Figura II del libro (per gentile concessione dell'Editore)

[4] Dell’esame del manoscritto dal punto di vista più specifico dell’architettura militare si occupa invece Giovanni Maria Fara in Il booke of fortefyinge e l’architettura militare al tempo di Aconcio. “Lo Jacopo esperto di fortificazione non è un condottiero o un uomo d’armi; in senso compiuto nemmeno un progettista o costruttore di fortezze” (p. 60). Aconcio è “certo non originale per le soluzioni offerte, che, ancora una volta, si basano sulla trattatistica italiana a lui precedente (e quindi, di nuovo de’ Zanchi, Lanteri, Cataneo, Maggi e Castriotto); ma è in parti come queste che emerge con nettezza… il suo ruolo di mediatore presso un’altra lingua e cultura di una tradizione culturale e tecnica che si era venuta a formare sotto i suoi occhi” (ibidem). Proprio avendo riguardo alle fonti, Fara, ben conscio che è Aconcio stesso che dice di aver quasi completato la traduzione del trattato in una lettera del 1562, ritiene tuttavia di dover spostare in avanti di qualche anno la compilazione dello stesso: “le fonti precisamente riprese dall’Aconcio, che sono stato in grado di riconoscere, riguardano tutte trattati di architettura militare di area nord-italiana, stampati fra Venezia e Brescia fra il 1557 e il 1564” (p. 44 n. 4). Da ricordare che, oltre agli autori sopra citati, Aconcio non disdegna di rivolgere la sua attenzione anche alle fonti classiche, e in particolare a Vitruvio e a Palladio Rutilio Tauro Emiliano, recuperati tramite le Annotationes a Vitruvio di Guillaime Philandrier.

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