Pagine

giovedì 5 giugno 2014

Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini e Leon Battista Alberti: variazioni sul concetto di composizione pittorica. Introduzione


English Version

Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini e Leon Battista Alberti:
variazioni sul concetto di composizione pittorica
Introduzione

Fig. 1) - Roberto Rossellini (1906-1977) – Serie TV “L’età di Cosimo de’ Medici” (1972) – Parte II – “Il potere di Cosimo”. Cosimo de’ Medici, Leon Battista Alberti, Niccolò di Cocco Donati e Carlo Marsupini (da destra a sinistra) ascoltano con preoccupazione un sermone contro la diffusione della nuova arte a Firenze. Sullo sfondo sono visibili affreschi nel vecchio stile giottesco. Leon Battista Alberti è interpretato da Vincenzo Gazzolo.  ©Flamingo Video

[N.B. Su Cennino Cennini, si veda in questo blog: Progetto Cennini

Su Leon Battista Alberti si veda in questo blog anche: Leon Battista Alberti, Descriptio Urbis Romae, A cura di Jean-Yves Boriaud e Francesco Furlan, Firenze, Leo S. Olschki, 2005Rocco Sinisgalli, Il nuovo De Pictura di Leon Battista Alberti. Edizioni Kappa, 2006. Qui sotto è la prima puntata di una serie di quattro sul confronto fra Cennino Cennini e Leon Battista Alberti. La bibliografia relativa sarà pubblicata al termine dell'ultima parte]

***

Sulle tracce del mito di Cennino Cennini e della fortuna del suo Libro dell’Arte, ci confrontiamo qui con uno degli aspetti che, nel corso dei decenni, è diventato quasi una pietra miliare del lavoro di ogni studioso: il paragone fra Cennino Cennini e Leon Battista Alberti, fra il Libro dell’Arte e il De Pictura.

La prima cosa che abbiamo scoperto è che, se tale confronto è davvero centrale per comprendere Cennino, è egualmente significativo per mettere a fuoco la figura di Leon Battista. Parafrasando una famosa opera di Pirandello, entrambi sono Personaggi in cerca d’autore. Condividono molti aspetti. Innanzi tutto, mentre hanno scritto libri famosi sulla pittura, è impossibile giudicare i loro scritti avendo a riferimento uno qualsiasi dei loro dipinti, dal momento che non ce ne è pervenuto in pratica nessuno. In secondo luogo, esistono opinioni davvero discordanti su come relazionarli ai movimenti artistici a loro contemporanei: il tardo Gotico e il primo Rinascimento, due periodi che, sotto molto aspetti, coesisterono e fra loro s’intersecarono. In terzo luogo, le ipotesi sul periodo e l’intento con cui stesero i relativi trattati divergono largamente fra loro. Ciò ha aperto grande spazio per le interpretazioni, che risultano anche quasi opposte fra loro quando si comparano i due.

Per focalizzare meglio il confronto, abbiamo concentrato la nostra attenzione sul concetto di composizione pittorica. L’abbiamo fatto perché abbiamo scoperto che entrambi gli autori discussero su cosa fosse l’arte e offrirono i primi riferimenti alla composizione pittorica nella storia dell’arte. Il verbo ‘comporre’ con riferimento alla pittura viene usato per la prima volta da Cennino e una teoria pienamente matura della composizione compare solo con Leon Battista.

Abbiamo inoltre scoperto che il termine ‘composizione’ riferito alla pittura trova i suoi paralleli nella retorica, nell’architettura e nella musica. La ‘composizione’ era, già ai tempi di Cennino e Leon Battista, un concetto d’arte multi-disciplinare. Ciò che è comune alle quattro discipline è che la ‘composizione’ delinea quella parte dell’arte dove la creazione è soggetta a delle regole, in particolare sulla maniera in cui le ‘parti’ devono essere ‘combinate’; il termine può essere quindi contrapposto all’altra parte dell’arte in cui le potenzialità immaginative degli artisti sono in grado di produrre bellezza al di fuori di ogni cornice concettuale. Cennino distingue fra ‘abilità di mano’ e ‘fantasia’; Alberti fra ‘arte che può essere imparata e insegnata’ e ‘il genio del pittore’.


