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lunedì 30 giugno 2014

Gaspard Monge. Dall'Italia (1796-1798). Sellerio editore, 1993


Fig. 1) Gaspard Monge

Gaspard Monge
Dall'Italia (1797-1798)
A cura di Sandro Cardinali e Luigi Pepe

Sellerio, Palermo, 1993

[1] Gaspard Monge, matematico, inventore della geometria descrittiva, lavorò per i governi rivoluzionari francesi. Monge fu inviato due volte in Italia, fra il 1796 ed il 1798, al seguito dell’armata napoleonica e, oltre ad incarichi di natura politica certamente non di secondo piano, fu incaricato, assieme ad altri collaboratori, di dirigere le requisizioni di opere d’arte, di manoscritti, di altre raccolte di sicuro valore scientifico, persino di prime edizioni.

[2] “Le lettere di Monge, qui presentate in traduzione italiana, sono tratte dalle copie esistenti presso la Bibliothèque Municipale di Saintes (Ms. 78)... Il carteggio... è stato diviso in tre gruppi. I primi due riuniscono le lettere inviate da Monge a Catherine Huart [n.d.r dapprima la sua fidanzata, poi, dal 12 giugno 1797 sua moglie] durante le missioni che egli svolse in Italia; nel terzo sono state accorpate quelle dirette a Bonaparte, al Direttorio, a vari ministri della Repubblica francese, ad alcuni familiari” (pp. 51-52). Non c’è dubbio che, ai nostri fini, siano le lettere ufficiali quelle che rivestono maggiore importanza.

[3] Curiosamente, al momento dell’uscita del libro, l’opera non fu recensita sul Sole 24 Ore. Tuttavia nel 1996, a duecento anni esatti dall’inizio della campagna napoleonica in Italia apparve un articolo sulle lettere del Monge a firma Marco Carminati (5.5.1996) e nel 1999 altro articolo, questa volta a firma Umberto Bottazzini, che si soffermava sulla figura dello scienziato francese (1.8.1999). Se ne riportano i testi (gli articoli sono tratti da Biblioteca Multimediale del Sole 24 Ore – Cd Rom Domenica 1983-2003 Vent’anni di idee).


DOMENICA – Furti d’arte
Carri e buoi speciali per svuotare il Vaticano
L’esodo delle opere d’arte italiane in Francia fra il 1796 e il 1798 raccontato nelle lettere del matematico Gaspard Monge

di Marco Carminati

L’avventura italiana di Gaspard Monge - celebre matematico, inventore della geometria descrittiva e ministro della Marina di Napoleone - era cominciata nel giugno del 1796. In qualità di membro della “Commission pour la recherche des objets des Sciences et de l’Art” Monge aveva varcato le Alpi al seguito delle armate napoleoniche assieme ad altri autorevoli esponenti della cultura scientifica francese: i botanici Thouin e La Billardiere, il chimico Berthollet, i pittori Berthelemy e Tinet, e gli scultori Moitte e Dejoux. A questo drappello di civili, il Generale Bonaparte aveva affidato un compito delicato e di grande importanza: quello di selezionare e trasportare in Francia le opere d’arte, i libri e i manufatti di interesse scientifico requisiti nelle città italiane progressivamente occupate dai francesi. Al giovane Generale premeva molto che le requisizioni non venissero giudicate barbare rapine, quindi stabilì che ogni prelievo di opere fosse definito dai trattati e dagli armistizi che andava via via ratificando con le città sottomesse; poi volle che le operazioni di prelievo avvenissero nel modo più corretto possibile, a cura di mani esperte di scienziati e di artisti e col supporto di tutte le garanzie possibili.

Di Gaspard Monge, Napoleone si fidava ciecamente. E visto che il Generale tra il maggio e il giugno del 1796 aveva già occupato in rapida successione Milano, Modena, Parma e Bologna, il bravo matematico e suoi colleghi della “Commission” furono chiamati in azione.

