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lunedì 9 giugno 2014

Luciano Mazzaferro. Gli 'Original Treatises' di Mary Philadelphia Merrifield. Parte II: Il manoscritto Volpato e l'edizione 'pirata' di Bassano del Grappa


English Version

Luciano Mazzaferro
Gli 'Original Treatises' di Mary Philadelphia Merrifield.
Parte II: Il manoscritto Volpato e l'edizione 'pirata' di Bassano del Grappa

Gian Battista Volpato. Sacra Famiglia (fine XVII secolo)
http://www.studiomondi.it/
AVVERTENZA:

Questo post è stato pubblicato nel 2014. Dopo tale data sono state scoperte a Brighton le lettere che Mary Philadelphia Merrifield inviò a suo marito dall’Italia nel corso del viaggio che la ricercatrice condusse fra 1845 e 1846 alla ricerca di manoscritti che testimoniassero le tecniche artistiche degli antichi maestri italiani. Molte delle informazioni contenute nel presente post risultano essere pertanto superate, incomplete e, a volte, non corrette. Ho pubblicato le lettere nel 2018 in La donna che amava i colori. Mary P. Merrifield: Lettere dall’Italia (1845-1846), Milano, Officina Libraria, 2018, isbn 88-99765-70-5. Invito pertanto gli interessati a far riferimento alla consultazione di tale volume. Ho comunque deciso di mantenere visibili i vecchi post per dare un’idea di quelle che erano le informazioni disponibili prima della scoperta delle lettere e di come le ricerche su Mary P. Merrifield siano evolute negli ultimi anni.

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[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione e la traduzione fedele di una parte della “nota di lettura” scritta da nostro padre, Luciano Mazzaferro, con riferimento agli Original Treatises on the Arts of Painting di Mrs. Mary Philadelphia Merrifield. Si era attorno al 1998. Le pagine trascritte si riferiscono ad uno dei trattati pubblicato dalla Merrifield, per la precisione il Modo da tener nel dipinger di Gian Battista Volpato. Le note al testo sono invece redazionali e compilate nel 2014).

Questo saggio fa parte della serie dedicata alla vita e alle opere di Mary Philadelphia Merrifield. Per il primo rimandiamo a Giovanni Mazzaferro, Mary Philadelphia Merrifield, la Signora di Brighton che amava i colori.

Volpato Gian Battista, Modo da tener nel dipinger

Va da p. 719 a p. 755. Trascrizione integrale di un manoscritto conservato presso la Biblioteca civica di Bassano del Grappa. La Merrifield non precisa la collocazione dell’opera, ma non si può escludere che il manoscritto fosse già allora segnato con quel numero, ovvero il 1763, che ritroviamo nel volume LV degli Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, edito a Firenze una sessantina d’anni fa [1].

Questi ed altri manoscritti del Volpato erano noti assai prima che la Merrifield se ne occupasse. Erano stati letti e ampiamente utilizzati dal Verci per la redazione delle Notizie intorno alle vite e alle opere di Pittori, Scultori e Intagliatori della città di Bassano, pubblicate a Bassano nel 1775 [2]. Il Lanzi, autore assai seguito nei primi decenni del secolo scorso, aveva fornito un giudizio abbastanza riduttivo sul Volpato pittore, ma allo stesso tempo aveva mostrato un certo favore per la sua attività di scrittore: “la sua opera è sparsa di buone osservazioni” [3]. E, subito dopo: bisogna “almen crederlo buon teorico”. Algarotti – sono sempre parole del Lanzi - prese copia “del suo scritto maggiore, come vedesi nell’indice de’ suoi libri di belle arti già pubblicato” [4]. La stima dell’Algarotti, ricercatore non sempre felice, forniva un buon argomento di riflessione e di ripetute punture di spillo. All’inizio del nuovo secolo, nel 1807, uscì un breve scritto di Bartolomeo Gamba sui Bassanesi illustri, ove si fa scempio del Volpato pittore, assai lontano dall’ormai imperante stile neoclassico e si segnalano al pubblico disprezzo “quelle enormi schiene e quegli sconci sederi, e que’ coloracci nerastri e tenebrosi che… si presentano ne’ suoi quadri” (pag. 51) [5]. Ma anche qui si coglie un decisivo cambiamento di valutazione appena si passa a dar notizie dei manoscritti: “rimangono” – segnala il Gamba a pag. 50 – “molti suoi scritti attorno al magistero delle arti del disegno, di alcuni de’ quali si servì il Verci, e se ne giovò eziandio l’Algarotti, che qualche volta si rivestiva volentieri delle penne altrui.” Di tono sommesso, quasi sbrigativo, ci appare la valutazione di L. Cicognara nel celeberrimo Catalogo ragionato impresso a Pisa nel 1821 [6]: non mancano notizie minute, come al solito precise e stimolanti, ma – quando si va al dunque – ci si accorge che i manoscritti del Volpato meritano attenzione soprattutto per il debito contratto dal Verci e per l’interesse che seppero riscuotere nell’Algarotti. Una ventina d’anni dopo, quando tradusse e commentò il trattato di Goethe Zur Farbenlehre dandogli il titolo Goethe’s Theory of Colours [7], Charles L. Eastlake trovò modo di citare dignitosamente l’opera principale, allora e anche ora inedita, del Volpato (ossia La Verità pittoresca svelata ai dilettanti [8]) e venne di nuovo a sottolineare l’influsso palese sulla compilazione del Verci, al quale aveva fornito lo schema o, se più piace, l’intelaiatura (groundwork) di alcune parti essenziali. Nulla di nuovo, per la verità, e di quest’ultimo richiamo al Volpato non vi sarebbe forse stata alcuna necessità di parlare, se la stessa Merrifield non avesse avvertito il bisogno di farvi cenno (pp. 721 sg.). E questa circostanza, unita all’altra largamente risaputa del notevole ascendente che la vastissima cultura e le non comuni capacità organizzative dell’Eastlake ebbero sull’animo e sulle scelte della Merrifield, inducono a supporre che la studiosa di Brighton abbia deciso di interessarsi del Volpato e si sia recata a Bassano su consiglio o suggerimento, se non addirittura per invito esplicito di colui che, di lì a poco, sarebbe divenuto per diretto interessamento di Peel il primo Direttore della National Gallery di Londra. Pur sapendo di muovermi su un piano che non può andare oltre i limiti di una ragionevole formulazione di ipotesi, mi sembra nondimeno logico supporre che la Merrifield sia giunta a Bassano con l’intento di esaminare il manoscritto della “Verità pittoresca” (l’opera apprezzata da Eastlake) per poi ritagliarne, così com’era accaduto in altre recensioni, i capitoli e le sezioni meglio conformi di altre parti alle caratteristiche della sua ricerca. Ed è altresì ragionevole pensare che, solo dopo l’arrivo a Bassano, il primo orientamento sia stato superato. Esaminati i manoscritti della Biblioteca civica, la studiosa si orientò a favore del trattatello che poi pubblicò, trovandolo più efficace della “Verità pittoresca” e contenuto per giunta in proporzioni tali da poterne garantire la riproduzione integrale.

