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mercoledì 10 dicembre 2014

Susanne Adina Meyer, Chiara Piva. L' arte di ben restaurare. La 'Raccolta d'antiche statue' (1768-1772) di Bartolomeo Cavaceppi

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Susanne Adina Meyer, Chiara Piva


L'arte di ben restaurare
La Raccolta d’antiche statue (1768-1772) di Bartolomeo Cavaceppi


Firenze, Nardini editore, 2011

Anton von Maron, Ritratto di Bartolomeo Cavaceppi (ante 1794)
Roma, Accademia Nazionale di San Luca
Fonte: http://www.thehistoryblog.com/archives/25758


Bartolomeo Cavaceppi e la sua Raccolta d’antiche statue

Testo della quarta di copertina:

“Bartolomeo Cavaceppi, scultore e collezionista romano, è considerato uno dei più celebri restauratori del Settecento. Il suo studio, nel quale era allestita una copiosa raccolta di gessi e marmi, era un luogo di riflessione e di incontro per eruditi, collezionisti e agenti delle grandi corti europee ai quali lo scultore vendeva le sue opere originali e pezzi antichi restaurati. Tra il 1768 e il 1772 diede alle stampe i tre volumi della Raccolta d’antiche statue busti bassirilievi ed altre sculture restaurate da Bartolomeo Cavaceppi scultore romano, ora ripubblicati dopo oltre duecento anni.

Scritti con toni a tratti molto polemici, in una lussuosa edizione in folio, corredati da incisioni, non erano mai stati riediti. Decisamente sperimentale dal punto di vista editoriale, la Raccolta unisce un catalogo promozionale delle sculture restaurate con una serie di considerazioni teoriche non solo sul restauro ma più in generale sulla storia dell’arte.

Il testo, spesso citato ma poco noto integralmente e raramente analizzato nella sua complessità storica e teorica, è di fondamentale interesse per la storiografia artistica, la storia del restauro e la storia del gusto. Vi è inclusa inoltre la descrizione di Cavaceppi del viaggio in Germania compiuto insieme a Johann Johachim Winkelmann, unica testimonianza diretta di quell’episodio e degli ultimi giorni di vita dello storico tedesco.

A presentare il testo sono due approfonditi saggi che esaminano le proposte di Cavaceppi per il restauro e il mercato delle antichità, le sue strategie promozionali, i legami con gli studiosi e gli artisti dell’epoca, il contesto culturale e del mondo dell’arte nel quale si era svolto il viaggio in Germania.”

La Raccolta fu pubblicata in tre volumi fra 1768 e 1772. Per la precisione il primo volume è del 1768, il secondo del 1769 e il terzo del 1772. La prima cosa da dire è che l’apparato iconografico vi gioca sicuramente un ruolo fondamentale: ogni volume contiene infatti sessanta tavole che presentano altrettante statue antiche restaurate da Cavaceppi, con l’indicazione degli eventuali acquirenti (le opere pubblicate nel primo volume erano già state tutte vendute; nel secondo sono acquistabili quarantuno lavori e nel terzo ventitre). Ogni “album” è accompagnato da una serie di scritti; a volte si tratta di veri e propri brevi trattati; in altre circostanze di avvertenze al pubblico; in altre ancore di scritti chiaramente volti a soddisfare la curiosità del lettore. Ciò che importa segnalare è che gli scopi della pubblicazione sono chiaramente autopromozionali. Cavaceppi è uno scultore (anzi, un restauratore – vedremo meglio poi - ) di fama internazionale, e la sua Raccolta è destinata a un pubblico selezionato di sovrani, nobili, collezionisti specialmente inglesi e tedeschi rispetto ai quali l’autore cerca da un lato di accreditare la propria elevatissima professionalità, dall’altro di porsi su un piano collaborativo, fornendo ad esempio indicazioni utili a smascherare i falsi. L’apparato iconografico non è riprodotto in questo volume e quindi non è del tutto corretto dire che si tratta della prima ripubblicazione dopo due secoli. Sono riproposti esclusivamente gli scritti presenti nei tre volumi.

