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mercoledì 3 settembre 2014

Angelo Maria Monaco. Giacomo Barri "francese" e il suo 'Viaggio pittoresco d'Italia'; Edifir, 2014




Angelo Maria Monaco

Giacomo Barri “francese” e il suo Viaggio pittoresco d'Italia
Gli anni a Venezia di un peintre-graveur scrittore d’arte nel Seicento


Firenze, Edifir, 2014

Recensione di Giovanni Mazzaferro



Giacomo Barri è una figura poco nota del mondo artistico veneziano. Così poco nota che si è rimasti in dubbio sino ai giorni nostri sulle sue origini francesi; del resto ben poco si sa sulla sua biografia. Di Barri, peraltro, non conosciamo un quadro che sia uno (anche se sappiamo che fu pittore; se non altro copista). Eppure al francese Jacques de Pierre de Bar, meglio noto come Giacomo Barri, trasferitosi dalla Francia presso uno zio a Venezia all'età di quattro anni, si deve la nascita di un genere, quello della guida tascabile della pittura italiana da consultare in viaggio. Insomma, se avesse lavorato nel mondo della comunicazione televisiva, oggi diremmo che Barri fu l’inventore di un format di incredibile successo. 

Il libro che abbiamo sottomano ha l’indubbio merito di far luce, per quanto possibile, sulla biografia e sull’attività artistica di Barri (ci resta traccia solo delle sue incisioni), nonché di presentare il testo ed analizzare le fonti del Viaggio pittoresco. Da ultima è proposta anche la traduzione inglese dell’opera, pubblicata a Londra nel 1679 dall’incisore inglese William Lodge. 

Ma andiamo con ordine. Solo dal 2010 si è chiarito definitivamente, recuperando materiale d’archivio, che Giacomo Barri e Jacques de Pierre de Bar sono la stessa persona; Barri era di natali francesi; si era trasferito a Venezia a quattro anni, presso uno zio, e sicuramente si era anche intrattenuto a Roma per otto anni, al servizio dei Barberini. Di lui non ci resta alcun quadro. Sappiamo che a Venezia Barri frequentava la colonia degli artisti francesi, dediti in genere alla pittura in copia, e raramente a quella d’invenzione; è pertanto presumibile che anch’egli si sia dedicato al genere. Ci restano invece sue acqueforti realizzate a Venezia dal 1666 in poi, che da un lato riproducono soggetti da quadri del Veronese, particolarmente graditi alla committenza dell’epoca, e dall’altro promuovono la pittura a lui coeva, in particolare quella di Giovanni Coli e Filippo Gherardi, allievi di Pietro da Cortona. C’è un episodio, nella vita di Barri, che ce lo propone all’attenzione della scena artistica a lui contemporanea, e che, in assenza di una qualsiasi documentazione sulla sua biografia, dimostra comunque che doveva godere di una certa considerazione in laguna. Nel 1679 i pittori veneziani inviano al Senato la richiesta di ottenere autonomia amministrativa, separandosi dall’Arte dei Dipintori, che comprendeva operatori di tutti i tipi, dediti anche ad attività artigianali di carattere molto umile. Si tratta di una classica rivendicazione volta a vedere riconosciuto lo status particolare dei pittori, come artisti di elezione rispetto alla massa degli artigiani. La richiesta sfocia, nel 1682, nella creazione del cosiddetto 'Collegio dei pittori'. A firmare una delle richieste rivolte al Senato in questo lasso di tempo (dal 1679 al 1682) assieme ai colleghi Angelo Frezzato e Lelio Bonetti, è proprio Giacomo Barri. Un elemento da non trascurare.

Ma a noi Barri interessa in quanto creatore di un genere, quello della guida artistica. Intendiamoci: prima del Viaggio pittoresco d’Italia (dove “pittoresco” vuol dire “relativo alle pitture”, esattamente come nella Carta del navegar pitoresco di Marco Boschini) esistevano altre guide di città (ed anche di Venezia: basti pensare alla Venezia città nobilissima del Sansovino), realizzate sia ad uso e consumo dei visitatori, sia per esaltare la ricchezza e quindi la fama di ogni singolo centro urbano e della propria storia. Non esisteva una guida tascabile per il viaggio in Italia, che indicasse al fruitore i principali capolavori da visitare nelle singole località. Se vogliamo, la guida di Barri è il primo prodotto editoriale destinato al pubblico del Grand Tour, un fenomeno culturale che va aumentando e che assumerà nei secoli successivi proporzioni ben maggiori. Intendiamoci: il Viaggio pittoresco non è certo un capolavoro. Così ne parla Schlosser nella sua Letteratura artistica (pp. 536-537): 