Gian Battista Volpato. La Verità pittoresca svelata ai dilettanti
http://www.europeana.eu/portal/record/2023813/Generale_ricerca_AnteprimaManoscritto_html_codiceMan_38894.html

Sia nell’opera maggiore sia nel trattatello preferito dalla Merrifield il Volpato era ricorso allo schema del dialogo. La Verità pittoresca si presenta come un colloquio tra Ottavio – un personaggio che, secondo Pallucchini [9] andrebbe identificato con lo stesso autore – ed un altro pittore chiamato Florindo. Nell’operetta utilizzata dalla Merrifield il dialogo non coinvolge più dei pittori, ma dei loro assistenti o aiuti di bottega. Il più anziano dei due assistenti fornisce indicazioni e svela “segreti” sul modo migliore per svolgere il loro lavoro ad un ragazzo alle prime armi che si chiama Silvio e che fa presente d’essere al servizio di Florindo. Se si ritorna indietro di appena qualche rigo, ci si accorge che “padrone” di Silvio è, per l’esattezza, uno dei due protagonisti della Verità pittoresca. Per la verità, nel testo della Merrifield anziché indicare il signor Florindo, Silvio nomina un certo signor Floriani, ma una versione compiuta a poco tempo di distanza e della quale dovremo presto occuparci [n.d.r. si veda oltre, l’edizione Baseggio] ci fa sapere che la persona alla quale Silvio si riferisce è inequivocabilmente Florindo e che il nome Floriani è dovuto a un errore di lettura spiegabile con due circostanze: in primo luogo con la cattiva grafia del testo (vedi p. 722) e con la conseguente difficoltà, per non dire problematicità di ricostruire il dettato; quindi con la tendenza della studiosa inglese, ormai impegnata in molti compiti, a trasmettere alcune incombenze ad uno od entrambi i figli che l’avevano accompagnata nel viaggio in Italia e che, meno preparati di lei, non erano sempre capaci di rimuovere con la stessa efficacia i diversi dubbi interpretativi e di evitare qualche uscita palesemente ingenua. [10]


Gian Battista Volpato, Madonna della Cintura, Montegaldella (Vicenza)

Il ripristino del nome effettivo “del padrone” di Silvio (Florindo al posto di Floriani) non è, come potrebbe apparire a prima vista, un semplice puntiglio, ma consente di ricavare un utile elemento per la datazione del breve manoscritto che è privo, per quel che ne so, di qualsiasi indicazione sull’anno in cui venne steso. La Merrifield fa giustamente notare che la stesura dev’essere necessariamente posteriore al 1670, dal momento che nel testo si fa menzione di un saggio di Francesco Lana impresso a Brescia in quell’anno [11]. Dopo aver individuato questo punto fermo, la Merrifield aggiunge che a suo avviso la data dovrebbe però essere di vari anni posteriore al 1670; e anche qui va detto che ha saputo veder chiaro, anche se le è mancata – per quell’errore di trascrizione – la possibilità di sostenere il suo punto di vista. Se uno degli interlocutori è allievo di quel Florindo che è uno dei due dialoganti della Verità pittoresca, appare logico dedurre che il lavoro incluso nella pubblicazione della Merrifield sia successivo alla Verità pittoresca e ne venga a costituire, in un certo senso, la logica prosecuzione. Accantonati i grandi problemi su cui hanno discusso i pittori, i loro aiutanti o garzoni si occupano ora delle ordinarie faccende di lavoro, prendendosi solo di rado la libertà di qualche debordamento. Orbene, siccome vi è larga concordanza nel sostenere che la Verità pittoresca sia stata approntata per la stampa (peraltro mai avvenuta) non prima del 1685, se ne ricava che il trattatello su cui ci stiamo soffermando deve essere molto successivo a quel 1670 in cui vide la luce l’opera del Lana e collocarsi verosimilmente attorno al 1690. Con questo aggiornamento la tesi di fondo sostenuta dalla Merrifield diventa ancora più credibile: “I am of opinion that the notices to this MS. respecting painting in oil, are to be considered as applying to paintings of the Venetian school at the conclusion of the seventeenth century”. [12]

