Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 5
Lovis Corinth
La vita di Walter Leistikow.
Un frammento della storia della cultura a Berlino (1910)
Parte Seconda
(recensione di Francesco Mazzaferro)
[Versione originale: dicember 2014 - Nuova versione: aprile 2019]
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La lettura della Vita di Walter Leistikow, ma anche della corrispondenza di quel pittore, consente di identificare le molte caratteristiche contraddittorie della sua opera, ma anche del suo tempo. Sappiamo che Corinth voleva, in effetti, parlare non solamente di Leistikow, ma più in generale dell’arte a Berlino in quegli anni. Non a caso il titolo della biografia dedicata all’amico scomparso comprende anche le parole “Un frammento della storia della cultura a Berlino”. Possiamo quindi allargare le nostre considerazioni alle contraddizioni della produzione artistica di Leistikow nell’ambito degli eventi artistici di quegli anni, nella consapevolezza che era anche uno degli obiettivi di Corinth.
Del resto, non è dubbio del che Leistikow non avesse come obiettivo delle sue polemiche la Francia, ma la pittura ufficiale di Berlino, con il suo retaggio militarista-prussiano. E in maniera del tutto corrispondente e reciproca, uno degli argomenti che von Werner usava nei confronti della Secessione è che Leistikow aveva tradito le ragioni della Germania, traendo ispirazione dall’impressionismo francese. Dunque, per i suoi nemici, Leistikow era un traditore della patria. Cosa per nulla vera. Nel suo amore per la Scandinavia, Leistikow seguiva una tradizione profondamente tedesca: si pensi che l’inventore del paesaggismo moderno tedesco, Caspar Friedrich, aveva anch’egli studiato a Copenhagen e tratto grandi motivi d’ispirazione dal mondo nordico. Anche la scuola di Düsseldorf aveva riscosso l’interesse della Scandinavia, della Russia e degli Stati Uniti. E Berlino era un irresistibile polo d’attrazione per i nordici. Insomma, anche la più genuina tradizione tedesca era parte integrante di un mondo artistico dalle sfaccettature multiculturali, proprio alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Oggi la critica è unanime nel considerare l’autenticità della testimonianza personale di Corinth come la qualità maggiore della Vita. Sia Kertin Englert [39] nel 1995, sia Raimar Lacher [40] nel 2000 non possono fare a meno di notare che non vi sia un sufficiente distacco critico per poter formulare giudizi più diversificati. Insomma, a sentire Corinth tutto è acriticamente bello nella produzione di Leistikow. Anche la ricostruzione biografica è carente, specie nel documentare il periodo in cui i due non si conoscevano, o comunque non si frequentavano. Siamo dunque più in un contesto di elogio funebre che di critica artistica.
(recensione di Francesco Mazzaferro)
[Versione originale: dicember 2014 - Nuova versione: aprile 2019]
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La lettura della Vita di Walter Leistikow, ma anche della corrispondenza di quel pittore, consente di identificare le molte caratteristiche contraddittorie della sua opera, ma anche del suo tempo. Sappiamo che Corinth voleva, in effetti, parlare non solamente di Leistikow, ma più in generale dell’arte a Berlino in quegli anni. Non a caso il titolo della biografia dedicata all’amico scomparso comprende anche le parole “Un frammento della storia della cultura a Berlino”. Possiamo quindi allargare le nostre considerazioni alle contraddizioni della produzione artistica di Leistikow nell’ambito degli eventi artistici di quegli anni, nella consapevolezza che era anche uno degli obiettivi di Corinth.
Mi sembra necessario affrontare almeno tre quesiti, che indicano
altrettante contraddizioni dell’epoca.
1.
Un paesaggista, un pittore d’assalto o entrambe le
cose?
Il primo interrogativo riguarda la natura della produzione pittorica di
Leistikow: moderna o convenzionale? Siamo in presenza di un Landschaftsmaler, un paesaggista, nel
senso più stretto del termine, ossia di un pittore che sarebbe rimasto
prigioniero a tal punto del genere da non dipingere praticamente altro se non
paesaggi (se non nei primi anni di attività, intorno al 1889-1890, quando aveva
ancora 24-25 anni, come mostrato in due esempi nella monografia di Margrit
Bröhan [23]). Nulla che non fosse una scena tratta dalla natura, priva di ogni
presenza umana (se non ancora agli inizi). La divisione dell’arte in generi
distinti era una delle caratteristiche dell’accademismo tedesco dell’Ottocento,
e Leistikow sembra adeguarvisi, scegliendo di seguire per i suoi studi
proprio due paesaggisti e di non abbandonare mai il genere. L’intera
evoluzione stilistica del pittore - nato come tardo-romantico e poi realista,
quindi naturalista, divenuto poi simbolista e poi di nuovo tardo-romantico ed
impressionista – si svolge all’interno di un solo genere pittorico. Corinth non
sembra avvertire affatto il paradosso tra l’attività incessante che Leistikow
conduce per creare forme associative ed istituzionali volte a modernizzare la
vita artistica tedesca ed il fatto che la sua produzione sia sostanzialmente
monotematica. Anzi, Corinth scrive proprio il contrario: “Come artista
Leistikow non era però uno specialista. Se è vero che le immagini della foresta
del Grünewald sono quelle che più lo occuparono, il suo talento e i suoi viaggi
in tutte le stagioni dell’anno lo portarono anche a dipingere altri motivi.”
