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giovedì 13 novembre 2014

Annamaria Ambrosini Massari (a cura di). 'Dotti amici'. Amico Ricci e la nascita della storia dell'arte nelle Marche. Parte II


‘Dotti amici’. Amico Ricci 
e la nascita della storia dell’arte nelle Marche
A cura di 
Annamaria Ambrosini Massari

Parte II
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Marco Benefial, Studio per nudo riverso, Già collezione Alessandro Maggiori
Fonte: http://www.farsettiarte.it/it/asta-0167-1/marco-benefial-studio-per-nudo-riverso.asp?pag=48

Annamaria Ambrosini Massari
Una scoperta nel Fondo Ricci di Macerata:
manoscritti e disegni di Alessandro Maggiori

[7] Di Alessandro Maggiori (1764-1834) fino ad oggi conoscevamo soprattutto la poliedrica produzione a stampa: dalle Guide di Ancona (1821) e di Loreto (1824), all’edizione commentata delle Rime di Michelangelo (1817), al saggio sull’opera di Sebastiano Serlio (1824), all’opera sulla coltivazione del granoturco (1833) fino all’Itinerario d’Italia e sue più notabili curiosità (1833), che probabilmente è il suo lavoro più noto. Il tutto con un’avvertenza importante: la prima pubblicazione (in ordine cronologico) risale al 1817, quando cioè il conte fermano aveva già 51 anni. Su tutto ciò che era capitato in precedenza, praticamente il buio. Le uniche fonti erano costituite dal profilo biografico che proprio Amico Ricci, a lui unito da una profonda amicizia, gli dedicò sul tomo LXVIII (luglio-agosto-settembre 1836) del Giornale arcadico e che è qui riportato in Appendice C, nonché dal nucleo di lettere inviate da Maggiori al padre fra il 1781 ed il 1809, dall’arrivo cioè a Bologna – che come per molti marchigiani dell’epoca fu la sua seconda patria – per motivi di studio fino al ritorno definitivo a casa (p. 4). A questi materiali si aggiungono oggi due diverse tipologie di documenti rintracciati tramite lo spoglio sistematico del Fondo Ricci presso la Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata: in primo luogo, le lettere inviate da Maggiori a Ricci (sono 163, comprese nel periodo fra il 1828 ed il 1834, anno della morte del fermano – cfr. pp. 202-257) e conservate nell’Epistolario; si tratta della testimonianza di un fruttuoso rapporto di scambio di informazioni erudite volto soprattutto alla redazione delle Memorie da parte del Ricci (le Memorie furono pubblicate proprio nel 1834, anno di morte del Maggiori e furono a lui dedicate); Ricci si rivolge al Maggiori come un discepolo nei confronti del maestro, gli chiede continuamente non solo informazioni, ma anche pareri, segnalazioni e mende ai propri scritti (è il caso del Viaggio per i vari paesi della nostra montagna eseguito nel settembre 1828). Di importanza assai più sostenuta è tuttavia il corpus dei manoscritti di mano del Maggiori, fino ad oggi attribuiti ad Amico Ricci e nuovamente restituiti all’originale paternità grazie allo spoglio sistematico condotto da Anna Maria Ambrosini Massari. I manoscritti ed i disegni compaiono elencati in Appendice B (pp. 76-82). Oggi sappiamo che a richiedere i manoscritti ed i disegni di Maggiori fu lo stesso Amico Ricci, che lo concordò con i fratelli del defunto subito dopo la morte di Alessandro (p. 26). “Il voluminoso fondo maceratese... contiene dunque... molti... autografi di Maggiori, scalabili in un arco di tempo, che va dal 1790 al 1816 circa. Si trovano appunti, estratti bibliografici, guide di numerose città marchigiane, viaggi in diverse località, specialmente taccuini relativi al Lazio e all’Umbria, abbozzi di trattati, di vite di artisti, tentativi di saggi polemici su temi storico-artistici, nella struttura illuminista del dialogo: insomma, una vera miniera di materiali, straordinariamente accompagnati da circa un centinaio di disegni dello stesso Maggiori, per lo più legati ai testi manoscritti, opere viste nei viaggi, opere su cui studiava e si esercitava, in quegli anni delle grandi illusioni, quando aspirava a diventare un grande pittore” (p. 20). Tutto questo materiale fu riorganizzato, arricchito di titolazioni, a volte implementato in altri manoscritti dal Ricci, che se ne servì per i suoi studi (specie per il progetto di una seconda edizione delle Memorie): “Quello di Ricci con le carte Maggiori è, dunque, un rapporto estremamente libero e vitale, un dialogo che continua [n.d.r. oltre la morte del Maggiori]. Ricci ha organizzato gli scritti del maestro, li ha indicizzati, è quasi sempre sua la scrittura dei titoletti e relativi commenti dati alle varie parti, che compongono i quaderni autonomi di Maggiori. È intervenuto a dividerli ed anche a mescolarli coi suoi, quando possibile, accorpandoli secondo le tematiche...” (p. 24). Ne conseguì che ad una prima e superficiale ricognizione il tutto fu ritenuto opera di Ricci stesso, e che solo un esame più attento ha permesso di rivedere le cose. Il lavoro di separazione e di riattribuzione si è basato a volte sulle date (ci sono manoscritti del primo decennio del 1800, quando Ricci era un bambino) e sull’esame delle calligrafie, ma soprattutto su “quella che si può definire la sua vera sigla, il timbro del suo [n.d.r. di Maggiori] stile, vale a dire, la consuetudine di accompagnare i testi con i disegni. Non solo disegni che rimandano ad opere, ma anche disegni che semplicemente corredano il testo, come rispondenti a un bisogno primario di raffigurare, decorare, inventare. Tra i più frequenti, colonne, candele e candelabri, piedi, mani, volti, grottesche, sole, luna e così via” (p. 21). Il corpus Maggiori presenta insomma una serie di lavori e progetti precedenti alle opere a stampa che consentono ora di ricostruire il maturare ed il progredire degli studi e del pensiero dell’erudito di Fermo, meglio comprendendone la reale statura.

