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mercoledì 26 novembre 2014

Jean-Yves Le Naour, Il furto della Gioconda, 2013

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Jean-Yves Le Naour
Il furto della Gioconda


Bologna, Odoya editore, 2013



Un libro divertente, arguto, intelligente; che fa ridere ma anche riflettere; che si legge con gusto in un paio d’ore e non ha nulla dello scritto paludato. In Francia ne è uscita anche una versione a fumetti.

Le vicende del furto della Gioconda sono, più o meno, note a tutti. Le ripetiamo brevemente, rimandando senz’altro, per maggiori particolari, alla lettura della recensione che Marco Carminati ha scritto su questo stesso libro:


La Gioconda fu rubata alle 7 del mattino di lunedì 21 agosto 1911 da Vincenzo Peruggia. Peruggia aveva lavorato poco tempo prima per la ditta che era stata incaricata di applicare vetri a protezione dei quadri del museo. Al Louvre – a suo dire - era rimasto stupito e indignato per il numero incredibile di quadri italiani che popolavano il museo (frutto delle razzie napoleoniche), ed aveva deciso di rubarne uno. Se esclusivamente per motivi patriottici (come sostenne in sede processuale) o anche per rivenderlo e diventare ricco, non è ben chiaro. Probabilmente entrambe le cose. Non sapeva bene cosa avrebbe rubato: inizialmente aveva pensato alle Nozze di Cana di Paolo Veronese, ma trattandosi di una tela 6 metri x 9, si era reso conto che avrebbe avuto difficoltà a portarla via. Poi aveva sentito parlar bene della Gioconda; le dimensioni erano contenute; era il quadro che faceva al caso suo (naturalmente non sapeva che si trattava di uno dei pochissimi quadri italiani non rubati da Napoleone, ma legittimamente in Francia).

Vincenzo Peruggia

La notte di domenica 20 si era fatto chiudere nei bagni del Louvre. Lunedì era giorno di riposo, giorno in cui al Louvre si vedono soprattutto inservienti ed operai addetti alla manutenzione. Peruggia esce dai bagni, afferra la Gioconda (i quadri non erano fermati alla parete da congegni che li bloccassero), la stacca dal vetro e infila la tavola sotto a un grembiule. Poi esce (in maniera fortunosa, va detto), prende un tram a caso e poi si fa accompagnare a casa in carrozzella. Incredibilmente, la scomparsa del quadro più famoso del museo viene denunciata la mattina dopo. A mezzogiorno viene avvisato il direttore del museo, che era fuori Parigi per le ferie estive, e viene allertata la polizia. Naturalmente, erano stati in tanti a vedere il vuoto della Gioconda sulla parete, ma ognuno si era dato una spiegazione valida per non dare l’allarme (una delle ipotesi più gettonate è che fosse stata temporaneamente portata al laboratorio fotografico).

Nel frattempo Peruggia è tornato a casa, è andato a lavorare con due ore di ritardo e se la gode. Terrà la Gioconda sotto il letto per due anni e mezzo. Poi, dimostrandosi di una ingenuità imbarazzante, il 29 novembre 1913 contatterà un antiquario fiorentino, scrivendo di essere il ladro della Gioconda, di volerla restituire all’Italia e di aspettarsi un buon prezzo d’acquisto per il suo patriottismo. L’antiquario avvisa l’allora direttore degli Uffizi. Insieme concordano di rispondere (al massimo avrebbero avuto a che fare col solito mitomane). Viene concordato un appuntamento in Italia il 20 dicembre. Il 10 Peruggia si presenta all’antiquario. Ha passato la frontiera con la Gioconda nel doppio fondo di una valigia. Il giorno dopo l’antiquario e il direttore degli Uffizi vanno nel modesto albergo in cui alloggia Peruggia ed incredibilmente si rendono conto di avere in mano la Gioconda. In maniera altrettanto incredibile, riescono a farsela ‘prestare’ per un giorno, con la scusa di dover compiere delle analisi sull’autenticità dell’opera. Il giorno dopo arriva a Firenze il direttore delle Belle Arti, Corrado Ricci, e trasecola anche lui. Non ci sono dubbi. Peruggia viene arrestato in albergo da poliziotti che lui ritiene essere stati mandati dal governo italiano per pagargli il capolavoro di Leonardo. La Gioconda verrà restituita alla Francia il 31 dicembre: l’Italia chiede di poterla esporre qualche giorno agli Uffizi, a Roma e a Milano. La Francia ovviamente dice di sì in segno di riconoscenza.