[24] E prosegue poi ad elencare i paesaggi della Danimarca e del resto della
Scandinavia ed altri dipinti di foreste a Fontainebleau.
Credo invece che il lettore – a differenza di Corinth – debba oggi porsi
seriamente il problema e cercare una spiegazione. La soluzione sta, a mio
avviso, nell’assumere la piena consapevolezza che il paesaggismo, in quei
decenni, contribuì in modo essenziale al rinnovamento artistico tedesco e
dell’area del mondo in cui Leistikow si muoveva: l’Europa del Nord, il mondo
anglosassone ed anche quello dell’Europa orientale. Vi fu dapprima
un’evoluzione dal romanticismo (Caspar David Friedrich) al naturalismo (Leibl,
Scuola di Düsseldorf) e quindi al simbolismo (Böcklin, Hodler). Il paesaggismo
tedesco fu ovviamente influenzato dal post-impressionismo francese ed europeo
(Gauguin, Cezanne, van Gogh), ma ebbe proprio in Leistikow un punto di contatto
privilegiato con il mondo scandinavo ed indirettamente – attraverso di esso –
con l’arte dell’Europa orientale e della Russia. E dall’esperienza del
paesaggismo europeo di quegli anni nacquero importanti esperienze anche negli
Stati Uniti.
Se il binomio pittura-natura caratterizza l’intera storia dell’arte, assume
sicuramente un’importanza centrale nella cultura della seconda metà dell’Ottocento
e del primo Novecento. Si tratta di un fenomeno che attraversa i confini ed è
figlio del romanticismo e delle sue variazioni. Intuitivamente, credo che la
moltiplicazione dei pittori che in quel periodo
rinunciano consapevolmente a riprodurre la figura umana ha un parallelo
(negli stessi anni) nello sviluppo della musica sinfonica, dove si afferma
l’indipendenza della notazione musicale dalla parola.
Ancora oggi, uno dei motti più usati nella cultura musicale tedesca è una
frase in italiano che Antonio Salieri aveva originariamente usato molto tempo
prima, nel 1786, in un ambiente completamente diverso, come titolo per una sua
opera buffa: “Prima la musica e poi le parole”. Salieri non poteva saperlo, ma
quello che nell’opera era soltanto un motto di sfida tra un musicista ed un
paroliere – conclusasi con l’accordo comune a comporre un’opera lirica di stile
italiano – divenne in seguito, nel mondo romantico, il cuore del problema della
musica sinfonica dell’Ottocento tedesco: la proclamazione della superiorità
della scrittura musicale sul canto, come strumento di manifestazione sonora dei
sentimenti, grazie al legame armonico tra musica e natura. In quel mondo il
canto rientrerà solamente come parte integrante della notazione musicale (si
pensi a Wagner). Si tratta di parallelismi che è facile rintracciare in tutto
il Nord-Europa (si pensi alla musica sinfonica in Scandinavia, da Grieg a Sibelius
e Nielsen, ed al paesaggismo di quei decenni nella stessa area).
Nel contesto pittorico, l’equivalente del motto sulla musica sinfonica
potrebbe dunque essere: “Prima la natura e poi gli uomini”. E l’idea, dunque,
sarebbe quella della superiorità del paesaggio sugli altri generi pittorici,
come strumento di rappresentazione artistica dei sentimenti, grazie al legame
intrinseco tra pittura e natura. Come l’intera innovazione post-romantica si
gioca sulla tensione tra musica e canto (Richard Strauss, Mahler), anche la
sperimentazione artistica (negli anni immediatamente precedenti e successivi a
Leistikow) si muove sulle variazioni stilistiche del paesaggismo.
Questo post è corredato di una serie di immagini con cui ho cercato di
fornire una narrazione visiva del percorso dei paesaggismo tedesco in questo
lasso di tempo, partendo dal romanticismo di Friedrich per arrivare allo stile
degli ultimi anni di Corinth (uno stile spesso definito espressionista, anche
se lui non avrebbe mai accettato quel termine). Vista in questa prospettiva, la
successione dei paesaggi qui pubblicata è qualcosa di più di un semplice gioco,
ma spiega come quel genere sia stato al cuore sia della diffusione dell’arte
europea nel mondo sia del suo evolvere nel tempo: vi si vedono le fonti
storiche (Friedrich, Böcklin) e i due maestri di Leistikow (Eschke, Gude), i
simbolisti e gli altri secessionisti di lingua tedesca dell’Europa
centro-orientale (Hodler, Schiele), i nordici (Willumsen, Gallen-Kallela,
Mønsted), i russi (Dubovskoy, Bialynicki-Birula), gli americani (Whistler, A.
Harrison, Lawson, Hopper), per finire con Corinth e gli altri impressionisti
tedeschi di Berlino (Liebermann e Slevogt) ed infine l’espressionista tedesco
Macke. Molti di questi artisti non furono unicamente paesaggisti (come fu
invece Leistikow), ma tutti sentirono la necessità di esprimere la loro
modernità anche attraverso il paesaggio. Scorrere queste immagini ci fa pensare
che questo è quello che Leistikow avrebbe voluto: essere collocato nella storia
del paesaggismo come parte di un processo evolutivo dell’arte in una realtà
regionale, se non addirittura globale. Con un salto nel tempo la galleria di
immagini terminerà poi con uno dei pittori contemporanei più venduti, il “radically traditionalist” Peter Doig,
anche lui paesaggista. Il futuro ha spesso il cuore nel passato.
