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Giovanni Michele Silos
Pinacotheca sive Romana Pictura et Sculptura
Presentazione di Luigi Grassi; nota introduttiva, traduzione
dal latino e commento di Mariella Basile Bonsante
2 voll., Treviso, Libreria editrice Canova, 1979
Nota di lettura di Luciano Mazzaferro
[Nota
di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione e la
traduzione fedele della “nota di lettura” dell’opera scritta da
nostro padre, Luciano Mazzaferro, fra il 1998 e il 2000 (in testa al
manoscritto compare appunto la dicitura “nota di lettura”. Le note al testo,
così come la suddivisione e la titolazione dei paragrafi, sono invece
redazionali e compilate nel 2014).]
Copertina dell'edizione a cura di Mariella Basile Bonsante |
La Pinacotheca
Il testo, che nel 1673 venne pubblicato in latino a
Roma presso Filippo Maria Mancini, si apre con una nota del Silos rivolta al Candido
Lectori, ossia al Lettore inconsapevole e con alcuni versi
elogiativi che gli erano stati indirizzati da Jacobus Albanus Ghibbesius (il
docente inglese di retorica James Alban Gibbes [1]). Seguono, e son tutte
pagine del Silos: un epigramma sulle due arti sorelle (la pittura e la scultura),
il Proloquium e i 301 epigrammi del Liber primus (intitolato Romana
Pictura), il Proloquium e i 302 epigrammi del Liber secondus
(indicato col titolo riduttivo di Romana Sculptura), i 18 componimenti
su temi diversi che appaiono sotto il titolo Odorum Appendicula e,
infine, un indice, sempre in latino, dei soggetti e dei personaggi menzionati
in tutte le parti dell’opera. Il Silos ha sicuramente avvertito un certo
disagio per aver incluso nel volume le odi dell’Appendicula, scritte in
età giovanile, e ha cercato di superare il suo stato d’animo con una dose,
massiccia ma poco spontanea, di ironia: “Non ho voluto trattenerle ancora
perché non potessero lamentarsi a ragione del loro Autore, per il fatto che le
avevo destinate alle tenebre eterne come cose bastarde. A dire il vero sono
poche: comunque sono anche troppe, dal momento che non valgono nulla”
(traduzione in vol. II, pag. 4).
L’intero testo del 1673 viene riprodotto
anastaticamente nel primo dei due volumi che compongono la nuova edizione. Vi
troviamo altresì, con numerazione romana, la presentazione scritta dal Prof.
Grassi, un’avvertenza e un ampio studio introduttivo della curatrice. Il
secondo volume accoglie la traduzione in italiano dell’originario testo latino,
il commento, la bibliografia e tre indici – indice dei nomi di persona (esclusi
gli artisti), indice degli artisti e indice dei luoghi e delle opere – che
affiancano validamente il lavoro di classificazione (Pinacotheca index)
compiuto dal Silos con criteri tipici dell’epoca sua, poco rispondente alle
esigenze e alle curiosità del lettore odierno. Va aggiunto che nella
traduzione, nel commento e nei nuovi indici – insomma, nell’intero volume
secondo – vengono presi in considerazione i testi della Pinacotheca vera
e propria, escludendo le odi della Appendicula. Le odi – viene precisato
a pag. 292 – sono state “volutamente trascurate… per il loro carattere
esclusivamente letterario”, del tutto estraneo “alle tematiche
storico-artistiche…”. E’ una decisione contro la quale vi è ben poco da
obiettare e che appare pienamente giustificata dalle stesse parole del Silos
riportate poco fa.