Tutto qui. Il libro di Jean-Yves Le Naour ha il grande pregio di raccontare la vicenda con tono umoristico rileggendola attraverso i giornali francesi dell’epoca. Ne esplora insomma l’impatto sulla società dell’epoca. E noi vorremmo richiamare alcuni degli aspetti che mette in luce, perché, pur se raccontati in maniera lieve, mettono chiaramente in luce quanto malata fosse la società dell’epoca (e quanto sia purtroppo simile sotto molti aspetti all’Europa odierna. Lasciamo al lettore il compito agevole di immaginare chi oggi potrebbe ripetere ad alta voce molte delle idiozie che furono scritte all’epoca). C’è un dato di fatto: l’eco del furto della Gioconda e del suo ritrovamento sarà spento otto mesi dopo dallo scoppio della Prima guerra mondiale; il furto del secolo cadrà ben presto nell’oblio, offuscato dalla tragedia del secolo. 

Il furto della Gioconda sulla prima pagina della Domenica del Corriere (3-10 settembre 1911)
http://www.italipes.com/citazionegioconda1.htm


Com’è fatta la Gioconda? La nascita di un mito

L’eco del furto della Gioconda è enorme. Il Louvre resta chiuso fino al 29 agosto. Il 29, quando riapre (in quegli anni l’ingresso è gratuito) registra il maggior afflusso di visitatori della sua storia. La caccia alla Gioconda è già abbondantemente partita. Ma c’è un problema. Com’è fatta la Gioconda? Tutti i francesi sono a caccia di un quadro di cui hanno sentito parlare, ma che, prima del furto, hanno visto in sparutissima minoranza. Ci si arrangia con le riproduzioni comparse sui giornali, ma sicuramente la massa non è in grado di distinguere un falso dal vero, non sa se il quadro è su tavola o su tela, non ne conosce le dimensioni. Arrivano alla polizia migliaia di segnalazioni da tutta la Francia: viene denunciato un farmacista che ha una riproduzione della Gioconda di cm 15x25; ci si lancia all’inseguimento di persone viste maneggiare tele, quando invece il quadro è su tavola. Centinaia e centinaia sono i fermi di rappresentanti di spazzole, turistii, comunissimi cittadini che hanno l’unica colpa di andare in giro tenendo in mano un pacchetto avvolto nella carta o nel tessuto. Nemmeno tutti i poliziotti, naturalmente, sanno bene com’è fatta la Gioconda. Per aiutare il loro lavoro, e in particolar modo quello degli addetti alle dogane, i dati del quadro di Leonardo compaiono fra le foto segnaletiche dei più pericolosi ricercati. Possiamo naturalmente ridere di tutto ciò, ma c’è una cosa che dobbiamo comprendere: prima di essere rubata la Gioconda era considerata uno dei cinque quadri più importanti del Louvre. Dopo diviene il quadro per eccellenza in tutto il mondo. Monna Lisa deve essere eternamente grata a Vincenzo Peruggia per il furto. Marcel Duchamp, Fernand Leger, Salvador Dalì, Andy Wahrol, Botero, Basquiat dipingono le loro Gioconde grazie a Vincenzo Peruggia. Siamo veramente di fronte al furto del secolo.