2.
Una vittima o un manipolatore?
Leistikow ebbe certamente fin da giovane le doti del grande polemista. Capì
infatti che, partendo da una situazione di assoluta inferiorità nei confronti
del nuovo potere imperiale (un potere
molto aggressivo anche in termini ideologici: si pensi al Kulturkampf contro la Chiesa in quei decenni), l’unica
possibilità era quella di atteggiarsi a vittima delle istituzioni. E ci riuscì
benissimo. Così, ad esempio, sostenne –
e questa tesi fu ripresa e certificata da Corinth, nonché ripetuta da tutti i
critici, fino a pochi anni fa – di essere stato espulso dall’Accademia di Belle
Arti di Berlino dopo solo sei mesi, con l’accusa di essere privo di talento
[25]. Ebbene, è ormai certo che non fu vero: in occasione di una retrospettiva
del 2008 al Museo Bröhan di Berlino nel centenario della morte [26], la critica
d’arte Sabine Meister, facendo ricerche d’archivio proprio nell’Accademia berlinese, ha scoperto che il pittore non solamente abbandonò l’istituto di sua volontà,
preferendo intraprendere gli studi come privato presso il paesaggista tedesco
Eschke ed il già citato pittore paesaggista norvegese Hans Fredrik Gude, ma
addirittura poté frequentare selettivamente nel corso degli anni alcuni corsi,
su consiglio di Gude stesso. L’Accademia, dunque, non era affatto un mondo del
tutto rigido.
La stessa Meister ha dubbi sulla veridicità del diniego con cui, nel 1898,
sarebbe stato rifiutato il quadro di Leistikow nel suo nuovo stile, destinato
alla mostra da tenersi alla Lehrter Bahnhof (rifiuto che provocò la
nascita della Secessione). E’ noto comunque che a partire del 1900 l’opera fu
inclusa nella Galleria Nazionale di Berlino, dopo essere stato acquistata da un
ricco collezionista (Richard Israel) e donata al museo. [27]
Un’altra tesi del tutto inverosimile
riguarda il romanzo “Alla soglia”. Corinth riporta la notizia che del romanzo
fu venduta una copia sola (che io ne sia stato il secondo acquirente?). Corinth
ricorda che Leistikow amava dire che, avendo venduto una sola copia del libro
(comprata da lui stesso), e avendone fatte consegnare altre, a sue spese, ad
amici e conoscenti, ricevette una fattura da parte dell’editore non tanto a
saldo dei suoi diritti, ma con la richiesta di un (risibile) pagamento. Anche
questa è una notizia del tutto inattendibile. Leistikow non certamente è
passato alla storia come scrittore, ma aveva, come si è detto, importanti
contatti nel mondo letterario di Berlino (ed il romanzo è forse un po’ pesante
e pomposo, ma comunque si legge bene anche oggi, una volta superata la
difficoltà psicologica di affrontare 268 pagine in carattere gotico).
Una cosa è certa: Leistikow aveva capito che, nella lotta, è fondamentale
indirizzare il fuoco concentrico su un solo nemico simbolico, e costui fu Anton
von Werner, che descrisse con termini mefistofelici, riportati da Corinth nella
Vita; termini che ricordano
esattamente la descrizione del diavolo nel Faust di Goethe. Oggi queste parole
possono far sorridere, ma è reale che ogni volta che parlava di von Werner,
Leistikow lo avvicinasse a Satana. Ad esempio, la Vita riporta i passaggi in cui Leistikow difende il nuovo direttore
della Galleria Nazionale di Berlino, Hugo von Tschudi, dagli attacchi di von
Werner e dell’imperatore stesso, per aver posto al centro del Museo, nel 1897,
un quadro di Cezanne. Corinth cita Leistikow che si riferisce a von Werner: “Il
famoso spirito che sempre vuole il male e sempre crea il bene, lo ha assistito
nelle parole e nei fatti, non si sa bene se perché sia stato invocato oppure no” [28]. E’ una
citazione da una frase famosissima di Goethe, dove il diavolo si presenta come
“lo spirito che sempre nega”. Comunque sia, nel descrivere von Werner come il
maligno Leistikow esagerò, ed infatti Tschudi non solamente sopravvisse
all’attacco, ma divenne uno dei più importanti direttori tedeschi della sua
epoca. Nel 1903 il critico d’arte Max Osborn scrisse: “La Bastiglia è presa, i
‘moderni’ hanno vinto” [29]. Il Kaiser stesso, che aveva detto “Un’arte che va
al di là delle leggi e dei limiti che io pongo non è più arte” [30], non era
riuscito ad impedire che i nuovi indirizzi estetici si affermassero. A von
Werner si sarebbe potuto forse concedere l’onore delle armi.
Sia chiaro: la polemica feroce non dipendeva certo dalla natura mefistolica
delle persone. Semplicemente, nella Germania di quegli anni, le avanguardie
artistiche si proponevano all’attenzione del pubblico in un processo così
accelerato che ogni generazione conosceva la sua querelle dialettica: nel
decennio successivo, ad esempio, l’ancora giovane critico e direttore Max
Sauerlandt acquistò per la prima volta nel 1913 un dipinto espressionista di
Ernst Nolde per il museo di Halle, l’Abendmahl
(Ultima cena). Fu il primo acquisto pubblico di un certo rilievo di un
espressionista, e ciò sollevò un memorabile attacco contro Sauerlandt da parte
del direttore generale dei musei di Berlino, Wilhelm von Bode, una vera e
propria istituzione in materia. Ne nacque un dibattito a più voci dai toni
particolarmente accessi. Anche in questo caso, nonostante la sproporzione di
forze, sarà Sauerlandt ad imporsi. Vent’anni dopo, invece (nel 1933) l’attacco
contro l’arte moderna di Alfred Rosenberg e Joseph Goebbels ebbe davvero un
profilo diabolico.
