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lunedì 3 novembre 2014

Rosa Maria Giusto. Alessandro Galilei: il Trattato di architettura

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Rosa Maria Giusto
Alessandro Galilei. Il Trattato di architettura


(recensione di Giovanni Mazzaferro)

Roma, Argos editore, 2010
Isbn 978 88 88690 35 3

Roma, Facciata di San Giovanni in Laterano (Alessandro Galilei, 1732)

 Testo della quarta di copertina

“Questo volume non è solo una monografia ma anche un trattato di architettura; un insieme di testi e riflessioni che restituiscono voce e nuove identità a un architetto noto nella storia dell’architettura occidentale del Settecento, ma ancora poco studiato. Un tributo a uno dei protagonisti della cultura architettonica preilluminista che congiunse Firenze a Roma, e Roma a Londra lungo la rotta di un rinnovato classicismo, aprendo la strada a un’inedita e appassionante visione della disciplina dell’architettura quale processo di conoscenza enciclopedico, multiculturale, plurilinguistico.

Scienza, matematica, geometria, teoria delle fortificazioni, idraulica, agrimensura sono, accanto all’architettura, alcuni dei campi d’indagine e di sperimentazione privilegiati da Alessandro Galilei (1691-1737), che indirizza la cultura del proprio tempo alle rivoluzioni del pensiero moderno, consegnando all’architettura un margine di azione e applicazione assai più ampio e vitale. Per la prima volta è pubblicato integralmente il suo trattato Della Architettura Civile e dell’uso, e modo del fabbricare e dove ebbe origine, che è allo stesso tempo un manuale e un compendio sulle fonti classiche dell’architettura, scritto da Galilei in lingua italiana e inglese in un programma di definitiva accettazione e convalida della centralità dell’Italia nel dibattito culturale e scientifico nell’Europa del Settecento. Uno strumento di facile consultazione che restituisce all’architetto vincitore del concorso per la facciata di San Giovanni in Laterano un altro lato della sua storia.”


Fra Firenze, Roma e l’Inghilterra

Il nome di Alessandro Galilei è noto ai più perché è lui che, vincendo un celebre e travagliato concorso indetto dal Pontefice, eseguì la facciata di San Giovanni in Laterano. Siamo nel 1732 e (semplificando eccessivamente) si può dire che la facciata della chiesa segni il ritorno del classicismo architettonico e l’abbandono del linguaggio del barocco romano, che aveva dominato la scena per tutto il Seicento. L’attenzione dell’autrice, però, è concentrata su anni precedenti a quelli dell’impresa lateranense, ovvero sugli anni della formazione. Galilei era fiorentino, e a Firenze aveva studiato architettura; in quella Firenze che di fatto rappresentava il baluardo del classicismo italiano, legata com’era ai modelli edificativi michelangioleschi. Nel 1713 si trasferisce per un mese a Roma; il confronto col barocco romano, l’ispezione personale delle opere si rifletterà comunque nei progetti degli anni successivi, e darà vita a soluzioni ‘mediate’, in cui possono essere comunque percepite influenze berniniane nell’ambito di una formazione michelangiolesca e palladiana. Sempre nel 1713 Galilei decide di trasferirsi in Inghilterra a cercar fortuna; sin dai tempi di Firenze gode di buone entrature nell’ambiente dell’aristocrazia inglese, e l’obiettivo è quello di entrare nel circuito della committenza importante britannica. Galilei resta in Inghilterra prima ed in Irlanda poi, fino al 1719. Si può dire che, in termini di carriera, l’esperienza inglese sia un fallimento; dei tanti progetti che presenta, praticamente nulla viene realizzato. La circostanza lo spinge infine a tornarsene in patria, a Firenze, dove diventerà ‘Ingegnere delle fortezze e fabbriche del Serenissimo Granduca di Toscana’ (e poi – come visto – a compiere un percorso professionale che lo condurrà fino alla facciata del Laterano).


I manoscritti conservati nel Fondo Galilei

Ma gli anni inglese, sia pur non particolarmente felici sul piano delle soddisfazioni personali, sono importanti perché ad essi risale la stesura del trattato sull’Architettura civile che è oggetto di questo volume. Le carte di Alessandro sono conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, nel Fondo Galilei. Tra esse “sono presenti quattro manoscritti autografi che documentano le diverse fasi della stesura del trattato. Una prima redazione, fino ad oggi trascurata, corrisponde probabilmente alla bozza preliminare, preparatoria alla versione definitiva. Il manoscritto evidenzia i numerosi ‘debiti’ di Galilei nei confronti di alcune delle più autorevoli e rinomate fonti dell’architettura classica italiane, da cui attinge ‘a piene mani’, il più delle volte occultandone l’origine nella versione finale, o ‘contraffacendone’ le informazioni. Ad apertura di alcuni capitoli sono annotate delle sigle le quali, una volta sciolte, si riferiscono a forme di abbreviazione dei nomi degli autori e dei libri consultati da Galilei [n.d.r i più saccheggiati sono Palladio e Scamozzi]; nella versione finale le sigle scompaiono del tutto e le parti in cui l’autore nel brano originario trattava di sé o illustrava una propria considerazione sono ‘tradotte’ in forma impersonale, in modo da farne perdere le tracce, eliminando quanto possa fare esplicito riferimento a luoghi o vicende narrate da terzi. Accanto alla bozza preliminare è la ‘messa in pulito’ dello scritto, corrispondente al trattato vero e proprio […] cui segue la traduzione pressoché fedele in lingua inglese […] Ultimo, ma non meno importante, è un quarto manoscritto, anch’esso autografo che […] fu probabilmente redatto in un secondo momento [n.d.r. dopo il ritorno in Italia], a completamento di argomenti tralasciati, o solo parzialmente affrontati nella precedente stesura” (pp. 88-89).

