Pagine

mercoledì 29 ottobre 2014

Filippo Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura, nelle Chiese di Roma. Firenze, Centro Di, 1987

English Version

Filippo Titi
Studio di pittura, scoltura et architettura, nelle Chiese di Roma


Edizione comparata 
a cura di Bruno Contardi e Serena Romano

2° voll, Firenze, Centro Di, 1987

Roma. Sant'Ivo alla Sapienza (Francesco Borromini)


“La prima vera grande guida di Roma è uscita al principio del Settecento (1708) ed è opera di un abate Titi di Città di Castello […]. Fu spesso ristampata nel corso del secolo e considerevolmente accresciuta”: così scrive Julius von Schlosser nella sua Letteratura artistica in merito alla guida di Filippo Titi. 


Roma, Le chiese 'gemelle' di Piazza del Popolo: Santa Maria in Montesanto  - o Chiesa degli Artisti - (1675, a sinista)
e Santa Maria dei Miracoli (1678, a destra) 

E in realtà commette un errore, posto che la prima edizione della guida dell’abate di Città di Castello è del 1674, e quella citata dallo studioso austriaco è solo la quarta delle sei edizioni che si susseguirono nel corso di quasi un secolo: 1674, 1675 (una versione “pirata”), 1686, 1708, 1721 e 1763. Non sbaglia invece nel dire che lo Studio di pittura è la prima guida “moderna” di Roma. Intendiamoci: l’elenco delle guide e dei resoconti a stampa su Roma è sterminato, a partire dai citatissimi Mirabilia Urbis Romae. Ma si tratta, fino al Titi appunto, di opere destinate fondamentalmente al pellegrino, legate principalmente ad interessi religiosi: il giro delle chiese di Roma quindi, è occasione per citare la presenza di reliquie più che di opere d’arte, per parlare di miracoli e non di stili, per assicurare al viandante la pace dello spirito e non per stimolarne gli interessi artistici.

Roma, Piazza Navona. La Chiesa di S. Agnese in Agone (Francesco Borromini)

Titi sempre alle Chiese fa riferimento; e, come risulta chiaramente dalla sua introduzione, si rivolge sostanzialmente al pellegrino che si accinge a visitare Roma in occasione dell’Anno Santo del 1675; ma questa volta accantona le reliquie e studia un percorso che, partendo da San Pietro, permetta al lettore di percorrere gli itinerari più comodi e brevi (una circostanza che a noi oggi sembra banale; ma tutte le guide precedenti erano organizzate secondo criteri di importanza delle reliquie, e non in funzione della comodità del forestiere) e si concentra appunto sulle opere d’arte. La sua opera, poi, ha due punti di forza indiscutibili: è sufficientemente comoda per essere portata in giro durante la visita (è in 12°), ed è completissima. Le opere sono elencate senza nessun giudizio estetico e con descrizioni estremamente scarne. Ma non vi è il minimo paragone rispetto alle guide precedenti: sono esaminati 277 fra chiese ed oratori, citati 350 pittori, 130 scultori e 50 architetti.


Un’edizione “comparata”

La prima cosa che si nota, quindi, sfogliando questa edizione moderna del Titi, uscita nel 1987, è proprio lo scarto nelle dimensioni dell’opera: si passa da un libretto per il viandante a due grossi volumi (uno di testo, e uno contenente un pregevole apparato iconografico). Eppure non siamo di fronte ad un’edizione critica, né ad un’edizione commentata, ma a quella che i curatori chiamano “edizione comparata”. Cosa vuol dire? Molto semplicemente, che il proposito dei curatori è di fornire, a partire dal testo della prima edizione, l’indicazione di tutte le varianti e le aggiunte apportate al medesimo nelle successive edizioni del 1675, 1686, 1708, 1721 e 1763. Un compito assai arduo (che oggi sarebbe sicuramente agevolato dagli strumenti informatici), specie se si pensa che, nel corso di un secolo, il libro si trasforma: ci sono, in questo senso, due edizioni di particolare importanza, ovvero quella del 1686 (curata ancora dal Titi, che all’epoca era ancora vivente) e quella del 1763, seguita dal famoso erudito Giovanni Gaetano Bottari: in entrambe il testo viene considerevolmente accresciuto. Il risultato del lavoro certosino dei curatori moderni, tuttavia, è un’opera che si legge con grande fatica, perdendosi fra testo originale, varianti e varianti alle varianti; oltretutto, ci sembra un’opera che proprio nel suo impianto di base non convince del tutto. Perché?


Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi (Gian Lorenzo Bernini) e l'obelisco di Domiziano

La tesi di fondo dei curatori è che la guida di Titi non sia stata scritta solo per rispondere alla curiosità del visitatore, ma come forma di inventariazione di un patrimonio immenso a vantaggio del Cardinal Gasparo di Carpegna, protettore del Titi e responsabile dal 1671 del patrimonio sacro delle chiese romane su incarico papale. Un’opera anticipatrice, quindi. Scrive Liliana Pittarello nella sua presentazione: “Così inteso, il lavoro del Titi veniva ad arricchire di possibilità operative la disposizione governativa e con ciò precorreva le prime misure che nel Sette ed Ottocento gli Stati preunitari più avanzati in materia iniziarono ad adottare per tutelare dalla dispersione il proprio patrimonio di opere d’arte, basando appunto tali misure sulla preventiva stesura degli elenchi degli oggetti” (p. XI).

Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Nilo

Ora, io chiedo scusa se ora aprirò una parentesi, e soprattutto vorrei chiarire che nulla ho contro questo libro in particolare. Ma quello di dichiarare come ‘anticipatore’ l’operato di un individuo, in qualsiasi contesto del sapere umano, è un vecchio vizio di chi guarda le cose col senno del poi. Tutte le opere vanno contestualizzate nel periodo in cui vengono eseguite o scritte; non possiamo attribuir loro intendimenti a noi contemporanei. Mi spiego meglio: il secondo volume della presente edizione presenta la riproduzione iconografica delle opere citate nella Guida del Titi a partire dalla seconda edizione in poi (1675) e cronologicamente databili dopo il 1674. “Si tratta evidentemente di tutto ciò per cui il testo del Titi e dei suoi aggiornatori costituisce vera e propria fonte, e non – come nel caso del patrimonio artistico dal Medioevo fino agli anni ’60 del Seicento – ricapitolazione dotta o addirittura ripetizione di fonti precedenti (Vasari, Mancini, Baglione e Bellori soprattutto). A rendere più rigoroso il corpus che così si andava costituendo, sono state da esso eliminate anche le opere che, pur citate nelle varianti, sono in realtà di data anteriore al 1674. Specialmente l’ultima edizione […], aggiornata dal Bottari, è ricca di questi ampliamenti che non sono comunque pertinenti all’intenzione del nostro attuale lavoro” (p. XVI). Riassumendo: è desiderio dei curatori fornire, attraverso le varie edizioni della Guida del Titi, un repertorio delle opere d’arte eseguite nelle chiese di Roma dal 1674 in poi. Questo compito viene espletato con grande dedizione, ed è senz’altro fondamentale oggi ai fini della tutela. Ma ciò non vuol dire che i fini della tutela fossero quelli che si poneva il Titi. Quella dell’abate è una guida vera e propria, e non, nel 1674, uno strumento per la tutela. Risponde da un lato ad un’esigenza di curiosità erudita che proviene dagli ambienti delle Accademie romane del Seicento (di cui sia Titi sia Carpegna fanno parte) e dall’altro alla prospettiva (commercialmente allettante) di fornire una guida al pellegrino che arriva a Roma per l’Anno santo.


Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Danubio

Leggiamo comunque cosa scrive Titi nella prima edizione. E’ vero che nella dedica al Cardinal Carpegna si legge che “ho raccolte le opere de’ Pittori, Scoltori, e Architetti, cioè a dire le meraviglie che di loro si ammirano nelle Chiese di Roma... per sodisfare anco all’obligo, che me ne impone lo stesso soggetto del libro come di giurisditione dell’Eminenza Vostra, alla cui savissima Vigilanza, in eleggerlo per suo Vicario ha la Santità di Nostro Signore raccomandati i luoghi, e cose sagre di Roma”, ma poco prima Titi ha scritto che l’occasione della pubblicazione è che le “Nazioni del mondo” stanno per arrivare a Roma in occasione dell’Anno Santo; e subito dopo la dedica, l’autore si rivolge direttamente al lettore, spiegando che “avendo avuta l’intenzione di procurare il tuo comodo e di lasciare al tuo intendimento l’opere che ti accenno, mi assicuro, che resterai appagato della brevità, della quale mi sono servito in descriverle succintamente. […] Per le fatighe da me fatte, e diligenze in ritrovare tutto quello, che in ciò mi si è reso possibile, sì con lo studio di molti Autori, che ne trattano, come da relationi di Persone perite, e dalla cognitione delle maniere; assicurati non aver avuto io altro motivo, che di servire alla tua virtuosa curiosità, e Dio ti guardi”.  Quali sono le fonti? In che maniera vengono riprese? Chi sono le “Persone perite”? Che importanza dà Titi ai primitivi? Tutti interrogativi che restano senza risposta, per la preventiva limitazione del raggio di azione dei curatori. Una scelta che lascia un po’ con l’amaro in bocca.