Fortuna dell’opera
Quando si pose al lavoro, la curatrice non poteva
disporre di alcuno studio sufficientemente approfondito sull’opera di Silos. La
Pinacotheca non aveva riscosso molto successo quando fu pubblicata, né
la sua fortuna migliorò nei tempi successivi. Nessuna ristampa; nessun commento
di respiro; nessuna traduzione in italiano dal testo latino; un solo tentativo
di imitazione, compiuto per giunta con indubbia disinvoltura: all’inizio del
nuovo secolo un erudito d’Oltremanica, che si firmò con le sole iniziali e che
verosimilmente era John Elsum, riprese vari epigrammi del Silos quasi fossero res
nullius, li modificò in più tratti per farli meglio aderire ai suoi
convincimenti e al gusto dei connazionali, li voltò in inglese e li pose
accanto a composizioni di sua fattura. Impressa a Londra nel 1700, l’opera
trovò un suo pubblico e fu ristampata nel 1704 [2]. Poi, per poco meno di 120
anni, scomparve ogni curiosità attorno alla Pinacotheca. Pareva che se
ne fosse perso interamente il ricordo, per lo meno negli ambienti avvezzi a
parlare di cose d’arte. In quell’impressionante messe di notizie che fu la Storia
delle letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi [3] compare, nella prima
parte del tomo ottavo, un accenno ai tre volumi pubblicati (e al quarto rimasto
manoscritto) in cui il Silos si era soffermato ad illustrare le vicende dei
Chierici regolari teatini, ma non si coglie neppure una parola sul lavoro che
qui ci interessa. L’opera non figura
neppure nel Catalogo della libreria di Giuseppe Bossi [4]. Fra gli
intenditori d’arte il nome del Silos riemerge soltanto nel 1821 con il Catalogo
ragionato del conte Cicognara [5] che – pur richiamandolo, cosa per lui
abbastanza insolita, in due parti o sezioni della pubblicazione – non va
tuttavia oltre i consueti e smilzi richiami bibliografici ed evita qualsiasi
giudizio di valore: in una delle due citazioni (cfr. vol. I, p. 185) specifica
il numero degli epigrammi dedicati alla pittura e alle altre opere d’interesse
artistico, precisa il numero delle odi comprese nell’Appendicula e
segnala la presenza di un indice “alfabetico di tutti gli oggetti descritti”,
mentre nella seconda (vol. II, pag. 220) avverte che sul finire del Seicento,
quando il volume venne scritto, tutto il materiale artistico descritto si
trovava a Roma “tanto in luoghi pubblici che privati”.
Passò un altro secolo prima che lo Schlosser,
attratto dalle parole del Cicognara, verso cui provava una sincera ammirazione,
tornasse a citare la Pinacotheca. Si tratta, beninteso, di poche righe e
non occorre molto spazio per riprodurne una parte sostanziale: “L’influsso del
Marino” – leggo a pag. 542 dell’edizione italiana della Letteratura artistica [6] – si rivela in un certo senso anche nella Pinacotheca di
Gio. Michele Silos, un ecclesiastico letterato del Mezzogiorno d’Italia, uscita
a Roma nel 1673. Scritta in linguaggio erudito e in metri antichi, essa ci
offre una specie di guida poetica attraverso le opere d’arte di Roma, pubbliche
e private…” Dopo il manuale dello Schlosser, la cui edizione in lingua tedesca
risale al 1924, il nome del Silos torna a comparire – per quanto sono riuscito
a saperne – in due soli altri testi di prestigio. Penso in primo luogo allo
studio su Le guide di Roma che Oskar Pollak lasciò manoscritto e che
comparve a cura di Ludwig Schudt nel 1930 presso l’editore Filser di Vienna [7].
Pochissimo spazio viene anche qui riservato alla Pinacotheca, presentata come
“ein guten Einblick in die Bestände der römischen Jammlungen, wie der
Giustiniani, Borghese, Cesi, Altemps usw” (pag. 135), insomma una buona
occhiata tra i pezzi di alcune collezioni romane di fine Seicento. Mi viene poi
in mente la Bibliografia dell’archeologia classica e dell’arte italiana
compilata da Fabia Borroni e uscita una quarantina d’anni fa a Firenze [8]. Nel
secondo tomo del primo volume si riproduce (pagg. 67-68) una delle due note
vergate dal Cicognara e si fa rimando al lavoro di Pollak curato da Schud. Dopo
aver sfogliato quest’ultimo lavoro e gli altri sopra indicati, rimane assai
poco in mano [9]: la valutazione di maggior rilievo deriva dall’avvicinamento tra
il libretto del Silos e la Galeria [10] del Marino, compiuto con una
buona dose di cautela dallo Schlosser. E non a caso Mariella Basile Bonsante, traduttrice
e responsabile della nuova edizione della Pinacotheca, si rifà a questo
spunto per avviare un discorso di un certo respiro, anche se non privo di
qualche forzatura, sugli elementi che accomunano e, ancor più, su quelli che
differenziano le due opere.
