Jean-Yves Le Naour
Il furto della Gioconda
Bologna, Odoya editore, 2013
Un libro divertente, arguto,
intelligente; che fa ridere ma anche riflettere; che si legge con gusto in un
paio d’ore e non ha nulla dello scritto paludato. In Francia ne è uscita anche
una versione a fumetti.
Le vicende del furto della
Gioconda sono, più o meno, note a tutti. Le ripetiamo brevemente, rimandando
senz’altro, per maggiori particolari, alla lettura della recensione che Marco
Carminati ha scritto su questo stesso libro:
La Gioconda fu rubata alle 7 del
mattino di lunedì 21 agosto 1911 da Vincenzo Peruggia. Peruggia aveva lavorato
poco tempo prima per la ditta che era stata incaricata di applicare vetri a
protezione dei quadri del museo. Al Louvre – a suo dire - era rimasto stupito e
indignato per il numero incredibile di quadri italiani che popolavano il museo
(frutto delle razzie napoleoniche), ed aveva deciso di rubarne uno. Se
esclusivamente per motivi patriottici (come sostenne in sede processuale) o
anche per rivenderlo e diventare ricco, non è ben chiaro. Probabilmente entrambe
le cose. Non sapeva bene cosa avrebbe rubato: inizialmente aveva pensato alle
Nozze di Cana di Paolo Veronese, ma trattandosi di una tela 6 metri x 9, si era
reso conto che avrebbe avuto difficoltà a portarla via. Poi aveva sentito
parlar bene della Gioconda; le dimensioni erano contenute; era il quadro che
faceva al caso suo (naturalmente non sapeva che si trattava di uno dei
pochissimi quadri italiani non rubati da Napoleone, ma legittimamente in
Francia).
Vincenzo Peruggia |
La notte di domenica 20 si era
fatto chiudere nei bagni del Louvre. Lunedì era giorno di riposo, giorno in cui
al Louvre si vedono soprattutto inservienti ed operai addetti alla
manutenzione. Peruggia esce dai bagni, afferra la Gioconda (i quadri non erano
fermati alla parete da congegni che li bloccassero), la stacca dal vetro e
infila la tavola sotto a un grembiule. Poi esce (in maniera fortunosa, va
detto), prende un tram a caso e poi si fa accompagnare a casa in carrozzella.
Incredibilmente, la scomparsa del quadro più famoso del museo viene denunciata
la mattina dopo. A mezzogiorno viene avvisato il direttore del museo, che era
fuori Parigi per le ferie estive, e viene allertata la polizia. Naturalmente,
erano stati in tanti a vedere il vuoto della Gioconda sulla parete, ma ognuno
si era dato una spiegazione valida per non dare l’allarme (una delle ipotesi
più gettonate è che fosse stata temporaneamente portata al laboratorio
fotografico).
Nel frattempo Peruggia è tornato
a casa, è andato a lavorare con due ore di ritardo e se la gode. Terrà la
Gioconda sotto il letto per due anni e mezzo. Poi, dimostrandosi di una
ingenuità imbarazzante, il 29 novembre 1913 contatterà un antiquario
fiorentino, scrivendo di essere il ladro della Gioconda, di volerla restituire
all’Italia e di aspettarsi un buon prezzo d’acquisto per il suo patriottismo.
L’antiquario avvisa l’allora direttore degli Uffizi. Insieme concordano di
rispondere (al massimo avrebbero avuto a che fare col solito mitomane). Viene
concordato un appuntamento in Italia il 20 dicembre. Il 10 Peruggia si presenta
all’antiquario. Ha passato la frontiera con la Gioconda nel doppio fondo di una
valigia. Il giorno dopo l’antiquario e il direttore degli Uffizi vanno nel
modesto albergo in cui alloggia Peruggia ed incredibilmente si rendono conto di
avere in mano la Gioconda. In maniera altrettanto incredibile, riescono a
farsela ‘prestare’ per un giorno, con la scusa di dover compiere delle analisi
sull’autenticità dell’opera. Il giorno dopo arriva a Firenze il direttore delle
Belle Arti, Corrado Ricci, e trasecola anche lui. Non ci sono dubbi. Peruggia
viene arrestato in albergo da poliziotti che lui ritiene essere stati mandati
dal governo italiano per pagargli il capolavoro di Leonardo. La Gioconda verrà
restituita alla Francia il 31 dicembre: l’Italia chiede di poterla esporre
qualche giorno agli Uffizi, a Roma e a Milano. La Francia ovviamente dice di sì
in segno di riconoscenza.
