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mercoledì 7 gennaio 2015

Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini a Berlino. Recensione al catalogo della mostra di Berlino 2008

Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini a Berlino

Recensione a:
Fantasia ed operazione di mano: 
Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco

a cura di Wolf-Dietrich Löhr e Stefan Weppelmann

Monaco di Baviera, 
Hirmer Verlag e Musei di Stato di Berlino, 2008


Fig 1) Il catalogo della mostra di Berlino, 2008


Antefatto 

Ci eravamo già confrontati con la fortuna di Cennino Cennini nel mondo di lingua tedesca. Avevamo iniziato recandoci virtualmente nella Vienna del 1871, dove un giovanissimo Albert Ilg tradusse per la prima volta in tedesco il Libro dell’Arte [1], inaugurando la prima vera collana di fonti di storia dell'arte (le Fonti di storia per la storia dell’arte e della tecnica del medioevo e del rinascimento, ovvero Quellenschriften für kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Renaissance). Circa quarant’anni dopo, nel 1914, aprendo il ciclo universitario sulle fonti di storia dell’arte a Vienna, Julius von Schlosser – un altro membro della scuola viennese di storia dell’arte – tornò sull’argomento, dedicando a lui un capitolo alla conclusione del suo primo quaderno sulle fonti, quello sul medioevo [2]. 

In un altro articolo abbiamo poi visitato il Monastero Benedettino di Beuron, nella Selva Nera, dove il monaco-pittore olandese Jan Verkade, allievo di Gauguin e membro dei Nabis, curò nel 1914, durante la Prima Guerra Mondiale, una seconda traduzione in tedesco, pubblicata a Strasburgo, ancora tedesca per solo due anni, nel 1916 [3]. 

Facendo un salto avanti nel tempo, arriviamo – con la terza tappa - a Monaco di Baviera tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. In quegli anni, nella locale Università, Rudolf Kuhn dedica a Cennino Cennini e a Leon Battista Alberti una ricca serie di scritti comparati, tutti pubblicati su Internet [4]. 

La lingua è la stessa, ma i tre contributi non potrebbero essere più diversi tra loro. In un'epoca caratterizzata da un senso positivista di progresso, Albert Ilg non ha alcuna indulgenza per Cennino, cui imputa l’incapacità di apprendere la lezione delle nuove correnti umanistiche di Firenze e Padova, ed in particolare il nuovo modo di far arte del primo Rinascimento. Non solamente Cennino è uomo del passato, secondo Ilg, ma addirittura il suo unico merito è di averci fatto conoscere i segreti della tecnica di un mondo ormai morto, quello di Giotto, di cui - senza di lui - avremmo perso ogni memoria. Seguendo le teorie di critica letteraria del Vossler, von Schlosser lo corregge: Cennino è sì uomo del passato, ma ha il merito di aver inventato il moderno lessico della critica d’arte, sia quello tecnico sia quello estetico. Per Verkade, invece (un seguace delle teorie estetiche del pittore e scrittore Maurice Denis, ispirate a Gauguin e Renoir, ed al tempo stesso un membro della scuola artistica beuronese), Cennino è addirittura un uomo moderno in tutti i sensi, un lontano predecessore del sintetismo post-impressionista, uno degli ultimi pittori di un mondo artistico religioso che non si dedicava esclusivamente al bello, ma anche al vero (inteso anche in senso religioso) e può dunque aprire la strada ad una nuova arte moderna spirituale. Con Kuhn - grande cultore del rinascimento e studioso della composizione pittorica - si torna ad una lettura limitativa di Cennino, il cui concetto di composizione non è affatto – né lo potrebbe mai essere a suo parere - all'altezza di quello dell'Alberti, il vero inventore del concetto di composizione, che pur lo segue di una sola generazione: Cennino è dunque privo di capacità sistematica in termini estetici ed appartiene ad un mondo antico. 

Quel che è comune alle tre tappe è l’interesse per Cennino come punto di transizione tra due età, e quel che più conta è appunto o l’arte che lo ha preceduto (il retaggio di Giotto) oppure l’arte che lo seguirà (l’anticipazione del Rinascimento o addirittura dell’arte moderna). Sembra invece essere abbastanza limitato l’interesse a collocare Cennino precisamente nel suo tempo, nei decenni alla fine del Trecento e all’inizio del Quattrocento. 


L’ultima tappa 

Il presente post – l’ultimo dedicato alla fortuna di Cennino Cennini nel mondo tedesco - ci porta a Berlino, dove nel 2008 si è tenuta una mostra a lui dedicata [5]. 

La prima parte del titolo (della mostra e del catalogo), ovvero “Fantasia ed operazione di mano”, è una famosa citazione dal Libro dell’Arte sulle due componenti di ogni attività artistica. La seconda (“Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco”) lega Cennino alla tradizione pittorica toscana dei decenni che vanno dalla metà del Trecento al primo quarto del Quattrocento. Dunque, la mostra colloca Cennino precisamente nella sua epoca. Non ho avuto la fortuna di visitarla, ma il catalogo (a cura di Wolf-Dietrich Löhr e Stefan Weppelmann) è davvero una monografia polifonica di grande spessore. Ed è un peccato che non ne esista una versione inglese, dedicata al pubblico non tedesco. 

Va subito detto che questa quarta tappa tedesca della fortuna di Cennino ignora del tutto le tre precedenti, perché alla sua origine non vi sono né Ilg né Schlosser né Verkade e neppure Kuhn, ma piuttosto lo studioso ungherese (e fiorentino d'adozione) Miklós Boskovits, ed un suo saggio su Cennino Cennini pittore non conformista del 1973 [6]. Non a caso, la mostra di Berlino è stata preceduta da un convegno su Cennino Cennino e ‘l’arte del dipignere’, tenutosi a Berlino il 12 gennaio 2007, e a cui partecipò anche Boskovits [7]. Mi si consenta dunque una parentesi su Boskovits tra Budapest e Firenze, prima di tornare a Berlino. 


