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venerdì 27 giugno 2014

Charles van den Heuvel, De Huysbou [Sull'architettura]. Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, 2005


English Version

Charles van den Heuvel
De Huysbou
A reconstruction of an unfinished treatise on architecture, town planning and civil engineering by Simon Stevin


Amsterdam, Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, 2005


[1] Il volume è stato scaricato in formato pdf dal sito ufficiale dell’Accademia reale olandese di arti e scienze (www.knaw.nl).

Simon Stevin (1548-1620)
[2] La figura di Simon Stevin (o Simone Stevino o Simone di Bruges, dalla città di nascita) è ricordata nelle enciclopedie come quella di un famoso matematico e fisico fiammingo vissuto a cavallo fra 1500 e 1600 (1548-1620). E non vi è dubbio che così sia; Stevin introdusse ad esempio in Europa le frazioni decimali, studiò i numeri irrazionali, approfondì fenomeni fisici arrivando a leggi che portano oggi il suo nome. Del tutto sottovalutati sono invece gli interessi che Stevin coltivò in ambito architettonico e che lo portarono a progettare la pubblicazione di un trattato De Huysbou (Sull’architettura) rimasto purtroppo incompleto. Sebbene Charles van den Heuvel tenga a precisare che la presente non è una monografia su Simon Stevin, va detto che il suo lavoro si dimostra di estremo interesse perché permette di meglio comprendere la poliedrica personalità di questo scienziato, umanista, ma anche alto funzionario in anni estremamente difficili per la neonata Repubblica delle Province Unite. Nel 1581, infatti, le province settentrionali dei Paesi Bassi dichiararono decaduta la monarchia spagnola e proclamarono la loro indipendenza, organizzandosi in un modello federativo a capo del quale fu posto Guglielmo I d’Orange-Nassau. Nel 1584 Guglielmo viene assassinato. Gli succede il figlio, Maurizio di Nassau, appena diciassettenne, nel quale la repubblica trovò una salda guida politica che gli permise di consolidarsi, anche grazie ad un’accorta politica di alleanze con potenze straniere. Simon Stevin fu il tutore privato di Maurizio (probabilmente a partire dal 1593), nonché l’amministratore del suo patrimonio privato; ma soprattutto svolse un ruolo di consigliere che lo costrinse a confrontarsi con una serie di problematiche civili e militari (dai sistemi di fortificazione ad ardite soluzioni ingegneristiche per sottrarre terre al mare o per prosciugare paludi e renderle fertili) puntualmente riscontrate nei suoi scritti. È certo che Stevin scrive molto, a volte pubblicando, molto più spesso conservando le sue osservazioni in forma manoscritta. Sappiamo, ad esempio, - sono sue stesse indicazioni – che compilò un trattato di prospettiva [n.d.r. che ci risulta essere stato studiato da Rocco Sinisgalli. Cfr. Rocco Sinisgalli, Il nuovo De Pictura di Leon Battista Alberti, p. 82] e che negli anni giovanili, esclusivamente per suo uso privato, aveva redatto un primo trattato di architettura, in cui probabilmente affrontava il tema degli ordini architettonici alla luce dei trattati di Vitruvio, Alberti  e Serlio  (p. 149). Ma la principale fonte a noi oggi nota in materia è costituita dalle sue Wisconstighe Gedachtenissen (Memorie matematiche), pubblicate in due tomi fra 1605 e 1608, all’interno delle quali compare una sezione intitolata De Huysbou. È lo stesso autore, tuttavia, a segnalare che molti dei materiali che dovevano essere contenuti in queste pagine non vi erano in realtà presenti perché non pronti al momento in cui lo stampatore gli impose di pubblicare l’opera. Stevin promette al lettore una futura pubblicazione dedicata monograficamente a temi architettonici ed urbanistici. Ben poco, in realtà, fu pubblicato prima della sua morte (1620). Per fortuna, tuttavia, dopo la morte, ci fu chi si fece carico, sia pure in maniera parziale, di trascrivere i manoscritti di Stevin: Isaac Beckman ne copiò una parte nel suo “Journael”, riscoperto nel 1905 e pubblicato fra 1939 e 1953; Hendrick Stevin (figlio di Simon) pubblicò parte dei materiali in Materiae Politicae: Burgherlicke Stoffen (1649) e Constantin Huygens ebbe a sua volta modo di accedere ai manoscritti copiando quei frammenti che ritenne di maggiore importanza. Tutto questo materiale, giunto a noi in maniera confusa e a volte contraddittoria, permette oggi a Charles van den Heuvel di presentare non un’edizione critica, ma un’edizione “possibile” del trattato di architettura che Simon Stevin non riuscì mai a concludere e pubblicare.

