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venerdì 9 maggio 2014

Jacob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia. Un tentativo di interpretazione. Nino Aragno, 2006


English Version

Jacob Burckhardt
La civiltà del Rinascimento in Italia
Un tentativo di interpretazione

A cura di Maurizio Ghelardi

Nino Aragno editore, 2006
Isbn 88-8419-290-0

Jacok Burckardt attorno al 1890


[1] Nel 1860 Jacob Burckhardt pubblica a Basilea la prima edizione della sua Civiltà del Rinascimento in Italia. Una seconda edizione tedesca compare a Lipsia nel 1869. La prima traduzione italiana dell’opera risale al 1876; a cura di Domenico Valbusa, è basata sulla seconda edizione tedesca, ma tiene conto di indicazioni e aggiunte appositamente comunicate a Valbusa da Burckhardt. Tutte le edizioni italiane pubblicate sino ad oggi sono condotte a partire dalla versione fornita da Valbusa. In questo senso il presente volume si mostra di particolare interesse, perché fornisce la prima traduzione italiana condotta sulla princeps (ovvero sulla prima edizione a stampa) tedesca del 1860. 

[2] La traduzione proposta da Ghelardi si inquadra peraltro in un’operazione di respiro assai più ampio. Per la prima volta, infatti, a La civiltà del Rinascimento in Italia viene affiancata (in altro volume) la traduzione italiana della Geschichte der Renaissance in Italien, lavoro che, nelle intenzioni di Burkhardt doveva essere complementare alla Civiltà del Rinascimento e che fu pubblicato solo in versione ancora abbondantemente incompleta.

[3] Testo della bandella: 

“Dopo aver pubblicato nel 1860 La Civiltà del Rinascimento in Italia (Die Cultur der Renaissance in Italien) Jacob Burckhardt si era proposto di ultimare, con una seconda parte su l’arte del Rinascimento italiano, il disegno complessivo sull’Italia rinascimentale che aveva esposto in alcune conferenze del 1858.
L’intero progetto, ritrovato manoscritto tra le carte dello studioso basilese, è qui pubblicato per la prima volta nella sua interezza, congiuntamente ad una nuova traduzione della prima edizione de La Civiltà del Rinascimento in Italia.
A più di un secolo di distanza, e in anteprima assoluta, il lettore italiano può disporre della ricostruzione integrale di questo grande progetto, in cui le opere degli artisti, degli storici e dei letterati sono analizzate in relazione «ai compiti cui dovevano adempiere», e in rapporto «ai presupposti di una tradizione culturale» che l’autore ritiene a fondamento della civiltà europea.
Grazie a questa nuova (e inedita) edizione si getta non solo nuova luce sulla genesi e il contenuto di uno dei classici della storiografia rinascimentale, ma si fornisce anche un contributo fondamentale per comprendere che, per Burckhardt, «fondere storia della cultura e storia dell’arte», concepire il Rinascimento come «madre e padre dell’uomo moderno nel pensiero come nella costruzione delle forme» era anche un tentativo per indagare e riflettere su quello che riteneva fosse il destino politico e culturale del suo tempo.
... Di Jacob Burckhardt è in corso di pubblicazione presso gli editori Beck di Monaco e Schwabe di Basilea l’edizione critica delle opere che è prevista in 28 volumi.
Maurizio Ghelardi è uno dei curatori di questa edizione.”

[4] Viene riportata la recensione apparsa sul Domenicale del Sole 24 ORE in data 21.10.2007, pochi mesi dopo l’uscita dell’opera (l’originale dell’articolo – a firma Giulio Busi – è conservato all’interno del volume).

Jacob Burckhardt
Severo inventore del Rinascimento
di Giulio Busi

Sandro Botticelli, La Primavera

Non è vero che la cultura non paga. In fondo, mille franchi svizzeri sono ancora una bella somma, e proprio lì, sulla banconota della banca nazionale elvetica, campeggia il volto austero di Jacob Burckhardt, l’«inventore» del Rinascimento. Burckhardt fu, del resto, protagonista della vita intellettuale svizzera nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’Università di Basilea, in cui insegnò per quasi quarant’anni, poteva fregiarsi di altri nomi di gran calibro, come per esempio Friedrich Nietzsche.