Un altro aspetto che Leistikow aveva imparato in fretta era che a volta anche un combattente si deve fermare, e deve consolidare il proprio successo per poi condurre il dibattito estetico su un terreno sempre più avanzato. Così, parlando del Gruppo degli XI, scriveva nel 1896: “Quel che cinque anni fa ancora terrorizzava, oggi non riesce neppure a creare la minima sorpresa. Così veloce è il tempo, e la critica d’arte si deve adeguare.” [31] Mi si consenta di fare un paragone improprio: sembra di leggere Gramsci che parla dell’egemonia culturale.
Un altro aspetto che Leistikow aveva imparato in fretta era che a volta anche un combattente si deve fermare, e deve consolidare il proprio successo per poi condurre il dibattito estetico su un terreno sempre più avanzato. Così, parlando del Gruppo degli XI, scriveva nel 1896: “Quel che cinque anni fa ancora terrorizzava, oggi non riesce neppure a creare la minima sorpresa. Così veloce è il tempo, e la critica d’arte si deve adeguare.” [31] Mi si consenta di fare un paragone improprio: sembra di leggere Gramsci che parla dell’egemonia culturale.
3.
Un cosmopolita o un patriota?
Il terzo elemento contraddittorio riguarda la lettura patriottica tedesca –
fortissima nelle ultime righe del libro di Corinth – della vita e dell’opera di
un artista ed intellettuale come Leistikow: “La sua arte era cresciuta nella
piena fusione con il terreno (Boden)
della nostra patria tedesca (Vaterland):
del tutto giustamente lo possiamo proclamare un artista tedesco. E se un giorno
– anno per anno – i tedeschi finiranno per recuperare la loro arte nazionale
nella loro pienezza, allora dovrà essere annoverato fra i primi promotori. Come
un tedesco rimarrà per sempre nella nostra memoria e nella memoria di quelli
che ci seguiranno.” [32] È la terminologia del nazionalismo tedesco più rigido.
Che stupidaggine! Leistikow era stato tramite culturale tra la Germania ed
il mondo scandinavo (aveva studiato presso un pittore norvegese, aveva portato
Munch a Berlino, a Copenaghen aveva visto esposto – primo tra i tedeschi – lo
sconosciuto van Gogh e ne aveva assicurato l’esposizione a Berlino, aveva
sposato una danese, frequentava a Berlino e Copenhagen molti intellettuali di
quel mondo nordico, aveva grande ammirazione per la loro pittura, letteratura,
filosofia). Da quel che si è detto, è ovvio che Copenaghen fosse in realtà la
sua seconda patria anche in senso artistico. È difficile attribuirgli un
istinto pangermanico (non bisogna dimenticare che la Prussia aveva condotto due
guerre contro la Danimarca non molti decenni prima, per annettersi lo
Schleswig).
In realtà, peraltro, i suoi contatti andavano oltre il mondo scandinavo. Fu
uno dei primi ad apprezzare l’arte americana. Ebbe contatti con la Polonia (con
Stanisław Przybyszewski, uno degli intellettuali di punta di Młoda Polska, la Giovane Polonia, che
visse a lungo a Berlino). Nel 1893 si recò a Parigi e, se non nutrì una
particolare passione né per gli impressionisti né per i post-impressionisti,
ebbe lì modo di annodare nuovi contatti con i pittori del Nord e del nuovo
continente: in un articolo di quell’anno sull’arte moderna a Parigi –
pubblicato nel saggio di Margit Bröhan e di cui parleremo in seguito – scrisse:
“L’intera forza elementare (urwüchsige Kraft)
viene dall’Europa del Nord e dall’America.” [33]
Del resto, non è dubbio del che Leistikow non avesse come obiettivo delle sue polemiche la Francia, ma la pittura ufficiale di Berlino, con il suo retaggio militarista-prussiano. E in maniera del tutto corrispondente e reciproca, uno degli argomenti che von Werner usava nei confronti della Secessione è che Leistikow aveva tradito le ragioni della Germania, traendo ispirazione dall’impressionismo francese. Dunque, per i suoi nemici, Leistikow era un traditore della patria. Cosa per nulla vera. Nel suo amore per la Scandinavia, Leistikow seguiva una tradizione profondamente tedesca: si pensi che l’inventore del paesaggismo moderno tedesco, Caspar Friedrich, aveva anch’egli studiato a Copenhagen e tratto grandi motivi d’ispirazione dal mondo nordico. Anche la scuola di Düsseldorf aveva riscosso l’interesse della Scandinavia, della Russia e degli Stati Uniti. E Berlino era un irresistibile polo d’attrazione per i nordici. Insomma, anche la più genuina tradizione tedesca era parte integrante di un mondo artistico dalle sfaccettature multiculturali, proprio alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Eppure, Corinth (che, come noto, nei suoi scritti biografici gronda
risentimento nei confronti di Parigi) sente la necessità di esaltare il suo
amico appena scomparso come eroe di una nuova tradizione artistica nazionale,
in linea con il proprio sentimento anti-francese.