[8] Come già accennato, Alessandro Maggiori si trasferisce a Bologna nel 1781, ufficialmente per studiare giurisprudenza. Il suo grande sogno ben presto è però quello di diventare pittore; Alessandro studia e si esercita con passione; va senz’altro ricondotto a questo grande slancio giovanile anche l’inizio della sua attività collezionistica; il giovane cerca e compra disegni per usarli come modelli e migliorare la sua cifra tecnica; lo fa con chiare preferenze stilistiche ed una particolare predilezione per il classicismo bolognese legato ai Carracci ed in particolare a Ludovico; alla scuola bolognese resterà sempre fedele, in chiara contrapposizione con le mode del tempo che segneranno il trionfo del neoclassico. Maggiori colleziona, viaggia, va a vedere le opere là dove si trovano, trascrive appunti; molto spesso appunti visivi. I suoi taccuini sono ricchi di schizzi di opere viste in loco e fissate rapidamente su carta, per poi meglio studiarle nei momenti liberi. “Il metodo usato è davvero antesignano di quello reso emblematico da uno dei padri dei conoscitori moderni, Giovan Battista Cavalcaselle, se non altro perché unisce all’esercitazione, l’intento documentaristico: un interesse diretto per le opere, prima come pittore e poi, o meglio in parallelo, come dilettante e collezionista... In particolare, questa vivida selezione dei ricordi, si rileva, in rapporto ad alcuni taccuini di viaggio, come quello, ricchissimo, con Appunti diversi di storia dell’arte, che contiene note veloci, immediate, su luoghi e opere” (pp. 41-42); sono anni in cui Alessandro diviene “profondo conoscitore, con una sensibilità modernissima rispetto al valore della catalogazione; del rendiconto scritto delle opere d’arte, imprescindibile per la garanzia della loro conservazione... A questo proposito Maggiori esprime in una data precocissima, il 1787, dunque ante-Lanzi, l’urgenza di scrivere un libro di tutte le pitture, scolture, e architetture, addirittura con la precisa volontà di farne anche una sorta di mappa delle situazioni in pericolo, con la segnalazione delle opere rovinate, in via di rovina o distrutte” (pp. 16-17). Inevitabilmente l’interesse per l’opera d’arte si rivela maggiormente accentuato per la realtà della propria patria; ed in maniera altrettanto naturale si allarga anche ai cosiddetti “primitivi”. “Le ricerche, sui secoli precedenti Raffaello, si basano sullo spunto di valorizzazione della storia artistica locale, di cui pittori e opere diventano documenti, ‘reperti’, da confrontare e analizzare per una ricostruzione d’insieme, indipendentemente da un’adesione di gusto o di collezionismo, che verranno solo successivamente e proprio grazie al lavoro svolto dagli eruditi” (pp. 17-18).