Per un curioso paradosso, la riscoperta dell’indole squisitamente italiana del Rinascimento venne da quest’erudito protestante di lingua tedesca, che all’Italia guardava con appassionato scetticismo. Tutta l’opera di Burckhardt è un ossimoro di stile e di pensiero: cauta, fin quasi algida nei suoi giudizi, eppure animata da uno stupore profondo per quello strano popolo del sud, capace di ribaltare il più feroce egoismo in un miracolo creativo.

La civiltà del Rinascimento italiano, pubblicata per la prima volta nel 1860, ha esercitato per oltre cent’anni una vera dittatura scientifica. Non è possibile immaginare il Rinascimento senza queste pagine incalzanti. Neppure la revisione critica degli ultimi decenni ci ha davvero affrancato da Burckhardt, dal suo classicismo tormentato, sempre pronto a trasmutarsi in una rêverie tardo-romantica.

Il modo migliore per comprendere Burckhardt, e allo stesso tempo “liberarsi” di lui, è rileggerlo oggi come monumento di un Ottocento in cerca di se stesso. «Il fenomeno fondamentale dei nostri giorni è il sentimento della provvisorietà... – scriveva il grande basileese -; non appena ci stropicciamo gli occhi ci rendiamo conto... di essere su una dei milioni di onde messe in moto dalla Rivoluzione». Già, perché, al Rinascimento Burckhardt era arrivato per tentar di capire, e possibilmente riparare, la frattura epocale portata dalla rivoluzione francese. Naturalmente avverso a quello che riteneva il pericoloso egualitarismo rivoluzionario, Burckhardt cercò d’individuare il codice genetico dell’uomo moderno, quell’avventato Prometeo che si arrogava il diritto di afferrare il divenire con le proprie mani.

Come c’era da aspettarsi, per il professore svizzero tutti i guai erano cominciati a sud delle Alpi. Ma erano guai affascinanti, ricchi di tinte forti come un diario sentimentale del Grand Tour. Burckhardt scriveva negli anni della riunificazione della Penisola, quando l’Italia, da grande addormentata d’Europa, si stava trasformando in prodigio di modernità. In tutto il continente, e anche al di là dell’Oceano, si diffondeva un nuovo interesse per il nostro Paese, non più visto come semplice magazzino di opere d’arte, ma come cultura vitale, e anzi come modello da imitare.

A questa moda ottocentesca il libro di Burckhardt contribuì in maniera determinante, facendo scoprire alla borghesia colta i fasti dell’individualismo italico: «Questo popolo impressionante! Questa primogenitura dell’Europa... le parole dell’Alfieri sono ancora valide: l’Italia è il Paese dove la pianta uomo riesce meglio che altrove». Una pianta vigorosa, che tuttavia, secondo Burckhardt, aveva messo radici in una disperata realtà di anarchia e sopraffazione. Le sue descrizioni delle Signorie tre-quattrocentesche, colme di congiure, avvelenamenti e fratricidi, raggiungono spesso toni romanzeschi. Egli riteneva, tuttavia, che proprio dalla percezione d’illegittimità e incertezza della vita sociale fosse nata una lucidissima capacità d’analisi, ovvero la scienza oggettiva del reale, assieme a quella soggettiva, e altrettanto rivoluzionaria, della coscienza di sé. Sopravvivere e prosperare in condizioni di estrema instabilità sociale significò, per gli uomini del Rinascimento, sviluppare una nuova percezione dell’agire umano, basata sull’adeguatezza tra mezzi e fini.

La bella edizione, curata da Maurizio Ghelardi per Aragno, unisce alla Civiltà del Rinascimento un secondo ponderoso volume sulle arti rinascimentali, finora inedito in italiano. Metodico fino allo stremo, il Burckhardt storico dell’arte è forse meno affascinante del rabdomante dell’individualismo, ma il poter accedere all’opera nella sua completezza ci fa apprezzare meglio il suo ambizioso progetto.

Certo, molte idee appaiono oggi invecchiate, come, per esempio, la convinzione che il Rinascimento sia stato essenzialmente un movimento laico di affrancamento dalla religione, o che si sia sviluppato quasi esclusivamente nei centri maggiori, in particolare a Firenze. Nonostante questo, per chiunque condivida l’opinione che la storia debba essere innanzitutto un racconto «sull’uomo che patisce, che anela e che agisce», il vecchio signore dei mille franchi svizzeri è ancora un’ottima guida.


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