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venerdì 7 novembre 2014

Emanuele Pellegrini. Settecento di carta. L'epistolario di Innocenzo Ansaldi


Emanuele Pellegrini
Settecento di carta
L'epistolario di Innocenzo Ansaldi

Pisa, ETS, 2008





[1] Testo della quarta di copertina:

“Mengs, David e Batoni; Pollack, Lodoli e Piermarini; la cappella Sansevero a Napoli e La Scala di Milano: sono solo alcuni nomi e monumenti che ricorrono nell’ampio carteggio di Innocenzo Ansaldi (1734-1816), pittore, poeta e scrittore di cose d’arte. Sullo sfondo della terribile eruzione del Vesuvio del 1790, del passaggio delle truppe napoleoniche in Italia, del violentissimo terremoto che sconvolse il Meridione nel 1805, corrono le lettere di Luigi Lanzi, Domenico Moreni, Luigi Crespi, Carlo Giuseppe Ratti, Sebastiano Ciampi, Francesco Bartoli, Leopoldo Cicognara, i quali affrontano con Ansaldi i temi più vari della ricerca storico-artistica di quel periodo. Così, nelle pagine di un carteggio che restituisce – e conferma – quell’immagine vivacissima della situazione culturale italiana al volger del secolo, si inseguono nomi e attribuzioni, giudizi critici severi e commenti favorevoli su quadri, sculture, volumi, riviste, articoli, disegni, progetti, moda e gusto. Cadono in questa rete artisti di primissimo piano: Anton Raphael Mengs, seppur lodato, viene ricondotto a una dimensione storicamente più equilibrata rispetto a chi riconosceva in lui il miglior pittore mai esistito; Jacques Louis David viene descritto come «infame e scellerato», forse per la sola colpa di essere francese. Sono due esempi, tra molti possibili, di quel turbine di contraddittori e scontri d’opinione che arricchiscono un dibattito in cui si aprono mille percorsi e si aggiungono sempre nuove prospettive. Non esistono confini a un colloquio tra persone che spesso si conoscevano solo per carta stampata: le descrizioni di chiese, città, palazzi e ville si distendono a coprire tutta l’Italia e per un arco cronologico cha va dall’antichità romana di Vitruvio al presente di Winckelmann, passando per Deodato Orlandi, Giotto, Masaccio, Michelangelo e Bernini. È la forza di un dibattito in cui trovano fondamento molte delle attuali acquisizioni metodologiche.”


[2] Annunciato da tempo (lo stesso Pellegrini a p. 10 segnala che la stampa di questo libro è ritardata di almeno tre anni), l’epistolario di Innocenzo Ansaldi completa ancor meglio la figura di questo erudito pesciatino, la cui reale statura è stata a lungo oscurata dalle rarissime opere che riuscì a pubblicare e dal fatto che il ricchissimo archivio di Innocenzo è rimasto in proprietà della famiglia fino alla morte dell’ultimo erede del casato nel 1981, e trasferito nella Biblioteca comunale di Pescia soltanto nel 1991. È quindi il caso di ricordare qui almeno tre pubblicazioni del primo decennio del XXI secolo che lo hanno riproposto all’attenzione dei critici: innanzi tutto la Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città e sobborghi di Pescia nella Toscana (pubblicata nel 1772 “a tradimento” da Luigi Crespi e riproposta in edizione critica nel 2001 dopo essere stata collazionata da Emanuele Pellegrini con altre versioni posteriori edite o manoscritte); poi Pistoia inedita. La descrizione di Pistoia nei manoscritti di Bernardino Vitoni e Innocenzo Ansaldi (a cura di Lisa di Zanni ed Emanuele Pellegrini, Pisa, Edizioni ETS, 2003); ed infine l’opera collettanea La Guida di Urbino di Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, a cura di Giovanna Perini e Giuseppe Cucco (2004), al cui interno è obbligo ricordare di Giovanna Perini Innocenzo Ansaldi e la Guida inedita di Urbino, che resta a nostro avviso il profilo biografico più completo e convincente dell’Ansaldi.