Perché solo paesaggi? Forse, una
risposta nel romanzo “Sulla soglia”.
All’arrivo a Berlino, nel 1883, Leistikow mostra immediatamente, fin dalla
scelta dei maestri, un interesse spiccato per il paesaggio: esce (e non viene
cacciato) dall’Accademia, dove avrebbe ricevuto una formazione mirata soprattutto
sullo studio del nudo, e sceglie di divenire allievo di Hermann Eschke e del
già nominato norvegese Hans Fredrik Gude: il primo è un pittore di marine, il
secondo è il frutto dell’incontro fra la
cultura nordica e la Scuola di Düsseldorf. In un racconto dallo sfondo
autobiografico dal titolo “Sua cugina” (Seine
Cousine) del 1893, Leistikow narra proprio di un giovane pittore che decide
volontariamente di lasciare l’Accademia, perché vuol essere sicuro di non
occuparsi dello studio di figure, e vuol dedicarsi solamente alla natura ed ai
grandi spazi. I suoi compagni di corso lo considerano “un disertore”.
Lasciare l’Accademia fu una scelta ideologica radicale. In quegli anni
Leistikow era divenuto parte integrante della scena letteraria simbolista di
Berlino. Ed anche ai suoi amici letterati manifestò tale radicalità: in una
lettera al futuro premio Nobel per la letteratura Gerhart Hauptmann, che lo
pregava di illustrare un suo libro di poesia, Leistikow rispose il 24 gennaio
1904 di non potere, perché era totalmente incapace di concepire (ersinnen)
qualsiasi altra cosa che non fosse un paesaggio [34].
La stessa scelta naturalista è – implicitamente – al centro del romanzo Auf der Schwelle (Sulla soglia), pubblicato
da Leistikow nel 1896, ma in realtà scritto nel 1893. Il titolo fa riferimento
al difficile percorso di maturazione di uno scrittore, Hans Lürssen, che si
materializza tra delusioni amorose e intense amicizie. Scritto nell’anno della
permanenza a Parigi, in cui conosce fra l’altro il poeta Maeterlinck, e nel
pieno della fase pittorica simbolista, il romanzo sicuramente appartiene a
quello che viene definito anche nella letteratura tedesca simbolista come
‘stile floreale’, con un caratteristico intreccio di motivi mistico-filosofici,
un tentativo di utilizzare linguaggio a livello molto sofisticato e al tempo
stesso molti atteggiamenti decadenti. Frequenti le descrizioni paesaggistiche.
Le riflessioni sulla debolezza del carattere, sull’incomunicabilità e sulla
sofferenza degli uomini permeano il romanzo di tristezza e di malinconia.
Anche qui i riferimenti autobiografici sono importanti, anche se Lürssen non
è un pittore, ma uno scrittore. Il tema centrale è l’opposizione tra il mondo
delle relazioni interpersonali e la sfera degli interessi intellettuali,
quest’ultima dipendente dall’ambiente fisico. L’intreccio del romanzo vuol
dimostrare, in ultima analisi, che la forza della creazione artistica può
derivare solamente dal rapporto ‘fisico’ dell’artista con la natura (e più in
generale, dalla sua immersione nei luoghi che lo circondano, dal momento che in
questo caso è l’immersione di Lürssen nella grande città di Berlino a
restituire la forza al letterato). Invece, il rapporto ‘fisico’ dell’artista
con gli affetti personali è del tutto deludente, perché dalla passione amorosa
possono solamente derivare delusioni, incomprensione ed incomunicabilità.
Lürssen è un uomo dalle grandi passioni intellettuali (fra i vari personaggi
del romanzo è possibile riconoscere molti degli scrittori e filosofi che
Leistikow frequentava a Berlino in quegli anni), ma incapace di manifestare
pienamente la propria affettività. In un intreccio d’impronta chiaramente
teatrale, il giovane Lürssen - un letterato giunto a Berlino dalla provincia -
non riesce ad avere relazioni sentimentali appaganti con tre giovani donne
(quando ama, è deriso; quando è amato, non se ne accorge), e ne esce distrutto,
ma ritrova sempre la possibilità di ricominciare: è il rapporto con il proprio
ambiente che gli restituisce la forza intellettuale necessaria per la
letteratura e la filosofia, mentre al contrario la passione amorosa ne neutralizza
la capacità creativa. E nelle ultime righe, mentre rientra a Berlino in treno,
dopo che la sua passione più intensa si è frantumata, si rinnova il miracolo
che già si era verificato quando era giunto giovanissimo per la prima volta in
una stazione della grande città: “L’antica magia, che una volta la grande
città aveva suscitato nei suoi confronti, divenne di nuovo attiva. Non poteva
sottrarsi ad essa. Qualcosa di seducente, promettente era davanti a lui, come
il mistero, il segreto della vita. Il treno si arrestò: Hans scese i gradini,
ed i suoi occhi splendevano in un’attesa segreta.” [35] L’uomo, dunque, è parte integrante dello
spazio in cui vive, ha un rapporto diretto con esso, e ne ricava – molto più
che dall’interazione con le altre persone, e senz’altro più che da quelle
amorose – l’energia vitale per la creazione artistica.
Il pittore della malinconia:
un’abile operazione commerciale?