La prima pagina dell'Excelsior del 30 agosto 1911


La politica

Naturalmente, un fatto di così grande portata non può non essere commentato dalla politica. In generale, si può dire che il furto della Gioconda è un’occasione per la destra francese di prendersi la rivincita dopo l’autentico disastro compiuto con l’affare Dreyfus [1]. Mai come in questa occasione la Francia si dimostra spaccata in due. Come conseguenza dello scandalo Dreyfus, le sinistre hanno preso il potere nel 1902. La vittoria è confermata nel 1906. In particolare la vittoria è dei radicali che hanno attuato una politica fortemente anticlericale (la Francia ha rotto le relazioni diplomatiche col Vaticano nel 1904), hanno posto in essere riforme sociali come l’obbligo del riposo settimanale e fiscali come l’introduzione di un’imposta progressiva sul reddito. La Gioconda diventa un’occasione per scagliarsi contro questo mondo, in maniera più o meno veemente. Non dobbiamo dimenticare che anche l’ambiente dell’arte è spaccato in due, e che una parte importante degli artisti francesi è schierata sul fronte della conservazione, contro la repubblica radicale e addirittura a favore della monarchia. Basti pensare al vecchio Renoir (di cui proprio nel 1911 esce la prefazione al Libro dell’Arte di Cennino Cennini) o al giovane Maurice Denis, teorico dei Nabis e poi fortemente impegnato per il rinnovamento dell’arte sacra in Francia.

Colpa del parlamentarismo

I giornali della destra si scagliano contro il parlamentarismo e la macchina burocratica statale che è considerata sua diretta emanazione. In un mondo burocratizzato nessuno è più diretto responsabile delle proprie azioni. “E’ grazie al parlamentarismo che abbiamo degli amministratori che non amministrano. Dei conservatori che conservano soltanto il loro stipendio, dei custodi che non custodiscono un bel niente e dei direttori delle Belle Arti preoccupati principalmente di dirigere la politica radicale del loro arrondissement” [2]. Il Louvre, sia chiaro, è un autentico colabrodo e l’episodio della Gioconda non è certo il primo fattaccio che vi si verifica: è celebre un giornalista buontempone che prima si è divertito a dormire dentro un sarcofago egizio, poi si è portato da casa una statuetta falsa e l’ha esposta in mostra senza che per mesi nessuno se ne accorgesse.

Colpa del sindacalismo

Ciò non toglie che appare assurdo sostenere, ad esempio, che il furto “è una conseguenza logica, matematica, della legge sul riposo settimanale” [3]. Naturalmente si paventa il pericolo che i custodi stiano per riunirsi in sindacato e possano così detenere il reale potere nel museo. “Da buoni liberali, gli ideologi della sovranità del mercato pensano che la socializzazione dell’arte e il suo accesso gratuito siano la fonte di tutti i problemi. […] L’accesso gratuito di tutti i cittadini alle collezioni pubbliche non è molto apprezzato […] dai conservatori, che nel far pagare i visitatori vedono almeno due vantaggi: fare entrare denaro nelle casse per ridurre il peso della fiscalità ed eliminare i poveri, barboni e altri sfortunati, che d’inverno vanno a scaldarsi nel museo” (p. 61). Il modello a cui si guarda è quello di un Louvre ‘leggero’, che sia gestito da una cooperazione fra pubblico e privato.

Colpa degli ebrei

Ci spostiamo più a destra ancora e le argomentazioni diventano nauseanti. Il commento di Action française, il quotidiano dello schieramento filofascista che propugna il ritorno alla monarchia è semplicissimo: è colpa degli ebrei. “«Il Louvre è ebraicizzato» […] Non è pacifico che «i ladri di quadri sono tutti ebrei o lavorano per conto degli ebrei, per le collezioni ebraiche o americane?» Non è risaputo che «gli ebrei che non trafficano in denaro e carne umana, trafficano in oggetti d’arte?» […] Tutti i ricettatori di Parigi sono figli d’Israele, la polizia lo sa perfettamente ma è imbavagliata dal governo democratico che non ha alcuna intenzione di agire. […] Aspettando la restaurazione della monarchia, che ci sbarazzerà da tutte queste brutture ma che si fa disperatamente attendere, Léon Daudet e Charles Maurras, il maître a penser dei realisti, subodorano che il rapimento della Gioconda permetterà a qualche copista di fare fortuna rimandando al Louvre un falso, mentre la vera Monna Lisa diventerà preda di una collezione privata di cui è superfluo precisare la confessione” (pp. 65-67).