Nella nota preliminare da lei redatta la Merrifield ricorda diverse istruzioni e segreti di bottega che il collega più esperto fornisce al giovane e sprovveduto Silvio. Qui basta ricordare che il dialogo verte sul modo migliore per svolgere vari compiti che, non comportando particolari doti di fantasia e d’invenzione, venivano solitamente affidati a personale di bottega. Si parla, così, della preparazione delle tele e, con particolare insistenza, dei procedimenti più raccomandabili per la preparazione dei colori. L’artista al quale si guarda con grande ammirazione è, come naturale, il più rinomato pittore del luogo, cioè Jacopo da Ponte detto il Bassano. E, di tanto in tanto, si fa riferimento a qualche scrittore o trattatista che si è interessato anche degli aspetti più umili del mestiere. Ci capita così di trovare quel Lana citato poca fa per via della data in cui compose il suo saggio e, in altra parte del manoscritto, due autori assai più noti del secolo precedente: l’Armenini [13] e il Borghini [14]. Ai dialoganti succede talvolta di uscir fuor di tema per parlare amabilmente di buon vino, per scommettere su chi pagherà il prossimo conto e per dedicare le libagioni ora ai rispettivi “padroni” ora al santo patrono. Un dialogo, tutto considerato, abbastanza piacevole, meno denso di notizie e di valutazioni rispetto ad altri manoscritti d’età moderna scelti dalla Merrifield, ma di facile e di rapida lettura. Verso la fine, prima ovviamente delle prevedibili libagioni di congedo, il dialogo aumenta improvvisamente di tono: mosso da uno sdegno che sembra sincero e che appare comunque ben motivato, il più anziano dei due personaggi lancia dei fulmini contro quegli “ignoranti” che andavano incautamente compiendo opere di ripulitura e di restauro, guastando o rimovendo gli “ultimi ritochi che sono la perfezione de l’opera”. E prosegue: “ho veduto anco lavar quadri in tavola e così in tela, che dopo lavati si sono scorzati, perché il gesso di sotto risente quell’umido e si rileva; e perciò è grande pazzia lavar quadri buoni” (p. 751). Egualmente riprovevoli sono certi interventi ad olio, com’è provato dal deterioramento della figura d’un santo in una grande tela del Tiziano conservata in una chiesa di Venezia: unta “tante volte da’ sacrilegi e sgraziati” pennellatori e copisti, quella figura si è deteriorata e annerita a tal punto che “non si vede più che facia egli abia”. [15] La controprova dei danni inferti all’immagine del santo è fornita da quegli angeli, dipinti nella stessa tela, che, “essendo alti [e] lontani da simili influsi [n.d.r. sic] [si] sono conservati bellissimi” (pp. 751 e 753). Si colgono qui i primi consapevoli atteggiamenti critici che porteranno a fissare varie direttive per la preservazione delle opere d’arte, almeno di quelle in proprietà di amministrazioni pubbliche e di enti religiosi.


L'edizione 'pirata' di Bassano del Grappa

A costo di attribuire al trattatello del Volpato un rilievo maggiore rispetto a quello che merita, non mi sembra che si possa bruscamente interrompere queste annotazioni e ritengo che occorra invece soffermarsi su un paio di altre questioni, in particolare sulla pubblicazione – sicuramente non concordata con la studiosa – dello stesso scritto presso un editore di Bassano.

