Filippo Titi
Studio di pittura, scoltura et architettura, nelle Chiese di Roma
Edizione comparata
a cura di Bruno Contardi e Serena Romano
2° voll, Firenze, Centro Di, 1987
Roma. Sant'Ivo alla Sapienza (Francesco Borromini) |
“La prima vera grande guida di
Roma è uscita al principio del Settecento (1708) ed è opera di un abate Titi di
Città di Castello […]. Fu spesso ristampata nel corso del secolo e
considerevolmente accresciuta”: così scrive Julius von Schlosser nella sua Letteratura artistica in merito alla
guida di Filippo Titi.
Roma, Le chiese 'gemelle' di Piazza del Popolo: Santa Maria in Montesanto - o Chiesa degli Artisti - (1675, a sinista) e Santa Maria dei Miracoli (1678, a destra) |
E in realtà commette un errore,
posto che la prima edizione della guida dell’abate di Città di Castello è del
1674, e quella citata dallo studioso austriaco è solo la quarta delle sei
edizioni che si susseguirono nel corso di quasi un secolo: 1674, 1675 (una
versione “pirata”), 1686, 1708, 1721 e 1763. Non sbaglia invece nel dire che lo
Studio di pittura è la prima guida
“moderna” di Roma. Intendiamoci: l’elenco delle guide e dei resoconti a stampa su
Roma è sterminato, a partire dai citatissimi Mirabilia Urbis Romae. Ma si tratta, fino al Titi appunto, di opere
destinate fondamentalmente al pellegrino, legate principalmente ad interessi
religiosi: il giro delle chiese di Roma quindi, è occasione per citare la
presenza di reliquie più che di opere d’arte, per parlare di miracoli e non di
stili, per assicurare al viandante la pace dello spirito e non per stimolarne
gli interessi artistici.
Roma, Piazza Navona. La Chiesa di S. Agnese in Agone (Francesco Borromini) |
Titi sempre alle Chiese fa
riferimento; e, come risulta chiaramente dalla sua introduzione, si rivolge
sostanzialmente al pellegrino che si accinge a visitare Roma in occasione
dell’Anno Santo del 1675; ma questa volta accantona le reliquie e studia un
percorso che, partendo da San Pietro, permetta al lettore di percorrere gli
itinerari più comodi e brevi (una circostanza che a noi oggi sembra banale; ma
tutte le guide precedenti erano organizzate secondo criteri di importanza delle
reliquie, e non in funzione della comodità del forestiere) e si concentra
appunto sulle opere d’arte. La sua opera, poi, ha due punti di forza
indiscutibili: è sufficientemente comoda per essere portata in giro durante la
visita (è in 12°), ed è completissima. Le opere sono elencate senza nessun
giudizio estetico e con descrizioni estremamente scarne. Ma non vi è il minimo
paragone rispetto alle guide precedenti: sono esaminati 277 fra chiese ed
oratori, citati 350 pittori, 130 scultori e 50 architetti.
Un’edizione “comparata”
La prima cosa che si nota,
quindi, sfogliando questa edizione moderna del Titi, uscita nel 1987, è proprio
lo scarto nelle dimensioni dell’opera: si passa da un libretto per il viandante
a due grossi volumi (uno di testo, e uno contenente un pregevole apparato
iconografico). Eppure non siamo di fronte ad un’edizione critica, né ad
un’edizione commentata, ma a quella che i curatori chiamano “edizione
comparata”. Cosa vuol dire? Molto semplicemente, che il proposito dei curatori
è di fornire, a partire dal testo della prima edizione, l’indicazione di tutte
le varianti e le aggiunte apportate al medesimo nelle successive edizioni del
1675, 1686, 1708, 1721 e 1763. Un compito assai arduo (che oggi sarebbe
sicuramente agevolato dagli strumenti informatici), specie se si pensa che, nel
corso di un secolo, il libro si trasforma: ci sono, in questo senso, due
edizioni di particolare importanza, ovvero quella del 1686 (curata ancora dal
Titi, che all’epoca era ancora vivente) e quella del 1763, seguita dal famoso
erudito Giovanni Gaetano Bottari: in entrambe il testo viene considerevolmente
accresciuto. Il risultato del lavoro certosino dei curatori moderni, tuttavia, è
un’opera che si legge con grande fatica, perdendosi fra testo originale,
varianti e varianti alle varianti; oltretutto, ci sembra un’opera che proprio
nel suo impianto di base non convince del tutto. Perché?
Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi (Gian Lorenzo Bernini) e l'obelisco di Domiziano |
La tesi di fondo dei curatori è
che la guida di Titi non sia stata scritta solo per rispondere alla curiosità
del visitatore, ma come forma di inventariazione di un patrimonio immenso a
vantaggio del Cardinal Gasparo di Carpegna, protettore del Titi e responsabile
dal 1671 del patrimonio sacro delle chiese romane su incarico papale. Un’opera
anticipatrice, quindi. Scrive Liliana Pittarello nella sua presentazione: “Così
inteso, il lavoro del Titi veniva ad arricchire di possibilità operative la
disposizione governativa e con ciò precorreva le prime misure che nel Sette ed
Ottocento gli Stati preunitari più avanzati in materia iniziarono ad adottare
per tutelare dalla dispersione il proprio patrimonio di opere d’arte, basando
appunto tali misure sulla preventiva stesura degli elenchi degli oggetti” (p.
XI).
Ora, io chiedo scusa se ora
aprirò una parentesi, e soprattutto vorrei chiarire che nulla ho contro questo
libro in particolare. Ma quello di dichiarare come ‘anticipatore’ l’operato di
un individuo, in qualsiasi contesto del sapere umano, è un vecchio vizio di chi
guarda le cose col senno del poi. Tutte le opere vanno contestualizzate nel
periodo in cui vengono eseguite o scritte; non possiamo attribuir loro intendimenti
a noi contemporanei. Mi spiego meglio: il secondo volume della presente
edizione presenta la riproduzione iconografica delle opere citate nella Guida del Titi a partire dalla seconda
edizione in poi (1675) e cronologicamente databili dopo il 1674. “Si tratta
evidentemente di tutto ciò per cui il testo del Titi e dei suoi aggiornatori
costituisce vera e propria fonte, e non – come nel caso del patrimonio
artistico dal Medioevo fino agli anni ’60 del Seicento – ricapitolazione dotta
o addirittura ripetizione di fonti precedenti (Vasari, Mancini, Baglione e
Bellori soprattutto). A rendere più rigoroso il corpus che così si andava
costituendo, sono state da esso eliminate anche le opere che, pur citate nelle
varianti, sono in realtà di data anteriore al 1674. Specialmente l’ultima
edizione […], aggiornata dal Bottari, è ricca di questi ampliamenti che non
sono comunque pertinenti all’intenzione del nostro attuale lavoro” (p. XVI).
Riassumendo: è desiderio dei curatori fornire, attraverso le varie edizioni
della Guida del Titi, un repertorio
delle opere d’arte eseguite nelle chiese di Roma dal 1674 in poi. Questo
compito viene espletato con grande dedizione, ed è senz’altro fondamentale oggi
ai fini della tutela. Ma ciò non vuol dire che i fini della tutela fossero
quelli che si poneva il Titi. Quella dell’abate è una guida vera e propria, e
non, nel 1674, uno strumento per la tutela. Risponde da un lato ad un’esigenza
di curiosità erudita che proviene dagli ambienti delle Accademie romane del
Seicento (di cui sia Titi sia Carpegna fanno parte) e dall’altro alla
prospettiva (commercialmente allettante) di fornire una guida al pellegrino che
arriva a Roma per l’Anno santo.
Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Danubio |
Leggiamo comunque cosa scrive
Titi nella prima edizione. E’ vero che nella dedica al Cardinal Carpegna si
legge che “ho raccolte le opere de’ Pittori, Scoltori, e Architetti, cioè a
dire le meraviglie che di loro si ammirano nelle Chiese di Roma... per
sodisfare anco all’obligo, che me ne impone lo stesso soggetto del libro come
di giurisditione dell’Eminenza Vostra, alla cui savissima Vigilanza, in
eleggerlo per suo Vicario ha la Santità di Nostro Signore raccomandati i
luoghi, e cose sagre di Roma”, ma poco prima Titi ha scritto che l’occasione
della pubblicazione è che le “Nazioni del mondo” stanno per arrivare a Roma in
occasione dell’Anno Santo; e subito dopo la dedica, l’autore si rivolge
direttamente al lettore, spiegando che “avendo avuta l’intenzione di procurare
il tuo comodo e di lasciare al tuo intendimento l’opere che ti accenno, mi
assicuro, che resterai appagato della brevità, della quale mi sono servito in
descriverle succintamente. […] Per le fatighe da me fatte, e diligenze in
ritrovare tutto quello, che in ciò mi si è reso possibile, sì con lo studio di
molti Autori, che ne trattano, come da relationi di Persone perite, e dalla
cognitione delle maniere; assicurati non aver avuto io altro motivo, che di
servire alla tua virtuosa curiosità, e Dio ti guardi”. Quali sono le fonti? In che maniera vengono
riprese? Chi sono le “Persone perite”? Che importanza dà Titi ai primitivi?