Il concetto di composizione è divenuto via via più complesso e la distinzione tra arte basata su regole e arte basata sull’immaginazione, col tempo è andata cambiando connotazione. Cennino e Leon Battista rappresentano un’epoca in cui la ‘composizione’ corrispondeva a un insieme minimalistico di regole.

Fig. 2) Masaccio, Il Pagamento del tributo, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci, 1420 circa


Abbiamo preso in considerazione tre autori recenti che hanno dedicato il loro tempo e le loro energie al confronto tra Cennino e Leon Battista in fatto di composizione pittorica. Per primo, Rudolph Kuhn. Kuhn vede Alberti come l’inventore del concetto moderno di composizione, mentre Cennino non sarebbe stato nemmeno in grado di comprendere quello utilizzato da Giotto e dai Giotteschi, ovvero dai suoi maestri. Fu Alberti, generazioni dopo, a creare una teoria della composizione. Come seconda, Latifah Troncelliti. Troncelliti ribalta completamente i termini del paragone. E’ Cennino a mostrare nei suoi scritti le tecniche compositive del primo Quattrocento – descrivendo così la realtà dei suoi tempi – mentre Alberti sarebbe stato uno studioso di retorica, le cui teorie non erano note alla grande maggioranza dei pittori di inizio secolo e trovarono una qualche eco solo dal 1500 in poi. Per terzo, Thomas Puttfarken. Quest’ultimo riconosce l’importanza del tema della composizione sia in Cennino sia in Leon Battista, ma giunge alla conclusione che entrambi non furono in grado di offrire una teoria complessiva sulla materia. Il seme da cui gemma il moderno concetto di composizione pittorica – quello che, in ultima analisi, ebbe un suo ruolo fino agli anni di Vassily Kandisky – risiede nella pittura e nella teoria dell’arte francese di età barocca, non nel Rinascimento italiano. I teorici dell’arte del primo Quattrocento (compresi Cennini e Alberti) non furono in grado di esercitare un qualche ruolo in merito perché concentrarono la loro attenzione solo su pochi elementi (soprattutto il corpo umano e la prospettiva in pittura), ma non percepirono l’idea della composizione come una combinazione olistica di fattori, che in ultima analisi comprendono anche il rapporto con il fruitore dell’opera d’arte.

La prima interpretazione (quella di Rudolph Kuhn) affonda le sue radici nella seconda metà del XIX secolo. Fu la Scuola di Vienna, con la prima pubblicazione in lingua tedesca del Libro dell’Arte (1871) e del De Pictura (1877), a creare una contrapposizione netta fra Cennini, rappresentante di un’arte morente, e Alberti, campione di una nuova era. Il primo ebbe il merito di vivere con gli occhi rivolti al passato (permettendoci di recuperare informazioni sull’età giottesca) e il secondo di guardare al futuro (influenzando in tal modo Leonardo e la teoria dell’arte del Rinascimento maturo). In parallelo, nel 1860, Jacob Burckhardt creò la figura di Alberti come quella di un genio universale, in grado di avere pieno merito nell’arte, nella letteratura, nella filosofia e nelle scienze matematiche. 

Fig. 3) Agnolo Gaddi (1350-1396), Trittico (copia), Cappella Alberti, Santa Caterina, Firenze, 1390 circa           


Fig. 4) Agnolo Gaddi (1350-1396), Storia della vera croce, Due membri della famiglia Alberti. 1380 circa, Santa Croce, Firenze