E’ difficile ricostruire l’intero decorso dei fatti, ma almeno su alcuni punti non rimangono molte incertezze. Quando si recò a Bassano, la Merrifield vi trovò una buona accoglienza. La collaborazione fu senza dubbio più che soddisfacente. Già nel primo volume dell’opera, quando avvertì il dovere di ringraziare coloro che l’avevano aiutata, la Merrifield volle includere nel lungo elenco (I, pag. XI n.) il “Signor Giambattista Baseggio, President of the Athenaeum of Bassano”. Il nome del Baseggio ritorna nella sezione dedicata al Volpato: la Merrifield ci avverte che il manoscritto le era stato gentilmente prestato (ci fu, insomma, un prestito e non una mera autorizzazione di lettura) dal Baseggio che le accordò inoltre il permesso di ricopiarlo. Poiché il successivo comportamento del Baseggio appare a dir poco sorprendente, vale la pena di rifarsi direttamente al testo inglese di cui prendo la libertà di sottolineare qualche parola: “the original… was kindly lent to me by Sig. Baseggio, the librarian and president of the Athenaeum of Bassano, with a permission to copy it…” (pag. 722). Benevolenza, quindi, gentilezza e comprensione delle non poche difficoltà da superare. Eppure, poco tempo dopo la restituzione del manoscritto da parte della Merrifield, il Baseggio cambiò atteggiamento e prese anche lui la decisione di studiare il manoscritto, di trascriverlo, di prepararlo a dovere e di stamparlo a tambur battente, prima ancora che la “scrittrice di Brighton” (così la Merrifield veniva chiamata in qualche ambiente culturale italiano) potesse dare il via alla pubblicazione di questo e di altri manoscritti, delle rispettive traduzioni in inglese e delle note di commento. Da sostenitore della Merrifield il Baseggio si trasformò, pur senza clamori, in un suo concorrente e antagonista. Un aspetto dev’esser tenuto fermo: il Baseggio compì una trascrizione autonoma rispetto a quella della Merrifield e non poté di certo utilizzare il commento che la curatrice scrisse solo in vista della pubblicazione della sua vasta raccolta di manoscritti. Il Baseggio non plagiò nulla: non ne aveva l’animo, né tanto meno l’abitudine. Uno scrittore del luogo, noto e ascoltato nella sua zona, ci parla di lui con viva considerazione ricordando l’impegno posto sul riordinamento della biblioteca e nel rifacimento del catalogo: di famiglia agiata, aveva creduto opportuno devolvere l’intero suo stipendio per l’acquisto di nuovi libri da parte della biblioteca da lui diretta [16]. Sfogliando il “Pagliaini” [17] e quel repertorio che passa sotto il nome di CLIO [18] (vol. I, p. 355) si scopre che il Baseggio aveva dato e continuò a dare alle stampe scritti di piccole dimensioni che, fatta eccezione per una memoria sul Guercino, risultano sempre dedicati a temi di interesse strettamente locali. Ci troviamo insomma di fronte ad un personaggio – starei per dire ad un animatore culturale – che verrebbe fatto di ricordare con accenti assai positivi per la sua generosità e apertura d’animo, se a guastare il quadro complessivo non rimanesse almeno una macchia, quella cioè d’aver carpito un’idea alla signora giunta coi figli dalla lontana casa di Brighton e di averle sottratto, con scarsa galanteria e con una scelta dei tempi di un consumato navigatore, il piacere di pubblicare per prima e in tutta tranquillità un manoscritto che, tutto considerato, si inseriva coerentemente e senza forzature in una raccolta di valore inconsueto. Redatta senza inutili ritardi, la versione del Baseggio era già pronta nel 1847. Venne pubblicata entro l’anno con l’aiuto dei fabbricieri della chiesa parrocchiale di Bassano e dedicata, come una stima sincera e le regole del buon vivere raccomandano, a mons. Zaccaria Bricato, arcivescovo di Udine [19]. L’iniziativa non passò del tutto inosservata e anche oggi (si veda, ad esempio la voce “Volpato Giovan Battista” nel vol. 32 di The Dictionary of Art dell’editore Grove [20]) si tende a dimenticare l’edizione curata dalla Merrifield per dare risalto al testo presentato dal Baseggio.

Immagine di Giambatista Volpato tratta dall'edizione Baseggio

Non occorre un particolare impegno critico per rendersi conto dei divari che si frappongono tra la versione del Baseggio e quella della Merrifield. La Merrifield vede nel Volpato un autore in grado di fornire materiale utile e di prima mano per il suo studio storico sulle tecniche praticate da artisti e da artigiani di alto livello: si è già avvertito che, ad avviso della studiosa inglese, i procedimenti descritti nel trattatello sarebbero in grado di segnalare alcuni accorgimenti messi a punto nelle botteghe dei pittori veneziani sul finire del Seicento. Il Baseggio si muove invece su un piano che è tipico delle ricerche d’interesse locale e s’interessa del Volpato non per le sue tele, di cui non riesce a cogliere alcun pregio, e neppure per i meriti intrinseci di questo manoscritto che definisce “leggero e capace di far intendere, nel migliore dei casi,” la ragione dell’essere i suoi quadri anneriti a tal punto da rendere impossibile la decifrazione degli oggetti che vi sono rappresentati. Insomma, il Volpato è un pittore di terza o di quarta fila e l’unica cosa rimarchevole che poteva fare era quella di indicare i modi che rendono inaccettabile la sua produzione. [21] Eppure, nonostante le sue mende, il Volpato resta egualmente un personaggio noto e discusso di Bassano; e questa caratteristica è per il Baseggio ragione sufficiente per parlare di lui e per proporre la stampa del lavoretto inedito. Inserita nell’intero processo storico intravvisto dalla Merrifield, la figura del Volpato prende risalto e riceve piena giustificazione, mentre qui – nella ricostruzione che ne dà il Baseggio – si scolora e si disfa: c’imbattiamo in un personaggio di maniera senza mordente né problemi.