Fig. 2) Cennino Cennini, Santo vescovo (a sinistra) e Santo Papa (a destra) © SMB, Gemäldegalerie



Miklós Boskivits ed il suo “Cennino Cennini, pittore non conformista” del 1973 

Miklós Boskovits, grandissimo conoscitore della pittura toscana tra la fine del Trecento ed il primo Quattrocento, ha già pubblicato varie opere su quel periodo quando, nel 1970, decide di lasciare clandestinamente l’Ungheria, a 35 anni, per stabilirsi in Italia. In Italia era già stato nel 1967-1968, grazie alla prestigiosa borsa di studio “I Tatti Fellowship” dell’Università di Harvard [8]. Dal 1970 al 1973 riesce ad ottenere per tre anni consecutivi la medesima borsa di studio, che gli consente di approfondire gli studi sulla pittura fiorentina nei decenni tra il 1370 ed il primo quattrocento. In seguito diviene docente e poi professore universitario in Italia, dove si dedica in particolare all’arte fiorentina (Corpus della pittura fiorentina). È scomparso nel 2011. 


Fig. 3) Cennino Cennini – Santo vescovo (particolare)
Fonte: Catalogo della mostra di Berlino


Fig. 4) Cennino Cennini, Sant’Agostino, Poggibonsi, Convento di San Lucchese (particolare)
Fonte: Fondazione Zeri (http://www.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17475.jpg)

Al termine dei tre anni della borsa di studio, Boskovits pubblica nel 1973 un saggio su “Cennino Cennini pittore non conformista”. L’anno precedente aveva già tenuto una conferenza sul tema: “Chi era Cennino Cennini?” [9]. Non sorprende certo, in uno studioso ungherese, che uno dei suoi primi interessi, non appena giunto in Italia, riguardi l’identificazione delle opere di Cennino, che – come sappiamo – era certamente un punto di riferimento per l’arte ungherese della prima metà del Novecento. Ed è anzi probabilmente nel corso degli anni 60-70 – ovvero all’apice della guerra fredda – che viene prodotto un samizdat (ovvero un libro clandestino) dattiloscritto contenente la traduzione anonima in ungherese del Libro dell’arte di Cennino. Si tratta della trascrizione di un testo manoscritto precedente, steso nell’ortografia ungherese in uso prima del 1954. Anche se non siamo ancora in grado di identificare tutti i retroscena, lo studio di Cennino e forse dell’intera pittura trecentesca fiorentina è legato, nell’Ungheria degli anni 60-70, al dissenso politico contro il regime di Kádár. Boskovits deve provenire da quel mondo. 

Il testo del saggio di Boskovits su Cennino inizia con il racconto di un incontro che aveva avuto “alcuni anni or sono” con la defunta storica dell’arte Klara Steinweg (attiva per decenni a Firenze, e deceduta nel 1972), e dunque forse durante la sua prima permanenza a Firenze nel 1967-1968: la Steinweg gli mostra a Berlino due pannelli laterali (Fig. 2) di un polittico allora attribuito a Spinello Aretino, raffiguranti due religiosi (Boskovits scrive: forse Sant’Agostino e S. Gregorio Papa; oggi nel catalogo di Berlino si parla di un santo vescovo e di un santo papa). Secondo la Steinweg i due pannelli potevano far parte in origine di un polittico, di cui un’altra parte, raffigurante Sant’Orsola, è conservata negli Stati Uniti ed è attribuita con sicurezza ad Agnolo Gaddi, maestro di Cennino. (Fig, 5) Varie ragioni (la medesima cuspide; la stessa altezza delle figure rispetto alla cuspide; le stesse caratteristiche tecniche del retro) facevano pensare alla Steinweg che si trattasse di un’opera comune portata a termine da due artisti diversi: Spinello e Agnolo. 

Vorrei qui subito anticipare alcuni aspetti dell’attribuzione del polittico a Cennino ed Agnolo. Primo, Boskovits – nella sua opera del 1973 - concorda che le tre tavole appartengano allo stesso polittico, ma ritiene che le due figure maschili siano opera di Cennino Cennini, e non di Spinello Aretino. Secondo, Boskovits ripete questo giudizio nel suo catalogo delle opere trecentesche presenti nelle collezioni di Berlino nel 1987 [10]. Anche Federico Zeri esprime la stessa opinione. Terzo, Laurence Kanter (curatore della Yale University Art Gallery) identifica una quarta tavola dello stesso polittico, che attribuisce ad Agnolo Gaddi [11]. Disgrazia vuole che questa quarta tavola non possa essere più rintracciata (e dunque esaminata) e che di essa rimangano solamente foto in bianco e nero nel catalogo Sotheby di un’asta tenutasi a New York nel 1982 (nessuna immagine è presente su Internet) [12]. Quarto, Stefan Weppelmann, in un saggio interamente dedicato a ricostruire il polittico [13] conferma l’appartenenza delle quattro tavole al medesimo polittico e l’attribuzione delle due figure maschili a Cennino e delle figure femminili ad Agnolo. 


Fig. 5) Agnolo Gaddi, Sant'Orsola, Santa Barbara Museum of Art
Fonte: http://www.artfixdaily.com/images/pr/1946_6745x1200.jpg


L’attribuzione del santo vescovo e del santo papa di Berlino a Cennino nel 1973 è molto importante. È da qui che Boskovits parte in un’affascinante ricerca della produzione pittorica di Cennino che – con il Libro dell’Arte in mano, come un novello Schliemann alla ricerca di Troia sulla base del testo dell’Iliade – lo conduce a discutere sull’attribuzione di alcune decine di dipinti ed affreschi, in alcuni casi assegnandoli a Cennino Cennini ed in altri casi respingendo quell’attribuzione. 

Boskovits avvicina le due figure religiose di Berlino (si veda il confronto tra le figure. 2 e 3) a quel che rimane del ciclo di affreschi del Convento di San Lucchese a Poggibonsi (figure 6, 7, 8 e 9). 


Fig. 6) Cennino Cennini, Demonio scambia santo Stefano in fasce con un altro neonato, Ritrovamento e benedizione di Santo Stefano, Affresco di un pilastro nella navata, Convento di San Lucchese
Fonte: Foto Alinari, Fondazione Zeri, http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17482.jpg

Dalla lettura del Libro dell’Arte Boskovits deriva elementi per identificare lo stile pittorico di Cennino, che a suo parere non è per nulla un giottesco, è senz’altro agnolesco, ma contiene comunque importanti elementi stilistici di innovazione. Appunto, come dice il titolo, un pittore non conformista (siamo negli Anni Settanta: essere rivoluzionario va di moda).[14] 

Leggendo il Libro dell’Arte, Boskovits nota per esempio che “mentre in molti scritti trecenteschi la sorprendente verità delle immagini viene ritenuta il maggior pregio della pittura di Giotto e dei suoi discepoli, Cennino si mostra piuttosto indifferente di fronte al problema dell’illusionismo pittorico” [15]. 