[9] I casi della vita faranno sì che Maggiori non diventi un pittore affermato, ma il passare degli anni è un’occasione per riprendere in mano, riconsiderare ed arricchire i materiali precedentemente acquisiti, alla luce di nuovi progetti culturali. Il caso più eclatante è quello della redazione di cataloghi-guide di città (quasi tutte) marchigiane. Si è detto che Maggiori riuscì a pubblicare le guide di Ancona (1821) e Loreto (1824), ma i manoscritti (poi giunti al Ricci) testimoniano di ulteriori progetti per Sant’Elpidio, San Giusto e Civitanova, Jesi, Osimo, Macerata, nonché Fano e Viterbo (pp. 59-62). Non bisogna poi dimenticare i lavori di impronta decisamente più teorica: “Le idee, non più argomento della creazione di uno stile personale di pittore ma temi di riflessione erudita ed estetica, sono sempre quelle che Alessandro snocciolava al padre, nelle lettere giovanili: opposizione al neoclassicismo e fede classicistica nella tradizione seicentesca bolognese” (p. 63). Fra questo gruppo di scritti, la curatrice ne seleziona uno, a cui Ricci attribuì il titolo Epistola illustrativa le opere eseguite dai Carracci nella Galleria Farnese; Maggiori vi “snocciola una serie di idee anti-raffaellesche e anti-neoclassiche, che riabilitano le teorie di Carlo Cesare Malvasia fino a confutare quelle derivanti soprattutto dalla lettura di Mengs, per cui solo Roma e Raffaello portano Annibale Carracci alla perfezione, mentre Ludovico sfuggì a Roma, perché sapeva di non poter sostenere il confronto. In realtà, secondo Maggiori, Annibale, nello sforzo di eguagliare Raffaello, perdette in originalità, cioè in perfezione dello stile e prese troppo a studiare e imitare le opere altrui, mentre Ludovico, che pure studiò sugli antichi maestri e le antiche sculture, non perdette mai il suo scopo principale, l’imitazione della natura” (p. 64).

Ludovico Carracci, Madonna Bargellini, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte http://www.emiliaromagnaturismo.it/it/galleria-fotografica


[10] Come si vede, dunque, Maggiori e Ricci avevano gusti stilistici ben diversi, che derivavano da riflessioni teoriche fra loro differenti. Eppure il rapporto personale fra i due fu sempre basato sulla stima reciproca (la dedica delle Memorie al Maggiori è in questo senso esemplificativa). In fondo non poteva essere che così: Maggiori trova in Ricci la figura che potenzialmente potrà portare a compimento i suoi progetti storiografici ed eruditi, volti alla valorizzazione e alla conservazione del patrimonio artistico marchigiano; Ricci reputa Maggiori uno degli antesignani dell’erudizione artistica marchigiana, un maestro a cui rivolgersi in ogni momento di difficoltà interpretativa, ma anche un uomo con cui confrontarsi sul metodo di studio più adatto per arrivare a risultati soddisfacenti. Il risultato di questo felice connubio è oggi per l’appunto testimoniato dal fondo Ricci della Biblioteca Mozzi-Borgetti, sicché è senz’altro lecito dire che la sua riscoperta ha permesso di far luce sulla personalità e l’opera non di una, ma di due figure fondamentali nella nascita della storia dell’arte in area marchigiana.

[11] Delle circostanze in cui le carte Maggiori passarono ad Amico Ricci si è detto; Maggiori possedeva inoltre una biblioteca di grande consistenza. È strano che i libri non abbiano conosciuto la stessa sorte, conoscendo peraltro come anche Ricci fosse un accanito bibliofilo (cfr. infra Elisa Barchiesi, Amico Ricci: profilo biografico e delle opere, p. 104). Segnala infatti Andrea Emiliani nella sua Introduzione a quest’opera (p. XIX): “Personalmente, ricordo bene l’orgoglio e la soddisfazione con le quali Roberto Longhi, mostrandomi la sua straordinaria biblioteca di via Benedetto Fortini a Firenze, mi narrava di averla per intero rilevata dai discendenti del Maggiori in Ancona”.