La seconda interpretazione (quella della Troncelliti) si rifà a Julius vonSchlosser. Schlosser giunse alla conclusione che sia Cennino sia Leon Battista non appartenevano in senso stretto al campo della storia dell’arte. Tuttavia ebbero un ruolo cruciale come scrittori d’arte, fissando il lessico che sarebbe stato usato per secoli (e, di base, anche oggi) per descrivere la pittura. Il parere di Schlosser va inteso in senso letterale. Per ciò che attiene Cennino, lo ritiene un pittore fallito. Con riguardo ad Alberti, parla di lui come ‘un non-artista’: non fece quadri o sculture (pur essendo l’autore del De Pictura e del De Statua) e la sua produzione in campo architettonico fu davvero limitata: il vero edificatore fu Michelozzo ed Alberti intervenne solo in qualità di progettista di facciate. Va ricordato che Schlosser dedicò due scritti all’argomento. Il suo giudizio non può essere quindi ignorato a cuor leggero, come capita spesso oggigiorno.

Le coordinate relative alla seconda interpretazione non sarebbero complete se non prendessimo in considerazione i lavori di Lise Bek e Ulrich Pfisterer per Cennino e di Edward Wright e Michael Baxandall per quanto riguarda Leon Battista Alberti. Lise Bek contesta radicalmente la visione contemporanea di Cennino come pittore del tardo Medio Evo, sia sotto un profilo cronologico, sia concettuale e stilistico; lo ricolloca come pittore dei primi decenni del Quattrocento, che scrive da professionista per professionisti e che riflette la realtà dell’attività dei pittori del Quattrocento (tutti ancora degli artigiani, compresi i più famosi). Ulrich Pfisterer (sulla base dell’analisi filologica del testo cenniniano) sostiene che l’opera deve essere stata scritta attorno al 1415. Passando a Leon Battista, Edward Wright e Michael Baxandall scoprono che Alberti lavorava come uno studioso di retorica, prima progettando i suoi scritti secondo la medesima struttura di Quintiliano: poi utilizzando (anche nel caso della teoria compositiva) esattamente gli stessi argomenti che Quintiliano e Cicerone usarono per descrivere la composizione in letteratura; ancora, offrendo al lettore una collazione della letteratura esistente sulla pittura (più che stilarne una nuova); infine evitando con cautela di presentare un qualche riferimento ad opere d’arte contemporanee.

Va da sé che queste tesi hanno provocato la fiera risposta di tutti coloro che ritengono Alberti non solo un artista vero, ma anche uno dei maestri della prima generazione dei creatori d’arte rinascimentali a Firenze e in altri luoghi dell’Italia settentrionale. Nel 2011 Lucia Bertolini, nella sua premessa all’edizione critica della versione volgare del De Pictura, rifiuta con forza questa tesi. Vede Alberti come un pittore (educato all’arte nella giovinezza, prima del suo ritorno a Firenze, quindi prima che facesse conoscenza con la pittura del primo Quattrocento), pone l’accento sul fatto che Alberti dichiara esplicitamente la sua intenzione di scrivere ‘da pittore’ e rigetta l’interpretazione secondo cui il libro di Leon Battista sarebbe un esercizio retorico sulla pittura.  

La difesa di Leon Battista non è solo un argomento polemico ‘italiano’ in difesa di un ‘campione nazionale’. In Francia, ad esempio, Florence Vuilleumier ha dato nel 1993 un giudizio critico devastante nei confronti della nuova traduzione francese del De Pictura, uscita ad opera di Jean-Louis Schefer l’anno prima, centocinquanta anni dopo l’edizione della prima traduzione francese. A dire il vero, Schefer si era espresso in maniera molto equilibrata a favore dell’interpretazione ‘retorica’, ma ciò non ha evitato una reazione dai toni così eccessivamente emotivi. Per capire quanto questo fatto debba aver surriscaldato gli animi basti dire che nei vent’anni successivi si sono succedute due altre traduzioni francesi del De Pictura, con tesi fra loro diverse.