Fra i vari scritti prodotti all'interno della Raccolta, tre spiccano nettamente rispetto agli altri:


Statua di Hermes che si allaccia un sandalo (restaurata da Bartolomeo Cavaceppi)
Monaco di Baviera, Glyptothek
Fonte:Wikimedia Commons


Dell’arte di ben restaurare le antiche statue

Si trova all’interno del volume primo. Probabilmente il più interessante da un punto di vista teorico. L’autore vi fornisce innanzi tutto tesi volte a inquadrare l’importanza della scultura nella formazione dell’artista, ma anche del collezionista e poi provvede a definire meglio il mestiere di restauratore. Il quadro d’insieme che ne emerge è, in qualche modo, un’autorappresentazione di sé e del proprio lavoro. Va peraltro detto che, in molte delle asserzioni fornite, si legge in controluce l’influenza (se non l’attiva partecipazione alla stesura dello scritto) di Winckelmann.

“Per capire in quale prospettiva Cavaceppi intendesse collocare le proprie considerazioni, è significativo che il suo trattato esordisca attribuendo al restauro delle sculture antiche una funzione chiave per la formazione degli artisti e per il progresso delle arti” (p. 31). Le statue antiche sono tutto ciò che ci rimane dell’arte degli antichi e dunque gli artisti si devono formare guardando ad esse. Il caso di scuola è, naturalmente, quello di Raffaello. “In sintonia con le teorie estetiche dell’epoca, il restauratore definisce «disviati dalla vera maniera» quei pittori e quegli scultori che, criticando Raffaello, hanno creduto di poter fare a meno dell’esempio degli antichi ispirandosi solo alla natura. (…) All’imitazione della natura Cavaceppi oppone l’imitazione degli antichi” (p. 32). E se il discorso è riferito agli artisti, vale anche – e a maggior ragione – per i collezionisti, e dunque per la formazione del gusto dei medesimi.

Statua dell'Imperatore Galba (restaurata da Bartolomeo Cavaceppi)
Roma, Museo Pio-Clementino
Fonte: Wikimedia Commons Foto Giovanni Dall'Orto


Se lo studio dell’antico è ciò su cui si regge da un lato il mondo del fare artistico, dall’altro quello del collezionismo, ci si domanda quale debba essere il ruolo del restauratore. È bene dirlo subito: scordatevi una consapevolezza “moderna” del restauro conservativo. Il restauratore “completa” le opere. Semmai il problema è come le debba completare. Ne derivano alcune linee guida (pp. 39-40):

  • innanzi tutto il restauratore deve identificare il soggetto della scultura e decifrarne l’iconografia. Il restauratore può servirsi della consulenza di eruditi per questo, ma deve avere una cultura di base che gli permetta comunque una valutazione personale. “A fronte di incertezze interpretative, il dovere di un buon restauratore è dunque quello di ricostruire la statua senza porre segni distintivi particolari che ne individuerebbero il soggetto e lasciare intatti quelli che sono incomprensibili. In questo modo non si faranno errori di attribuzione e soprattutto non si altererà per gli studiosi futuri l’eventualità di comprenderne l’iconografia” (p. 39); 
  • una volta deciso l’intervento integrativo, usare lo stesso tipo di marmo della statua antica; 
  • mantenere un’uniformità stilistica rispetto all’antico: questo è sicuramente il concetto fondamentale del trattato: la distinzione fra il mestiere di restauratore e di scultore. Scultore è chi scolpisce una bella testa o una bella gamba; restauratore è chi integra le parti antiche con altre moderne dello stesso stile del modello iniziale: “discriminante è la capacità di rinunciare alla propria cifra stilistica, alla propria vena creativa, per integrare imitando la maniera dell’antico” (p. 40). Merito del restauratore, dunque, aggiungere una testa o un braccio o una gamba adeguandosi così bene allo stile antico in maniera tale che nessuno se ne accorga, fermo restando che deve essere l’autore stesso, poi, a indicare quali siano le parti rifatte e quali no. Raccomandazioni a cui, a dire il vero, Cavaceppi non si attiene nelle sue tavole di statue restaurate, tanto che poi molti commentatori, ad anni di distanza, non mancheranno di farlo notare. 