Fig. 7), Cennino Cennini, Santa Caterina d’Alessandria (particolare con la committente)
Affresco di un pilastro nella navata, Convento di San Lucchese
Fonte: Foto Alinari, Fondazione Zeri, http://www.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17480.jpg


Ed aggiunge: ‘’Comunque (…) quello di Cennino non è un credo realistico. Non mancano nel testo, è vero, gli incoraggiamenti al disegnare dal vero o da opere di grandi maestri, ma rimane il fatto che egli vedeva soprattutto nella fantasia creatrice la fonte dell’arte, l’espediente attraverso il quale si poteva giungere alla perfezione e formarsi uno stile autonomo.” [16] Ed aggiunge inoltre: “Il nostro maestro invece di prefiggere al lettore un’astratta idea di bellezza lo sollecita a divertire il pubblico: e così ti rimarrà un disegno vago, cha farai innamorare ogni uomo de’ fatti tuoi, scrive in conclusione al capitolo dedicato al disegno su tavola, e nella parte relativa all’uso dei colori indica come esempio Agnolo Gaddi che, a suo dire, colorì molto più vago e fresco che non fe’ Taddeo suo padre, un allievo diretto cioè di Giotto. Ai criteri della dignità e dell’equilibrio, vigenti nell’estetica del primo Trecento, il suo Libro contrappone l’idea della pittura varia, piacevole, fantasiosa, ed è indicativo che la parola ‘semplice’ venga usata nel suo testo in senso del tutto negativo”. [17] 

Dunque, Cennino Cennini per Boskovits è il pittore del bizzarro, del curioso, del grottesco, in altre parole il pittore della fantasia. Legato al gotico internazionale più che a Giotto. E dunque pittore del suo tempo: né un tardo riproduttore dell’arte dei decenni precedenti, né un anticipatore di quella successiva. 

E Boskovits così conclude, magistralmente: “Ammesso che il catalogo così ricomposto sia omogeneo e spetti, come mi pare praticamente certo, a Cennino Cennini, resta ancora da dire sulla posizione storica del pittore nell’arte del suo tempo. Forse se interpellati a questo punto non pochi lettori darebbero un giudizio essenzialmente negativo sui dipinti finora presentati e non ci sarebbe da meravigliarsi se qualcuno di quei colleghi che si riservano di studiare esclusivamente dei capolavori, giudicasse il nostro non meritevole di entrare nella schiera di eletti ricordati dalla storia dell’arte. Io vorrei però prendere la difesa del maestro colligiano e ricordare ai critici troppo severi le autorevoli parole di Benedetto Croce: ‘Coloro che assumendo di narrar storia si affannano a far giustizia condannando e assolvendo… sono manchevoli di senso storico’. (…) Quanto ora a Cennini, il caso del pittore che pur dichiarandosi erede spirituale di Giotto dipinge senza mostrare alcun rispetto alle norme stilistiche e regole formali del primo Trecento mi pare troppo singolare per non essere preso attentamente in considerazione.” 


Fig. 8) Cennino Cennini, San Giovanni Battista, Poggibonsi, Convento di San Lucchese (particolare)
Fonte: Fondazione Zeri, http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17479.jpg

“Cennino Cennini può essere considerato giottesco, eventualmente, in quanto pittore fiorentino o in quanto depositario di una vasta scala di nozioni sui materiali e metodi di lavoro, provenienti dalla bottega di Giotto. A parte però le questioni tecniche, il nostro non imitava, né credo si proponesse di imitare l’arte del suo grande predecessore. I suoi dipinti s’inseriscono fra quei fatti estrosi, talvolta addirittura espressionistici che si diffondono verso il penultimo decennio nella pittura fiorentina, costituendo l’ala estrema delle tendenze tardogotiche. L’atteggiamento di questi pittori che proprio alla vigilia del Rinascimento sembrano dimenticare i principi del disegno prospettico costruendo scenografie spazialmente incoerenti e creando rapporti completamente arbitrari fra le cose potrebbe apparire reazionario; non deve sfuggirci però che il rifiuto di certi schemi di rappresentazione poteva facilitare la ricerca di alcune verità di dettaglio. Si ricordi il consiglio di Cennino (che fu spesso frainteso dai commentatori moderni) di adoperare una pietra grezza come modello nel dipingere montagne, e le non poche testimonianze delle sue opere di una ingenua ma assai attenta ricerca naturalistica: la minuziosa descrizione dell’interno di una casa borghese nella Natività della Pinacoteca di Siena ad esempio, o il bel ritratto della committente in un affresco della Basilica di San Lucchese. Sono questi i brani di verità nei quali l’arte istintiva, fantastica e spesso grossolana di Cennino ci mostra il suo aspetto innovatore, dove tra i frammenti disordinati di una visione artistica s’intravvede il formarsi di qualcosa di nuovo.” [18] 


Fig. 9) Cennino Cennini, San Francesco d'Assisi (dettaglio)
Affresco di un pilastro nella navata, Convento di San Lucchese
Fonte: Foto Alinari, Fondazione Zeri, http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17477.jpg

Dunque, Cennino è letto da Boskovits come un pittore sperimentale in direzione espressionista. Un indirizzo, legato al gotico internazionale, che forse non ebbe grande successo nella Toscana del primo rinascimento – più ancorata alla tradizione classica – ma che lasciò tracce nell’arte a nord delle Alpi. È interessante notare che l’intreccio tra primitivi e espressionismo sembra oggi essere molto di moda, soprattutto nell’Europa del Nord. Si pensi alla mostra allo Städel di Francoforte che, proprio in questi giorni, si concentra su “Albrecht Altdorfer e l’espressività dell’arte intorno al 1500” [19] e (ovviamente) a Matthias Grünewald. 

Forse una delle ragioni per le quali Cennino non piacque (Vasari lo riteneva un pittore fallito) fu proprio questo suo sperimentalismo in una direzione che fu molto diversa da quella rinascimentale. 