La terza interpretazione (quella di Puttfarken) è più sofisticata, ed anche la più difficile da spiegare. In termini estremamente semplificati, non vi è arte senza pubblico, e senza la libertà di chi osserva non tanto di giocare un ruolo passivo come spettatore, ma di averne uno attivo, attribuendo un significato all’opera d’arte. E’ il dialogo fra artista e spettatore, la relazione tra le intenzioni dell’artista di attribuire un ruolo privilegiato a chi osserva e la reazione attesa/inattesa di quest’ultimo, l’interazione tra aspettative e reazioni dell’osservatore, a definire una composizione. Le tesi ‘strutturaliste’ di Puttfarken sulla debolezza dei teorici dell’arte del Quattrocento sotto questo punto di vista – è interessante notarlo – sono diametralmente opposte rispetto alla lettura ‘destrutturalista’ dei curatori francesi dell’edizione 2012 del De Pictura, Golsenne e Prevost.

Leggendo Kuhn, Troncelliti, Puttfarken e vari altri autori abbiamo anche scoperto che esistono diverse opinioni su quale impatto abbiano avuto i libri che abbiamo preso in esame sullo sviluppo dell’arte. In generale, sembra che vi sia consenso sul fatto che entrambe le opere non vennero utilizzate nelle botteghe come manuali che servissero d’ispirazione per gli apprendisti e per la formazione. C’è chi interpreta il Libro dell’Arte di Cennino come uno scritto redatto per supportare la continuazione delle corporazioni (sottomettendo gli artisti a un sistema che riduceva la loro libertà), mentre altri vedono nel De Pictura di Alberti un saggio mirato a smantellarle (portandoli così all’indipendenza). Si trattava di un argomento tutt’altro che secondario, all’epoca; all’apice della sua fortuna anche Brunelleschi fu messo in prigione per qualche giorno per essersi rifiutato di pagare le tasse alla propria corporazione.

Fig. 5) Benozzo Gozzoli, Cosimo de’ Medici. Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 1459


Fig. 6) Masaccio, Cappella Brancacci (Firenze) 1425-28Ritratti di artisti di attribuzione incerta (forse, da destra a sinistra, Brunelleschi, Alberti o Donatello, Masaccio o Masolino)


In relazione alla questione della composizione, è interessante vedere come diversi autori riconoscano nelle opere di Masaccio e di Raffaello o  l’influenza di Cennino (distribuzione dello spazio secondo le regole della simmetria, secondo Troncelliti e Amanda Lillie della National Gallery) o di Leon Battista (composizione bilanciata di diverse figure, secondo Kuhn). Va osservato peraltro che nessuno dei due fece riferimento a un qualsiasi lavoro dei pittori a loro contemporanei: non vi è alcun rimando a una delle opere di Gaddi in Cennino o a un qualche pittore del Quattrocento in Leon Battista. Ciò spalanca un margine immenso di interpretazione sul fatto che i due testi abbiano influenzato oppure no il corso della pittura, e, se sì, in che termini.

Nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, John Maynard Keynes scrisse: “Le idee degli economisti e dei filosofi della politica, siano esse giuste o sbagliate, sono più forti di quanto si pensi comunemente. Il mondo, a dire il vero, è retto da poco altro. Gli uomini della strada, che credono di essere in qualche modo esenti da una qualsiasi influenza intellettuale, in genere sono gli schiavi di un qualche economista defunto”. Ciò che intendeva dire era che (al contrario di quanto spesso si crede) la forza delle idee, a medio termine, è più importante di un qualsiasi interesse materiale. Tutti noi siamo spesso prigionieri inconsapevoli del nostro passato più che costruttori attivi del nostro futuro.