Va detto peraltro che il trattato di architettura non è l’unico scritto conservato nelle carte dell’Archivio di Stato. Alessandro appare scrittore prolifico, e ci permette di capire come la sua visione dell’architettura non si concluda solo nelle pagine del trattato, ma si estenda anzi a un sapere tecnico-scientifico ben più ampio. Tra le sue carte troviamo “Fogli attinenti agli studij del Sig.e Alessandro Galilei Architetto, un Quaderno con varie reg.le d’Arimmetrica…; un Trattato sulle fortificazioni; il Dell’Architettura Militare; Del presidio, Monizioni e vettovaglie necessarie per la piazza fortificata; un trattato di geometria; una definizione di prospettiva lineare; un Breve Trattato delle Sezioni Coniche; Dell’Utilità che si traggono dalla scienza Mechanica, e da suoi instrumenti; un Trattato di Cosmografia; un Compendio dell’Astronomia: […], Regole per li Getti d’Acqua – Del Moto delle Acque…, Trattato di molte observazioni intorno la Campagna…” (p. 92).

Roma, Facciata di San Giovanni in Laterano (Alessandro Galilei, 1732)

L’Architettura Civile

Dato atto della vastità degli interessi di Galilei, che si spingono fino all’astronomia da un lato e alla gestione delle acque e all’agrimensura dell’altro, ci viene spontaneo chiedere: che tipo di trattato è, quest’Architettura Civile? L’autrice in merito non ha dubbi: una sorta di manuale teorico-pratico, in cui, per quanto riguarda la teoria si attinge spesso (come detto) a fonti appositamente mascherate, ma che ha il suo vero punto di forza nell’approccio pragmatico alla materia. Poca teoria, dunque (per capirci: non esiste nemmeno una tavola riepilogativa degli Ordini classici) e molta enfasi sulla pratica di cantiere, sugli aspetti che, a partire da fine Settecento, sarebbero stati definiti prettamente ingegneristici (e che da fine secolo sarebbero appunto stati oggetto degli studi degli ingegneri, professionalmente emancipatisi rispetto agli architetti). Leggiamo ancora quanto scrive Rosa Maria Giusto, perché di particolare chiarezza: “A Galilei interessa più indicare modi e stagioni per fabbricare, o tempi o luoghi ove fabbricare, o i diversi tipi di materiali da impiegare e, in generale, tutto quanto appartenga, per definizione, alla pratica del cantiere, che non attardarsi in disquisizioni di ordine teorico, più adatte alle aule di una biblioteca” (pp. 94-95) “E’ questa la ragione per la quale Galilei, come già il Vignola e Palladio, opta per un linguaggio specialistico e di ‘settore’ che non viene mai, nemmeno a inizio testo, spiegato o messo in discussione: l’autore intende rivolgersi a un pubblico di professionisti e addetti della materia che abbiano ben chiari i fondamenti dell’architettura” (p. 96). “Nel trattato è assente qualsiasi riferimento a opere costruite, siano essi modelli riconosciuti dell’antichità o esempi della contemporaneità, ivi inclusi realizzazioni proprie o progetti, così come non si ritrova, se non incidentalmente, un riferimento alle teorie antropomorfiche, pure così importanti in Vitruvio, Alberti e Palladio” (idem). “Nel testo sono del tutto assenti indicazioni relative al coevo dibattito europeo nei confronti del linguaggio barocco: non si verifica alcuna presa di posizione riguardo a una questione pure tanto attuale e dibattuta, né, per contro, Galilei esplicita mai una personale idea di architettura, che invece esprimerà a chiare lettere appena rientrato a Firenze in diversi ‘pareri’ e perizie in cui, oltre che attenersi, come da incarico, a formulare il proprio giudizio tecnico opererà, senza fraintendimenti, per una rielaborazione rivisitata criticamente, del codice classico” (pp. 95-96).

Roma, Facciata di San Giovanni dei Fiorentini (Alessandro Galilei, 1733)


Un’interpretazione un po’ forzata?