“Il primo tentativo del genere [n.d.r. ovvero di quella che Schlosser chiama 'Letteratura dei Ciceroni'] è in un misero e insufficiente libretto che vuole abbracciare in un rapido sguardo i tesori della pittura di tutta Italia, il Viaggio pittoresco di un oscuro pittore veneziano, Giacomo Barri, del 1671: si noti anche che esso uscì per la prima volta a Venezia, la città dei forestieri, e che otto anni dopo era già tradotto in inglese (Londra 1679). Solo alcune regioni son descritte più diffusamente: prima fra tutte Venezia e il suo territorio, lo Stato della Chiesa (specialmente Bologna, ciò che è particolarmente notevole), poi i ducati di Parma e di Modena; discreto spazio è concesso qui alle grandi gallerie principesche, altrove alle raccolte private. Vi si trovano anche notizie su opere d’arte in luoghi remoti, che sono di qualche valore. Il resto d’Italia è trattato con insufficiente ampiezza. Firenze p. es., occupa solo tre pagine, Genova e Napoli un paio, Lucca invece occupa di nuovo molto spazio, con sproporzione evidente. Come anche nella maggior parte di tutta la letteratura posteriore sui viaggi, è molto caratteristico che vi si parli di ciò che quell’epoca intendeva per pittura «moderna»: innanzi tutto perciò di quella propriamente contemporanea; di quella anteriore invece nulla di ciò che risalga oltre le sue origini, a prima di Raffaello, Giorgione, Tiziano; la vera arte «primitiva», riscoperta solo dagli Inglesi dalla fine del Settecento in poi e dopo dai preraffaelliti, non è ritenuta neppure una volta degna di menzione, è completamente scomparsa e dimenticata.”

Al di là del riconosciuto diritto di primogenitura nel genere, non si tratta certo di un giudizio  particolarmente benevolo. E, intendiamoci, i limiti dell’opera sono innegabili. Monaco prova però a ricalibrare il tutto, innanzi tutto evidenziando proprio come le ridotte dimensioni dell’opera siano una precisa scelta editoriale: si vuol dare a chi gira l’Italia uno strumento agile, da portarsi dietro nelle sue visite: “La contestata brevitas e insufficiente ampiezza delle informazioni, la dimensione esigua e succinta del libretto, il mancato inserimento di sezioni teoriche e argomentative non andranno considerati come il risultato criticabile di un modus operandi negligente, ma piuttosto come la conseguenza di un’opzione editoriale divulgativa la cui natura sintetica, giocoforza, appariva infelice agli occhi di eruditi enciclopedici, ai quali sfuggiva, in conclusione, l’intento pratico del viaggio” (p. 110). Semmai (aggiungiamo noi) rileva di più la clamorosa disparità con cui vengono trattate città, ad esempio, come Venezia e Firenze. Ma anche qui c’è un elemento distintivo che connota l’operato di Barri. Non si indulge mai alla polemica, non si fanno esempi in negativo. Semplicemente, ciò che non piace o non è considerato interessante non viene trattato. Non vi è ombra di dubbio, ad esempio, che la visione complessiva di Barri sia impostata sulla predominanza della pittura veneta su quella toscana; ma non si indulge nella notissima polemica antivasariana che pure si trascina da oltre un secolo. Il problema è risolto parlando dei dipinti fiorentini in tre pagine e mezza; e se si tien conto che, in quelle tre pagine, si citano due dipinti del Tiziano, alcune opere del Bassano, un quadro del Correggio e una tela di Annibale Carracci, ben si capisce che non resta praticamente nulla. Alla stessa maniera, è chiara la preferenza attribuita a Raffaello rispetto a Michelangelo: ma tale confronto non si risolve in discussioni di carattere teorico. Semplicemente Raffaello è citato 45 volte; Michelangelo una. 

Monaco rifugge tuttavia dal pericolo di incensare cose che non possono esserlo: mette in evidenza, ad esempio, che stando alle indicazioni fornite da Barri, il Viaggio pittoresco sarebbe il frutto dell’ispezione diretta operata dall’autore dell’opera, ma che la circostanza è falsa. L’esame attento del testo dimostra che si tratta, in gran parte, di opera compilativa. Le fonti primarie a cui Barri attinge a mani basse sono tre: Le Minere della pittura di Marco Boschini (pubblicate appena sette anni prima, nel 1664) per quanto riguarda le opere esposte a Venezia, il Microcosmo della pittura di Francesco Scannelli (1657) soprattutto per i pittori emiliani e le Maraviglie dell’Arte di Carlo Ridolfi (1648) per le opere di pittori veneti non trattate dal Boschini. 