Ciò è vero anche nella storia dell’arte. Le diverse opinioni su Cennino Cennini e Leon Battista Alberti che ancor oggi prevalgono nel dibattito hanno origine nella costruzione della disciplina della storia dell’arte a metà del XIX secolo. I veri e propri miti di Cennino e Leon Battista non nacquero nel Rinascimento. Furono creati in un lasso di tempo di circa cent’anni, che separarono la riscoperta del manoscritto di Cennino, alla fine degli anni ’10 dell’800, la prima traduzione delle opere in diverse lingue e le loro revisioni più tarde all’inizio del XX secolo. Quelli fra il 1810 e il 1910 sono i cent’anni fra Napoleone e la Prima guerra mondiale, caratterizzati da profonde trasformazioni culturali, che vedono le nostre società in cerca di nuove e vecchie radici che possano fornire legittimazione a nuovi ordini politici e sociali. Sono gli anni dell’imperialismo globale per l’Inghilterra e la Francia, del dominio, del consolidamento e del collasso per l’Austria-Ungheria e dell’unificazione politica di Italia e Germania. Sono questi gli anni in cui le nostre società si fratturano in profonde differenze materiali ed ideologiche. Sono anche gli anni in cui l’Europa perde, passo dopo passo, quasi senza accorgersene, la propria centralità nel mondo. La ricerca di una nostra identità nel passato potrebbe avere giocato un tranello per il nostro futuro.

L’interpretazione più comune del confronto tra Cennino e Alberti è che essi segnano con le loro opere – in chiara contrapposizione – la discontinuità tra il Medio Evo e il Rinascimento. Cennino sarebbe l’ultimo rappresentante di un mondo in cui la pittura apparteneva ancora alla sfera dell’artigianato e Alberti lo scopritore di un’arte basata sul puro esercizio intellettuale. Il primo costituirebbe l’ultimo residuo di un mondo ancorato alla religione, il secondo sarebbe il primo teorico di un mondo basato sulla centralità dell’individuo. Tuttavia, almeno per alcuni fra coloro che accettano quest’interpretazione, Cennino conterrebbe già un nucleo di elementi di novità, segnando allo stesso tempo la fine del vecchio mondo e la fase davvero iniziale di uno nuovo, e Alberti, di par suo, conserverebbe ancora qualche retaggio del pensiero medievale.

Si dovrebbe riflettere su quanto quest’interpretazione (e, più in generale, il giudizio su quei decenni come indicatori di un brusco punto di rottura nella storia delle nazioni) fosse in realtà funzionale alla necessità di legittimare in ultima analisi una sostanziale e diretta continuità fra la cultura del XIX secolo, il nuovo mondo rinascimentale e i suoi poteri civili e non con il Medio Evo e la sua cultura basata sulla religione. Le riflessioni sull’arte furono al centro della ricerca di identità di governi vecchi e nuovi nel XIX secolo. In Italia, ad esempio, sottolineare la brusca frattura fu una precondizione per accettare la continuità politica e culturale tra Rinascimento e Risorgimento. Fu anche necessario per segnare la liberazione del nuovo Stato dalla competizione culturale della Chiesa, insediata a Roma da molto prima del nuovo Stato unitario.

Fig. 7) Parri Spinelli, Predella della Madonna della Misericordia, Arezzo,1435-37


La stessa logica a supporto della visione di una frattura tra vecchio e nuovo mondo (nello spazio di una o due generazioni) fu valida non solo in Italia, ma anche altrove. Miti come quelli di Alberti ebbero valore universale: trovare nel Rinascimento le radici antiche e nobili del processo di modernizzazione, in un secolo come il XIX segnato dalla rivoluzione industriale, dall’irruzione della tecnologia nella vita delle persone, ma anche da un radicale sfaldamento dei vecchi modelli sociali, era così importante e rassicurante come, secoli prima, doveva essere stato per il Rinascimento stesso riscoprire il vecchio mondo dei Latini e dei Greci. E per il XX secolo, segnato da ogni sorta di orrori, la conferma che le nostre radici risiedevano nel Rinascimento voleva dire rispondere alla necessità di sapere che (a dispetto di tutto ciò che andò storto a partire dalla Prima guerra mondiale) il nostro mondo si basava su un sistema di valori permeato di razionalità e progresso, mentre le epoche oscure appartenevano al passato.