Monge era un uomo metodico, e se noi oggi conosciamo con dovizia di particolari il modo con cui la commissione riuscì a svuotare le chiese di Milano e di Bologna, il Santuario di Loreto, la Biblioteca Marciana a Venezia e i Musei Vaticani, lo dobbiamo proprio alla pignola consuetudine del matematico di scrivere ogni dieci giorni circa una lunga e affettuosa lettera alla moglie Catherine, abitante in Parigi. Le lettere di Monge alla consorte - assieme ad altre missive indirizzate a Napoleone in persona, ai suoi ministri e ai direttori dei musei di Parigi - sono state pubblicate qualche anno fa in Italia a cura di Sandro Cardinali e Luigi Pepe per la Sellerio di Palermo (Gaspard Monge, “Dall’Italia”, Sellerio, Palermo 1993, pagg. 295 L. 25.000). Quando uscì in libreria, questo interessante volume cadde un po’ nel vuoto, raccogliendo poca attenzione da parte della stampa (unica eccezione: Antonio Cederna sull’“Espresso”). Ma ora che ci troviamo in media res, a duecento anni giusti dall’inizio della campagna italiana di Napoleone e delle razzie artistiche, converrà riprendere in mano le lettere argute e informatissime del cittadino Gaspard.

Dalla loro lettura emerge con chiarezza che il suo compito specifico fu quello di cercare, requisire e asportare ciò che di meglio poteva incontrare in biblioteche, chiese e musei. Le operazioni cominciarono con le chiese di Milano, Pavia, Cremona e Bologna. Le opere, attentamente imballate e caricate su carri appositamente disegnati da Monge, vennero fatte convergere su Tortona, e da qui si attese il momento propizio per inviarle in Francia o via mare da Genova a Nizza, oppure via terra scavalcando le Alpi al Col di Tenda. In questa prima fase della missione, il lavoro di imballaggio avvenne molto in fretta tant’è che Monge confessò alla moglie di aver potuto guardare bene solo la Santa Cecilia di Raffaello (Fig. 2) “un’opera meravigliosa, che ti invito ad ammirare quando giungerà a Parigi”.

Fig. 2) Raffaello, L'estasi di Santa Cecilia, Pinacoteca di Bologna


Fino al febbraio del 1797 (data del trattato di Tolentino stipulato tra il Generale e Papa Pio VI), Monge lavorò in Italia centro-settentrionale. Visitò Livorno per valutare se il porto mediceo potesse essere utilizzato come base di partenza delle opere d’arte, e osservò con attenzione i bufali della Maremma ritenendoli particolarmente adatti a un trasporto “spettacolare” dei pesanti carriaggi: “Questi animali dalle immense corna - scrisse a Catherine - assieme a una dozzina di cammelli fornitici dal Granduca di Toscana, potrebbero conferire al convoglio un aspetto singolare e maestoso”.

Con la capitolazione del Pontefice, il lavoro di Monge si concentrò su Roma. La sua serrata tabella di marcia prevedeva il prelievo di 500 volumi dalla Biblioteca Vaticana, la requisizione dei caratteri greci, arabi e persiani della tipografia della Propaganda Fide e soprattutto lo studio di un sistema di trasporto adatto a statue colossali quali il Laocoonte (Fig. 3) e l’Apollo del Belvedere (Fig. 4). “Forse - spiegò alla moglie - ci verrà concessa anche la tiara pontificia, ma prevedo che ce la consegneranno in pezzi, temendo che si possa decidere di esporla in qualche nostro museo”. 

I problemi della scelta dei libri della Biblioteca non furono particolarmente complessi: lunga e molto noiosa fu la compilazione degli elenchi, così come qualche fastidio glielo procurò il numero esorbitante di feste religiose romane (“farse pietose”, “commedie che offendono il genere umano” le stigmatizza Gaspard), durante le quali gli addetti della Biblioteca facevano “obbligatoriamente” vacanza.