Elisa Barchiesi
Amico Ricci: profilo biografico e delle opere

[12] Il densissimo saggio di Elisa Barchiesi può essere letto seguendo molteplici percorsi fra loro differenti ed egualmente stimolanti: da un lato il susseguirsi delle vicende biografiche del marchese maceratese; dall’altro il rapporto con circoli eruditi non solo locali, e quello del tutto particolare con Bologna; o, ancora, la genesi delle Memorie (che si può dire abbia occupato un arco temporale compreso fra il 1827 e il 1834 – cfr. p. 98), i progetti per la redazione di una seconda edizione (nel Fondo Ricci è stata reperita una copia personale dell’autore arricchita di postille e correzioni apportate almeno fino a metà secolo), e la fortuna dell’opera. A noi pare che gli spunti più interessanti siano quelli dedicati al metodo di lavoro applicato da Ricci per la redazione delle Memorie. “Nel 1828 erano già delineate le basi del suo metodo di ricerca: lo studio delle fonti letterarie, il confronto con gli amici eruditi, la verifica diretta dell’opera, che lo spingeva a recarsi nelle chiese, nei palazzi privati, a vedere di persona le opere degli artisti marchigiani, come dimostra il Viaggio per i vari paesi della nostra montagna... e come si può apprendere dalla corrispondenza incentrata sulle ricerche per la pubblicazione dell’Elogio di Gentile da Fabriano, edito nel 1829 e che confluisce, aggiornato e corretto, nel settimo capitolo delle Memorie” (pp. 100-101). Si è già detto che il Ricci migliore è sovente quello dei manoscritti, dove i giudizi sono più liberi e l’osservazione diretta dell’opera sembra avere il sopravvento sulla fonte letteraria, mentre nell’edizione a stampa sembra pagarvi dazio per una sorta di autocensura; la realtà delle cose è che, fra momenti più o meno felici, si colgono comportamenti anticipatori del metodo di lavoro di molti conoscitori dei decenni successivi (per restare alle Marche, è d’obbligo citare il famoso viaggio del 1861 di Giovanni Morelli e del Cavalcaselle).

Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fonte: http://commons.wikimedia.org/

[13] La fonte letteraria, comunque, costituisce sempre il punto di partenza. È importante ricordare che Amico Ricci possedeva una vastissima biblioteca, di cui, sul modello del Cicognara, redasse, nel 1840, un Catalogo ragionato dei libri d’arte posseduti (conservato nell’omonimo fondo, ms. 175-175 ter). Stiamo parlando di circa 1500 volumi, attualmente conservati presso la Biblioteca comunale di Macerata. Per una breve rassegna di tali opere (che comunque costituivano “i classici della letteratura artistica, le autorità in campo di Belle Arti, strumenti attuali di ricerca anche per lo studioso moderno” – cfr. p. 105) si vedano le pp. 106-110. Noi, da bibliofili, ci limitiamo a dichiarare qui che ci piacerebbe vedere un giorno pubblicato il Catalogo del Ricci. 

[14] Sulle frequentazioni bolognesi del Ricci bisogna dire due parole: Bologna fu, per Amico, una seconda patria, sin dal tempo degli studi (il trasferimento a Bologna è del 1806). Fra i molti corrispondenti di Amico testimoniati nell’Epistolario spiccano, ad esempio, i nomi di Antonio Bolognini Amorini, Presidente dell’Accademia di Belle Arti felsinea dal 1831 al 1845, e di Gaetano Giordani, custode per decenni della Pinacoteca bolognese, nonché instancabile ricercatore d’archivio. Bolognini Amorini, dopo aver letto le Memorie, ne è così entusiasta che “nel 1835 pubblica un compendio dell’opera di Ricci, un piccolo opuscolo, una sorta di mappa delle fasi attraversate dall’arte marchigiana” - pp. 149-150 – (da ricordare che Schlosser, nella sua Letteratura artistica cita il compendio a p. 595, ma non è in grado di segnalarne l’autore). Il nobile bolognese chiede ed ottiene che, nello stesso anno, Ricci sia nominato Accademico d’onore dell’Accademia di Belle Arti. Non solo: dieci anni dopo il maceratese viene nominato Presidente dell’Accademia (è il primo non emiliano a ricoprire questa carica). Amico resta alla presidenza fino al 1848, anno in cui decide di dimettersi, probabilmente perché preferisce concentrarsi totalmente sulla redazione della Storia dell’Architettura, ma rimane comunque inquadrato fra i soci dell’istituzione felsinea fino alla sua morte. 

[15] Da segnalare, fra gli apparati di corredo al saggio, un Abbozzo di Indice delle Memorie, risalente al 1832 (pp. 135-136) ed un elenco delle opere a stampa di Amico Ricci (p. 157).

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