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venerdì 10 ottobre 2014

Il 'De Architectura' di Vitruvio tradotto e commentato da Berardo Galiani


English Version

L'Architettura di Marco Vitruvio Pollione 
tradotta e commentata dal marchese Berardo Galiani

Prefazione di Alessandro Pierattini
(ristampa anastatica dell'edizione di Napoli, 1790)

Roma, Editrice Librerie Dedalo, 2005

Fig. 1) Vitruvio/Galiani. Antiporta dell'edizione Napoli 1758
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm

[N.B. Su Vitruvio si veda in questo blog: Francesca Salatin, Un’introduzione al Vitruvio di Fra Giocondo (1511)Vitruvio, De Architectura. A cura di Pierre Gros. Traduzione e commento di Antonio Corso ed Elisa Romano. Saggi di Maria Losito, Torino, Einaudi, 1997Giovanni Mazzaferro, Libri rari e belle scoperte: il De Architectura di Vitruvio postillato da Cosimo BartoliEl Greco. Il miracolo della naturalezza. Il pensiero artistico di El Greco attraverso le note a margine a Vitruvio e Vasari. A cura di Fernando Marías e José Riello, Traduzione di Massimo De Pascale, Roma, Castelvecchi, 2017Les Annotations de Guillaume Philandrier sur le De Architectura de Vitruve. Livres I à IV. A cura di Frédérique Lemerle, Parigi, Piccard, 2000L'Architettura di Marco Vitruvio Pollione tradotta e commentata dal marchese Berardo Galiani. Prefazione di Alessandro Pierattini, (ristampa anastatica dell'edizione di Napoli, 1790). Roma, Editrice Librerie Dedalo, 2005Claude Perrault, Les Dix Livres d’Architecture de Vitruve, Corrigez et traduitz nouvellement en françois avec des notes et des figures, Parigi, Jean Baptiste Coignard, 1673Vitruvius, Ten Books on Architecture. The Corsini Incunabulum with the annotations and autograph drawings of Giovanni Battista da Sangallo. A cura di Ingrid D. Rowland, Edizioni dell’Elefante, 2003Massimo Mussini, Francesco di Giorgio e Vitruvio. Le traduzioni del «De architectura» nei codici Zichy, Spencer 129 e Magliabechiano II.I.141, Leo S. Olschki, 2003Francesco di Giorgio Martini, La traduzione del De Architectura di Vitruvio. A cura di Marco Biffi, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2002Francesco di Giorgio Martini, Il "Vitruvio Magliabechiano", A cura di Gustina Scaglia, Gonnelli editore, 1985.]

[1] La traduzione del De Architectura vitruviano condotta dal marchese Berardo Galiani apparve a Napoli nel 1758. Escludendo il plagio di Francesco Lutio detto il Durantino (Venezia 1524) e l’edizione incompleta di Giambattista Caporali (Perugia 1536), si tratta solo della terza traduzione a stampa in italiano, dopo quella di Cesare Cesariano (1521) e la celeberrima edizione a cura di Daniele Barbaro (1556). L’edizione Galiani non fu certo un clamoroso successo economico se l’autore, che ne sostenne le spese, ebbe difficoltà negli anni successivi a recuperare gli importi investiti. Tuttavia della versione di Galiani escono diverse altre edizioni (almeno sette in un secolo). La seconda è del 1790, pubblicata a Napoli “presso i fratelli Terres”. Ne compaiono anche alcuni esemplari recanti sul frontespizio l’indicazione che la stampa è stata eseguita a Siena, presso la stamperia di Luigi e Benedetto Bindi, ma si tratta di “un meschino artificio commerciale” secondo Luigi Vagnetti, al cui Per una coscienza vitruviana. Regesto cronologico e critico delle edizioni, delle traduzioni e delle ricerche più importanti sul trattato latino De Architectura Libri X di Marco Vitruvio Pollione  si rimanda. L’edizione del 1790 non riporta il testo latino a fronte, presente in quella del 1758. È della versione del 1790 che viene oggi offerta la ristampa anastatica, preceduta da una prefazione di Alessandro Pierattini e con l’aggiunta di alcune tavole in bianco e nero o a colori desunte da altri trattati dei secoli XVI, XVII, XVIII e XIX.