La mostra di Berlino ed il suo catalogo 

È esattamente questo il retroterra culturale della mostra di Berlino, preparata da una serie di studiosi che hanno dimestichezza con Firenze, anche grazie all’Istituto culturale tedesco ivi stabilito [20]. La mostra è l’occasione per esporre i due pannelli cenniniani di Berlino, insieme alle opere del gotico toscano presenti nella capitale tedesca. I pannelli sono gli unici due quadri di Cennino presenti alla mostra. Del resto, di molte delle opere a lui attribuite non si conosce l’ubicazione. Sono state acquistate da gallerie private nel corso di aste antiquarie, e non sono più ricomparse. 

La mostra del 2008 è comunque anche l’occasione per presentare i risultati del già citato convegno italo-tedesco del 2007 e dunque di fare il punto sugli studi su Cennino Cennini e la sua epoca, consentendo in particolare un confronto tra la scuola tedesca e quella italiana. E – si può dire da subito – sembra quasi che a Cennino venga dato maggior credito in Germania, come artista ed intellettuale del suo tempo, di quanto non avvenga in Italia. Il catalogo è curato da Wolf-Dietrich Löhr (professore al Kunsthistorisches Institut di Firenze) e Stefan Weppelmann (direttore del Kunsthistorisches Museum di Vienna dopo una carriera come curatore per l’arte italiana a Berlino). 

Dalla lettura del catalogo si possono ricavare informazioni su quattro aspetti: (i) la biografia e l’opera artistica di Cennino, (ii) la sua collocazione nell’arte del suo tempo; (iii) il Libro dell’Arte, la sua origine e la sua fortuna, e (iv) il tema specifico dell’interazione tra fantasia ed operazione di mano. 


(i) La biografia e l’opera artistica 

Della vita di Cennino Cennini si possono forse identificare quattro fasi. Ad esse dedica un saggio lo storico dell’arte norvegese Erling Skaug (creò e diresse il Centro Nordico del Restauro a Firenze tra il 1967 ed il 1970, per recuperare almeno parte del patrimonio danneggiato dall’alluvione dell’Arno del 1966) [21]. 

Fig. 10) Cennino Cennini, Nascita di Maria, Museo Comunale, Colle Val d’Elsa
Fonte: Museo Bozar, Bruxelles, http://www.bozar.be/dbfiles/pfile/201410/pfile254528_activity14090.jpg

La prima è quella del lungo praticantato (dodici anni) nella bottega di Agnolo Gaddi a Firenze, una delle botteghe artistiche di maggior successo degli ultimi anni del Trecento. Dal momento che gli artisti iniziavano il loro praticantato a circa dodici anni, Cennino potrebbe aver lasciato la bottega ventiquattrenne. A questa fase giovanile Skaug attribuisce la tavola con la Nascita di Maria (figura 10) conservata al museo comunale di Colle Val d’Elsa (un’opera davvero bella e curiosa, che è esposta in questi giorni a Bruxelles in una mostra sull’arte senese [22]). Per una serie di considerazioni, Skaug avanza l’ipotesi che il praticantato di Cennino si concluda nel 1388, anno in cui sarebbe stato sostituito nella bottega di Agnolo Gaddi da Lorenzo Monaco. Se il ragionamento dello Skaug fosse vero, Cennino sarebbe nato intorno al 1364, sarebbe entrato nella bottega di Agnolo come garzone nel 1376 ed avrebbe firmato la prima opera come pittore indipendente all’età di 24 anni nel 1388. 

La seconda fase è quella in cui Cennino – che è ormai uscito dalla bottega – opera come pittore indipendente in Toscana, anche se continua ad avere rapporti regolari con Agnolo (che morì nel 1396). È esattamente del 1388 il ciclo degli affreschi a San Lucchese di Poggibonsi (figg. 6-9), contenente un’iscrizione che documenta che l’autore era un non meglio documentato pittore di Colle Val d’Elsa. Apparterrebbe agli ultimi anni ’80 del Trecento anche la Madonna col Bambino in un tabernacolo di Colle Val dell’Elsa (Fig. 11), dove il volto del bambino è stato però completamente ridipinto in una fase successiva. Sarebbe anche di questa fase il polittico già citato, formato dalle due tavole berlinesi di Cennino (Fig. 2-3), dalle due tavole di Agnolo, di cui una andata persa. 

La terza fase è quella padovana, documentata a partire dal 1398 e probabilmente conclusasi qualche tempo prima del 1405. Secondo la maggioranza degli studiosi, è in questi primissimi anni del nuovo secolo che – alla corte di Francesco Novello da Carrara – Cennino scrive il suo Libro dell’Arte, si sposa con una nobildonna padovana, ha un figlio e molto probabilmente è parte dell’entourage culturale della città, fortemente influenzato dal magistero petrarchesco. Skaug osserva che alcune metodologie descritte nel Libro (per esempio, le tecniche per dare una prima mano in gesso) sono documentate a Firenze solamente a partire dal secondo decennio del 1400, ed ipotizza che forse queste tecniche siano state introdotte prima a Padova e solamente dopo in Toscana [23]. Nonostante i tentativi di svariati storici dell’arte, non sono state ancora trovate opere di età padovana attribuibili all’artista di Colle Val d’Elsa. 

Il periodo padovano s’interrompe con l’invasione della città da parte dei veneziani nel 1405 e l’uccisione in prigionia di Francesco Novello da Carrara nel 1406. È improbabile che Cennino rimanga in città, ed è anzi verosimile che torni in Toscana, probabilmente nella città natale, Colle Val d’Elsa, allora parte dell’area controllata da Firenze. A quest’epoca sono attribuite, anche per motivi tecnici, la Madonna con bambino tra cherubini e serafini nella collezione d’arte del Monte Paschi di Siena (Fig. 12), la Madonna con bambino alla Galleria Baroni di Firenze (Fig. 13) e la Madonna con bambino di Milano, già alla collezione Algranti ed oggi non più reperibile (Fig. 14). 