Abbiamo visto che un diverso modo di interpretare il confronto tra Cennino e Alberti è quello di non considerarli simboli radicalmente opposti di due mondi in conflitto, simboli di un cambiamento epocale nell’arte e nella civiltà, ma di ritenerli appartenenti alla stessa cultura, rappresentando entrambi, a dispetto di ovvie differenze, il primo tentativo di codificare progressivamente per iscritto il linguaggio dell’arte.
Questa tesi vede in particolare l’importanza di Cennino e di Alberti nel loro essere gli inventori di un lessico specializzato dell’arte che continuerà ad essere utilizzato fino ai giorni nostri, a dispetto dei cambiamenti di stile e di gusto. Rispetto alla prima interpretazione si tratta di un tentativo più sofisticato di identificare Cennino e Alberti (questa volta in tandem, uno a fianco dell’altro) come gli inventori del nostro mondo; si rifà a un concetto di sviluppo sociale e storico, radicato nello storicismo, che non può essere segnato da rivoluzioni, ma dalla continuità e, solo quando necessario, da lievi correzioni di rotta. Non è una coincidenza che questa tesi sia stata elaborata da uno storico sostanzialmente conservatore come Julius von Schlosser. Per lui il nucleo dell’eventuale differenza fra i due non ha a che fare con il tempo (Medio Evo contro Rinascimento) ma con le categorie dello spirito universale: la loro è arte o letteratura? Appartiene al mondo della poesia (creazione) o della retorica (spiegazione)? La risposta di Schlosser è che sia Cennini sia Alberti appartenevano a quest’ultima: il loro valore aggiunto è di aver creato il lessico che è anche il nostro. 

Fig. 8) Roberto Rossellini, - Serie TV “L’età di Cosimo de’ Medici” – Parte III – “Leon Battista Alberti – L’Umanesimo”.
 Leon Battista Alberti mostra il progetto per il Tempio Malatestiano di Rimini. ©Flamingo Video 

  
La terza visione che abbiamo preso in considerazione relega sia Cennino sia Alberti nel passato remoto. I due non sono più visti come i padri fondatori del nostro mondo estetico, ma come rappresentanti della loro epoca, con le loro forze e con le loro debolezze. Tra noi e loro il mondo è cambiato in continuazione, e li osserviamo con critico distacco. La natura del processo creativo dell’arte non può più essere visto in funzione di tendenze e cicli di lungo termine, ininterrotti nei secoli, ma ha origini empiriche. Se Schlosser riflette (indirettamente tramite Croce) l’idealismo tedesco e quindi il conservatorismo sociale, questa diversa interpretazione è fondamentalmente in linea con una visione pragmatica della storia. La base di riferimento dell’analisi non è più posta nel passato (gli antichi, il Rinascimento) ma nel presente o nel passato recente, segnando l’idea di progresso e innovazione come motori della storia. Come ci spiegava Eraclito, πάντα ῥεῖ (“tutto scorre”).

In ultima analisi, questa ricerca ha documentato non solo quanto un confronto fra due autori possa condurre a una serie di risultati differenti, ma come possa indurre a tracciare due conclusioni, la prima in merito alla differenza fra i due libri e la seconda sulla composizione pittorica.

Sui libri: se i critici dell’arte e i filologi hanno esaminato tutta una vastissima serie di argomentazioni, c’è forse qualcosa di più semplice che hanno dimenticato: la differenza fra le rispettive personalità e preferenze professionali. Io mi occupo di economia. Quando leggo articoli o commenti mi capita a volte di dovermi confrontare con colleghi che esaurirebbero il loro lavoro nell’analisi econometrica dei fatti, preferibilmente producendo solo equazioni, grafici e tabelle e descrivendo le causalità in forma di coefficienti, in pratica dimenticando un qualsiasi testo di accompagnamento; altre volte ho a che fare con colleghi che, per spiegare il mondo, scriverebbero un lungo testo descrittivo e basato solo su giudizi, con una prosa esaustiva, ma con pochissimi numeri. Siamo tutti differenti, e a volta creiamo in maniera diversa.