Fig. 2) Vitruvio/Galiani (edizione Napoli 1758): Le proporzioni umane; sezioni di mura e tetti
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm

[2] Perché il marchese Berardo, fratello del più famoso Ferdinando e nipote di monsignor Celestino, uomo di profonda cultura e al centro di frequentazioni erudite nell’ambiente napoletano, giunse alla decisione di proporre una nuova traduzione del De Architectura? Scrive Luigi Vagnetti nel regesto sopra citato che “l’impegno posto in questa nuova traduzione e nel suo commento deve... essere messo in relazione con i nuovi e notevolissimi interessi archeologici che si stavano rapidamente diffondendo in Europa in seguito agli scritti del Winckelmann e che proprio nella regione napoletana... avevano trovato terreno fertilissimo per espandersi ed affermarsi” (p. 119). Non bisogna dimenticare che ad Ercolano si scava dal 1738 e a Pompei dal 1748. Questa affermazione non pare del tutto convincente, se è vero che nella sua prefazione, il Galiani non fa cenno agli scavi campani e che, ad esempio, le citazioni di Paestum in tutta l’opera sono solo due (più una rappresentazione del tempio di Atena a p. 94). Hanno Walter Kruft in Storia delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al Settecento nota poi come “Berardo Galiani, membro dell’Accademia Ercolanense,... spieghi il passo dell’autore latino [n.d.r. Vitruvio] sulla casa antica non con i ritrovamenti ad Ercolano e Pompei, ma con le ricostruzioni di Palladio e Perrault, pur avendo egli libero accesso agli scavi” (p. 284). Più semplicemente, è lo stesso Berardo a darci informazioni in merito nella sua prefazione; le precedenti edizioni italiane non appaiono ormai soddisfacenti per affidabilità filologica del testo e per completezza delle note (e probabilmente anche perché in due secoli l’evoluzione della lingua ne ha resa ostica la lettura). Fa eccezione la sola edizione francese del Perrault (1673), di cui peraltro circolano in Italia versioni tradotte in forma ridotta: “il Perrault senza dubbio è il solo, che merita sopra tutti sinora singolare stima e per l’utilità delle sue note ben ragionate, e per la nettezza della versione. Mancava sempre, e con poco onore della nostra Italia, una traduzione che si potesse in qualche modo opporre alla Francese”; una situazione spiacevole, posto che “la sede di questi studi e la maestra è stata sempre senza dubbio alcuno l’Italia”. Vi è, dunque, la consapevolezza che si è andato maturando un ritardo e per di più in un settore in cui l’Italia sempre è stata il punto di riferimento; ora le cose sono cambiate e se si vuole essere aggiornati sugli studi vitruviani bisogna guardare alla Francia. L’ambizione di Galiani, e di chi lo spinge all’impresa, è quella di colmare questa lacuna e proporre un testo italiano con un commento adeguato ai nuovi tempi.


Fig. 3) Vitruvio/Galiani (edizione Napoli 1758): ordine dorico
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm

Fig. 4) Vitruvio/Galiani (edizione Napoli 1758): ordine ionico
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm


Fig. 5) Vitruvio/Galiani (edizione Napoli 1758): ordine corinzio
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm

[3] Ogni ulteriore passo richiede un’indagine scrupolosa delle carte d’archivio. Per questo motivo riveste particolare importanza il saggio di Sergio Villari La traduzione di Vitruvio del marchese Berardo Galiani pubblicato in Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna. Villari segnala di aver ritrovato presso la Biblioteca della Società napoletana di Storia Patria, fra i materiali non inventariati, la maggior parte delle carte di Berardo. “Si tratta di alcune lettere, di appunti e frammenti in fogli sciolti relativi alla già nota Dissertazione sul Bello [n.d.r. cfr. infra], di ben sette volumi manoscritti contenenti appunti di architettura, di altri cinque volumi che raccolgono diverse stesure della traduzione e commento di Vitruvio, di un Trattato di Prospettiva, di un Corso di Geometria, e infine di tre volumi contenenti un Corso di Architettura” (p. 698). Noi speriamo che, prima o poi, qualche studioso di buona volontà si faccia carico di esaminare con attenzione queste carte, che potrebbero dirci molto più di quanto oggi si sappia sulla figura del marchese Galiani. Villari, comunque, fornisce prime ed importanti indicazioni sulla stesura del De architectura: ad esempio che l’idea di una nuova edizione dell’opera sembra provenire dalle raccomandazioni di monsignor Celestino, che la traduzione del testo risultò essere completata in prima stesura il 23 settembre 1754 e che nell’impresa fu in qualche modo coinvolto (sia pur in misura che sembra marginale e con riferimento più che altro al testo latino) monsignor Giovanni Gaetano Bottari. Sul testo latino, che pure non compare in questa ristampa anastatica, vale la pena aggiungere una curiosità: il marchese Berardo segnala nella sua stessa prefazione di essersi avvalso dell’edizione del Philandrier (o Filandro che dir si voglia), collazionandola poi con altri manoscritti (e qui, per l’appunto, giocò un suo ruolo il Bottari); tuttavia, come segnalato da Frédérique Lemerle nel suo Les Annotations de Guillaume Philandrier sur le De Architectura de Vitruve  la versione francese proposta in fondo alle Annotazioni di Filandro a partire dall’edizione di Lione del 1552, di Filandro in realtà non era; si trattava invece di un’edizione giocondina precedente di una trentina d’anni. La circostanza era ovviamente ignota al Galiani. Resta da segnalare un’ultima ed antipatica circostanza: le due pagine finali della prefazione alla presente ristampa anastatica, presentate da Alessandro Pierattini sotto l’indicazione “La traduzione commentata del marchese Berardo Galiani” sono in realtà un breve riassunto del saggio di Sergio Villari; un riassunto a volte sin troppo letterale.