Fig. 3) Laocoonte, Roma, Musei Vaticani


Per asportare le statue e i dipinti della Pinacoteca (tra cui la Trasfigurazione di Raffaello (Fig. 5)), i problemi da risolvere si presentarono più numerosi. Si rese necessario costruire dei carri appositi, fu indispensabile trovare animali adatti e in numero sufficiente per il trasporto, e bisognò anche far partire i convogli scaglionati, senza avvisare il Papa e le autorità romane, viaggiando di notte e su strade secondarie per evitare possibili imboscate. I convogli, protetti da truppe armate, avrebbero avuto come meta il porto di Livorno. Di lì si sarebbero imbarcati alla volta di Tolone, e poi, per via fluviale, sarebbero giunti fin quasi a Parigi. Monge e i membri della commissione (che intanto si era ingrandita con l’assunzione dei pittori Gros e Wicar, degli scultori Marin e Gaulle e perfino di un musicista, il celebre violista Kreutzer) si erano impegnati a garantire la sicurezza dei carichi: “Abbiamo fatto in modo che le sculture venissero imballate sotto i nostri occhi, ognuna in una cassa appositamente costruita e provvista di tramezzi che, sagomati secondo la forma dei marmi, immobilizzano le parti più voluminose delle statue... Le casse sono state anch’esse imballate, impagliate e legate con corde e, nel sistemarle sui carri, abbiamo usato l’accorgimento di posarle sopra una serie di stuoie di giunco arrotolate, il cui scopo è quello di far da molleggio”. Monge prosegue spiegando che i carri sono stati costruiti per evitarne il ribaltamento e che il numero dei bufali cambia a seconda del peso che essi devono trainare (per il Laocoonte ce ne vollero dodici). Per i dipinti su tela le precauzioni furono ancora maggiori: “Le tele sono state arrotolate attorno a un cilindro di largo diametro, le grandi per prime, quindi le piccole. Tra una tela e l’altra è stato inserito uno strato di fogli di carta per impedire ai dipinti di trovarsi in contatto diretto... La superficie del rotolo non tocca il fondo della cassa perché si è provveduto a fissare quest’ultima solo alle due estremità del cilindro”. Come se non bastasse, per evitare le insidie dell’umidità, Monge provvide a far catramare e ricoprire di tela cerata ogni singola cassa.

Molte sono, infine, le raccomandazioni che Monge scrive a chi in patria sta per ricevere le opere: è consapevole che “la perdita di uno solo di questi capolavori sarebbe irreparabile e l’Europa intera accuserebbe la Francia” e quindi esorta senza sosta all’attenzione, a che nulla durante il viaggio venga esposto alla canicola, e poi raccomanda che le casse, una volta giunte a destinazione, vengano subito aperte per dar aria alle opere. Gaspard sa che soprattutto le statue possono subire danni, e quindi si premura di mandare a Parigi alcune brecce di marmo antico utili per “aggiustare” eventuali fratture.

Nel maggio del 1798 la missione di Monge è finita: “Mio caro Generale - scrive a Napoleone - ritengo che domani all’alba potremo salpare... ho fretta di raggiungervi!”.



DOMENICA 
Gli anomali “viaggi in Italia” di due grandi matematici negli anni successivi alla Rivoluzione francese
I numeri per viaggiare
L’esilio di Cauchy, cattolico e amico di Piola e Manzoni – L’anticlericale Monge mandato da Bonaparte a cercare oggetti d’arte

di Umberto Bottazzini

Tempo d’estate, tempo di viaggi. In Paesi lontani, verso lidi esotici che promettono favolosi racconti al ritorno. O alla scoperta del Bel Paese, che continua a essere una tappa della formazione intellettuale dei molti stranieri eredi di una tradizione cominciata nel Settecento da uomini di lettere e di scienza. Le cronache di quei lontani viaggiatori raccontano anche di grandi matematici, talvolta portati nel nostro Paese dalle mutevoli contingenze della politica. Come accadde nel giugno del 1796, quando al seguito delle vittoriose armate di Bonaparte venne inviata in Italia dal Direttorio una “Commission pour la recherche des objets des Sciences et des Arts”. Il nome non lasciava molti dubbi. Lo scopo era ricercare, catalogare, selezionare oggetti scientifici e artistici da portare a Parigi come bottino di guerra. Una sistematica requisizione di opere d’arte destinata ad arricchire i musei e le esposizioni della capitale francese.

Di quella commissione faceva parte anche Gaspard Monge. Il padre della moderna geometria descrittiva aveva aderito con entusiasmo alla Rivoluzione, era stato per quasi un anno, tra il 1792 e 1793, ministro della Marina e poi, nel ’94, aveva dato vita al l’“École Centrale des Travaux Publics”, che ben presto doveva cambiare il nome in “École Polytechnique” e diventare il prototipo delle Grandi Scuole francesi.