[3] L’epistolario di Ansaldi è popolato di personaggi di formazione e con obiettivi variegati: “professori”, “conoscitori”, “dilettanti”, collezionisti, nobili o meno, amici di vecchia data o conosciuti solo per via epistolare. Tutti sono accomunati dalla riflessione sul fare artistico, nelle sue forme più disparate; con tutti Innocenzo mantiene un unico e coerente atteggiamento nel corso dei decenni: massima disponibilità nel fornire informazioni a chi ne cerchi, senza alcun tornaconto personale, nell’evidente convinzione che da questo interscambio tutti si potesse uscire arricchiti nel proprio patrimonio di conoscenze personali. Innocenzo Ansaldi, per quanto queste classificazioni possano valere, rientrava nel novero dei “professori”, ovvero di coloro che le arti avevano studiato ed esercitato. La vita di Innocenzo ha uno sviluppo del tutto particolare: studia e soggiorna per diversi anni a Firenze e a Roma, viaggia spesso e visita sicuramente molte città italiane, di maggiore o minore rilevanza, vuoi per commissioni artistiche che gli sono affidate vuoi per interesse personale; acquista quindi sul campo una consapevolezza diretta della ricchezza del patrimonio artistico italiano. Ma una serie di disgrazie familiari, fra il 1782 e il 1783, lo obbliga a prendere dimora nella natia Pescia, per occuparsi degli affari della cartiera che la famiglia vi possedeva da oltre un secolo e dell’educazione dei nipoti, rimasti orfani in tenera età. Da Pescia e dalla Valdinievole, Innocenzo non si sposterà più e, sotto un certo punto di vista, si tratta di una circostanza fortunata, perché al suo vivere in maniera stanziale in una realtà periferica sopperisce di fatto fino alla morte nutrendo un fittissimo carteggio epistolare con i suoi corrispondenti. 

Anton Raphael Mengs, Autoritratto, 1744


[4] Nel carteggio emergono naturalmente temi di discussione che meritano di essere ulteriormente sviluppati. Pellegrini ne segnala alcuni con grande acutezza. Quello che abbiamo trovato più suggestivo è l’apparente discontinuità che esiste fra la formazione mengsiana di Ansaldi, ma anche del suo carissimo amico genovese Carlo Giuseppe Ratti (e di Baldassarre Orsini, di cui purtroppo non restano ad oggi testimonianze di una frequentazione epistolare con Innocenzo che pur vi dovette essere) e gli sviluppi che tutte queste figure nel concreto ebbero a condurre nelle loro ricerche una volta ritornati nelle loro “piccole patrie”. “A voler ridurre la questione a una schematizzazione bipolare si potrebbe affermare che si tratti di uno scontro tra il bello ideale da un lato – il quale rimase però parametro di giudizio della produzione artistica coeva – e un incipiente relativismo che la coscienza stessa di un patrimonio stratificato e diffuso, sia a livello geografico che cronologico, portava sempre più inequivocabilmente all’attenzione degli intendenti” (p. 29). “I numerosi «dilettanti» e «professori», sulla tipologia dell’Ansaldi, i quali concentrarono le loro forze sull’indagine territoriale, non possedevano una sistematicità teorica aprioristica [n.d.r. come Mengs o Winckelmann], quanto piuttosto la facoltà di conoscere la storia di un dato centro urbano che li portava a mettere in rapporto la propria cultura figurativa e il proprio sistema di ricerca ai singoli casi studiati” (p. 34). Ed è chiaro che la ricerca sul campo non poteva che entrare in conflitto con gli schemi di un Mengs nei cui Pensieri sulla Pittura vi era posto solo per Raffaello, Correggio e Tiziano. È proprio la presenza sul territorio di opere di artefici i più disparati che impone di “storicizzare” la ricerca e di uscire dagli schemi teorici. Sotto questo punto di vista Pellegrini invita a meglio approfondire l’influenza su questo tipo di erudizione di un Muratori o di un Maffei. “Manca ancora uno studio approfondito sulla effettiva fortuna degli scritti di questi due studiosi nella letteratura artistica della seconda metà del diciottesimo secolo. Tuttavia, dai primi sondaggi effettuati in questo senso, essa appare assai consistente: i rimandi, in nota, specialmente nella descrizione delle città, alle opere di Muratori e Maffei non risultano affatto marginali, tanto da far pensare a un deliberato e continuo riferimento che significa anche adesione a ricerche datate ma ritenute persino metodologicamente fondamentali” (p. 21).