Tutto qui. Il libro di Jean-Yves
Le Naour ha il grande pregio di raccontare la vicenda con tono umoristico
rileggendola attraverso i giornali francesi dell’epoca. Ne esplora insomma
l’impatto sulla società dell’epoca. E noi vorremmo richiamare alcuni degli
aspetti che mette in luce, perché, pur se raccontati in maniera lieve, mettono
chiaramente in luce quanto malata fosse la società dell’epoca (e quanto sia
purtroppo simile sotto molti aspetti all’Europa odierna. Lasciamo al lettore il
compito agevole di immaginare chi oggi potrebbe ripetere ad alta voce molte
delle idiozie che furono scritte all’epoca). C’è un dato di fatto: l’eco del
furto della Gioconda e del suo ritrovamento sarà spento otto mesi dopo dallo
scoppio della Prima guerra mondiale; il furto del secolo cadrà ben presto
nell’oblio, offuscato dalla tragedia del secolo.
Il furto della Gioconda sulla prima pagina della Domenica del Corriere (3-10 settembre 1911) http://www.italipes.com/citazionegioconda1.htm |
Com’è fatta la Gioconda? La nascita di un mito
L’eco del furto della Gioconda è
enorme. Il Louvre resta chiuso fino al 29 agosto. Il 29, quando riapre (in quegli
anni l’ingresso è gratuito) registra il maggior afflusso di visitatori della
sua storia. La caccia alla Gioconda è già abbondantemente partita. Ma c’è un
problema. Com’è fatta la Gioconda? Tutti i francesi sono a caccia di un quadro
di cui hanno sentito parlare, ma che, prima del furto, hanno visto in
sparutissima minoranza. Ci si arrangia con le riproduzioni comparse sui
giornali, ma sicuramente la massa non è in grado di distinguere un falso dal
vero, non sa se il quadro è su tavola o su tela, non ne conosce le dimensioni.
Arrivano alla polizia migliaia di segnalazioni da tutta la Francia: viene
denunciato un farmacista che ha una riproduzione della Gioconda di cm 15x25; ci
si lancia all’inseguimento di persone viste maneggiare tele, quando invece il
quadro è su tavola. Centinaia e centinaia sono i fermi di rappresentanti di
spazzole, turistii, comunissimi cittadini che hanno l’unica colpa di andare in
giro tenendo in mano un pacchetto avvolto nella carta o nel tessuto. Nemmeno
tutti i poliziotti, naturalmente, sanno bene com’è fatta la Gioconda. Per
aiutare il loro lavoro, e in particolar modo quello degli addetti alle dogane,
i dati del quadro di Leonardo compaiono fra le foto segnaletiche dei più
pericolosi ricercati. Possiamo naturalmente ridere di tutto ciò, ma c’è una cosa
che dobbiamo comprendere: prima di essere rubata la Gioconda era considerata
uno dei cinque quadri più importanti del Louvre. Dopo diviene il quadro per
eccellenza in tutto il mondo. Monna Lisa deve essere eternamente grata a
Vincenzo Peruggia per il furto. Marcel Duchamp, Fernand Leger, Salvador Dalì,
Andy Wahrol, Botero, Basquiat dipingono le loro Gioconde grazie a Vincenzo
Peruggia. Siamo veramente di fronte al furto del secolo.
La prima pagina dell'Excelsior del 30 agosto 1911 |
La politica
Naturalmente, un fatto di così
grande portata non può non essere commentato dalla politica. In generale, si
può dire che il furto della Gioconda è un’occasione per la destra francese di
prendersi la rivincita dopo l’autentico disastro compiuto con l’affare Dreyfus
[1]. Mai come in questa occasione la Francia si dimostra spaccata in due. Come
conseguenza dello scandalo Dreyfus, le sinistre hanno preso il potere nel 1902.