Tutti interrogativi che restano senza risposta, per la preventiva limitazione
del raggio di azione dei curatori. Una scelta che lascia un po’ con l’amaro in
bocca.
Le varie edizioni della Guida del
Titi
La Guida del Titi ha subito successo. Forse troppo. L’anno dopo (siamo
ancora in Anno Santo) compare una riedizione pirata dell’opera, con una veste
grafica dimessa e approssimativa. La stampa, a Macerata, il tipografo Giuseppe
Piccini. Titi, che ha edito il suo libro col chiaro intento di diffonderlo in
occasione del Giubileo, ci deve restare assai male; sicuramente non è in grado
di far valere legalmente i suoi diritti. Se ne ricorderà in occasione della
seconda edizione della Guida, nel 1686. Con la nuova edizione, cambia il
titolo, che muta e si allunga in un Ammaestramento
utile, e curioso di pittura, scoltura et architettura nelle Chiese di Roma,
Palazzi Vaticano, di Monte Cavallo e altri, che s’incontrano nel cammino
facile, che si fa per ritrovarle. Quella del 1686 è una versione
decisamente più ricca della prima (e non era facile): “l’edizione del’86
contiene 292 chiese, 10 palazzi, ponte S. Angelo ed inoltre il duomo di Città
di Castello. In più aggiunte a molte chiese un’appendice nella quale si
elencano i lavori artistici ultimati nel corso della redazione e della stampa
dell’opera. L’indice rubrica ben 426 pittori operanti a Roma e 24 nel duomo di
Città di Castello” (p. XXVI). Comprende inoltre la descrizione analitica dei
Palazzi Vaticani. Questa volta, però, per non correre rischi, l’autore si fa
rilasciare un decreto pontificio, lo fa autenticare da un notaio e ne pubblica
un estratto sul libro, dimostrando di avere l’esclusiva sull’opera per i
successivi dieci anni.
Roma, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Rio de la Plata |
L’edizione del 1686 è l’ultima
curata dall’abate, che si spegne nel 1702 (l’esatta data di morte non era nota
fino a pochi anni fa. Si veda Ludwig
Schudt e la sua bibliografia. Lettura critica e catalogo ragionato di Alberto
Caldana, Roma, Palombi editori, 2003, p. 58). Delle edizioni del 1708 e del
1721 ci permettiamo di segnalare solo che il titolo diventa Nuovo studio di pittura, scoltura, ed
architettura nelle chiese di Roma, Palazzi Vaticano, di Monte Cavallo e altri.
In realtà però gli interventi di revisione sono secondari. Discorso assai
diverso, invece, è quello relativo all’ultima edizione della Guida, che risale al 1763 (sono passati
quasi cent’anni dalla prima stampa romana); qui interviene un nome altisonante
dell’erudizione romana ed italiana in generale, quello di Giovanni Gaetano
Bottari. Su Bottari ci limiteremo solo a dire che si tratta del curatore di
un’edizione fondamentale delle Vite vasariane
e che la sua Raccolta di lettere sulla
pittura, scultura e architettura segna molti decenni successivi, con
numerosi ampliamenti e tentativi di imitazione. “Il libro è una rivisitazione
completa dell’opera titiana che mantenendone intatta la struttura e
l’impostazione ne modifica completamente i contenuti, ampliando i confini
dell’indagine storico-critica e modificando la metodologia di analisi. Basti
pensare alle 400 e più voci catalogate nell’Indice
che, oltre alle chiese, comprende palazzi, collegi, ospedali, ville e fontane”
(p. XXVIII). L’intervento di Bottari trasforma dunque completamente la Guida del Titi. Ed è un intervento
estremamente difficoltoso, stando a quanto riferisce l’erudito nella sua
corrispondenza, ma anche in sede di presentazione dell’opera. Quando esce,
infatti, la nuova edizione contiene già una sezione di Aggiunte e correzioni allegate al testo. La motivazione che Bottari
ne fornisce è che “ ‘nel corso di circa vent’anni ne’ quali è stata interrotta
più volte per lungo tempo’, l’opera originale era diventata carente come le
altre edizioni precedenti” (p. XXIX). Insomma, il curatore stava seguendo la
nuova edizione della Guida almeno da
vent’anni, ma si era reso conto che il testo approntato per essa (forse anche
già stampato), a causa di innumerevoli interruzioni, era divenuto già vecchio.
Da qui la decisione di apportare aggiornamenti solo in una sezione
appositamente dedicata, senza dover nuovamente intervenire nella struttura già
approntata ai suoi tempi; una decisione che se non avesse preso avrebbe
probabilmente portato alla mancata pubblicazione della versione bottariana.
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