Canaletto, Piazza San Marco verso la Basilica, 1735 ca


“Il rapporto tra il Viaggio e Le Minere della pittura è molto stretto se non imbarazzante, in quanto Barri, pur avendo avuto senza dubbio la possibilità di eseguire una ricognizione diretta dei dipinti a Venezia, letteralmente cita la maggior parte delle opere e delle loro descrizioni come date da Boschini. L’autore esegue in pratica un vero e proprio calco al quale cerca di conferire una sua originalità modificando o invertendo l’ordine dato nelle descrizione delle opere nei rispettivi siti.

Più raffinato è il rapporto con il Microcosmo, laddove la natura diversa della trattazione stilata in forma discorsiva ha portato Barri ad intervenire pesantemente sul testo riducendo a informazione didascalica passi ben più elaborati. Non ci si discosta troppo dal vero asserendo che di circa mille opere segnalate da Barri almeno un quarto sia stato mutuato dal Microcosmo. Appare chiara la totale dipendenza delle citazioni nel caso di opere di alcuni pittori che Barri conosce per via dello Scannelli, come ad esempio il caso di molte opere di Ludovico Carracci. In altri casi non è possibile distinguere se si tratti di citazione diretta o di coincidenza nella segnalazione. In altri ancora la maggiore puntualità nella descrizione di Barri rispetto allo Scannelli dimostra la totale indipendenza delle segnalazioni, com’è nel caso di alcune opere del Lanfranco o di Pietro da Cortona, per il quale, in particolare, l’indicazione di un numero maggiore di opere nel Viaggio pittoresco va ricondotto pure a ragioni cronologiche. Quasi del tutto sganciata dal Microcosmo e dalle Minere è la rassegna di opere di pittori veneziani al di fuori delle lagune, fondata sostanzialmente sulle Maraviglie” (p. 381-382).

Monaco ritiene tuttavia di segnalare alcune tappe della guida di Barri che potrebbero essere di redazione propria e diretta (ma prudentemente aggiunge che la supposizione deriva anche dal non aver trovato alcun riscontro con le fonti a noi note). Si tratta della ricognizione delle opere romane (almeno per alcune opere non segnalate dallo Scannelli) e di quelle del Palazzo Ducale a Parma.


Gaspar van Wittel, Roma: Castel S. Angelo visto da Sud, 1710-1715 ca.


La traduzione inglese del 1679

Come si è già detto, il Viaggio pittoresco fu tradotto a Londra nel 1679. A pubblicarlo, col titolo di The Painters voyage fu l’incisore inglese William Lodge, che nella sua introduzione ci racconta di essersi recato a Venezia negli anni ’70 del 1600, di averlo trovato potenzialmente utile e di averlo tradotto perché non gli risultava che nessun altra copia fosse disponibile in patria. Anche del testo inglese viene qui fornita la trascrizione. Vi è subito da dire che l’edizione anglosassone presenta alcune differenze rispetto a quella italiana, sia per quanto riguarda l’aspetto editoriale sia per quel che concerne il testo vero e proprio. Fermo restando che viene salvato l’aspetto qualificante dell’opera di Barri, ovvero il suo formato ridotto, che gli consente quindi di essere un prontuario di agile consultazione per il viaggiatore in Italia, Lodge aumenta leggermente il formato e inserisce sei incisioni: cinque ritratti di artisti italiani e (scelta non banale) una carta geografica dell’Italia. Da un punto di vista contenutistico, invece, è aggiunto un ulteriore capitolo, dedicato alla collezione dei quadri di Manfredo Settala a Milano. Ignoriamo i motivi della scelta, che chiaramente non ha nulla a che vedere con una consapevolezza delle debolezze insite nella guida di Barri (non è certo dall’inserimento della collezione di Settala che il viaggiatore avrebbe avuto un’idea meno sbilanciata del patrimonio artistico italiano). Certo è che The Painters voyage ebbe un suo successo, entrò a buon diritto e rimase per diversi decenni nell’elenco delle letture indispensabili per gli aristocratici inglesi che si accingevano ad intraprendere il viaggio in Italia.

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