Dopo tutto, chi può escludere che, nel suo Libro dell’Arte, l’attenzione di Cennino sulla tecnica artistica, sulle ricette, sulle procedure manuali etc non sia tanto il risultato di coordinate generali del tempo in cui visse, non della mancanza della capacità di elaborare una teoria globale o dell’incapacità di avere una visione complessiva sull’arte, ma sia in prevalenza il frutto delle sue preferenze personali nei confronti della conoscenza delle tecniche pratiche? E chi può realmente escludere che Leon Battista Alberti, anche se fosse stato un cittadino di Firenze ai tempi di Giotto, non avrebbe rivelato la stessa, personale preferenza per una discussione ampia, sistematica ed astratta sulle arti, come molti pensatori enciclopedici del Medio Evo fecero nelle aree di loro competenza, e non avrebbe quindi escluso allo stesso modo ogni aspetto tecnico?


Cennino poteva essere innamorato delle tecniche per l’estrazione dei pigmenti esattamente come oggi un biochimico potrebbe trovare eccitante scoprire un nuovo principio farmacologico attivo o un ingegnere progettare sistemi per rendere disponibile per la produzione di massa una nuova tecnologia ecologica. E Leon Battista poteva essere appassionato di teoria sistematica, proprio come un fisico ai giorni nostri potrebbe trovare esaltante scoprire una nuova particella infinitesimale che confermasse la visione olistica dell’universo, da un millisecondo dopo il Big bang sino ad oggi. Contrariamente a quanto si può pensare generalmente, tutti questi sono processi creativi che combinano fra loro gli stessi elementi della composizione e dell’invenzione, in maniera radicalmente differente. Guardando alla lista dei premi Nobel, è difficile dire se il nostro mondo sia più vicino a Cennino o a Leon Battista.

Se diamo uno sguardo all’arte contemporanea, forse Cennino sarebbe oggi un artista di strada come Banksy, mentre Leon Battista potrebbe essere Carolyn Christov-Bakargiev. Di Banksy nessuno conosce l’identità, ma è chiaro che ha sicuramente avuto un impatto sul nostro gusto collettivo. Carolyn Christov–Bakargiev è stata di recente nominate “la pensatrice più influente nel mondo dell’arte contemporanea”. E’ stata la curatrice del Museo di Arte Moderna di Rivoli, il Direttore artistico di Documenta a Kassel nel 2012 e si occuperà della quattordicesima Biennale di Istanbul l’anno prossimo. A Kassel, ha prodotto per Documenta 100 taccuini e un catalogo di tre volumi in collaborazione con una lista estremamente lunga di scienziati, filosofi, psicanalisti, antropologi, poeti e scrittori. Come si vede, la storia si ripete.

Fig. 9) Banksy, Compra finché non cadi, Mayfair, Londra


Fig. 10) dOCUMENTA (13), Il terzo volume del catalogo



Sulla composizione. L’intreccio di esperienze professionali (storia dell’arte, filologia) mostrato nella maggior parte dei saggi che abbiamo letto mostra come (almeno all’epoca) la composizione fosse un concetto relativo all’arte intesa in senso globale. La composizione pittorica era vista (si veda Cennini) come qualcosa di equivalente alla poesia e fu codificata (si veda Alberti) secondo le medesime categorie concettuali della retorica e dell’architettura.

La combinazione dei quattro tipi di composizione che abbiamo identificato come già esistenti all’epoca dei nostri autori (letteratura, architettura, musica e pittura) è qualcosa che è stato ovunque davvero al centro della nostra cultura condivisa. Che cos’è un’opera di Monteverdi se non una composizione di carattere retorico, architettonico, pittorico e musicale combinate insieme a definire un sistema di regole comuni a tutte quante? E che cos’è una produzione cinematografica, se non una combinazione prolungata nel tempo dei rispettivi concetti di composizione? E cosa dovremmo dire dell’arte concettuale e delle installazioni contemporanee? Eliminano ogni concetto estetico di composizione basata su regole o ne sono il loro ultimo distillato? C’è una linea rossa che collega Cennino Cennini, Leon Battista Alberti e Ai Weiwei? Forse sì. 


Fig. 11) Ai Weiwei's 'Evidence' Installazione composta da 6.000 antichi sgabelli cinesi, Berlino, 2014



Nessun commento:

Posta un commento