 Il museo Mauritshuis, L'Aja (su progetto di Jacob van Campen)


[3] Dall’Introduzione dell’autore:

“... The discussion of Stevin’s Huysbou opens by exploring the origins of the ideas contained in the work. The four subsequent chapters examine Stevin’s notions of simmetry and order in architecture, his views on building methods, the role of water and the use of visual presentations of architecture. The sixth and seventh chapter of the commentary surveys Stevin’s contribution to architectural theory and the reputation enjoyed by Huysbou in the Low Countries and in the broader European context.

The second section of the book contains Stevin’s work on architecture and town planning. This is not a critical text in the ordinary sense. Stevin’s Huysbou was never actually published as such and the precise intentions of the author are no longer known. Nonetheless, an attempt has been made here, based on Stevin’s own notes regarding the composition of the architectural treatise and the often contradictory lists of contents drawn up by others after his death, to recreate the envisaged Huysbou as accurately as possible. This reconstruction is preceded by a discussion in three chapters of the work’s genesis, the first attempts to uncover the original form of the opus and an explanation of the framework upon which this hypothetical reconstruction is based...

The reconstruction is more than just an incomplete treatise; it is a new work in which the gaps have been filled with extracts and comments found elsewhere in Stevin’s oeuvre. This approach has been taken because the generally accepted version of Stevin’s architectural text, that published by Hendrick Stevin in Materiae Politicae in 1649, purposely deviates from the original structure, presenting Huysbou in a distorted format. In unpublished extracts from the original work, Isaac Beeckman and Constantijn Huygens revealed entirely different aspects of the book, highlighting parts otherwise ignored. These texts have been brought together here for the first time”.

Palazzo Reale , Amsterdam, (su progetto di Jacob van Campen)