Foto 11, Cennino Cennini, Madonna con bambino, Colle Val d’Elsa, tabernacolo nel Palazzo Vescovile
Fonte: Fondazione Zeri, http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17476.jpg


Fig 12) Cennino Cennini, Madonna con il bambino tra serafini e cherubini, Raccolta del Monte dei Paschi di Siena, Fonte: Monte dei Paschi di Siena, https://www.mps.it/NR/rdonlyres/6206A441-AAAB-4294-9658-80F83C90AF38/3804/XIV06.jpg


Fig. 13) Cennino Cennini, Madonna con bambino, (ex Collezione Baroni)
Fonte: Fondazione Zeri, http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/17600/17486.jpg


Fig. 14, Cennino Cennini, Madonna con bambino, Milano, Collezioni Algranti
Fonte: Fondazione Zeri, http://www.fondazionezeri.unibo.it/foto/40000/33200/32856.jpg

Skaug ipotizza che la carriera di Cennino si sia svolta lungo un trentennio, dal 1388 al 1418 circa, e che egli abbia fatto ricorso durante la sua carriera a modelli stilistici diversi, che non sono oggi più documentati. L’ultima traccia dell’artista è un documento che si riferisce probabilmente al figlio Andrea e notifica che, nel 1427, il padre Cennino era già morto. 

Come già menzionato, un ricco saggio di Steffan Weppelmann è dedicato al polittico berlinese, di cui rimangono solamente tre tavole (anche il retro era decorato, ma è assai difficile stabilire come) [24]. Babette Hartwieg – direttrice dei restauri per le collezioni d’arte pubbliche di Berlino – analizza in modo del tutto rigoroso le due tavole del vescovo e del papa e dimostra, usando metodi scientifici, che esse sostanzialmente rispecchiano con grande accuratezza esattamente le tecniche del Libro dell’Arte [25]. 


(ii) La collocazione di Cennino nell’arte del suo tempo 

Il primo saggio del catalogo [26], scritto dai due curatori del catalogo (Löhr e Weppelmann) si pone il problema di come Cennino stesso abbia concepito la propria identità artistica nei confronti dell’arte del suo tempo. Il Libro dell’arte contiene, infatti, proprio nelle prime pagine, un’esplicita dichiarazione di appartenenza alla scuola di Agnolo e – a ritroso, di generazione in generazione – di Taddeo Gaddi e Giotto, quest’ultimo visto come fonte ultima del rinnovamento dell’arte (la famosa traduzione dell’arte dalla maniera greco-bizantina a quella latina-toscana). La genealogia ha dunque qui una logica di legittimazione. L’affermazione dell’appartenenza alla scuola pittorica di Giotto-Taddeo-Agnolo viene poi ripetuta nel testo, al capitolo 67, questa volta assegnandole un ruolo evolutivo (la pittura di Agnolo viene descritta come molto più bella e fresca di quella del padre Taddeo). Il saggio si pone dunque il problema della genealogia come strumento identitario (la genealogia in arte distingue le epoche e gli stili nel corso del tempo), che da un lato serve a trovare legittimità nel passato e dall’altro offre invece una chiave evolutiva di modernizzazione della pittura. 

Una delle tesi centrali del catalogo è che la genealogia cenniniana non abbia affatto il compito di decretare la fissità dello stile tra le tre generazioni, ma al contrario serva a sancire l’inevitabilità della loro evoluzione in termini stilistici, nel quadro comunque di un sistema di valori universali che viene preservato dalla religione (la genealogia ha la sua origine ultima in San Luca, l’evangelista e, secondo tradizione, primo pittore della storia). Gli autori credono che il punto focale della genealogia non sia affatto Giotto (non siamo in presenza di un ‘revival’ di Giotto; Cennino non è un giottesco), ma piuttosto Agnolo – personalità di grandissimo successo nei suoi tempi – nel tentativo di creare nel lettore l’impressione di essersi confrontato con l’opera di un contemporaneo, del pittore più moderno dell’ultima generazione [27]. Erling Skaug azzarda l’ipotesi che il Libro sia stato scritto immediatamente dopo la scomparsa di Agnolo (1396), quasi a raccoglierne l’eredità presso il pubblico [28]. 


(iii) Le ragioni del Libro dell’Arte e la sua fortuna 

Il catalogo riflette le diverse interpretazioni sulle ragioni ultime della scrittura del Libro dell’Arte. Esistono almeno tre interpretazioni: la prima è che si tratti di un manuale per l’apprendimento dell’arte, scritto per un pubblico che include sia i discepoli nelle botteghe dei maestri sia un’èlite interessata alle cose artistiche; la seconda è che si tratti di un’opera di propaganda, scritta per legittimare il sistema medievale (Arte) che irreggimentava i pittori nel quadro delle corporazioni, anche a pena di sanzioni molto severe; la terza è che sia un trattato sull’arte commissionato dalla corte padovana. 

Se nell’introduzione al catalogo Lohr e Weppelmann sposano la prima tesi, quella storicamente più diffusa [29], i vari contributi discutono tutte le ipotesi. 