Il ritrovamento della Gioconda su un giornale francese


Il patriottismo

Naturalmente individuare il nemico in una potenza straniera mette tutti d’accordo più facilmente. E’ in questo caso che lo sciovinismo francese dà il meglio di sé. E quando si parla di nemico straniero c’è un solo nome: la Germania

Colpa della Germania

Peraltro il furto della Gioconda capita nel bel mezzo di una crisi internazionale, che riguarda la politica coloniale di Francia e Germania, la cosiddetta seconda crisi marocchina o crisi di Agadir [4]. Si è veramente sull’orlo di una guerra. La Germania si oppone alla politica espansionistica francese in Marocco ed invia una sua cannoniera al largo di Agadir, porto marocchino controllato dai transalpini. La situazione è in stallo (e si sbloccherà poi con la cessione di una parte del Congo da parte dei francesi alla Germania). Immaginatevi, in questo clima, cosa si scatena al furto della Gioconda. Notoriamente i tedeschi mirano alle ricchezze francesi: la Monna Lisa è una di quelle. Nella migliore delle ipotesi si dice che il furto è stato commesso per avere un ostaggio da giocarsi nella crisi marocchina. Le conseguenze sono logiche: il transatlantico Kaiser Wilhelm II, in partenza da Cherbourg per New York viene perquisito da cima a fondo non solo alla partenza, ma, su raccomandazione delle autorità francesi a quelle americane, anche all’arrivo. La Maison Braun, che si occupa delle riproduzioni fotografiche dei quadri del Louvre, è additata come il vero centro del complotto, sulla base del solo fatto che porta un nome tedesco; peccato che sia francese, fondata da un alsaziano che nel 1871, dopo la guerra franco-prussiana, ha lasciato l’Alsazia conquistata dai tedeschi per vivere in Francia (la stessa storia personale di Dreyfus). Gli agenti tedeschi sono dappertutto.

Colpa degli americani

Naturalmente il fronte del nemico straniero non si esaurisce con i tedeschi. Fortemente indiziati sono anche i miliardari americani che fanno spesa in Europa staccando assegni da capogiro e che vengono accusati di ricorrere a sistemi illegali quando non possono procurarsi i capolavori europei con mezzi leciti. La pensano allo stesso modo i giornali della sinistra e della destra. Così si legge sul Midi socialiste:  la Gioconda “suscitava da molto tempo la brama dei miliardari americani che, non sapendo che farsene del loro oro, fanno saccheggiare da intermediari sontuosamente remunerati le ricchezze artistiche della vecchia Europa” (p. 81). Ma non si esime dal prendere in considerazione l’ipotesi anche l’estrema destra, che, con le parole di Charles Maurras, collega il complotto ebraico all’appetito dei miliardari americani, perché è evidente che, finché ci saranno americani per comprare, ci saranno ebrei per rubare. Alla fine lo spettro antitedesco si innesta su quello del ricco americano quando una lettera anonima informa […] che la Gioconda è stata rubata da due tedeschi per conto di un mandante americano e che a oggi, 31 agosto, è già comodamente sistemata in una collezione privata al di là dell’Atlantico” (pp. 81-82).