Roma, Piazza Navona, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Gange

Le varie edizioni della Guida del Titi

La Guida del Titi ha subito successo. Forse troppo. L’anno dopo (siamo ancora in Anno Santo) compare una riedizione pirata dell’opera, con una veste grafica dimessa e approssimativa. La stampa, a Macerata, il tipografo Giuseppe Piccini. Titi, che ha edito il suo libro col chiaro intento di diffonderlo in occasione del Giubileo, ci deve restare assai male; sicuramente non è in grado di far valere legalmente i suoi diritti. Se ne ricorderà in occasione della seconda edizione della Guida, nel 1686. Con la nuova edizione, cambia il titolo, che muta e si allunga in un Ammaestramento utile, e curioso di pittura, scoltura et architettura nelle Chiese di Roma, Palazzi Vaticano, di Monte Cavallo e altri, che s’incontrano nel cammino facile, che si fa per ritrovarle. Quella del 1686 è una versione decisamente più ricca della prima (e non era facile): “l’edizione del’86 contiene 292 chiese, 10 palazzi, ponte S. Angelo ed inoltre il duomo di Città di Castello. In più aggiunte a molte chiese un’appendice nella quale si elencano i lavori artistici ultimati nel corso della redazione e della stampa dell’opera. L’indice rubrica ben 426 pittori operanti a Roma e 24 nel duomo di Città di Castello” (p. XXVI). Comprende inoltre la descrizione analitica dei Palazzi Vaticani. Questa volta, però, per non correre rischi, l’autore si fa rilasciare un decreto pontificio, lo fa autenticare da un notaio e ne pubblica un estratto sul libro, dimostrando di avere l’esclusiva sull’opera per i successivi dieci anni.

Roma, La Fontana dei Quattro Fiumi: il Rio de la Plata


L’edizione del 1686 è l’ultima curata dall’abate, che si spegne nel 1702 (l’esatta data di morte non era nota fino a pochi anni fa. Si veda Ludwig Schudt e la sua bibliografia. Lettura critica e catalogo ragionato di Alberto Caldana, Roma, Palombi editori, 2003, p. 58). Delle edizioni del 1708 e del 1721 ci permettiamo di segnalare solo che il titolo diventa Nuovo studio di pittura, scoltura, ed architettura nelle chiese di Roma, Palazzi Vaticano, di Monte Cavallo e altri. In realtà però gli interventi di revisione sono secondari. Discorso assai diverso, invece, è quello relativo all’ultima edizione della Guida, che risale al 1763 (sono passati quasi cent’anni dalla prima stampa romana); qui interviene un nome altisonante dell’erudizione romana ed italiana in generale, quello di Giovanni Gaetano Bottari. Su Bottari ci limiteremo solo a dire che si tratta del curatore di un’edizione fondamentale delle Vite vasariane e che la sua Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura segna molti decenni successivi, con numerosi ampliamenti e tentativi di imitazione. “Il libro è una rivisitazione completa dell’opera titiana che mantenendone intatta la struttura e l’impostazione ne modifica completamente i contenuti, ampliando i confini dell’indagine storico-critica e modificando la metodologia di analisi. Basti pensare alle 400 e più voci catalogate nell’Indice che, oltre alle chiese, comprende palazzi, collegi, ospedali, ville e fontane” (p. XXVIII). L’intervento di Bottari trasforma dunque completamente la Guida del Titi. Ed è un intervento estremamente difficoltoso, stando a quanto riferisce l’erudito nella sua corrispondenza, ma anche in sede di presentazione dell’opera. Quando esce, infatti, la nuova edizione contiene già una sezione di Aggiunte e correzioni allegate al testo. La motivazione che Bottari ne fornisce è che “ ‘nel corso di circa vent’anni ne’ quali è stata interrotta più volte per lungo tempo’, l’opera originale era diventata carente come le altre edizioni precedenti” (p. XXIX). Insomma, il curatore stava seguendo la nuova edizione della Guida almeno da vent’anni, ma si era reso conto che il testo approntato per essa (forse anche già stampato), a causa di innumerevoli interruzioni, era divenuto già vecchio. Da qui la decisione di apportare aggiornamenti solo in una sezione appositamente dedicata, senza dover nuovamente intervenire nella struttura già approntata ai suoi tempi; una decisione che se non avesse preso avrebbe probabilmente portato alla mancata pubblicazione della versione bottariana.

Nessun commento:

Posta un commento