  • Hannah Baader del Kunsthistorisches Institut di Firenze [30] sottolinea il valore del Libro dell’Arte come testo tecnico concepito come manuale sistematico, basato sul concetto dell’arte come “deformazione della natura”, dunque sull’uso delle materie prime. Secondo la Baader, siamo dunque ben al di là di una semplice raccolta di ricette, almeno per due motivi: l’invenzione del lessico tecnico specialistico (un aspetto già sottolineato da Julius von Schlosser nel 1914); la preferenza per processi tecnologici efficienti ed efficaci rispetto a processi dai dubbi risultati (lo stesso Cennino critica apertamente l’attività di raccolta delle ricette da parte dei religiosi, e consiglia in alcuni casi l’acquisizione diretta dei colori sul mercato, invece della loro produzione manuale, quando i tempi della loro preparazione sono talmente lunghi e complessi da mettere a rischio i guadagni del pittore, come nel caso del cinabro). Si tratta di un testo pratico e tecnico, destinato all’apprendimento dell’arte, che viene definita come forma superiore di conoscenza, anzi di vera e propria scienza. L’autrice traccia paragoni con molti trattati tecnici dell’epoca, tutti dedicati a tradurre per iscritto la conoscenza orale degli anni precedenti. 
  • Fabio Frezzato – autore dell’edizione italiana del Libro dell’Arte del 2003, oggetto di numerose ristampe fino al 2009 - esclude invece che il Libro possa essere semplicemente considerato come un testo destinato agli artisti ed al pubblico di coloro sono interessati all’arte. Il suo saggio berlinese [31] rappresenta comunque un’evoluzione della posizione originaria, definita nell’introduzione al testo italiano del 2003. In quell’occasione Frezzato aveva proposto l’interpretazione del Libro come una specie di manifesto di tipo politico-istituzionale, scritto a richiesta della corporazione padovana (l’arte) per convincere i propri associati a seguire le regole amministrative dell’associazione: dunque un libro propagandistico, a difesa dell’arte come associazione obbligatoria tra artisti, e non sull’arte come manifestazione creativa dello spirito. Nel testo berlinese Frezzato ridimensiona questa tesi. Egli propone di interpretare il testo come un trattato enciclopedico sull’arte, scritto a richiesta della casa Carrara a Padova, e dunque un lavoro di eminente interesse artistico ed estetico, ma comunque non ad uso pratico di artisti o appassionati d’arte. 
  • La storica dell’arte padovana Giovanna Baldissin Molli si pone l’obiettivo di descrivere l’ambiente della corte di Padova in quegli anni. Ella propone in particolare di considerare i rapporti tra Cennino ed il pittore padovano Francesco Squarcione (1397–1468), più giovane di una generazione: fu il maestro di Mantegna. Squarcione potrebbe essere considerato, per tecniche utilizzate ed intenti pedagogici, come il vero erede di Cennino, e forse uno dei pochi ad avere davvero messo in pratica l’insegnamento del Libro
  • Victor M. Schmidt – dell’Università di Utrecht - discute funzioni e pubblico del Libro, rigetta l’ipotesi di Frezzato del 2003 e considera il pittore dilettante come l’ovvio destinatario a cui si rivolge Cennino. [32] Il cultore dilettante dell’arte è ben riconosciuto nella cultura dell’epoca (Dante, Vergerio, Petrarca, Boccaccio). 
Fig. 15) Francesco Squarcione, Polittico De Lazara, Padova, Museo Civico
Fonte: Wikimedia Commons
  • Le storiche dell’arte Alexandra Fingas e Katharina Christa Schüppel propongono una lettura organica della ricerca cenniniana in Italia e all’estero, da Tambroni agli ultimi anni [33]. 

Quanto alla fortuna del Libro dell’Arte tra Ottocento e Novecento, Erling Skaug la interpreta non tanto come conseguenza del fascino neo-gotico per l’arte medievale, quanto piuttosto come prodotto dell’industrializzazione della produzione dei colori nella metà dell’Ottocento (i colori furono per la prima volta venduti in tubetti) ed al conseguente declino della produzione artigianale. I nuovi prodotti si erano presto rivelati inaffidabili (seccavano troppo presto sulla tela). Inoltre “i pittori avevano perso il controllo sui materiali che utilizzavano e la conoscenza tradizionale sulle tecniche pittoriche più affermate era andata in oblio. Ciò creò appunto il desiderio di ritornare a metodi fidati e duraturi. Il Libro dell’Arte corrispose in modo perfetto a questo desiderio, dal momento che era uno strumento pratico per la scoperta dei segreti del passato.” [34] Oggi, aggiunge Skaug, l’interesse per il Libro è prevalentemente quello dei restauratori. 


(iv) Fantasia ed operazione di mano 

Una delle tesi centrali del catalogo – del tutto opposta a quella di Rudolf Kuhn, di cui si è detto – è che ‘fantasia’ ed ‘operazione di mano’ siano considerate da Cennino come entrambe parti dell’‘arte’: entrambe possono (e debbono) essere oggetto di insegnamento e sono dunque incluse nel Libro dell’arte [35]. Kuhn aveva invece teorizzato una chiara dicotomia tra i due elementi, attribuendo a Cennini solamente l’intenzione di occuparsi della parte manuale dell’arte e dichiarando che tutta la parte creativa dell’attività artistica era al di fuori del manuale, perché il suo insegnamento da maestro ad allievo era considerato impossibile. 

Se per Kuhn quello di Cennino era sostanzialmente un libro di ricette, per il catalogo berlinese è invece una discussione sistematica di (quasi) tutti gli aspetti dell’attività di bottega a cavallo dei due secoli. Mancano nel Libro, semmai, gli aspetti commerciali: ad esempio, in nessuna parte si parla del rapporto col committente [36]. Eppure, scrivono gli autori, era soprattutto nell’interesse dei committenti che le opere avessero gli alti standard di qualità professionale (ad esempio, che non si deteriorassero nel tempo) descritti da Cennini.[37] La spiegazione è che proprio in quegli anni cambia la committenza. I commercianti evolvono; non sono più imprese familiari. Si creano centri economici che hanno apparati decisionali complessi al loro centro e sono diffusi nel territorio attraverso succursali: nelle botteghe non si recano più i ricchi commercianti o i nobili di un tempo, ma i quadri intermedi (fidecommissari) e gran parte degli ordini sono ripetitivi, come testimoniato dalla contrattualistica in uso in quel tempo (la cosiddetta clausola forma et modo). [38] 

Anche l’enfasi in Cennino per alcuni aspetti che sono stati considerati come simbolo di conservazione culturale (ad esempio la raccomandazione di copiare i modelli del maestro) si spiegherebbe soprattutto col fatto che – all’affacciarsi del nuovo secolo – le botteghe cominciano ad attrezzarsi industrialmente per rispondere all’accresciuta domanda e quindi aumentare la produzione (insomma, una specie di esempio antesignano della specializzazione del lavoro alla Adam Smith, qualche secolo dopo). I garzoni devono specializzarsi ed eseguire lo stesso lavoro in modo che la bottega possa accelerare i tempi di produzione [39]. Insomma: succede loro quel che gli artigiani sperimentarono con la rivoluzione industriale. Ciò significherebbe, in ultima istanza, che Cennino è capace di rimanere al passo con i tempi; sono i tempi ad essere cambiati, e Cennino ad essi si adegua. 

Semmai, in quest’epoca di standardizzazione dell’opera pittorica, Cennino sarebbe il cultore non solo di una cultura manuale, ma anche della fantasia: un innovatore che è pienamente parte della cultura umanistica del suo tempo e che non esita ad entrare in territori inesplorati. 