Leistikow (lo abbiamo visto) convinse Corinth a venire a Berlino
scrivendogli che stava sguazzando nei soldi. L’amore per il paesaggio, che in
gioventù era stato motivo di rivendicazioni ideologiche, divenne dunque con il
tempo occasione di grandi ricavi, che permise al pittore di vivere nell’agio e
di viaggiare molto. Del resto, qualche anno dopo lo stesso successo arrise a Lovis
Corinth con la sua serie di dipinti sul Walchensee, il lago bavarese dove aveva
una casa di campagna.
Quanta parte della scelta di Leistikow di concentrarsi sulla
rappresentazione di boschi e laghi della Marca del Brandeburgo (là dove i
berlinesi avevano le loro residenze di campagna) fu frutto di ispirazione
poetica e quanta di una strategia commerciale? Vi furono probabilmente entrambe
le componenti.
Ad ascoltare Corinth, il paesaggismo brandeburghese dell’amico fu il
risultato di una pura conversione estetica, sopraggiunta a superare la fase
simbolista: “Gli occhi di Leistikow si aprirono improvvisamente all’aspra
bellezza dei boschi e dei laghi della Marca del Brandeburgo. Il fascino della
malinconia, riposta nei boschi di pini, le cui punte scure si scagliano nodose
contro le nuvole al vento e i cui piedi si specchiano in uno stagno nero,
Leistikow l’ha saputo rappresentare come nessun altro.” [36]
Se fu un’intuizione poetica pura, fu la sua fortuna; ed infatti quella di
Leistikow divenne, sotto molti aspetti, una pittura di maniera, che puntava
alla quantità delle opere prodotte, probabilmente anche per assicurarsi un
reddito che gli consentisse di pagarsi le cure mediche. Ecco cosa si legge in
una lettera del 20 agosto 1904 indirizzata a Gerhart Hauptmann, il futuro
premio nobel alla letteratura,e qui riprodotta interamente.
A Gerhart
Hauptmann
Berlino W. Geisberg Str. 33
20 Agosto 1904
Mio caro Hauptmann,
Come posso ringraziarti per le tue buone parole? E come sono stato contento di passare la convalescenza presso di te! Come tu sai, i giorni a casa tua sono per me come giornate di festa.
Ma questa è la cosa fondamentale! In questo momento non ho proprio tempo per le feste. A causa della mia malattia, a causa del viaggio estivo inadeguato, sono rimasto indietro nei miei lavori, cosicché adesso – volente o nolente – mi devo precipitare nei boschi di pini con i loro laghi rotondi, per poter in qualche modo rispondere alle aspettative che mi vengono rivolte.
Ed è sempre così: il mondo vuole il bosco del Grunewald da me o quel che concepisce di esso (Die Welt will Grunewald von mir oder was sie darunter versteht). Per fortuna, ciò corrisponde anche alle mie tendenze artistiche. E dunque oggi me ne vado a lavorare un po’ di tempo al lago Wannsee, poi vado dalle parti di Grünau. Io voglio sempre dipingere due quadri alla volta – ho proprio per questo due mani – per poterne realizzare molti.
All’inizio di ottobre me ne andrò ancora nel sanatorio del Martensbrunner (a Merano); spero che mi riesca prima di recuperare un po’ di tempo e poi vengo. A condizioni che voi siate ancora qui. Grazie di tutto per la vostra gentilezza con Gerda. (…)
Saluti di cuore da Anna e da me, a te e Grete come pure a Butzi.
Berlino W. Geisberg Str. 33
20 Agosto 1904
Mio caro Hauptmann,
Come posso ringraziarti per le tue buone parole? E come sono stato contento di passare la convalescenza presso di te! Come tu sai, i giorni a casa tua sono per me come giornate di festa.
Ma questa è la cosa fondamentale! In questo momento non ho proprio tempo per le feste. A causa della mia malattia, a causa del viaggio estivo inadeguato, sono rimasto indietro nei miei lavori, cosicché adesso – volente o nolente – mi devo precipitare nei boschi di pini con i loro laghi rotondi, per poter in qualche modo rispondere alle aspettative che mi vengono rivolte.
Ed è sempre così: il mondo vuole il bosco del Grunewald da me o quel che concepisce di esso (Die Welt will Grunewald von mir oder was sie darunter versteht). Per fortuna, ciò corrisponde anche alle mie tendenze artistiche. E dunque oggi me ne vado a lavorare un po’ di tempo al lago Wannsee, poi vado dalle parti di Grünau. Io voglio sempre dipingere due quadri alla volta – ho proprio per questo due mani – per poterne realizzare molti.
All’inizio di ottobre me ne andrò ancora nel sanatorio del Martensbrunner (a Merano); spero che mi riesca prima di recuperare un po’ di tempo e poi vengo. A condizioni che voi siate ancora qui. Grazie di tutto per la vostra gentilezza con Gerda. (…)
Saluti di cuore da Anna e da me, a te e Grete come pure a Butzi.
Leistikow dipinge ogni giorno e la sera organizza cene durante le quali
vende sempre uno o due dei suoi quadri. L’artista sa cosa vogliono i suoi clienti; e perciò,
pur trattandosi di pittura en plen air,
i suoi, più che paesaggi reali, appaiono essere interpretazioni soggettive dei
medesimi [37].
Il fascino della malinconia: un motivo poetico?
Il fascino della malinconia: un motivo poetico?
Seguendo alla lettera quanto scritto da Leistikow ad Hauptmann, si potrebbe
pensare che dipingesse serialmente quadri identici da vendere a getto continuo.
