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mercoledì 10 settembre 2014

G. Domenico Ottonelli e Pietro da Cortona, Il Trattato della Pittura e Scultura. Uso et abuso loro (1652), Editrice Canova, 1973


English Version

G. Domenico Ottonelli e Pietro Berrettini [Pietro da Cortona]
Il Trattato della Pittura e Scultura
Uso et abuso loro
(1652)

A cura di Vittorio Casale

Libreria Editrice Canova, 1973


Figura 1 Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza, Palazzo Barberini, Roma
Fonte: www.ibaroque.it




Il Trattato della Pittura e Scultura Uso, et Abuso loro, composto da un theologo, e da un pittore esce a Firenze nel 1652, firmato da Odomenigico Lelonotti e Britio Prenetteri, due assoluti sconosciuti se non fosse che, in realtà, si tratta di due anagrammi. Nessuna volontà di nascondersi. Semplicemente un omaggio all’imperante moda barocca del momento [1]; gli autori sono il padre gesuita Giovanni Domenico Ottonelli e Pietro Berrettini, meglio noto come Pietro da Cortona, ovvero una delle grandi ‘star’ del barocco romano di metà ‘600. Proprio la presenza di Pietro da Cortona – diciamolo subito – ha generato sull’opera un pregiudizio negativo, nel senso che la si è ritenuta molto deludente e poco interessante in rapporto alla statura dell’artista. Non vi è dubbio che il Trattato vada ad inserirsi in quel genere di opere di precettistica religiosa, sicuramente non particolarmente vivaci, che, a partire dal Concilio di Trento in poi forniscono indicazioni su cosa sia e cosa non sia lecito dipingere per un artista. Il capostipite di questi scritti è il Discorso intorno alle immagini sacre e profane, pubblicato nel 1582 dal Cardinal Gabriele Paleotti [2]. Il Trattato di Ottonelli e Pietro da Cortona lo segue di settant’anni (e svela un allentamento nell’ortodossia delle posizioni controriformate) e si risolve essenzialmente in una rassegna infinita (400 pagine) di casi e quesiti che possono porsi di fronte all’artefice, e ai quali viene fornita puntualmente risposta (con un’abbondanza straripante ed eccessiva di citazioni di ogni tipo). Insomma, se cercavamo (come si è cercato) una riflessione autobiografica di Pietro sulla propria opera e sulla propria poetica, non sarà qui che troveremo risposte. Ed è naturale che la prima cosa che viene da pensare è che quel Pietro da Cortona che fa del Trionfo della Divina Provvidenza, nel salone nobile di Palazzo Barberini, un capolavoro assoluto del barocco romano (con un’esplosione di immagini a carattere mitologico che stordisce fino alla vertigine l’ignaro spettatore che vi entri) non sia lo stesso Pietro da Cortona coautore del presente trattato. 

Figura 2 Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

Leggiamo cosa scrive lo Schlosser nella sua Letteratura artistica [3]:

“Una delusione… ci procura un altro libro, che merita tuttavia un esame ravvicinato come una delle creazioni spirituali più memorabili di questo tempo. Troviamo qui una coppia singolare, il rappresentante di un ordine pratico per eccellenza del mondo e della vita, il padre gesuita Ottonelli, e uno dei più celebri pittori di moda in quel tempo, Pietro Berrettini da Cortona. Il loro Trattato della Pittura e Scultura… è uscito a Firenze nel 1652… Se non fosse proprio indicato sul frontespizio, nessuno vi sospetterebbe la collaborazione di un artista, che vi deve aver avuto parte di consigliere. Il vero autore è senza dubbio il teologo, e l’odore di sagrestia vi è più forte che altrove… Il libro, autentico prodotto dello spirito casistico, che mette a profitto abbondantemente l’opera anteriore del cardinale Paleotti… è notevole soprattutto perché espone per la prima volta coscientemente il concetto della politica artistica (molto comprensibile del resto per quel tempo)… Con un ragionamento assai tortuoso si giunge a sostenere che l’arte, nella rappresentazione di soggetti sconvenienti, o immorali, non perda affatto la sua originalità come tale, come arte pura, che consiste solo nella rappresentazione… Ma come già Platone ha segnato un limite fra retorica utile e dannosa, così anche l’arte è da valutare non solo secondo la sua essenza, ma soprattutto secondo la sua azione sociale e deve quindi esser completamente subordinata a questa, cioè alla «politica». La vita presente non è pura, e perciò deve essere evitato ai deboli ogni impulso men che lodevole. E’ degno di nota che rappresentazioni di carattere più libero siano permesse per ambienti privati: è qui volontariamente palese il distacco dell’età posteriore al Concilio di Trento dai tempi antichi più ingenui e indolenti. 