Alla dicotomia tra lavoro di mano (Handwerk) e attività intellettuale (Denkwerk) dedica un saggio magistrale Wolf-Dietrich Löhr, che rivela una conoscenza profondissima della cultura di quei decenni. [40] Egli colloca Cennino all’interno dell’ambiente umanistico dell’epoca (Biagio Pelacani e Coluccio Salutati) che è normalmente associato a Leon Battista Alberti, e non a Cennino [41]. Spiega che i due poli entro i quali Cennino colloca la creazione artistica (operazione di mano e fantasia) derivano in essenza da S. Agostino (“contemplatio” ed “actio”), sono presenti in Petrarca (“manus” e “ingenium”) ed hanno in Cennino una portata molto maggiore di quel che spesso si pensa: “operazione di mano” non fa solamente riferimento alla manualità del dipingere, ma a tutta l’attività del corpo, incluso il rispetto di regole etiche. [42] Löhr elenca (ed è davvero una lettura sorprendente) tutti i passaggi del Libro in cui Cennino fa riferimento, per esempio, alle regole di buon comportamento sessuale, che il pittore deve adottare: parte di quel “vivere manualmente” che il contemporaneo Giovanni Gherardi descrive come fondamento della diversità dell’uomo rispetto agli animali. [43] In questo senso, l’operazione di mano non è affatto espressione di semplice attività artigiana, ma della scienza e della religione.[44] Mano e pennello non sono semplici strumenti di mera manualità, ma strumenti per consentire la qualità dell’opera d’arte (“peritia, experientia”), in linea con una concezione superiore dell’arte. [45] 

La dichiarazione dell’arte come scienza è la motivazione ultima dell’insegnamento progressivo di tecnica e conoscenza. È centrale, in questo senso, il concetto dell’importanza della pratica quotidiana del disegno, una pratica continua che da un lato deve essere basata sull’amore per l’arte e dall’altro deve creare piacere e diletto. Il valore morale dell’arte si traduce, d’altra parte, in una serie di prescrizioni che tendono a temperare non solamente i colori ed il pennello, ma anche il comportamento: non bere e non mangiare in eccesso; non affaticare eccessivamente le mani (anche per evitare ogni tremore); astenersi da pratiche sessuali prima di operazioni di particolare difficoltà (la doratura del vetro) [46], in modo tale che la mano possa rimanere leggera e disegnare in modo sicuro e veloce. Molti di queste prescrizioni hanno amplissimi paralleli – come Löhr spiega – nella cultura filosofica e medica di quel tempo. Dunque, non solamente la critica tradizionale avrebbe sottostimato il ruolo della fantasia (il potere di ‘disegnare nella mente’), ma non avrebbe nemmeno capito che l’espressione ‘operazione di mano’ ha un significato molto più vasto di quello che spesso si intende. 


Conclusioni 

Dalla lettura del catalogo si possono ricavare tre idee fondamentali. 

In primo luogo, Cennino non è un pittore conservatore, legato esclusivamente a schemi del passato ormai sorpassati, ma un uomo del suo tempo, pienamente integrato nelle riflessioni dell’umanesimo e capace di forme sperimentali nelle tecniche e nello stile. Il riferimento alla fantasia nel Libro dell’arte non è una mera formula retorica; e l’altro polo della riflessione cenniniana (l’operazione di mano) va molto al di là della semplice manualità artigianale. L’innovazione stilistica di Cennino si è però evoluta in direzioni diverse da quelle dell’arte italiana di quegli anni, e forse proprio alcuni aspetti sperimentali del suo linguaggio pittorico – in direzione dell’espressionismo del gotico internazionale – ne hanno determinato la progressiva marginalizzazione in termini stilistici in Italia, nel momento del grande successo della prima generazione del Rinascimento toscano. Di Cennino non è rimasto quasi nulla anche perché il suo ambiente non ne considerò l’opera pittorica come sufficientemente importante da doverne garantire la conservazione. 

In secondo luogo, alcune caratteristiche delle tecniche descritte - spesso considerate come una conseguenza di scarsa creatività (il lavoro ripetitivo, l’importanza della maniera, l’obbligo di adeguarsi ai modelli della bottega) - sono una diretta conseguenza dell’evoluzione delle pratiche di bottega in un mondo che evolve a grande velocità: la produzione pittorica acquista alcune caratteristiche industriali, legate anche all’ampliamento della domanda. Proprio la natura ‘tecnologica’ della produzione artistica impone a Cennino di tener conto delle conseguenze dei cambiamenti nel modello di funzionamento della società nel suo complesso. 

Infine, Cennino non è un pittore incolto ed isolato. La scrittura del Libro non fu affatto un’opera della vecchiaia mirata a racimolare qualche soldo o – peggio ancora – eseguita nel carcere delle Stinche a Firenze per riscattare qualche debito, ma prese forma in una delle corti più colte dell’umanesimo italiano, quella di Padova. Anche il riferimento agli aspetti etici e religiosi non è una semplice manifestazione di ingenuità, ma conferma l’interpretazione – da parte di Cennino - dell’attività artistica come un fenomeno complesso, che coinvolge sia l’intelletto sia il corpo, ed esige coerenza tra comportamenti ed ideali. 

In conclusione, il mondo tedesco rimane un terreno fertile di riflessione su Cennino Cennini. E rivela – oggi come in passato – quanto esso sia in grado di analizzare i temi fondamentali dell’arte e della cultura italiana con grande amore e competenza. 


NOTE

[1] Cennini, Cenninio - Das Buch von der Kunst oder Tractat der Malerei des Cennino Cennini da Colle di Valdelsa (Il Libro dell’Arte o il Trattato della Pittura di Cennino Cennini di Valdelsa), a cura di Albert Ilg, Vienna, Braumüller, 1871, p. 188

[2] Schlosser, Julius von - Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte (Heft 1): Mittelalter (Materiali per le fonti di storia dell’arte – Il medioevo), Vienna, Alfred Hölder, 1914

[3] Des Cennino Cennini Handbüchlein der Kunst (Il Libretto dell’Arte di Cennino Cennini), a cura di Willibrord Verkade, Strasburgo, Heitz e Mündel, 1916

[4] Si veda per esempio: Rudolf Kuhn - Cennino Cennini  - Sein Verständnis dessen, was die Kunst in der Malerei sei, und seine Lehre - vom Entwurfs- und vom Werkprozeß (Cennino Cennini – La sua interpretazione di quel che sia arte nella pittura e la sua dottrina del processo di ideazione ed esecuzione dell’opera d’arte), pubblicato in “Zeitschrift für Ästhetik und Allgemeine Kunstwissenschaft”, Vol. 36, 1991, pagine 104 – 153

[5] Il catalogo s'intitola “Fantasie und Handwerk – Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Malerei von Giotto bis Lorenzo Monaco", ovvero : “Fantasia ed operazione di mano. Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco”. È stato co-pubblicato dall’editore Hirmer di Monaco e dai musei pubblici di Berlino. Il catalogo è di 334 pagine, ha dimensioni di 22 x 28 cm, e contiene fra l’altro una pregevole bibliografia (pp. 305-325).