Diverso è anche il linguaggio dei protagonisti, che resta libero e scapigliato nelle pagine della Merrifield e che diventa elegante, di maniera e rispettoso delle buone regole grammaticali nell’altra pubblicazione. Anche se la Merrifield (o il figlio cui probabilmente lasciò l’incarico della trascrizione) commise, per i motivi che si sono detti e che non è certo qui il caso di ripetere, alcuni errori di decifrazione, i due protagonisti del dialogo continuano a muoversi spigliatamente nella loro lingua, usando i termini tipici del loro mestiere e non poche espressioni colorite. Per la Merrifield, esperta di filologia, questa è una scelta precisa e irrinunciabile: se il lettore, disturbato da forme gergali, non può utilizzare le sue conoscenze d’italiano, può avvalersi della traduzione inglese posta a fronte, nelle pagine pari. Per Baseggio, invece, le forme dialettali sono una bestemmia, una bruttezza da evitare, come dice a chiare note nella prefazione (pag. 11): persino la Verità pittoresca, il testo migliore del Volpato, per “comparire senza vergogna anche ai nostri giorni” andrebbe voltato in italiano, perché italiano non è, tanto è pieno di venezianismi e, per giunta, bisognerebbe pensare a raddrizzarne “generalmente la forma”. Ed eccolo quindi all’opera con abito professionale. Salvo poche eccezioni, le consonanti semplici, abituali tra i veneti, diventano doppie: cola, pitore, biaca, asciuto, seco, modelo, penelo, azuro, gialo, bola, trato, peza e un’infinità di altre voci care al Volpato e rispettate dalla Merrifield si italianizzano nel Baseggio e diventano colla, pittore, biacca, asciutto, secco, modello, pennello, azzurro, giallo, bolla, tratto e pezza. Scompaiono non pochi accenti, mentre altri spuntano su parole che ne erano prive nel testo originale. I periodi vengono spezzati; compare in più casi il congiuntivo in omaggio alle regole comode, ma fastidiose in questo contesto della consecutio temporum; cambiano le preposizioni e si compiono interpolazioni, rovesciamenti di periodi e ampi rifacimenti che la Merrifield avrebbe ritenuto del tutto arbitrari. Anche i nomi propri, che nel dialogo scritto da Volpato si erano piegati al modo di esprimersi dei veneti, ritornano ripuliti nella loro vecchia accezione nazionale, come appunto quel ‘Rafael Borgini’ che la Merrifield mantiene invariato, anche se seguito da un’appropriata annotazione di conferma, e che il direttore della Biblioteca civica di Bassano restaura prontamente e traduce in Raffaello Borghini. Anche il titolo dell’opera cambia: viene respinta la frase pensata dal Volpato (ossia quel Modo da tener nel dipinger che non è affatto un’espressione di fantasia coniata dalla Merrifield e che, non a caso, ritrovo nel vol. LV degli “Inventari dei manoscritti etc…” [22]) e al suo posto viene collocata un’espressione più ampia e quasi aulica, vale a dire Del preparare tele, colori, ed altro spettante alla pittura. Ed è bene mettere in chiaro che le prime parole sono state ricavate da un’espressione che compare nella prima domanda rivolta da Silvio al suo interlocutore, mentre le successive ricalcano un’espressione ricorrente in vari titoli sfoderati dai trattatisti del Seicento. Ma forse in questo caso – mi riferisco allo stravolgimento del titolo – non si tratta di una variazione dovuta esclusivamente ad esigenze di una malintesa dignità letteraria: non si può infatti escludere del tutto che si siano fatti avvertire anche motivi di diversa natura ed origine, come un certo pudore a rivelare, persino nelle parole della copertina la relazione con il manoscritto che la Merrifield avrebbe pubblicato di lì a poco. Si sperava, cioè, che nella lontana Inghilterra non ci si rendesse conto che si trattava dello stesso testo. Si tratta ovviamente di semplici ipotesi, ma, pur sapendo che ci si muove su un terreno da percorrere con prudenza, non mi sento d’escludere che queste o altre consimili motivazioni abbiamo potuto assumere un ruolo di qualche peso. [23]

Che il comportamento del Baseggio sia stato poco limpido e lineare e abbia finito col porsi in netta contrapposizione con l’iniziale, larga disponibilità nei confronti della Merrifield mi sembra faccenda difficilmente contestabile, ma questa e altre riserve nei confronti del direttore della biblioteca bassanese non autorizzano affatto a sostenere che egli fosse un ricercatore del tutto sprovveduto e all’oscuro di quanto era accaduto negli ambienti artistici nei quali si era inserito il Volpato. Almeno su un punto il confronto tra la pubblicazione avvenuta a Bassano e il capitolo che la Merrifield dedicò al Volpato si risolve a vantaggio del Baseggio. E ciò avviene per una migliore conoscenza della lingua italiana e, in particolare, delle espressioni dialettali venete presenti in gran numero nel manoscritto, per una più paziente attenzione per i passi oscuri del testo e, inoltre, per un più accurato accostamento del Volpato ad altre figure del suo periodo storico e –anche questo non va trascurato – per i riflessi di quell’attività erudita che costituiva il campo di studi preferito dal responsabile della biblioteca di Bassano. I confronti tornano utili. Alcuni errori di lettura commessi dalla Merrifield (o da uno dei suoi figli) ed evitati dal Baseggio hanno talvolta una portata di poco o nessun conto, e ciò accade quando vengono ad interessare discorsi di scarso spessore tecnico o si localizzano addirittura su mere frasi di contorno, come i frequenti reciproci inviti ad alzare il gomito: Il “vino non è punto inferiore al capone” (si legge a p. 727 della pubblicazione londinese, in cui forse s’immagina che il colloquio sia avvenuto durante un lauto banchetto): il “vino non è punto inferiore all’amore” vien detto, con un’usata similitudine che bene s’inserisce nel successivo svolgimento del discorso, a pag. 18 dell’opuscolo stampato a Bassano. Nel primo testo, a proposito di una scommessa (v. p. 749) si mormora che “goderemo insieme il mercato” (si pensa cioè che il debito derivante dalla perdita delle scommessa verrà onorato con acquisti al mercato), mentre nella trascrizione dello stesso manoscritto, curata dal Baseggio, il mercato scompare e viene appropriatamente sostituito con una varietà pregiata di vino: “goderemo insieme il Moscato”. La composizione del dialogo non viene compromessa neppure in altre situazioni con minori implicazioni bacchiche, come quando si parla di un quadro che, staccatosi all’improvviso dalla parete, si sarebbe guastato cadendo su uno “scrigno” (ancora a p. 749) che, per la verità, mal si adatta ad una bottega di pittore: migliore appare l’interpretazione del Baseggio (v. p. 36 del suo opuscolo), che legge “scagno”, una parola ormai desueta che sta per “scanno” o, più semplicemente, per “sedia”. Qualche volta però le inesattezze di lettura non producono variazioni del tutto innocenti, senza alcun peso sostanziale. Si è già detto di quel Florindo che, divenuto Floriani, impedisce di cogliere immediatamente i nessi tra un personaggio di questo scritto e un altro che compare nella Verità pittoresca. E, se si vuole avere sotto mano un altro esempio, si può richiamare l’errata citazione di un pittore, che provoca non poco disorientamento a chi si affida all’edizione londinese. Secondo l’interpretazione fornita nella raccolta della Merrifield, il dialogo conterebbe (sempre nella sfortunata p. 749, che evidentemente risente delle critiche condizioni di un largo brano del manoscritto) un richiamo al Canziani, pittore di scarsissima notorietà [24] e, ciò che più guasta, troppo giovane sul finire del ‘600 per non far sorgere qualche dubbio o ripensamento sulla datazione, per altra via ragionevole, dell’opera. Bisognerebbe, a rigore, non solo avvicinarsi – come qui si è proposto – alla fine del Seicento, ma si avvertirebbe addirittura la necessità di debordare nel secolo successivo, con il rischio di porsi oltre il 1706, l’anno in cui Volpato morì. Ma poi ogni cosa può presto acquietarsi, dato che il Baseggio legge, al posto dell’improponibile Canziani, il nome del Carpioni [25], ossia di un artista che si colloca vari decenni addietro e che qui compare a pieno titolo per aver modellato uno stile al quale si è poi attenuto lo stesso Volpato.

