Pagine

lunedì 27 ottobre 2014

David García López. Lázaro Díaz del Valle y las Vidas de pintores de España (Madrid, Fundación Universitaria Española, 2008)

English Version 

David García López
Lázaro Díaz del Valle y las Vidas de pintores de España 

Madrid, Fundación Universitaria Española, 2008

Recensione di Giovanni Mazzaferro

Diego Velázquez, Las meninas, 1656

[1] La figura di Lázaro Díaz del Valle è stata capace di generare storicamente grandi entusiasmi e sonore bocciature (si vedano in merito le note apposte ai brani dell’autore presentati da Francisco Calvo Serraller in Teoría de la Pintura del Siglo de Oro). Si può tuttavia dire che il presente volume rappresenta non solo la prima edizione commentata (anche se non integrale) della sua opera per noi più interessante (ovvero il manoscritto Origen y Yllustracion del Nobilísimo y Real Arte de la Pintura y Dibuxo con un Epilogo y Nomenclatura de sus mas ilustres o más insignes y más afamados profesores), ma la prima monografia a tutto tondo di quest’uomo che, nella sua particolarissima condizione di membro della Cappella Reale in qualità di castrato, visse a corte per circa quarant’anni, e come tale fu prezioso testimone di tutto ciò che attorno vi gravitò. Lázaro nacque a León nel 1606, ed entrò a servizio di Filippo IV già nel 1622, per rimanervi fino alla morte, sopraggiunta nel 1669. Fu uomo colto, di letture e frequentazioni erudite; scrisse molto, di storia, genealogia, blasoni ed arte. Nulla riuscì a pubblicare; e già qui troviamo una spiegazione del ruolo di secondo piano in cui fu a lungo (ed è ancora) confinato. Fra le tante carte manoscritte, appunto, quella più interessante in materia di letteratura artistica (ma non l’unica in cui si affronti l’argomento, come ampiamente illustra David García López nelle 186 pagine iniziali dell’opera) è l’Origen y Yllustracion... 

[2] Il manoscritto è conservato a Madrid, nella Biblioteca Tomás Navarro Tomás del Centro de Ciencias Humanas y Sociales del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, con segnatura F.A. 4030. Tutto si può dire di questi 222 fogli, tranne che siano un modello di chiarezza; già lo fece presente Palomino nel suo Museo pictórico parlando del testo disorganizzato di un dilettante della materia (salvo poi attingervi a piene mani per le sue Vite). E che il testo sia disarticolato si capisce anche dal fatto che García López avverte l’esigenza di riordinarlo, non presentando (o facendolo solo in nota) le parti che si ripetono a distanza anche di molte pagine fra loro.

Diego Velázquez, Papa Innocenzo X, 1650


[3] Dato per scontato che il manoscritto (scritto in anni fra il 1656 e il 1659, ma con revisioni che giungono fino al 1662) restituisce uno stato ancora ampiamente preliminare rispetto ad una possibile pubblicazione, si tratta di capire cosa volesse produrre Díaz del Valle. Proviamo a rispondere in maniera sibillina: un libro vasariano. In realtà, in maniera assai più articolata e competente rispetto a noi, García López prova (e riesce) a collocare l’opera in un contesto assai più complesso (in particolare pp. 131-136). A partire dalla metà del XVI secolo, l’arrivo sempre più frequente di artisti italiani nella penisola iberica e le esperienze che i pittori spagnoli andarono acquisendo nel corso di loro viaggi in Italia portarono gli artisti locali a rivendicare ed acquisire una nuova coscienza in relazione al loro status e all’inquadramento teorico della pittura nell’ambito delle arti liberali. Si tratta di argomenti ampiamente conosciuti e per i quali si rimanda alla fondamentale antologia di Francisco Calvo Serraller Teoría de la Pintura del Siglo de Oro e a Karin Hellwig, La literatura artística española del siglo XVII. La comparazione con l’esperienza italiana portò quindi nella prima metà del XVII secolo a fenomeni come le liti giuridico-fiscali, i tentativi di creazione delle Accademie e la redazione di trattati teorici come quelli di CarduchoPacheco; non solo: spinse molti fra coloro che si interessavano di cose d’arte a rivendicare una “specificità spagnola”; da qui la necessità di conoscere e onorare le opere degli artisti locali. In questo senso, mancava qualcosa; mancava un’opera che si proponesse di recuperare agli onori dell’immortalità la vita e le opere degli artisti spagnoli. La grande pietra di paragone in merito era Vasari, con le sue Vite e la descrizione di un percorso storico compiuto dagli artisti italiani che parte da Giotto sino all’apice michelangiolesco (García López avverte che uno studio completo sull’influenza delle Vite in Spagna deve essere ancora scritto – cfr. p. 137 -, ma è evidente che quest’influenza vi fu, e tutt’altro che secondaria). Il progetto che probabilmente cullò Díaz del Valle fu quello di essere il Vasari spagnolo – per una diversa interpretazione dell’opera si veda Karin Hellwig pp. 116-117 -; da qui anche la duplice funzione del manoscritto: da un lato perpetuare il ricordo di artisti immortali, dall’altro proporre le biografie di altri, contemporanei all’autore, spesso da lui conosciuti personalmente, in un elenco dal carattere discontinuo probabilmente per la precocità della fase di stesura, ma che lascia intravvedere in controluce (quanto meno nella dedica) la volontà di fare di Velázquez il Michelangelo spagnolo
.