Non è così. Margit Bröhan sostiene che le immagini di Leistikow non sono esatte
rappresentazioni della natura, ma spiega la circostanza con motivi di carattere
estetico e con la singolarità della fusione tra diversi stili.
“L’analisi dei quadri berlinesi di Leistikow conduce alla domanda se i
paesaggi riproducano esattamente quello che egli vede, senza modifiche
intenzionali, aggiunte o omissioni. La stilizzazione che Leistikow aveva
sviluppato nelle immagini nordiche della metà degli anni novanta venne
utilizzata nelle immagini berlinesi con molta moderazione; fu infatti superata
alla fine degli anni novanta come mezzo stilistico a favore di un modo
compositivo che si basava su linee e superfici, ma non segnò il ritorno alla
pittura naturalistica con i suoi postulati della verità e dell’oggettività. La
pittura di Leistikow non è neppure una art-pour-l’art
impressionista, che riduce il pittore ad occhio e mano. Leistikow non si volle
neppure limitare ad una rappresentazione non vincolante della natura, ma
differenziò tra bello e brutto, tra caos e ordine, tra natura e paesaggio. Creò
ed interpretò, unificando e rimodulando l’impressione della natura. Natura e
cultura vengono superate – in una forma di soggettivismo creativo – in un’unità
superiore. Se i suoi quadri non riproducono ritagli arbitrari, non si limitano
comunque ad una rappresentazione oggettiva. (…) Il quadro non è null’altro se
non il dialogo del soggetto con la natura in stato di calma assoluta. Al
paesaggio ordinato – che Leistikow emenda di tutto ciò che può essere
preoccupante e inquietante – corrisponde una
serenità sognante dell’osservatore. Nel quadro non viene riprodotta
l’esperienza vissuta di un paesaggio, ma uno stato poetico in una composizione
paesaggistica. Gli studi della natura sono il materiale per l’espressione di
un’idea.” [38]
I limiti della Vita: Un elogio o una biografia?
I limiti della Vita: Un elogio o una biografia?
Oggi la critica è unanime nel considerare l’autenticità della testimonianza personale di Corinth come la qualità maggiore della Vita. Sia Kertin Englert [39] nel 1995, sia Raimar Lacher [40] nel 2000 non possono fare a meno di notare che non vi sia un sufficiente distacco critico per poter formulare giudizi più diversificati. Insomma, a sentire Corinth tutto è acriticamente bello nella produzione di Leistikow. Anche la ricostruzione biografica è carente, specie nel documentare il periodo in cui i due non si conoscevano, o comunque non si frequentavano. Siamo dunque più in un contesto di elogio funebre che di critica artistica.
L’unica spiegazione che viene offerta per raccontare come un intellettuale
così giovane poté giocare nella Berlino dei suoi anni un ruolo così importante
è costituita delle sue straordinarie doti personali. Leistikow è visto come un
talento virtuoso naturale, al di fuori di qualsiasi quadro di riferimento
culturale. Manca (come già detto) ogni riferimento alla partecipazione del
giovane Leistikow al gruppo poetico-letterario del Friedrichshagen (che si
ispirava a Nietzsche e Tolstoj), all’esperienza di critico teatrale per
l’associazione Freie Bühne,
all’impatto del poeta simbolista belga Maeterlinck che conobbe a Parigi nel
1893 (Maeterlinck, grande ispiratore di Debussy per il suo Pelleas et Melisande, sarà premio Nobel per la letteratura nel
1911), al rapporto con il mondo della musica, e, in quest’ambito, alla
frequentazione del compositore e critico Max Marschalk [41]; nulla si dice,
inoltre, dei rapporti con artisti italiani e francesi.
Anche la discussione dei modelli estetici di Leistikow è in fondo sommaria.
Corinth non ne parla, ma il passaggio dal naturalismo al simbolismo (una fase
che a Corinth non piacque, se scrive che nel 1897 – alla sua
conclusione - Leistikow “aveva di nuovo toccato i piedi per terra” [42]) non è
un capriccio: si deve – (scrive Lacher riprendendo gli scritti di Leistikow
sull’arte moderna a Parigi) ad una riflessione sulla pittura monumentale di
Puvis de Chavannes ed ai contatti con la Secessione monacense (Eckmann,
Strathmann) su cui, pure, Corinth doveva essere ben informato (erano tra i suoi
amici più cari). [43]
Leistikow: un critico d’arte più
fine di Corinth?
Il breve saggio di Leistikow sull’ “Arte moderna a Parigi” ci offre una
prova delle sue qualità critiche. Scritto nel 1893, l’articolo ha una tesi: se
Parigi era il centro mondiale dell’arte negli anni 70 dell’Ottocento, non lo
era più vent’anni dopo, perché l’arte era divenuta un fenomeno universale.
Leistikow si confronta soprattutto con l’arte ufficiale francese, quella dei
Salons, con il suo accademismo e la sua limitazione inadeguata al panorama
artistico nazionale. Il giudizio negativo deriva non solamente dal modello
espositivo (troppi quadri, e di qualità mediocre), ma dalla natura ripetitiva
dei modelli compositivi. La vera scoperta in senso positivo a Parigi è quella
degli artisti che espongono al Campo di Marte: i rappresentanti dell’arte
americana primi fra tutti (non si può parlare di arte moderna senza pensare in
primo luogo a Whistler, secondo Leistikow), ed anche molto giovani artisti
provenienti da tutto il mondo, che portano all’arte francese un nuovo senso del
colore e della libertà compositiva.