Giovanni Michele
Silos e Giambattista Marino: somiglianze e differenze
La curatrice (d’ora in poi indicata con la sigla
M.B.B.) sostiene che la suggestione del modello marinista de La Galeria è tutta da dimostrare e aggiunge: “la brevissima nota che lo Schlosser dedica
al tema insistendo sullo stretto rapporto fra le due raccolte [il
corsivo è mio], merita… di essere sviluppata e argomentata con più puntuali
riferimenti biografici e storici” (pag. XLI). M.B.B. dà per certo che il Silos
“lesse e apprezzò gli scritti del Marino”, ricorda l’ammirativo elogio funebre
dedicato al poeta napoletano, riconosce che il titolo dell’opera e la sua
ripartizione “nelle due fondamentali sezioni della Pictura e della Sculptura”
derivano dal Marino (pag. XLII), ma afferma con forza che i motivi di
differenziazione e di contrasto fra la Galeria e la Pinacotheca
prevalgono su quelli d’omogeneità e d’accostamento. Assai diversi – avverte la
curatrice – sono gli intenti ai quali mirano i due autori: nel Marino si coglie
il desiderio di dilettare e di stupire il lettore con interpretazioni
soggettive e incontrollate e con il “gioco svolazzante e bizzarro delle arguzie
e delle metafore (pag. XX); nel Silos hanno invece un forte peso i dettami
della Controriforma e si colgono spesso i temi grevi e pedanti dell’oratoria
sacra” (pag. XXI). La favola mitologica, cara al Marino, si trasforma in
parabola (pag. XLVI). La valutazione dell’opera d’arte segue criteri impregnati
di valori etici o, più semplicemente, moraleggianti. Attorno a questa
differenza di fondo M.B.B. ne coglie altre e le pone in evidenza per meglio
precisare la posizione dei due poeti: “per esempio” – trovo scritto a pag.
XLIII – “nella seconda sezione il Silos riserva uno spazio notevole alle statue
degli antichi e persino alle aree archeologiche e ai ruderi di Roma,
completamente ignorati dal Marino. Altrettanto estraneo alla cultura del Marino
è il recupero della pittura medievale (dalle più note Madonne di San Luca
alla Navicella di Giotto), che il Silos opera episodicamente con palesi
intenti devozionali e apologetici”. A pag. LI si tocca un altro punto: “E’ fin
troppo evidente che nel caso del Silos manca un autentico e diretto contatto
col mondo degli artisti, nel quale, invece, era vissuto quasi costantemente il
Marino”. E a pag. LVI si precisa: “…sembra inequivocabile che il Silos non
cercò contatti con artisti e nemmeno con «esperti» qualificati; sibbene preferì
tentare approcci, anche difficili, con le antiche famiglie o con aristocratici
umanisti e amatori”. Insomma, piuttosto di stabilire rapporti significativi e
duraturi con i creatori di opere d’arte, si sforzò di entrare in contatto con
coloro che avevano collezionato sia lavori d’altri periodi sia pitture del suo
tempo, in modo da poterle esaminare direttamente e trarne spunti per la stesura
di nuovi epigrammi. Il problema più sentito dal Silos non è l’accesso agli
“studi” degli artisti, ma piuttosto il permesso di visitare alcune raccolte
private, pressoché inaccessibili, esistenti a Roma.
Per una
riconsiderazione del rapporto Silos - Marino
Che cosa pensare del confronto che M.B.B. compie
tra il Marino e il Silos? Su alcuni punti non credo che possano emergere motivi
di dissenso. M.B.B. coglie nel vero, quando segnala interessi che il Marino
ebbe e che il Silos trascurò, come il continuo contatto con il mondo degli
artisti e degli esperti nelle arti figurative, o quando, all’opposto, ci parla
di attenzioni avvertite dal Silos e ignorate o sottovalutate dal poeta napoletano,
come è chiaramente provato dalla descrizione di zone archeologiche e di
monumenti dell’antica Roma nella seconda parte della Pinacotheca e dal
maggior spazio che il Silos accordò alla scultura; e qui, a proposito di
scultura, non si può fare a meno di dire che la figura del Bernini, divenuta
troneggiante nel periodo che separa le due raccolte, ebbe un ruolo di certo non
trascurabile nel determinare il cambiamento di posizioni che si avverte nel
Silos. Ma, quando da questi temi di confronti passiamo ad altri argomenti
toccati nel saggio introduttivo e ai quali per soprammercato M.B.B. sembra
attribuire un peso più consistente, qualche motivo di perplessità comincia a
farsi strada. Intendiamoci: nelle parole della curatrice si coglie sempre
qualcosa di vero; eppure di tanto in tanto capita di avvertire una certa
durezza d’analisi, un gusto per tagli netti e per contrasti marcati, un
compiacimento per tinte accese e, come inevitabile conseguenza, una scarsa
predilezione per i chiaroscuri e per le conclusioni un po’ attenuate. Anche il
richiamo allo Schlosser, da cui prende avvio il discorso sulle derivazioni
mariniste, risente di questo atteggiamento che talvolta sembra derivare più da
particolari vibrazioni di carattere che da percezioni lentamente maturate nel
corso dello studio. M.B.B. attribuisce allo studioso austriaco assai più di
quanto egli abbia in effetti detto, presentandolo come sostenitore di uno
stretto rapporto fra le due raccolte; una tesi, questa, che mal si accorda con
la prudenza e la mentalità dello Schlosser e che comunque non trova riscontro
nelle righe del suo testo, in cui si fa semplicemente cenno ad un influsso del
Marino (“Einfluß Marinos” nell’edizione originale [11]) che in un certo senso (“in
gewissen Sinne”) vien fatto di cogliere nel Silos. Molta cautela, come si vede;
più una proposta interpretativa che un’indicazione di rigidi condizionamenti e
di solidi rapporti.