La vittoria è confermata nel 1906. In particolare la vittoria è dei radicali
che hanno attuato una politica fortemente anticlericale (la Francia ha rotto le
relazioni diplomatiche col Vaticano nel 1904), hanno posto in essere riforme
sociali come l’obbligo del riposo settimanale e fiscali come l’introduzione di
un’imposta progressiva sul reddito. La Gioconda diventa un’occasione per
scagliarsi contro questo mondo, in maniera più o meno veemente. Non dobbiamo
dimenticare che anche l’ambiente dell’arte è spaccato in due, e che una parte
importante degli artisti francesi è schierata sul fronte della conservazione,
contro la repubblica radicale e addirittura a favore della monarchia. Basti
pensare al vecchio Renoir (di cui proprio nel 1911 esce la prefazione al Libro dell’Arte di Cennino Cennini) o al
giovane Maurice Denis, teorico dei Nabis
e poi fortemente impegnato per il rinnovamento dell’arte sacra in Francia.
Colpa
del parlamentarismo
I giornali della destra si
scagliano contro il parlamentarismo e la macchina burocratica statale che è
considerata sua diretta emanazione. In un mondo burocratizzato nessuno è più
diretto responsabile delle proprie azioni. “E’ grazie al parlamentarismo che
abbiamo degli amministratori che non amministrano. Dei conservatori che
conservano soltanto il loro stipendio, dei custodi che non custodiscono un bel
niente e dei direttori delle Belle Arti preoccupati principalmente di dirigere
la politica radicale del loro arrondissement” [2]. Il Louvre, sia chiaro, è un
autentico colabrodo e l’episodio della Gioconda non è certo il primo fattaccio
che vi si verifica: è celebre un giornalista buontempone che prima si è
divertito a dormire dentro un sarcofago egizio, poi si è portato da casa una
statuetta falsa e l’ha esposta in mostra senza che per mesi nessuno se ne
accorgesse.
Colpa
del sindacalismo
Ciò non toglie che appare assurdo
sostenere, ad esempio, che il furto “è una conseguenza logica, matematica,
della legge sul riposo settimanale” [3]. Naturalmente si paventa il pericolo
che i custodi stiano per riunirsi in sindacato e possano così detenere il reale
potere nel museo. “Da buoni liberali, gli ideologi della sovranità del mercato
pensano che la socializzazione dell’arte e il suo accesso gratuito siano la
fonte di tutti i problemi. […] L’accesso gratuito di tutti i cittadini alle
collezioni pubbliche non è molto apprezzato […] dai conservatori, che nel far
pagare i visitatori vedono almeno due vantaggi: fare entrare denaro nelle casse
per ridurre il peso della fiscalità ed eliminare i poveri, barboni e altri
sfortunati, che d’inverno vanno a scaldarsi nel museo” (p. 61). Il modello a
cui si guarda è quello di un Louvre ‘leggero’, che sia gestito da una
cooperazione fra pubblico e privato.
Colpa
degli ebrei
Ci spostiamo più a destra ancora
e le argomentazioni diventano nauseanti. Il commento di Action française, il quotidiano dello schieramento filofascista che
propugna il ritorno alla monarchia è semplicissimo: è colpa degli ebrei. “«Il
Louvre è ebraicizzato» […] Non è pacifico che «i ladri di quadri sono tutti
ebrei o lavorano per conto degli ebrei, per le collezioni ebraiche o
americane?» Non è risaputo che «gli ebrei che non trafficano in denaro e carne
umana, trafficano in oggetti d’arte?» […] Tutti i ricettatori di Parigi sono
figli d’Israele, la polizia lo sa perfettamente ma è imbavagliata dal governo
democratico che non ha alcuna intenzione di agire. […] Aspettando la restaurazione
della monarchia, che ci sbarazzerà da tutte queste brutture ma che si fa
disperatamente attendere, Léon Daudet e Charles Maurras, il maître a penser dei realisti, subodorano
che il rapimento della Gioconda permetterà a qualche copista di fare fortuna
rimandando al Louvre un falso, mentre la vera Monna Lisa diventerà preda di una
collezione privata di cui è superfluo precisare la confessione” (pp. 65-67).