Non nascondo che, giunto a questo punto, non mi dispiacerebbe affatto sapere se la Merrifield sia mai venuta a conoscenza della pubblicazione del Baseggio e, in caso affermativo, quando ciò sarebbe avvenuto. Per quanto ne so, nessuno dei curatori (né la Merrifield né il Baseggio) ha mai esplicitamente toccato l’argomento ma, dopo averci un poco riflettuto, mi sembra che due conclusioni o, se si vuole, due ragionevoli congetture non siano affatto fuor di luogo. E’ innanzi tutto assai improbabile che la Merrifield sia entrata in possesso del fascicolo del Baseggio molto tempo prima che il suo lavoro fosse consegnato all’editore londinese John Murray. Se ciò fosse successo, la Merrifield avrebbe avuto il tempo per modificare il suo testo e per rettificare gli errori più rilevanti deducibili da un confronto con la stesura effettuata dal Baseggio. A questo primo rilievo se ne può aggiungere un altro. Se è improbabile che la Merrifield abbia conosciuto tempestivamente l’iniziativa del Baseggio, rimane tuttavia qualche indizio per supporre che, proprio a ridosso della stampa, una copia del fascicolo impresso a Bassano sia pervenuto nelle sue mani. Altrimenti non si riuscirebbe a capire qualche circostanza, come la stampa di un estratto del secondo volume della Merrifield dedicato esclusivamente alle pagine in cui compare il trattatello del Volpato e la diffusione di tale estratto non già in Inghilterra, ma tra gli amici e conoscenti italiani [26]. Si consideri che l’estratto non è segnalato nel catalogo della British Library ove tutto o pressoché tutto il materiale edito in Inghilterra viene raccolto e conservato, mentre compare con insolita abbondanza nelle zone d’Italia percorse dalla Merrifield. A Bologna ne ho scoperte senza molta fatica due copie: una presso l’Accademia di Belle Arti e l’altra nella Biblioteca dell’Archiginnasio. E tutt’e due recano la dedica autografa della studiosa. Sembra logico ritenere che questi estratti – ordinati per l’operetta del Volpato e non già per altre e più significative parti della raccolta – siano stati inoltrati ad amici e conoscenti italiani, che si poteva presumere a conoscenza dell’edizione bassanese, per ribadire nei loro confronti (e non già davanti a colleghi inglesi sicuramente ignari dell’intera vicenda) quel diritto di priorità al quale poteva legittimamente aspirare. Il tutto, comunque, in forma garbata, quasi in punta di piedi, con innegabile eleganza.

E siamo ormai giunti all’ultima questione. Tra i repertori comunemente consultati da coloro che s’interessano di fonti di storia dell’arte, soltanto il lavoro dello Schlosser segnala l’edizione del Volpato curata dalla Merrifield (v. p. 621 sg.) [27], ma occorre immediatamente avvertire che il richiamo effettuato dallo studioso austriaco contiene un’indicazione che si traduce in un nuovo motivo di disorientamento. A suo avviso, infatti, il Modo di tener nel dipinger non spetterebbe al pittore di cui stiamo parlando, ma ad un incisore suo omonimo (o quasi omonimo), cioè a quel Giovanni Volpato noto per vari lavori e, in particolare, per la riproduzione degli affreschi che Raffaello eseguì nelle Stanze vaticane. Dalla fine del ‘600 passeremmo quindi alla fine del ‘700 e lo scritto verrebbe a ringiovanirsi di un secolo. [28]