Un analogo irrigidimento si coglie anche dove
M.B.B., ormai posto da parte lo Schlosser, imbocca la propria strada ed espone
le sue conclusioni sulla diversità tra i due autori. Lo ripeto: i rilievi sono
sostanzialmente esatti, ma si dimostrano troppo perentori per rappresentare una
realtà alquanto articolata. Il Marino e il Silos non sono personaggi con
atteggiamenti fissi e con affermazioni sempre coerenti: con la loro mobilità
possono più volte giustificare tutto e il contrario di tutto. Nel Silos è
sicuramente presente una mentalità censoria e predicatoria, tipica del mondo
controriformistico. In qualche caso fa addirittura capolino una contrarietà
ossessiva per il «nudo» che lo porta a censurare anche grandi artisti.
Nell’epigramma CXLIX (della sezione dedicata alla pittura), di fronte ad una Venere
del Tiziano, egli immagina di rivolgersi direttamente al pittore e gli rivolge
un ammonimento:
“Moderati: tu con i tuoi colori
accresci di Venere la leggiadra bellezza
Ma anche riduci la stima dalla
tua moralità.
Se Venere è dipinta così
perfettamente, non vi è nulla di più turpe:
e con il suo bell’aspetto lei
disonora il suo Artefice.”
In un altro epigramma (CLXXI), ove si riferisce ad
un’altra opera del Tiziano, ossia la Venere con Cupido, Silos mantiene
il medesimo atteggiamento di riprovazione:
“Quando rappresenti le grazie di
Venere…
Non pensare, Tiziano, di raggiungere
allora le vette più alte dell’arte
e di rendere celebri i tuoi
quadri col tuo talento.”
Tiziano, Venere con Cupido |
Raccomandazioni del genere sono pressoché impensabili
nel Marino, ma occorre aggiungere che il Silos non è sempre il codino che
appare in queste due pesanti composizioni. In “Adamo ed Eva nudi dopo la colpa”
(epigramma CXCII sempre della parte dedicata alla pittura), attribuito al
Francia, si legge:
“Le foglie offrono le prime
vesti…
Tuttavia il Pittore non nasconde
queste cose con alcun velo,
perché nessuna veste adombri il
suo capolavoro.”
Non c’è scandalo per i corpi ignudi: il Silos comprende che, senza darsi quella libertà di composizione che pur era stata altrove negata, il pittore non sarebbe riuscito a rendere il meglio delle sue capacità creative.
A difesa dei principi sostenuti con forza
dall’autorità ecclesiastica, il Silos condanna le eresie e scrive versi di
fuoco contro Elisabetta d’Inghilterra (epigramma CCLXXII). Ma questo vezzo non
era soltanto suo e basta sfogliare la Galeria del Marino per scoprire le
immagini polemicamente distorte non solo della regina d’Inghilterra, ma anche
di Lutero, di Calvino e dello stesso Erasmo da Rotterdam. Quando nel 1619 diede
incarico al suo stampatore veneziano di pubblicare la Galeria, Marino
temette d’incorrere in qualche noia da parte della censura e, per scongiurare
il pericolo, gli raccomandò di richiamare l’attenzione del padre inquisitore
“sopra i ritratti d’alquanti eresiarchi, poiché, come potrai vedere, sono
invettive contro di essi; e ve gli [n.d.r. sic] ho voluti porre, acciocché il
libro non resti imperfetto senza l’imagini delle persone segnalate eziandio nel
male” [12]. Si potrà dire che nello scrivere di codeste cose l’animo del Marino
era ben diverso da quello del Silos, ma non si potrà negare che già in lui
simili atteggiamenti fossero presenti con tratti e con un taglio che non
dovettero passare inosservati al Silos.