Vincenzo Peruggia sulla prima pagina dell'Excelsior


Apollinaire e Pablo Picasso

L’ipotesi che ad operare sia stata una banda internazionale con la prospettiva di far espatriare quanto prima il quadro è una delle più frequentate, ed è logico. Ciò che è incredibile è che in questo pasticcio finisca per essere coinvolto anche Apollinaire (e con lui Pablo Picasso). Riepiloghiamo:  Apollinaire era già all’epoca uno dei poeti più famosi di Francia. La sua unica colpa fu di imbattersi e di fare amicizia con un povero disgraziato, un certo Géry-Piéret; un disertore belga nato per combinare guai. Nonostante tutto (i due si conobbero nel 1905) ad Apollinaire quel tipo un po’ strano piaceva e lo prese a casa con sé, nelle veci di segretario e domestico. Géry-Piéret era davvero un combinaguai. A corto di soldi, nel 1907, gli venne la brillante idea di andare al Louvre e di rubare (in due occasioni diverse) due statuette fenicie (nessuno se ne accorse: il Louvre era- come detto – un colabrodo) che poi rivendette per 50 franchi ad una caro amico di Apollinaire (inizialmente a sua insaputa): Pablo Picasso. Quando il poeta lo venne a sapere, lo cacciò di casa, salvo comunque far fronte a sue periodiche richieste di denaro. Una settimana dopo il furto della Gioconda, Géry-Piéret, che era mitomane, scrisse al Paris-Journal, vantandosi dei suoi furti. Fu organizzata un’intervista, che venne pubblicata il 29 agosto sul quotidiano (in forma anonima). Letto il giornale, sia Apollinaire sia Picasso andarono letteralmente nel panico; prima progettarono di sbarazzarsi delle statuette (ancora a casa di Picasso) gettandole nella Senna, poi Apollinaire decise di presentarsi al Paris-Journal e di consegnare i due manufatti perché fossero restituiti al Louvre. Purtroppo per il poeta, qualcuno, nella redazione del quotidiano, non mantenne il riserbo sull’identità di chi aveva consegnato le statuette e riferì il nome di Apollinaire alla polizia. La sera del 7 settembre Apollinaire viene arrestato. Non tanto per il furto delle statuette (per il quale al massimo rischia un accusa di favoreggiamento), ma per essere il probabile capo di una banda di ladri stranieri che avrebbe rubato la Gioconda [5]. Non bisogna dimenticare che Apollinaire in realtà non era francese. Il suo era lo pseudonimo di Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicky. Nato a Roma, era figlio illegittimo e portava il cognome della madre polacca. L’8 settembre la stampa viene a sapere che per il furto è stato arrestato un russo, probabilmente di origini ebraiche: Apollinaire appunto. Scoppia il pandemonio. Apollinaire si fa cinque giorni di prigione, durante i quali tutta la comunità letteraria di Francia si schiera a favore dell’integrità morale del poeta, si svolge un drammatico faccia a faccia fra Apollinaire (che non fa il nome di chi ha comprato le statuette) e Picasso, il quale nega di averlo mai visto in vita sua (l’amicizia fra i due s’incrina in seguito all’episodio), il poeta ci tiene a far sapere di non essere ebreo, ma cattolico praticante e, alla fine, la polizia è costretta ad ammettere che Apollinaire non è legato in alcun modo al furto della Gioconda e finisce per rilasciarlo.


La Gioconda è perduta

Dopo mesi e mesi di prime pagine la vicenda della Gioconda perde il suo appeal. La realtà è che la polizia è stata allertata con troppo ritardo e che le indagini sono state condotte inseguendo fantomatiche piste dettate dai giornali. E, come in tutte le occasioni in cui i processi vengono fatti dai media (oggi in televisione) il risultato è il nulla. Va peraltro detto che il furto viene oscurato, nel corso dell’anno successivo, da un altro grande avvenimento: è di aprile 1912 la tragedia del Titanic. Resta quanto scritto dai giornali, quanto detto dai politici e molto altro che troverete nel libro di Le Naour e che abbiamo omesso di riferire. Ad un secolo di distanza appare chiaro come l’Europa fosse gravemente malata, senza averne una chiara percezione. Il sospetto che oggi si sia più o meno allo stesso punto di allora è un’ipotesi che mi gira nella testa, ma che mi auguro essere sbagliata.


NOTE

[1] Per un rapido riassunto si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Affare_Dreyfus

[2] “Lo scontento”, L’Echo de Paris, 27 agosto 1911

[3] “La Gioconda ritornerà?”, Le Gaulois, 1° settembre 1911

[4] Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Agadir

[5] La vicenda è talmente assurda da ricordarmi in qualche modo la grande beffa organizzata nel 1978 dalla rivista satirica ‘Il Male’ che uscì replicando le testate di alcuni giornali nazionali e annunciando che Ugo Tognazzi era stato arrestato in quanto capo delle Brigate Rosse (Raimondo Vianello avrebbe fatto parte anch’egli della Direzione nazionale. Tutti i particolari su http://www.ugotognazzi.com/brigate_rosse.htm). L’unica differenza è che la trovata de ‘Il Male’ era concordata con Tognazzi. 

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