Lo Schlosser è studioso troppo autorevole perché le sue indicazioni possano essere dimenticate. Dopo aver compiuto il dovere di citarne l’opinione, mi sembra tuttavia che vari elementi inducano ad attenersi alla vecchia attribuzione. E questo per vari motivi che espongo velocemente. Primo, perché lo Schlosser non fa seguire alla sua affermazione alcun argomento che valga a convalidarla. Secondo, perché non mi risulta che la sua opinione sia stata mai ripresa, neppure da coloro (e non sono pochissimi) che si sono rifatti all’edizione di Bassano desunta dallo stesso manoscritto e quindi coinvolta nel medesimo problema attributivo. Terzo, perché non vedo la ragione per la quale l’incisore Volpato si sarebbe dovuto occupare di tele, di colori e di altro materiale e di procedimenti che sono tipici del lavoro di un pittore e non già di coloro che svolgono una professione che comporta la conoscenza di altre caratteristiche tecniche. Quarto, perché non saprei spiegarmi come mai uno dei due dialoganti, spostati dallo Schlosser al termine del Settecento, dovrebbe avvertire il bisogno di far riferimento a quel Florindo che compare un secolo prima nella Verità pittoresca che tutti – anche lo studioso austriaco – attribuiscono al Volpato vissuto nel Seicento. Quinto, perché il citato Inventario dei manoscritti posseduti dalle Biblioteche italiane [29] ritiene che il trattatello sia scritto con grafia seicentesca e lo attribuisce, senza alcun tentennamento, al primo dei due Volpato. Sesto, perché lo stesso inventario giudica lo scritto di cui stiamo parlando autografo (e non copiato da altra mano dal testo originale, ossia apografo, com’è il caso della Verità pittoresca) e perché mi parrebbe strano – per non dire inverosimile – che il compilatore del repertorio, convinto sostenitore dell’autografia, non abbia compiuto un confronto con scritture di mano del primo dei due Volpato, anch’esse conservate in uno degli scaffali vicini, nella stessa biblioteca di Bassano. Penso, ad esempio, alla lettera che il pittore Giovan Battista Volpato (e non il pressoché omonimo incisore) scrisse il 20 aprile 1689 a Giovanni Lanzarin e che è possibile reperire, appunto a Bassano, sotto la segnatura 9.119.XXX.11.


NOTE

[1] Albano Sorbelli (a cura di), Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia. Vol LV: Bassano del Grappa. Firenze, L.S. Olschki, 1934. Si coglie l’occasione per segnalare che tutti i riferimenti temporali presenti in questo manoscritto sono stati mantenuti inalterati. Così, ad esempio, quando si legge che la pubblicazione degli inventari su Bassano è di una sessantina d’anni prima si deve tener conto che Luciano Mazzaferro scriveva a fine anni ’90. Le citazioni al secolo precedente, allo stesso modo, sono riferite al 1800.

[2] Giambatista Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ Pittori, Scultori e Intagliatori della Città di Bassano, Venezia, Giovanni Gatti, 1775.

[3] Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia, Vol. II. A cura di Martino Capucci, Firenze, Sansoni, 1970, pag. 147

[4] Catalogo dei quadri, dei disegni e dei libri che trattano dell’arte del disegno della Galleria del fu sig. conte Algarotti in Venezia. Non compare anno e luogo di pubblicazione. Tuttavia il Getty Research Institute data l’opera al 1776 e ne attribuisce la curatela a Giovanni Antonio Selva e Pietro Edwards. Il riferimento a Volpato è contenuto a p. LXXIX. https://archive.org/details/catalogodeiquadr00selv

[5] Bartolommeo (sic) Gamba, De’ Bassanesi illustri, Bassano, Stamperia Remondiniana, 1807.

[6] Leopoldo Cicognara, Catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità posseduti dal Conte Cicognara, Arnaldo Forni editore, 1998 (reprint edizione 1821).

[7] Johann Wolfgang Goethe, Theory of Colours, tradotta ed annotata da Charles Lock Eastlake, Londra, J. Murray, 1840.

[8] Gian Battista Volpato, La Verità pittoresca svelata ai dilettanti, Biblioteca comunale di Treviso Ms. n. 398.

[9] Rodolfo Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, vol. I, Venezia, Alfieri editore, p. 336.

[10] Charles Merrifield (1827-1884) e Frederick Merrifield (1831-1924). Stupisce davvero la giovane età dei figli. Eppure va detto che già in The Art of Fresco Painting in the Middle Ages and the Renaissance (1846) la Merrifield si era servita dei figli per tradurre opera in altre lingue, fermo restando che si trattava di compilare le prime bozze, mentre la revisione era della madre. Charles aveva tradotto dall’italiano, Frederick dallo spagnolo. Si veda The Art of Fresco Painting, Introduzione, p. IX.

[11] Francesco Lana, Prodromo overo Saggio di alcune inventioni nuove premesso all’Arte maestra, Brescia, Rizzardi, 1670. In edizione moderna si veda Francesco Lana, Prodromo all’arte maestra, a cura di Andrea Battistini, Milano, Longanesi, 1977.

[12] Original Treatises.., p. 722.

[13] Giovan Battista Armenini, De’ veri precetti della pittura (Ravenna, 1586). Edizione moderna a cura di Marina Gorreri, Torino, Einaudi, 1988.