Nel resto si tratta sostanzialmente della pittura delle chiese, dove la casistica ha pure buon gioco; l’interrogazione è sempre la stessa: pecca il pittore se tralascia questo o quello? Non ci si dovrà quindi sorprendere se viene in campo anche la controversia del lavoro festivo. La cosa ha effettivamente uno sfondo reale e pratico: anche in questa libera età del virtuosismo spira un’arietta dell’antica coscienza artigiana tuttora latente” (pp. 616-617). 

Figura 3 Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

Schlosser, dunque, mette in evidenza lo spirito precettistico dell’opera, coglie correttamente una maggiore tolleranza nei confronti dei soggetti dipinti, ma non può far a meno di sottolineare “l’odore di sagrestia” che emerge da tutto il trattato, come se questo odore fosse diretta emanazione del pensiero di Ottonelli e poco avesse a che vedere con Pietro da Cortona. 

Da qui parte la presente edizione del Trattato, pubblicata nel 1973 a cura di Vittorio Casale. Si tratta di una ristampa anastatica, preceduta da una lunga e interessantissima introduzione del curatore e seguita da un prezioso indice analitico. Il fatto che quella di Casale sia la prima riedizione del testo, a partire dal 1652 (e che dal 1973 ad oggi non ve ne siano state altre) testimonia comunque della scarsa fortuna dell’opera nella sua interezza (sono invece frequenti le citazioni di singoli brani; il caso più recente lo si ha probabilmente in Tomaso Montanari, L’età barocca. Le fonti per la storia dell’arte (1600-1750), antologia pubblicata da Carocci nel 2013 [4]).

Figura 4 Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

Casale parte dall’“odore di sagrestia”. La convinzione che Pietro da Cortona con quell’odore c’entrasse poco ha spinto molti a cercare di analizzare puntualmente quali siano le parti del trattato da ascrivere ad Ottonelli (quasi tutto) e quali a Berrettini. Esercizio interessante – ci fa capire il commentatore –, ma di per sé inutile. Non esiste una dicotomia fra gli scritti del gesuita e quelli dell’artista; entrambi condividono la stessa visione del mondo. Se vi è “odore di sagrestia”, appartiene ad entrambi, e non al solo Ottonelli. In questo senso è lecito, e opportuno, considerarli a tutti gli effetti intrinsecamente coautori di tutta l’opera. Poi, è chiaro che in alcune pagine (è il caso dei dipinti segnalati a riscontro di questa o quella casistica) l’impronta di Pietro da Cortona può essere supposta maggiore; ma dove Casale si dimostra particolarmente convincente è nel sostenere che quello attributivo è un falso problema. Il grande valore dell’opera sta nell’essere preziosa testimonianza dello spirito del barocco romano; ed in particolare nell’importanza che attribuisce al valore dell’immagine. Gran parte del saggio del curatore è dedicato ad illustrarla. Per riassumerla Casale ricorre spesso e volentieri al termine “iconocrazia”.

Figura 5 Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

La questione dell’importanza e dell’efficacia delle immagini risale naturalmente alla notte dei tempi, ed ha una sua prima importante codificazione scritta in occasione dei dibattiti sulle eresie iconoclaste (il Concilio di Nicea ne è l’esempio più evidente). Quello che però il curatore vuole sottolineare è l’importanza, tipicamente barocca, che viene attribuita all’effetto che l’immagine, tramite “fantasia” e “maraviglia”, suscita su chi la contempla: 

“La fiducia tributata alla forza della «dipinta immagine delle cose» riposa su convinzioni precise relative alla dinamica della iconocrazia. Non si tratta genericamente di una raggiera di influenze che affascina lo spettatore, o, per lo meno non è soltanto questo; il momento affascinante è soltanto il primo nella storia dell’incontro soggetto-immagine.

Subito dopo, l’assedio dell’individuo è affidato ad una strategia coerente che programma un assalto, graduale, di tre facoltà spirituali che potrebbero essere punti di resistenza: l’intelletto, la volontà, la memoria.

L’intelletto infatti riceve vigoroso ammaestramento dal libro facile e persuasivo delle figure dipinte; dalle cognizioni acquisite, e stampate nell’intelletto, riceve ordini la volontà, che viene plasmata, si uniforma, dipende dalla iconocrazia. A garantire la continuità dell’azione, l’immagine si deposita nella memoria. E al momento opportuno potrebbe ridestarsi, nel soggetto, ad indirizzarne le azioni” (pp. LIX-LX).