Fin qui tutto quanto scritto dall’autrice ci pare di estremo interesse ed assolutamente convincente. Dove siamo più cauti nel concordare è quando, a partire da quanto abbiamo appena provato a descrivere, si traggono almeno due conclusioni. In primo luogo che quello di Galilei sarebbe un testo enciclopedico; o, per meglio dire, che l’Architettura civile, unita agli altri manoscritti conservati nel Fondo dimostrino come l’interesse di Galilei per l’architettura sia di natura prettamente scientifica (l’architettura è una scienza, e per questo Scamozzi viene saccheggiato così spesso) e precorra in qualche modo l’approccio enciclopedico della Francia dei Lumi. In seconda battuta, e come diretta conseguenza di ciò, che l’eventuale pubblicazione del trattato avrebbe in qualche modo ridisegnato i tempi e i modi del dibattito architettonico non solo in Italia, ma anche in Europa: in Italia proponendo istanze funzionaliste che si esplicitarono solo a fine secolo; in Europa ridisegnando il ruolo svolto dalla cultura del nostro paese nel processo evolutivo dell’architettura continentale. “La stesura del suo trattato di architettura, se pubblicato, avrebbe anticipato di diversi anni quei testi rivelatisi nodali per l’architettura del Neoclassicismo e l’enciclopedismo, spostando l’asse del dibattito scientifico europeo secondo una direzione decisamente italocentrica; Marc-Antoine Laugier avrebbe pubblicato il suo Essai sur l’architecture nel 1753, anonimo, e successivamente nel 1755, e il primo volume dell’Encyclopedie… uscì ‘soltanto’ nel 1751” (p. 12). “Il testo di Galilei anticipa di diversi anni la partecipazione italiana al dibattito settecentesco sulle teorie dell’architettura, che la storiografia ufficiale ha da tempo ascritto all’opera in Francia di Jean-Louis de Cordemoy e Marc-Antoine Laugier, o in Gran Bretagna a Colen Campbell e James Gibbs, trovando soltanto in seconda battuta, negli scritti di Carlo Lodoli e Francesco Algarotti, Giovanni Battista Piranesi, Francesco Milizia e Andrea Memmo, spazio per nuovi, più avvertiti, spunti teorici di fatto successivi alle prime, importanti, testimonianze europee. Da Algarotti, che pubblica il Saggio sopra l’Architettura nel 1756, a Piranesi che dà alle stampe, nel 1760, il Della Manificenza ed Architettura de’ Romani, e nel 1765 il Parere sull’Architettura; da Milizia, teorico per ‘eccellenza’ del Classicismo settecentesco di marca italiana, autore dei Principj di architettura civile soltanto nel 1781, a Memmo, che rende finalmente note le teorie sul funzionalismo lodoliano in Elementi dell’Architettura lodoliana… editi, per la prima volta, nel 1786” (p. 87).

Con grande sincerità, queste ci sembrano forzature. Ci è venuto piuttosto spontaneo riflettere su un’esperienza precedente, in termini cronologici, rispetto a quella di Galilei, e in cui pur ci sembra che l’Architettura civile possa essere incanalata. L’esperienza è quella della scuola scientifica fiorentina, che se si vuole ha il suo simbolo nella breve vita dell’Accademia del Cimento (che nasce nel 1657). Mi spiego meglio: è fuor di dubbio che esista una tradizione scientifica toscana, che nel 1600 fa capo a un Galilei ben più noto, ovvero Galileo (sia detto per inciso: i due provengono da un unico ceppo familiare). Questa tradizione non va trascurata e ha un suo riflesso anche sul mondo delle arti. Attorno alla metà del 1600, ad esempio, Cosimo Noferi scrive un altro trattato di architettura (la Travagliata Architettura), anch’esso rimasto manoscritto, che a noi sembra avere un approccio molto simile a quello di Alessandro: architettura come scienza, poco spazio alla teoria e molto alle pratiche di cantiere, pragmatismo e scopo didascalico (si veda Antonino Pellicanò, Da Galileo Galilei a Cosimo Noferi verso una Nuova Scienza. La Travagliata Architettura: un inedito trattato galileiano nella Firenze del 1650, Firenze University Press, 2005). Ecco, mi sembrerebbe più logico iscrivere l’Architettura Civile di Alessandro nel solco di questa tradizione toscana da cui proviene piuttosto che farne un precursore di ciò che verrà mezzo secolo dopo. E ciò non vuol dire certo sminuirne l’importanza. 

Sul diverso ruolo che l’Italia avrebbe potuto giocare in Europa in seguito alla pubblicazione del trattato di Galilei è presto detto: l’Italia, o, meglio, gli Stati pre-unitari erano all’epoca pura periferia. Le idee si trasmettono e a loro volta influenzano altre idee se sostenute da una società e da un’economia solida; entrambe realtà che non appartenevano più al nostro paese da tempo immemore. Difficile pensare, in questo senso, a un’occasione perduta. Ciò non toglie che il ‘made in Italy’ vendesse bene. Non a caso Alessandro va in Inghilterra sull’onda di precedenti esperienze di artisti italiani che vi hanno avuto fortuna. E non è una coincidenza che la stessa Architettura civile venga tradotta in inglese, per una possibile pubblicazione. Mentre si trova in Inghilterra Alessandro ha davanti a sé due esempi formidabili: il culto di Palladio e Giacomo Leoni, che nel 1715-1716 pubblica con successo la prima traduzione inglese dei Quattro libri dell’Architettura. Difficile pensare che non abbia pensato di sfruttare l’onda lunga, proponendo una sua interpretazione della materia.




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