[4] Bisogna ricordare che Renato De Fusco ha riportato ampi stralci della traduzione di Galiani (commentandoli) all’interno de Il codice dell’architettura.


Fig. 6) Vitruvio/Galiani (edizione Napoli 1758): il teatro Romano
Fonte: http://www.unav.es/ha/009-TRAT/vitruvio-galiani.htm

[5] Le notizie disponibili sull’opera ed il pensiero di Berardo Galiani sono così scarse che ci sembra qui il caso di abbandonare per un attimo la sua traduzione di Vitruvio ed allargare il campo ad altre sue opere, che purtroppo sono oggi ancora praticamente sconosciute. La stesura di queste righe è debitrice quasi per intero della tesi di laurea discussa da Loris Pellegrini presso l’Università di Bologna nell’anno accademico 1978/79 (relatore Luciano Anceschi) ed intitolata Del Bello (1765). Una dissertazione inedita di Berardo Galiani. Non abbiamo avuto modo di leggere la trascrizione del saggio del marchese, ma fortunatamente la parte iniziale della tesi è fruibile all’indirizzo internet www.webalice.it/loris.pellegrini/testi/galiani.html . Dopo la traduzione di Vitruvio, Berardo Galiani aveva in mente di scrivere un proprio trattato di architettura: “volendo sodisfare alla promessa già fatta al pubblico di un’altra mia fatica sull’architettura, sono ora nel caso di palesare che questa mia fatica è un trattato intero di architettura diretto all’istruzione de’ principianti. Questo è diviso in tre libri: in uno trattasi della bellezza, nell’altro del comodo, e finalmente nel terzo della fortezza. Il primo per questi riflessi dev’essere quello della bellezza. Sono tutti e tre a qualche buon partito, ma non permettendomi le altre doverose applicazioni di potere per ora seriamente applicare a questi studi, ma solo a tempo, come suol dirsi, rubato, vorrei almeno cominciare dal pubblicare il primo libro sulla bellezza”: sono parole citate dal Pellegrini e tratte dall’Avviso al lettore contenuto in Del bello. Dissertazione metafisica del M.B.G., Napoli, MDCCLXV. Riassumendo: Galiani si era impegnato nell’estensione di un corso di architettura in tre volumi; il primo volume (quello sul bello) fu sicuramente completato ed è la dissertazione di cui sopra. Nelle carte non catalogate del fondo Galiani presso la Società Napoletana di Storia Patria Sergio Villari ha trovato tre volumi manoscritti contenenti un Corso di architettura (volumi ignoti a Pellegrini, che aveva invece cercato fra le carte catalogate, come da lui scritto). Il sospetto che i tre volumi in questione siano appunto il Corso di architettura scritto da Berardo è veramente forte. Speriamo che un giorno si possa far luce sulla vicenda. Con riferimento a Del Bello, va detto che l’opera non era invece del tutto ignota. Il Comolli la cita nella sua Bibliografia storico-critica dell’architettura civile ed arti subalterne, pubblicando alle pp. 233-234 un breve “ragguaglio” sull’opera fornitogli da Emanuele Assione. Benedetto Croce, a sua volta, ne parla segnalandolo come uno dei primi testi in cui compaia un giudizio sul Saggio sopra la Bellezza di Giuseppe Spalletti (pubblicato nello stesso anno, ovvero nel 1765, in cui fu estesa la dissertazione del marchese). Tuttavia – scrive Pellegrini – tutti i giudizi espressi risultano essere in qualche modo riduttivi, e prescindono probabilmente dalla lettura dell’opera. “Alla fine del secolo XVIII il nome di Galiani era ormai accomunato a quelli di Derizet, Ricciolini e ai tanti altri sostenitori della teoria delle proporzioni armoniche, destinati, nel nuovo clima di studi estetici e architettonici, ad un impietoso oblio... Eppure uno sguardo a Del Bello avrebbe mostrato Galiani interessato a qualcosa di più della semplice difesa delle proporzioni armoniche. Ma Del Bello, condannato dal fatto di essere inedito ad una divulgazione difficilissima e quasi sempre indiretta e sommaria, si prestava facilmente ad essere frainteso: dagli studiosi di architettura, che vedevano in Galiani il traduttore di Vitruvio e quindi il difensore di sorpassate teorie rinascimentali; dagli studiosi di estetica, che non avvertivano la necessità di avvicinare un testo che non pareva potesse contenere altro che disquisizioni architettoniche”. Non possiamo dilungarci oltre. In questa scheda abbiamo espresso molti desideri; l’ultimo è che anche il Del Bello di Galiani possa finalmente conoscere la fortuna della stampa.

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