Vale la pena spendere qualche parola sul rapporto fra Cavaceppi e Winckelmann. La storia ha voluto che, in qualche modo, il loro relazionarsi sia riferito fondamentalmente all’ultimo episodio della vita dell’antiquario tedesco: il viaggio in Germania che i due intrapresero nel 1768, e l’improvvisa decisione di Winckelmann di tornare a Roma, con il suo assassinio in quel di Trieste (si veda sotto). Ma la frequentazione fra i due data probabilmente sin dai tempi dell’arrivo in pianta stabile di Winckelmann a Roma (1755) e si consolida, su un piano professionale, nella comune frequentazione di Villa Albani. È indubbio che proprio grazie a Winckelmann e alle sue raccomandazioni presso le corti Cavaceppi vide accrescere il proprio prestigio e il proprio pubblico; è altrettanto fuori di discussione che il comune viaggio in Germania rappresentava per Cavaceppi l’occasione di ottenere altre entrature proprio grazie al tedesco. Va peraltro detto che la coincidenza di vedute, specie in questo testo che – lo si ricorda – fu scritto prima del viaggio e dunque è l’unico a cui può essere ascritta in via dubitativa una supervisione di Winckelmann, è assoluta. Non è peraltro un caso che, nel trattato, l’unico riferimento ad autore moderno sia ovviamente quello a Winckelmann.

Statua di Alessandro il Grande (restaurata da Bartolomeo Cavaceppi)
Parigi, Museo del Louvre
Fonte: Wikimedia Commons


Degli inganni che si usano nel commercio delle antiche sculture

Lo scritto sui falsi nel commercio delle sculture antiche compare nel secondo volume della Raccolta, nel 1769. Ancora una volta, lo si può inquadrare nel tentativo (ampiamente riuscito) di accreditarsi presso lo clientela come un interlocutore degno di ogni fiducia. Qui Cavaceppi si pone su un piano cooperativo: si mette cioè dalla parte del compratore, magari non del tutto smaliziato, e gli fornisce suggerimenti per evitare di essere turlupinato. A Roma, all’epoca, doveva capitare un po’ di tutto (e non è affatto detto che l’autore non fosse esente da malignità). Cavaceppi, dunque, invita il pubblico a guardarsi dai falsi, chiarendo che nel novero dei medesimi rientrano sia le vendite di statue moderne spacciate come antiche sia la vendita di statue antiche adeguatamente ritoccate per renderle di valore economico maggiore.

I consigli forniti sono fondamentalmente di due tipi. Innanzi tutto conoscere l’evoluzione degli stili della statuaria antica; e qui Cavaceppi dimostra di aver pienamente compreso la lezione di Winckelmann rimandando alla sua Storia dell’arte dell’antichità. Ma anche chi conosca perfettamente lo stile della statuaria greca non può considerarsi del tutto al sicuro; e proprio per questo Cavaceppi fornisce una serie di suggerimenti pratici che, a suo dire, permettono di capire se la lavorazione di una statua sia stata antica o moderna. “I buchi che disegnano le pupille negli occhi, per esempio, nell’antichità non venivano realizzati mai su statue di divinità” (p. 44). Ma analoghi confronti sono operabili facendo attenzione alle capigliature e così via. “Cavaceppi spiega inoltre le profonde differenze nell’utilizzo del trapano: mentre nell’antichità veniva impiegato per creare le intercapedini, avendo però l’accortezza di unirle in un solco continuo, successivamente fu utilizzato lasciando i buchi divisi. Tanto che è possibile individuarli singolarmente” (ibidem).