Il ritrovamento della Gioconda su un giornale francese |
Il patriottismo
Naturalmente individuare il
nemico in una potenza straniera mette tutti d’accordo più facilmente. E’ in
questo caso che lo sciovinismo francese dà il meglio di sé. E quando si parla
di nemico straniero c’è un solo nome: la Germania
Colpa
della Germania
Peraltro il furto della Gioconda
capita nel bel mezzo di una crisi internazionale, che riguarda la politica
coloniale di Francia e Germania, la cosiddetta seconda crisi marocchina o crisi
di Agadir [4]. Si è veramente sull’orlo di una guerra. La Germania si oppone
alla politica espansionistica francese in Marocco ed invia una sua cannoniera al
largo di Agadir, porto marocchino controllato dai transalpini. La situazione è
in stallo (e si sbloccherà poi con la cessione di una parte del Congo da parte
dei francesi alla Germania). Immaginatevi, in questo clima, cosa si scatena al
furto della Gioconda. Notoriamente i tedeschi mirano alle ricchezze francesi:
la Monna Lisa è una di quelle. Nella migliore delle ipotesi si dice che il
furto è stato commesso per avere un ostaggio da giocarsi nella crisi
marocchina. Le conseguenze sono logiche: il transatlantico Kaiser Wilhelm II,
in partenza da Cherbourg per New York viene perquisito da cima a fondo non solo
alla partenza, ma, su raccomandazione delle autorità francesi a quelle
americane, anche all’arrivo. La Maison Braun, che si occupa delle riproduzioni
fotografiche dei quadri del Louvre, è additata come il vero centro del
complotto, sulla base del solo fatto che porta un nome tedesco; peccato che sia
francese, fondata da un alsaziano che nel 1871, dopo la guerra franco-prussiana,
ha lasciato l’Alsazia conquistata dai tedeschi per vivere in Francia (la stessa
storia personale di Dreyfus). Gli agenti tedeschi sono dappertutto.
Colpa
degli americani
Naturalmente il fronte del nemico
straniero non si esaurisce con i tedeschi. Fortemente indiziati sono anche i
miliardari americani che fanno spesa in Europa staccando assegni da capogiro e
che vengono accusati di ricorrere a sistemi illegali quando non possono
procurarsi i capolavori europei con mezzi leciti. La pensano allo stesso modo i
giornali della sinistra e della destra. Così si legge sul Midi socialiste: la Gioconda
“suscitava da molto tempo la brama dei miliardari americani che, non sapendo
che farsene del loro oro, fanno saccheggiare da intermediari sontuosamente
remunerati le ricchezze artistiche della vecchia Europa” (p. 81). Ma non si
esime dal prendere in considerazione l’ipotesi anche l’estrema destra, che, con
le parole di Charles Maurras, collega il complotto ebraico all’appetito dei
miliardari americani, perché è evidente che, finché ci saranno americani per
comprare, ci saranno ebrei per rubare. Alla fine lo spettro antitedesco si
innesta su quello del ricco americano quando una lettera anonima informa […]
che la Gioconda è stata rubata da due tedeschi per conto di un mandante
americano e che a oggi, 31 agosto, è già comodamente sistemata in una
collezione privata al di là dell’Atlantico” (pp. 81-82).