[4] Nel suo Storia delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al Settecento, Hanno-Walter Kruft dedica un capitolo (il quattordicesimo) al dibattito teorico in Germania e nei Paesi Bassi nel XVI secolo. Ne esce un quadro desolante. Secondo Kruft, “il trattato di Dürer sulle fortificazioni  (1527) è l’unico contributo tedesco [n.d.r. ma il giudizio si estende implicitamente ai Paesi Bassi] alla teoria architettonica di quel tempo” (p. 213). Vengono citate le opere di Pieter Coecke Van Aelst  e di Hans Vredeman de Vries, ma senza particolari entusiasmi (anche se a de Vries si riconosce il merito di aver posto all’ordine del giorno il problema delle categorie geografico-climatiche che costringono l’architettura ad adeguamenti locali). Stevin non viene citato, al contrario di quanto fatto nel 1998 da Krista de Jonge in Vitruvius, Alberti and Serlio: Architectural Treatises in the Low Countries, 1530-1620, che ne percepisce l’importanza del pensiero. Se Kruft avesse conosciuto l’opera di Stevin, avrebbe probabilmente ricalibrato il suo giudizio. Charles van der Heuvel sottolinea gli elementi di novità presenti in De Huysbou: “Stevin was the first [n.d.r. Dutch] theorist not to attempt a reconstruction of the proportions of classical columns, dealing instead with the fundamental premises of the origin and logic of Vitruvian theory” (p. 38). Ed ancora: “Stevin was the first architectural theorist in the Low Countries to present a fundamental critique of Vitruvianism. Some commentators, like Hans Vredeman de Vries, had tried to adapt the orders to local conditions but had never cast doubt on the correctness of Vitruvians’ dimensions or their basis in nature” (p. 111). Stevin, invece, questi dubbi li avanza, basando le sue convinzioni sull’opinione che Vitruvio abbia sbagliato nel tradurre ed interpretare il termine “simmetria” che gli proveniva dagli antichi greci. Stevin ritiene che quando si parla di simmetria non si debba aver presente il rapporto fra una parte ed il tutto (“analogous to the relative proportions of the head, nose, feet and other parts of the ideal human figure” (p. 39)), ma il “parallelismo” o la “simmetria a specchio” rispetto ad un asse centrale. Ne deriva che tutto il dibattito teorico sul rapporto fra la parte ed il tutto nella colonna, ovvero il problema su cui si sono arrovellati tutti i teorici rinascimentali, partendo dall’assioma che “the fixed proportions of classical columns originated in nature and reflected a universal ideal of beauty” (p. 40) è, semplicemente, sbagliato, tant’è che Stevin, che pure potrebbe aver studiato il problema nel suo primo trattato architettonico, nel De Huysbou non si affatica certo a parlare di ordini. Tutta l’architettura di Stevin, ma anche l’urbanistica (Stevin sviluppa un’immagine di città ideale ben diversa da quella degli architetti rinascimentali italiani – si vedano in particolare le pp. 47-50) si regge sul concetto di simmetria a specchio. 

[5] È chiaro che il contributo teorico di Stevin obbliga a rivedere i giudizi sulla sostanziale aridità del pensiero architettonico nei Paesi Bassi, ma pone anche di fronte a nuovi problemi. Si è ritenuto sino ad oggi, infatti, che il primo sostanziale approccio critico a Vitruvio sia stato quello di Claude Perrault che, nella sua traduzione del De architectura prima e nell’Ordonnance des Cinq Espèces des Colonnes Selon la Méthode des Anciens poi, nella sostanza mette in discussione l’esistenza di un rapporto ideale fra parti della colonna ed il tutto, e introduce il concetto di simmetria a specchio. Ma Perrault scrive fra il 1673 ed il 1683, ovvero almeno sessant’anni dopo Stevin. È possibile – dice van den Heuvel – che sia Stevin sia Perrault abbiano mutuato il concetto di simmetria a specchio da quel passo del De re aedificatoria in cui Leon Battista Alberti ne parla, senza però dar seguito all’introduzione dell’argomento (cfr. p. 115). Tuttavia l’ipotesi che Stevin abbia potuto influenzare in via indiretta (in particolare attraverso Cartesio e Mersenne) il pensiero di Perrault è senz’altro suggestiva e viene comunque sottoposta all’attenzione del lettore (p. 129 e seguenti). 

[6] Un discorso a parte meriterebbe l’uso della lingua nel trattato di Stevin. In quasi tutti i suoi scritti (e non solo limitatamente all’architettura) Stevin fa uso del neerlandese e non del latino. L’esigenza di parlare e scrivere in una lingua che possa essere intesa dai suoi compatrioti è il riflesso di un uomo che si poneva costantemente il problema delle ricadute pratiche che le sue ricerche dovevano consentire (con l’esigenza quindi di farsi capire da più persone possibile), ma anche risultato del fatto che “he felt [n.d.r. that the Dutch language] was more suitable than Greek or Latin for explaining his ideas, since Dutch employed many more cogent, mono-syllabic words” (p. 12). Il testo del trattato è dunque presentato in lingua neerlandese originale, con traduzione inglese a fronte. In fondo al volume le pp. 515-517 presentano un glossario dei termini architettonici utilizzati nel trattato, con relativa traduzione in inglese.

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