[14] Raffaello Borghini, Il Riposo (Firenze, 1584). Edizione moderna a cura di Marco Rosci. Milano, Edizioni Labor, 1967.

[15] Il dipinto di cui si parla è il “San Pietro Martire” di Venezia, probabilmente da identificare con la pala dipinta da Tiziano nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia. L’opera è andata distrutta per un incendio nel 1867. Ne è esposta una copia seicentesca di Johann Carl Loth.

[16] G. J. Ferrazzi, Di Bassano e dei Bassanesi illustri, Bassano, Tipografia Baseggio, 1847, p. 109. 

[17] Attilio Pagliani, Catalogo generale della libreria italiana dal 1847 a tutto il 1899. Milano, Associazione tipografico-libraria italiana, 1901

[18] CLIO Catalogo dei Libri Italiani dell’Ottocento (1801-1900), 19 voll. Editrice Bibliografica.

[19] Giambatista Baseggio (a cura di) Del preparare tele, colori, od altro, spettante alla pittura. Dialogo inedito scritto da Giambatista Volpato pittore bassanese, Bassano, Tipografia Baseggio, 1847. Consultabile online
[20] The Grove Dictionary of Art, by Jane Turner. 34 voll., 1996.

[21] Si cita dall’edizione Baseggio: “Se io intendessi, favellando di Giambatista Volpato, di ricordare uomo che tenesse onorato posto nella storia della Pittura in Italia, caderei in grandissimo errore: imperciocchè non solo non ha merito per esservi rammemorato siccome pittore che abbia fatto camminare l’arte, ma né manco siccome colui che pure avendola tenuta stazionaria, abbia condotto tali opere da stare non vergognose a una linea con quelle dei contemporanei” (p. 7). In realtà il Volpato viene ricordato soprattutto – e Baseggio non si astiene dal farlo – per un episodio assolutamente antipatico, ovvero per la sottrazione di due pale d’altare del Bassano da due chiese del contado. Gli originali furono sostituiti con copie. Scoperto e processato nel 1685, Volpato fu bandito da Feltre per dieci anni.

[22] Albano Sorbelli (a cura di), Inventari dei manoscritti… cit.

[23] Se le intenzioni di Baseggio erano quelle di confondere le acque per non far capire che il suo Del preparare tele, colori, od altro, spettante alla pittura era la stesso manoscritto del Modo da tener nel dipinger della Merrifield va detto che ci riuscì bene. A noi risulta che l’abbinamento delle due opere sia, di fatto, passato inosservato sino ad oggi, con un’unica eccezione, ovvero Les traditions techniques de la peinture médiévale di Guy Loumyer, stampato nel 1914 (p. 202) che correttamente segnala che si tratta di un unico trattato.

[24] Giovan Battista Canziani, pittore veronese. Secondo l’Abecedario Pittorico di padre Pellegrino Orlandi ‘vivea circa gli anni 1712’.

[25] Giulio Carpioni (Venezia, 1613 – Vicenza, 1678).

[26] Sono stato sia presso la Biblioteca dell’Archiginnasio sia presso l’Accademia di Belle Arti a Bologna per rintracciare le due copie di cui parlava mio padre. In Archiginnasio, l’opuscolo è classificato sotto “Volpato” come autore ed ha collocazione “18 Belle Arti. Insegnamento teorico-pratico Cap. I.H.16”. Tecnicamente non si tratta di un estratto, anche se (ho controllato) il contenuto è assolutamente identico rispetto a quanto comparso negli Original Treatises. Ma la numerazione delle pagine va da 1 a 37, invece che da 719 a 755, e l’editore è diverso. Si tratta di William Clowes and Sons, Stamford [sic] Street, Londra. In cima al frontespizio compare la dedica: “Sig. Gaetano Giordini with Mrs. Merrifield’s comp.”. Ritengo che si tratti di dedica autografa posto che la Merrifield cade nello stesso errore in cui è incorsa nei ringraziamenti posti all’inizio degli Original Treatises (p. XIn.) e storpia in Giordini il cognome di Gaetano Giordani, all’epoca direttore della Pinacoteca. Come il fascicolo sia arrivato in Archiginnasio è presto detto: alla morte del Giordani la Biblioteca acquistò tutto il suo patrimonio librario, compresi gli opuscoli. Non compare data. Non è certo, quindi, se si tratti di un’anticipazione, dettata dalla fretta di replicare alla pubblicazione di Baseggio senza aspettare che tutti gli Original Treatises fossero pronti o se invece di ristampa successiva all’uscita del 1849.
La visita in Accademia è stata meno fruttuosa. Per problemi di carattere logistico il fondo antico non è fruibile (i libri sono stati spostati in collocazioni diverse rispetto a quelle del catalogo). E’ certo comunque che una copia c’è, perché ho trovato la scheda di catalogazione, questa volta sotto il nome Merrifield. E’ presumibile che si tratti di copia inviata a Masini, all’epoca segretario dell’Accademia [G.M.]

[27] Julius Schlosser Magnino, La letteratura artistica. Consultata nella 3° edizione. La Nuova Italia, 1967. La princeps, in tedesco, è del 1924; la prima edizione italiana del 1935.

[28] Giovanni Volpato (Bassano del Grappa, 1735 – Roma, 1803).

[22] Albano Sorbelli (a cura di), Inventari dei manoscritti… cit.

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