Fig. 4) Apollo del Belvedere, Roma, Musei Vaticani


Monge affida la cronaca di quel viaggio alle numerose lettere alla moglie, a Bonaparte e al Direttorio, che sono state tradotte in italiano e pubblicate a cura di Sandro Cardinali e Luigi Pepe (Dall’Italia, 1796-1798, Sellerio, Palermo 1993, pagine 296, lire 25.000). Arrivato in Italia attraverso il Moncenisio, la prima meta è Pavia dove, egli scrive “abbiamo raccolto interessanti oggetti per il Musée d’Histoire Naturelle. Il frutto dei nostri prelievi verrà trasportato a Milano oggi o domani; ci stiamo occupando dei mezzi per trasferire rapidamente in Francia ciò che può, senza difficoltà, passare per il Moncenisio”.

Sulla strada da Pavia a Milano c’è tempo per rinfrancare lo spirito patriottico passando da Lodi a vedere il ponte sull’Adda, teatro della recente battaglia “dove i nostri valorosi volontari hanno messo in mostra un coraggio eroico”. All’occhio esperto di Monge non sfugge la qualità delle realizzazioni tecnico-ingegneristiche di cui trova testimonianza sul cammino. “Per tutto il viaggio, abbiamo potuto ammirare con quanta straordinaria ingegnosità i lombardi abbiano saputo utilizzare i corsi dei fiumi che scendono dalle Alpi per irrigare e rendere fertile questa vasta pianura, che altrimenti sarebbe stata del tutto simile alle aride lande di Bordeaux; l’intero territorio è attraversato da una fitta rete di canali che distribuiscono l’acqua nelle più svariate direzioni e a differenti distanze. Sembra che in questa regione ci si occupi d’irrigazione da tempo immemorabile; del resto, le opere realizzate sono incredibili”.

L’ammirazione non distrae dal suo scopo la commissione, che segue i travolgenti successi sul campo del generale. “Lungo il percorso che va da Milano a Bologna abbiamo già messo insieme una magnifica e ricca raccolta di quadri; tutti questi tesori saranno indirizzati a Tortona, dove verrà allestito un convoglio che li trasporterà a Parigi”. Dopo la conquista di Bologna e Ferrara, alla fine di giugno Bonaparte firma col Papa un armistizio che prevede un risarcimento in denaro alla Francia, oltre alla consegna di opere d’arte e manoscritti scelti con cura dalla commissione. Il viaggio di Monge alla volta di Roma attraversa i territori del Granduca di Toscana, che ha osservato una prudente neutralità. “Ciò che maggiormente stupisce il viaggiatore è l’incredibile collezione d’opere d’arte antiche e moderne che a Firenze si possono ammirare, sia in giro per la città che nei palazzi del principe”, scrive Monge alla moglie. “Il Granduca si è dimostrato assai astuto nel sottoscrivere, al momento opportuno, la pace con la Francia; soprattutto se si pensa che la Toscana, da sola, ci avrebbe consentito di organizzare un convoglio straordinario, importante quanto quello che ha attualmente raggiunto Tortona”.

Fig. 5) Raffaello, La Trasfigurazione, Roma, Musei Vaticani


Nelle lettere le osservazioni politiche si intrecciano con le note di costume. Firenze, “che è stata la culla del rinnovamento delle arti e delle scienze in Europa - scrive Monge - ha compiuto tutti questi miracoli solo all’epoca in cui era una piccola repubblica democratica. Da quando è governata da un unico capo non è riuscita a produrre più nulla e i fiorentini, tutti cicisbei, trascorrono intere giornate ad assecondare i miseri capricci delle loro dame, a scarrozzarle continuamente qua e là, a portare a passeggio i loro cagnolini, a raccogliere i loro ventagli, cioè a far scemenze”. Per l’uomo che è passato attraverso le temperie della rivoluzione il giudizio è lapidario e senza appello: “Per quanto riguarda le arti, le scienze e le lettere, Firenze esibisce solo dei monumenti antichi, mentre per quello che concerne gli uomini essa non offre che rovine”.

Con l’immunità assicurata dal Papa, il convoglio di Monge arriva a Roma senza incontrare ostacoli. “Non siamo sottoposti a controllo in nessuna dogana, non ci permettono di pagare alcun pedaggio, attraversiamo liberamente tutti i ponti”. Ma lasciata la Toscana e costeggiato il Trasimeno, lo scenario cambia. “Quando siamo giunti a trenta miglia da Roma ci si è presentato uno spettacolo desolante: campi incolti, terre disabitate, completamente prive di villaggi e di case. Abbiamo solo notato i resti di qualche tomba antica, alcune magnifiche rovine romane e la via Flaminia, purtroppo frequentemente intersecata dalla strada che attualmente serpeggia in questo deserto. È solo a due miglia da Roma che si ha la certezza di trovarsi nelle vicinanze di un luogo abitato”.