[6] Boskovits Miklós - Cennino Cennini - pittore nonconformista, in: Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 17. volume, N. 2/3 (1973), pp. 201-222, pubblicato dal Kunsthistorisches Institut di Firenze. Si veda: http://www.jstor.org/stable/27652330




[10] Boskovits, Miklós, Gemäldegalerie Berlin, Katalog der Gemälde, Frühe italienische Malerei, 1987, pp.22-23

[11] Kanter, Laurence B., Barbara Drake Boehm, Carl Brandon Strehlke, Gaudenz Freuler, Christa C. Mayer Thurman, e Pia Palladino, Painting and Illumination in Early Renaissance Florence, 1300–1450, New York, The Metropolitan Museum of Art, 1994, pp. 220-222

[12] Old Master Paintings, Sotheby Parke Berner (New York, 25.3.1982), New York, 1982, lotto 78

[13] Weppelmann, Stefan – “Storia o ffighura”Obiektstatus und Kontext der Berliner Tafeln Cenninis und Überlegungen zur Werkstatt des Agnolo Gaddi, (Storia o figura. Stato oggettivo e contesto delle tavole berlinesi di Cennini e considerazioni sulla bottega di Agnolo Gaddi), pp. 57-79

[14] Alcune delle pitture attribuite a Cennino sono qui riprodotte nella versione in bianco e nero delle foto Alinari, conservate nella Fototeca Zeri. Federico Zeri fu convinto sostenitore della paternità di Cennino http://www.fondazionezeri.unibo.it/catalogo/ricerca.jsp?apply=true&ordine_F=rilevanza&galleria=true&decorator=layout_S2&mod_AUTN_F=esatto&tipo_ricerca=avanzata&AUTN_F=Cennini+Cennino&componi_F=AND&percorso_ricerca=F&pagina=1

[15] Boskovits Miklós - Cennino Cennini... (citato), pp. 205-206

[16] Idem, p. 206

[17] Idem, p. 206

[18] Idem, p. 218-222



[21] Skaug, Erling – Eine Einführung in das Leben und die Kunst Cennino Cenninis (Un’introduzione nella vita e nell’arte di Cennino Cennini), pp. 45-55.


[23] Skaug, Erling – Eine Einführung in das Leben(citato), pp. 47-48

[24] Weppelmann, Stefan – “Storia o ffighura”,..,(citato)

[25] Hartwieg, Babette – Spurensuche. Technologische Beobachtungen, Untersuchungen und Schlussfolgerungen zu den Berliner Tafeln Cenninis (Alla ricerca delle tracce. Osservazioni tecnologiche, ricerche e conclusioni sulle tavole berlinesi di Cennino), pp. 81-101

[26] Lohr, Wolf-Dietrich e Weppelmann, Stefan - “Glieder in der Kunst der Malerei”.Cennino Cenninis Genealogie und die Suche nach Kontinuität zwischen Handwerkstradition, Werkstattpraxis und Historiographie, (“Un membro dell’arte della pittura”. Cennino Cennini e la ricerca della continuità tra tradizione artigianale, prassi di bottega e storiografia), pp. 13- 43

[27] Lohr Wolf-Dietrich e Weppelmann, Stefan - “Glieder  in der Kunst der Malerei”…, (citato), p. 23.

[28] Skaug, Erling – Eine Einführung in das Leben …, (citato), p. 47.

[29] Lohr Wolf-Dietrich e Weppelmann, Stefan -“Glieder  in der Kunst der Malerei”…, (citato), p. 22

[30] Baader, Hannah – Sündenfall und Wissenschaft. Zur Verschriftlichung künstlerischer Techniken durch Cennino Cennini (Peccato originale e scienza. Sulla scrittura delle tecniche artistiche da parte di Cennino Cennini), pp. 121-131

[31] Frezzato, Fabio – Wege der Forschung zu Cennino Cennini: Von den biographischen Daten zur Bestimmung des Libro dell’Arte (Percorsi per la ricerca su Cennino Cennini. Dai dati biografici alla destinazione del Libro dell’Arte), pp 133- 146

[32] Schmidt, Victor M. – Hypothesen zu Funktion und Publikum von Cenninis Libro dell’Arte (Ipotesi su funzione e pubblico del Libro dell’Arte di Cennini), p. 147

[33] Fingas, Alexandra e Schüppel, Katharina Christa – Cennino Cenninis Libro dell’Arte. Editionen und Literatur zum Buch von der Kunst und zum künstlerischen Œuvre Cenninis (Il Libro dell’Arte di Cennino Cennini. Edizioni e letteratura sul Libro dell’arte e sull’opera artistica di Cennini), pp. 225-235

[34] Skaug, Erling – Eine Einführung in das Leben…, (citato), p. 45

[35] Lohr Wolf-Dietrich e Weppelmann, Stefan - “Glieder  in der Kunst der Malerei”…, (citato), p. 14

[36] Idem, p. 24.

[37] Idem, p. 26.

[38] Idem, p. 29.

[39] Idem, p. 28

[40] Löhr Wolf-Dietrich – Handwerk und Denkwerk des Malers. Kontexte für Cenninis Theorie der Praxis (Lavoro di mano e attivitá intellettuale del pittore. Contesti per la teoria della prassi di Cennini), pp. 153-176.

[41] Löhr Wolf-Dietrich – Handwerk …(citato), p. 153.

[42] Idem, p. 154

[43] Idem, p. 155

[44] Idem, p. 157-159

[45] Idem, p. 160-163

[46] Idem, p. 166-167

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