Bartolomeo Cavaceppi, Busto dell'Imperatore Caracalla (1750-1770)
Fonte: Wikimedia Commons


Descrizione del viaggio in Germania

Inutile nasconderlo: lo scritto più famoso di Bartolomeo Cavaceppi è questo (compare anch’esso nel secondo volume). Il motivo è banale. Cavaceppi era stato compagno di viaggio di Winckelmann nel tour che doveva portarli a visitare una serie di corti tedesche nel corso dell’anno 1768. Winckelmann progettava da tempo un viaggio nella terra natia, probabilmente per occuparsi personalmente di una nuova traduzione della sua Storia dell’arte dell’antichità. Quel viaggio si concluse tragicamente. Winckelmann decise, dopo il soggiorno di Monaco, di tornarsene a Roma e, dopo altre tappe a Ratisbona e a Vienna, così effettivamente fece. Cavaceppi invece continuò il suo tour tedesco. Winckelmann fu assassinato a Trieste da un tale Francesco Arcangeli, nel corso di un tentativo di rapina. L’eco dell’omicidio fu enorme, non solo per la fama dello studioso tedesco, ma anche – diciamolo senza alcun problema – perché Winckelmann era dichiaratamente omosessuale e nulla faceva per nascondere la cosa. La morbosa curiosità della gente finì naturalmente per essere attratta dall’episodio di sangue da un lato e dai gusti sessuali della vittima dell’altro. Nelle corti europee e fra i collezionisti si andava spasmodicamente alla ricerca di stupidi particolari scabrosi.

Anton Raphael Mengs, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (post 1755)
New York, Metropolitan Museum of Art
Fonte: Wikimedia Commons

In una situazione di questo tipo, Cavaceppi ha la fortuna di essere stato il compagno di viaggio di Winckelmann e quindi non esita a stendere questo suo resoconto, che a dire il vero non è nulla di che. Si aspetta probabilmente in questa maniera di vendere qualche copia in più del secondo volume della sua Raccolta (pubblicato pochi mesi dopo l’omicidio). La cosa che colpisce di più è che il resoconto non si interrompe con la separazione fra i due viaggiatori, ma continua con la descrizione delle ulteriori tappe percorse dall’autore. Pare evidente che, con la scusa di fornire indicazioni sull’affaire Winckelmann, Cavaceppi fa sapere al suo pubblico di lettori e potenziali clienti di essere stato ricevuto e aver lavorato con Federico II di Prussia ed altri nobili tedeschi, ancora una volta a chiaro scopo di autopromozione. Peraltro, con riferimento alla vicenda Winckelmann, Bartolomeo non fornisce indicazioni certe sui motivi che indussero il famoso antiquario tedesco a tornarsene a Roma. Si parla genericamente di strani turbamenti dello spirito e di un generico stato di malinconia che lo avevano provato. Pare molto dubbio che lo cose siano andate in questo modo. Fatto sta che, citando a volte Cavaceppi e a volte no, tutte le fonti successive si rifanno a questa ricostruzione fantasiosa, in cui ad essere messa in discussione è fondamentalmente la stabilità psicologica di Winckelmann.

Quali furono i motivi per cui Winckelmann interruppe il suo viaggio? Non lo sappiamo e non lo potremo mai sapere. Tuttavia delle ipotesi relativamente fondate si possono avanzare; lo fa Susanne Adina Meyer nel suo commento allo scritto. Una delle tappe successive del viaggio era Dresda. A Dresda insegnava da quattro anni Giovanni Battista Casanova, che, prima strettissimo collaboratore di Winckelmann, se ne era poi allontanato per una brutta storia di falsi e di reciproche accuse. Non è nemmeno escluso che Winckelmann avesse timore di essere arrestato appena arrivato a Dresda (pp. 67-68). Insomma, i motivi del ritorno a Roma. furono probabilmente ben diversi. Su Giovan Battista Casanova si veda G.B. Casanova, Theorie der Malerei (Wilhelm Fink Verlag, 2008). Sull’omicidio Winckelmann si veda anche L’assassinio di Winckelmann. Gli atti originali del processo criminale, a cura di Cesare Pagnini ed Elio Bartolini.





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