Vincenzo Peruggia sulla prima pagina dell'Excelsior |
Apollinaire e Pablo Picasso
L’ipotesi che ad operare sia
stata una banda internazionale con la prospettiva di far espatriare quanto
prima il quadro è una delle più frequentate, ed è logico. Ciò che è incredibile
è che in questo pasticcio finisca per essere coinvolto anche Apollinaire (e con
lui Pablo Picasso). Riepiloghiamo: Apollinaire
era già all’epoca uno dei poeti più famosi di Francia. La sua unica colpa fu di
imbattersi e di fare amicizia con un povero disgraziato, un certo Géry-Piéret;
un disertore belga nato per combinare guai. Nonostante tutto (i due si
conobbero nel 1905) ad Apollinaire quel tipo un po’ strano piaceva e lo prese a
casa con sé, nelle veci di segretario e domestico. Géry-Piéret era davvero un
combinaguai. A corto di soldi, nel 1907, gli venne la brillante idea di andare
al Louvre e di rubare (in due occasioni diverse) due statuette fenicie (nessuno
se ne accorse: il Louvre era- come detto – un colabrodo) che poi rivendette per
50 franchi ad una caro amico di Apollinaire (inizialmente a sua insaputa):
Pablo Picasso. Quando il poeta lo venne a sapere, lo cacciò di casa, salvo
comunque far fronte a sue periodiche richieste di denaro. Una settimana dopo il
furto della Gioconda, Géry-Piéret, che era mitomane, scrisse al Paris-Journal,
vantandosi dei suoi furti. Fu organizzata un’intervista, che venne pubblicata
il 29 agosto sul quotidiano (in forma anonima). Letto il giornale, sia
Apollinaire sia Picasso andarono letteralmente nel panico; prima progettarono
di sbarazzarsi delle statuette (ancora a casa di Picasso) gettandole nella
Senna, poi Apollinaire decise di presentarsi al Paris-Journal e di consegnare i
due manufatti perché fossero restituiti al Louvre. Purtroppo per il poeta,
qualcuno, nella redazione del quotidiano, non mantenne il riserbo sull’identità
di chi aveva consegnato le statuette e riferì il nome di Apollinaire alla
polizia. La sera del 7 settembre Apollinaire viene arrestato. Non tanto per il
furto delle statuette (per il quale al massimo rischia un accusa di
favoreggiamento), ma per essere il probabile capo di una banda di ladri
stranieri che avrebbe rubato la Gioconda [5]. Non bisogna dimenticare che
Apollinaire in realtà non era francese. Il suo era lo pseudonimo di Wilhelm
Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicky. Nato a Roma, era figlio
illegittimo e portava il cognome della madre polacca. L’8 settembre la stampa
viene a sapere che per il furto è stato arrestato un russo, probabilmente di
origini ebraiche: Apollinaire appunto. Scoppia il pandemonio. Apollinaire si fa
cinque giorni di prigione, durante i quali tutta la comunità letteraria di
Francia si schiera a favore dell’integrità morale del poeta, si svolge un
drammatico faccia a faccia fra Apollinaire (che non fa il nome di chi ha
comprato le statuette) e Picasso, il quale nega di averlo mai visto in vita sua
(l’amicizia fra i due s’incrina in seguito all’episodio), il poeta ci tiene a
far sapere di non essere ebreo, ma cattolico praticante e, alla fine, la
polizia è costretta ad ammettere che Apollinaire non è legato in alcun modo al
furto della Gioconda e finisce per rilasciarlo.
La Gioconda è perduta
Dopo mesi e mesi di prime pagine
la vicenda della Gioconda perde il suo appeal.
La realtà è che la polizia è stata allertata con troppo ritardo e che le
indagini sono state condotte inseguendo fantomatiche piste dettate dai
giornali. E, come in tutte le occasioni in cui i processi vengono fatti dai
media (oggi in televisione) il risultato è il nulla. Va peraltro detto che il
furto viene oscurato, nel corso dell’anno successivo, da un altro grande avvenimento:
è di aprile 1912 la tragedia del Titanic. Resta quanto scritto dai giornali,
quanto detto dai politici e molto altro che troverete nel libro di Le Naour e
che abbiamo omesso di riferire. Ad un secolo di distanza appare chiaro come
l’Europa fosse gravemente malata, senza averne una chiara percezione. Il
sospetto che oggi si sia più o meno allo stesso punto di allora è un’ipotesi
che mi gira nella testa, ma che mi auguro essere sbagliata.
NOTE
[1] Per un rapido riassunto si
veda http://it.wikipedia.org/wiki/Affare_Dreyfus
[2] “Lo scontento”, L’Echo de
Paris, 27 agosto 1911
[3] “La Gioconda ritornerà?”, Le
Gaulois, 1° settembre 1911
[4] Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Agadir
[5] La vicenda è talmente assurda
da ricordarmi in qualche modo la grande beffa organizzata nel 1978 dalla
rivista satirica ‘Il Male’ che uscì replicando le testate di alcuni giornali
nazionali e annunciando che Ugo Tognazzi era stato arrestato in quanto capo
delle Brigate Rosse (Raimondo Vianello avrebbe fatto parte anch’egli della
Direzione nazionale. Tutti i particolari su http://www.ugotognazzi.com/brigate_rosse.htm).
L’unica differenza è che la trovata de ‘Il Male’ era concordata con Tognazzi.
Nessun commento:
Posta un commento