Lo spettacolo dell’umanità che abita la città dei papi indigna il giacobino Monge: “Sono trasecolato quando ho visto in che stato di abbruttimento è costretto a vivere un popolo retto da un governo che si fonda sull’impostura e che, da dieci secoli, sopravvive solo grazie alle sovvenzioni delle nazioni cristiane”. E ancora: “Questa miserabile città sta agonizzando: i suoi abitanti sono incolti e senza occupazione, le attività commerciali pressoché inesistenti. Roma sopravvive solo grazie alla misericordiosa carità che riceve dalle nazioni cattoliche”.

L’anticlericalismo è un tema ricorrente nelle lettere, così come l’invettiva verso il potere temporale del Papa. Monge ignora che Bonaparte ha in mente una politica ben più conciliante verso lo Stato della Chiesa, e profetizza che senza l’aiuto delle legazioni cattoliche Roma un giorno si ridurrà a dover contare “sul danaro speso dai curiosi che verranno ad ammirare i resti dell’antica dominatrice del mondo”. Certo, le rovine sono “magnifiche; rispetto a esse, tuttavia, gli imbecilli che abitano questa città manifestano un’estraneità pari a quella che, relativamente alle grandi piramidi d’Egitto, dimostrano i poveri maomettani, i quali non sanno neanche chi le abbia erette. Il Foro, il luogo dove il popolo romano esprimeva la propria volontà, il teatro delle grandi passioni di uomini straordinari... viene oggi chiamato Campo Vaccino, nome ovviamente degno dell’attività che vi si svolge: il mercato del bestiame”. Insomma, “Roma non è che una mummia, il cui spirito vitale si è spento da tempo”.

I lavori della commissione vanno per le lunghe. Monge passa l’estate a classificare i manoscritti nella Biblioteca Vaticana e scegliere quelli da prelevare secondo il trattato di Bologna. Ma a settembre gli avvenimenti politici incalzano. Dopo l’insurrezione di Reggio Emilia, un po’ dovunque nascono nuove repubbliche giacobine. Chiamato da Napoleone, Monge viene distolto dal suo compito. Tiene a battesimo la Repubblica Cispadana, si sposta a Ferrara e Livorno, a Milano organizza la spedizione in Francia degli oggetti raccolti, segue l’armata francese in Romagna, è ambasciatore di Bonaparte a San Marino, visita Pesaro e Loreto. La pace di Tolentino nel febbraio del 1797 obbliga il Papa a versare ai francesi come indennizzo di guerra 30 milioni in oro e diamanti oltre a quadri, sculture e 500 manoscritti. Ancora a Roma, Monge completa il lavoro di classificazione dei manoscritti prima di raggiungere Venezia dove un analogo compito lo attende alla Biblioteca Marciana. Solo in ottobre rientra a Parigi con l’incarico affidatogli da Napoleone di trasmettere al Direttorio il trattato di Campoformio per la ratifica della pace con l’Austria. Ma il febbraio successivo è ancora in viaggio verso Roma, dove tra le rovine del Foro, con l’“Atto del popolo sovrano”, è stata proclamata la fine del potere temporale del Papa e la nascita della Repubblica.

Il nuovo soggiorno romano è tuttavia di breve durata. Chiamato da Napoleone, il 26 giugno del 1798 Monge si imbarca a Civitavecchia per congiungersi con la flotta francese salpata da Tolone e accompagnare il Console nella spedizione in Egitto. Ardente repubblicano, Monge continuò a vedere in Bonaparte l’incarnazione degli ideali della Rivoluzione e ne seguì fedelmente la parabola politica, dalla proclamazione dell’Impero ai cento giorni alla definitiva disfatta.

Ritornati al potere i Borboni, nel 1816 Monge fu allontanato dall’insegnamento all’École Polytechnique ed espulso dall’Istituto... [n.d.r l’articolo prosegue con riferimento ad Augustin-Louis Cauchy].

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