Francisco de Zurbarán, Agnus Dei (1635-1640)

[4] I detrattori dell’opera l’hanno definita come la semplice compilazione di un dilettante della materia, che copia sfacciatamente da fonti precedenti, senza citarle. Ancora una volta ci tocca chiarire che, all’epoca, il concetto di plagio era totalmente ignoto. Non bisogna cioè giudicare con gli occhi di oggi, ma con quelli dell’epoca; se ci dimentichiamo di farlo, finiremo per non capire le cose. Assurdo per assurdo, allora, che dire del fatto che il povero Lázaro era stato castrato perché all’epoca era inconcepibile che le donne cantassero in pubblico? Tornando a noi, dunque, non vi è dubbio che Díaz del Valle attinse (copiò) letteralmente da molte fonti, e scrupolosamente García López ne dà conto nelle note al testo; ma bisogna ribaltare i punti di vista e “valorar el gran esfuerzo que supuso para Díaz del Valle investigar en cuantas fuentes anteriores pudieron serle de ayuda en su tarea...” (p. 151). Fra le fonti è così possibile riconoscere Gaspar Gutiérrez de los Ríos, Fray José de Sigüenza, Juan de Butrón, Pacheco e Carducho; e fra gli stranieri, naturalmente Vasari, ma anche Lomazzo e Ridolfi, nonché Karel van Mander. E fin qui s’è detto delle parti non originali dell’opera; è altrettanto vero che quando Díaz del Valle passa dagli artisti del passato a quelli suoi contemporanei diventa a sua volta una fonte preziosa e spesso inedita nei confronti degli storici successivi, attingendo da quanto riferitogli da terzi, ma assai più spesso da conoscenze dirette e rapporti amicali con gli artisti (pp. 170-184). In generale, le sue affermazioni sono attendibili; e se per secoli si è ritenuto Palomino come “Vasari spagnolo”, non dobbiamo dimenticare che quest’ultimo scrive nel 1720 circa, che non ha mai conosciuto i grandi pittori del Siglo de Oro, mentre Lázaro sì, primo fra tutti Velázquez. Sono circa una cinquantina gli artisti di cui Díaz del Valle fornisce per la prima volta notazioni relative alla vita e alle opere. E, in perfetta sintonia con quanto già detto, scrittori come Palomino non esitarono un momento ad attingere da questo materiale a piene mani, in un processo di stratificazione ed accumulo del proprio patrimonio-storico artistico che ogni volta si arricchiva di ulteriori informazioni.

[5] “La complejidad del manuscrito de Díaz del Valle, construido con materiales heterogéneos, trabajados a muy distintos niveles, y que van desde los párrafos bien construidos y acabados, a la mera lista de autores, el apunte rápido o la repetición casi exacta, pero con variantes, de idénticas palabras en distintos lugares del manuscrito, convierte la edición moderna del texto en una labor de gran complejidad... Por lo tanto, mi intención fundamental ha sido transcribir las informaciones sobre pintores y obras de arte más importantes del manuscrito, señalando siempre su ubicación en el texto original. Me parecía especialmente importante contextualizar sus afirmaciones, desligar las partes tomadas de otros autores de las que suponían informaciones originales, así como ubicar en su contexto tanto a los artistas – indicando las fechas principales de vida así como a la bibliografia reciente -, como de las pinturas, señalando cuando procede las opiniones de otros tratatisdas o viajeros que las vieron en los lugares originales de ubicación, lo que en muchas ocasiones aclara multitud de puntos oscuros... Igualmente, han sido incluidas en el texto de Díaz del Valle algunas afirmaciones sueltas sobre la condición de la pintura o su jerarquía como arte liberal, que se vierten en el manuscrito fuera de las biografías de pintores, siendo también analizadas en la Introducción junto a la serie de temas a ellas vinculadas” (pp. 184-185).https://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/11/vicente-carducho.html

Nessun commento:

Posta un commento