Leistikow è dunque un innovatore, che anche a Parigi vuole rompere con gli
schemi accademici. Al tempo stesso un testimone dell’arte francese che non sa
forse cogliere a pieno il significato dei movimenti a lui contemporanei: il
grande artista francese dei suoi tempi è – a suo parere – ancora Puvis de
Chavannes. Ha il fiuto per i nordici (Munch, van Gogh), ma non per i francesi. Nessun
riferimento, durante il suo soggiorno, vien fatto a Cezanne e agli altri grandi
del post-impressionismo. Li scoprirà anni dopo a Berlino (e qui bisogna dire
che la stessa cosa era successa a Corinth, che visse quattro anni a Parigi e
mai visitò una mostra di impressionisti o post-impressionisti).
Un elogio controproducente?
Molti degli
interrogativi su Leistikow che ci siamo posti nella seconda parte di questo
post non compaiono nella Vita, la cui
analisi non sufficientemente approfondita impedisce all’autore di cogliere i
temi di fondo dell’arte del pittore e del suo tempo a Berlino. In sostanza, il
libro uscì nel momento sbagliato e nella forma meno convincente. Siamo nel
1910, anno in cui la Secessione è sottoposta a tensioni durissime, che
porteranno alla rottura tra Corinth, gli impressionisti e i rappresentanti più
tradizionali da un lato, e Nolde e gli espressionisti dall’altro.
La Vita sembra
scritta esattamente per voler indicare ai giovani artisti ribelli il modello di
un artista che (pur avendo guidato la rivolta contro von Werner) non solamente
non ha mai messo in dubbio il progetto artistico della Secessione di Berlino. Soprattutto,
egli non si era mai pienamente confrontato con i temi centrali che Edvar Munch
– l’artista portato in Germania da lui stesso – aveva posto al centro della
discussione estetica: il colore, la deformazione della figura, il senso di
dramma. Un rivoluzionario, che però viene descritto da Corinth come compatibile con il proprio impressionismo rispettoso della tradizione classica.
L’elogio dell’amico può esser sembrato ai “giovani pittori” come un tentativo
indiretto di Corinth di far loro una predica sul da farsi, proprio nel momento
della loro ribellione. Dunque, Leistikow fu rimosso immediatamente dal mondo
poetico e creativo della nuova generazione, ormai proiettata verso le
esperienze formali dell’espressionismo.
Corinth, insomma, è
stato al tempo stesso la maggiore fonte d’informazione sulla vita di Leistikow
ma – in modo inconsapevole – anche colui che ha finito per sminuirne il
significato per la storia dell’arte. Erano grandi amici, ma forse Corinth non
lo capì mai a fondo. Questo articolo ha inteso contribuire ad una riflessione sul
rapporto tra i due pittori, sul ruolo che essi hanno avuto nell’arte e nella
letteratura artistica e anche sulla mediazione culturale che hanno esercitato
sia a livello nazionale sia a livello regionale e globale nella Germania e
nell’Europa del primissimo Novecento.
NOTE
[23] Bröhan, Margrit – Walter
Leistikow (1865-1908) Maler der Berliner Landschaft, Berlin, Nicolaische
Verlagsbuchhandlung, 1989, pp. 170.
[24] Corinth, Lovis – Das Leben Walter
Leistikows. Ein Stück Berliner Kulturgeschichte. Neu herausgegeben, kommentiert
und mit einen Nachwort versehen von Reimar F. Lacher, Gerubedr Mann verlag,
Berlin, 2000, pp. 68-69
[25] Corinth, Lovis – Das Leben …,
citato, p. 17
[26] Meister, Sabine
– Der Fall Leistikow. Mythen, Strategien
und Erfolge (Il caso Leistikow. Miti, strategie e successi), in: Stimmungslandschaften. Gemälde von Walter
Leistikow (1865-1908) (Paesaggi d’umore. Pitture di Walter Leistikow),
Berlino, Deutscher Verlab e Bröhan Museum, 2008.
[27] Meister, Sabine
– Der Fall Leistikow … (citato), p. 57
[28] Corinth, Lovis – Das Leben …,
citato, pp. 68-69
[29] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis – Das Leben Walter Leistikows. Ein Stück Berliner
Kulturgeschichte, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 2000, p. 217
[30] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis – (quotato), p. 217
[31] Bröhan, Margrit – Walter
Leistikow … (citato), p. 34
[32] Corinth, Lovis – Das Leben …,
citato, p. 132
[33] Bröhan, Margrit – Walter
Leistikow … (citato), p. 105-110.
[34] Bröhan, Margrit – Walter
Leistikow … (citato), p. 134
[35] Leistikow, Walter – Auf der
Schwelle, Berlin, Avi Verlag, 2008, p.268.
[36] Corinth, Lovis – Das Leben …, citato,
p. 57
[37] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis … (citato), pp. 223
[38] Bröhan, Margrit
– Walter Leistikow … (citato), p. 64
[39] Englert,
Kerstin – Prefazione a: Lovis Corinth, Gesammelte Schriften (Raccolta di
scritti), Berlin, Gebrüder Mann Verlag, 1995, p. 24
[40] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis … (citato), pp. 207-208, pp. 221-222
[41] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis … (citato), pp. 208-210
[42] Corinth, Lovis – Das Leben …,
citato, p. 57
[43] Lachert, Reimar F. – Postfazione
a Corinth, Lovis … (citato), pp. 212-213
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