“Espugnati l’intelletto, la volontà, la memoria, non resta spazio alcuno per un’attività autonoma, che l’iconocrazia non sorvegli. Il Trattato non ammette che l’intelletto possa esplicare una libera attività, creare di suo, ridotto com’è a un calco per immagini” (p. LX).

Figura 6 Pietro da Cortona. Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

Da qui, ovviamente, l’importanza dei comportamenti dell’artista. Il Trattato non è un’opera sulla liceità o sull’illiceità delle immagini (come, ad esempio, parte dello scritto del Paleotti del 1582). Siamo in una fase storica in cui la liceità è data per scontata; la consapevolezza, semmai, è che l’immagine è così importante che bisogna indirizzarne l’uso ed evitarne l’abuso; perché di fronte alla forza dell’immagine l’uomo non può nulla.

Figura 7 Pietro da Cortona. Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

In maniera molto interessante Casale stabilisce un confronto fra l’opera del duo Ottonelli-Cortona e L’Idea de’ Pittori Scultori et Architetti, trattato pubblicato da Federico Zuccari nel 1607 [5]. Quella di Zuccari è uno degli ultimi grandi trattati manieristi. Non stiamo certo a parlarne ora, ma è innegabile che Zuccari sviluppi un ragionamento teorico legato ai processi della conoscenza e al rapporto fra spettatore ed immagine di impronta ancora chiaramente rinascimentale; passano 45 anni e con Ottonelli e Cortona siamo letteralmente agli antipodi, in pieno Barocco:

“Il sistema logico, razionale, quale appare ad apertura di secolo nell’opera dello Zuccari, e interamente legato alla tradizione rinascimentale, è rimesso in discussione, e negato.

Il novus nascitur ordo che caratterizzava la fase finale della conoscenza [n.d.r. nel trattato di Zuccari] è ora sostituito da una conclusione diversa: l’asservimento all’immagine, unica potenza veramente tale, anche se inaggettivabile. Ogni evento viene assunto dai sensi come apparenza: questo modo di conoscere ha, naturalmente, conseguenze sul comportamento.

Così si comprende l’impossibilità per l’uomo di dirigere la propria esistenza secondo una bussola, eternamente valida. Meglio aggiustare il tiro ogni volta, e rinunciare alle regole.” (p. LXXII).

Figura 8 Pietro da Cortona. Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

Rinunciare alle regole. Abbiamo cominciato questa recensione parlando del trattato in questione come di uno scritto di natura meramente precettistica. Non intendiamo negare quello che abbiamo scritto (e che risulta evidente semplicemente sfogliandone le pagine). Semplicemente vogliamo sottolineare che i precetti di Ottonelli e Cortona sono assai più flessibili (e meno “coercitivi”) delle regole del Paleotti. Si analizza caso per caso, con maggiore flessibilità e comprensione nei confronti dei dubbi dell’artista. La circostanza ci aiuta a capire meglio e a risolvere l’apparente contraddizione fra lo spirito dell’opera, “l’odore di sagrestia” segnalato da Schlosser e le effettive realizzazioni pittoriche di Pietro, piene di riferimenti mitologici a quelli che, a tutti gli effetti, sono “falsi Dei”: “Il testo si sforza di distogliere l’artista da quel campo [n.d.r. l’argomento mitologico] per attirarlo verso quelli dell’arte sacra che gli dimostra più fertili ed anche più redditizi; ma concede poi che il pittore possa eseguire opere di quel tipo senza peccato, se in qualche modo indotto (p. 84); e che il committente possa ordinarle, purché in luogo privato (p. 315). A voler precisare in questo secondo luogo non si parla specificamente di pitture mitologiche, ma l’espressione usata «opere indifferenti, et anche fatte con qualche licenza», può agevolmente comprenderle” (p. CXXXI n. 2).

Figura 9 Pietro da Cortona. Trionfo della Divina Provvidenza (particolare).
© Atlante dell’arte italiana. Fondazione Marilena Ferrari

E così possiamo continuare ad ammirare il soffitto di Palazzo Barberini senza pensare che Pietro da Cortona fosse in intima contraddizione fra ciò che scriveva e ciò che effettivamente realizzava. 




NOTE

[1] Si veda la voce Anagramma di Stefano Bartezzaghi nell’Enciclopedia dell’Italiano Treccani, Roma, 2010.

[2] Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582), a cura di Stefano Della Torre, Città del Vaticano, 2002.

[3] Julius Schlosser Magnino, La letteratura artistica, 3° ed, Firenze, 1964.

[4] Tomaso Montanari, L’età barocca. Le fonti per la storia dell’arte (1600-1750), Roma, 2013.



[5] Federico Zuccari, L’idea de’ Pittori Scultori et Architetti, Torino, 1607.

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