Charles Roslin, Ritratto di Nicholas Cochin (1774)

[5] I temi e gli intrecci nel carteggio sono infiniti. Ne segnaliamo tre: la figura di Carlo Giuseppe Ratti come snodo importante di questa rete di erudizione epistolare (è Ratti che segnala a Luigi Crespi prima e a Luigi Lanzi poi la figura di Innocenzo Ansaldi come massimo esperto della realtà artistica pesciatina e che con lui li mette in contatto), il tentativo da parte di un personaggio per molti versi spregiudicato come Luigi Crespi di produrre una serie di resoconti del patrimonio artistico di singole e anche piccole realtà geografiche italiane da traslare in forma di “lettere pittoriche” in risposta al Voyage d’Italie di Nicholas Cochin  (in merito gli scritti di Giovanna Perini sono un punto di riferimento; si veda ad esempio Giovanna Perini Michelarcangelo Dolci e Luigi Crespi: le vicende della guida urbinate del 1775 dietro le quinte in Guide e viaggiatori tra Marche e Liguria dal Sei all’Ottocento); infine la particolare rilevanza del carteggio intercorso fra Luigi Lanzi e l’Ansaldi. Lanzi è messo in contatto con Ansaldi dal Ratti perché alla ricerca di maggiori informazioni su alcuni artefici lucchesi in vista della redazione della seconda edizione della sua Storia pittorica. Ora, non vi è dubbio che Ansaldi, che pure non è mai avaro di complimenti circa la produzione letteraria e le ricerche dei suoi corrispondenti, abbia chiaro sin dall’inizio come la Storia pittorica si stacchi nettamente da tutta la produzione precedente e coeva come momento di sintesi di un’epoca; e di conseguenza a nostro avviso si comporta, dando il meglio di sé, in maniera del tutto disinteressata, nelle lettere spedite all’abate marchigiano. La sua rassegna non si limita ai pittori lucchesi, pesciatini, pistoiesi, ma giunge sino ai pittori di scuola siciliana e alle poche testimonianze a loro relative (Ansaldi conosce per via indiretta Padre Fedele da san Biagio, autore dei Dialoghi familiari sopra la pittura, pubblicati nel 1788); Innocenzo arriva addirittura a discutere con Lanzi delle polemiche sull’invenzione della pittura ad olio, conoscendo, tramite la lettura delle gazzette letterarie, la pubblicazione dell’opera di Teofilo da parte del Lessing nel 1774 (per un riepilogo Paola Del Vescovo, Il Trattato di Teofilo e il problema dell’origine della pittura ad olio).

[6] Come anticipato, l’epistolario di Ansaldi è mutilo (vedi le avvertenze di Pellegrini a p. 129); il nucleo centrale è costituito dal Fondo Ansaldi nella Biblioteca di Pescia; poi ci si è mossi alla ricerca di possibili missive presso gli epistolari dei destinatari, quando disponibili. In molti casi, le lacune non sono di poco conto, come, purtroppo, nel caso del carteggio con Carlo Giuseppe Ratti; ci sono altre situazioni in cui pare difficile (anche per evidenze interne a tutto il resto del carteggio) che Ansaldi non abbia intrattenuto rapporti epistolari con altri suoi conoscenti (è il caso, anche questo già citato, di Baldassarre Orsini); infine è assente “la corrispondenza dell’Ansaldi col lucchese Tommaso Francesco Bernardi, che non ho potuto pubblicare perché oggetto del lavoro di altri studiosi”. Per chi esamina le lettere di Innocenzo, per chi impara a conoscerlo e lo vede muoversi per decenni con disinteresse assoluto nella repubblica delle arti di fine Settecento quest’assenza forzata, sia pure perfettamente legittimata dal diritto d’autore, suona davvero come una nota stonata e un’occasione perduta.

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