Così, per venire ad altro argomento, va senz’altro
riconosciuto al Marino l’intento di muoversi tra arguzie e bizzarrie e con
giochi su taluni nomi e cognomi, il tutto per maggior diletto e quasi per
stordimento del lettore; ma ciò detto, non mi pare che si possa negare al Silos
un atteggiamento consimile in più di una circostanza. I divari registrati in
altri casi tra i due non ci autorizzano a negare i tentativi compiuti dal Silos
per avvicinarsi al Marino. La questione è sempre la stessa: i giudizi vanno
ammorbiditi e gli influssi, dove vi sono, riconosciuti nella loro effettiva
portata. L’immagine di un Lazzaro due volte risuscitato (epigramma CCXXXVIII),
la prima per miracolo divino e la seconda per l’abilità del Tintoretto che
dipinse la scena narrata nel Vangelo, non sarebbe probabilmente dispiaciuta al
Marino. Nell’epigramma CXXXV Silos s’intrattiene su “Le tre Marie al sepolcro
di Cristo’ di Salvator Rosa e gioca, come appunto amava il Marino, sul cognome
del pittore (i corsivi sono miei):
“Sai chi eseguì questa notevole
opera di pittura?
quel famoso nobile fiore
dell’arte, a cui la bellezza
di una rosa diede un nome
grazioso.
Fiorirà in eterno quest’opera:
rosa la compie e la rende fiorente.”
Gli agganci al nome dell’artista, sicuramente meno
frequenti e brillanti che nel Marino, non sono però del tutto abbandonati dal
Silos, come attesta un altro epigramma (LXXI, anch’esso della prima sezione)
dedicato questa volta a “Il Salvatore alla colonna” di Sebastiano del Piombo:
“Mi meraviglia che l’artista abbia
potuto dipingere questa crudele
flagellazione senza che la sua
mano si sia agghiacciata e sia rimasta priva di vita.
Ma il pittore era «il Piombo»!
prova forse compassione un autore
Plumbeo? Perciò quella mano non
rimase inerte.”
Si potrà dissertare quanto si vuole sulla opacità
di questi versi, ma non sul richiamo al gusto marinista. Le arguzie, i
contrasti tra parole e la loro manipolazione non dispiacevano per nulla
all’estensore della Pinacotheca: non è, credo, per un caso fortuito che
l’unica composizione di altra mano ospitata nella pubblicazione (mi riferisco
ai versi del Gibbes) si basi su un paio di palindromi, ossia di parole bifronti
(vol II, pag. 4):
“… come Roma risuona Amore,
così ad una sola voce
la fama canta: Silos ha
tutto del Sole”.
La traduzione italiana non può rendere l’arguzia
che appare in tutta la sua evidenza soltanto nel testo originale latino (vol.
I, pag. 4), dove Roma è accostata al suo palindromo Amor, così
come Silos si rispecchia in Solis, genitivo di “sol”.
L’importanza di
un’edizione moderna della Pinacotheca
Nulla vieterebbe di aggiungere altre considerazioni
a sostegno di quelle sin qui esposte e di soffermarsi sulla contrapposizione,
assai cara alla curatrice, tra “ut pictura poësis” (adattabile alla posizione
del Marino) e “ut pictura oratoria” (riconducibile al caso del Silos), ossia su
un contrasto che, pur avendo riscosso qualche simpatia (cfr. De Benedictis,
pag. 96 [13] e Trabucco, pag. 67 [14]) sembra egualmente costruito con qualche
affanno e con una certa forzatura. La particolare insistenza di B.M.M. su
questa contrapposizione tra il Marino e il Silos potrebbe giustificare, senza
alcuna difficoltà, una scelta del genere. Non vorrei tuttavia che, così
facendo, si commettesse l’ingenerosità di dimenticare alcuni tratti essenziali
che rendono culturalmente apprezzabile la riedizione della Pinacotheca.
Finalmente si è usciti dai silenzi di un tempo e dal giro dei rapidi richiami e
si è fornita la possibilità di farsi un’opinione diretta e personale sul Silos,
poeta sicuramente noioso ma capace, nonostante tutto, di fornire informazioni e
di evocare posizioni tipiche dell’età barocca. La traduzione che vuol essere il
più possibile letterale e che non ricorre ad inutili orpelli aiuta a compiere
una lettura che altrimenti sarebbe rimasta sgradevole, difficoltosa e persino
impossibile. Senza la fatica sostenuta da M.B.B., io la Pinacotheca non
l’avrei mai letta. Scrive, con molta modestia, la curatrice: la mia ricerca “ha
mirato semplicemente (il corsivo è mio) ad offrire allo studioso una
lettura, il più possibile agevole, di un’opera poco nota, collocandola nelle
sue coordinate storiche e culturali” (pag. XVI). No, troppo poco. Quel
“semplicemente” che mi è parso opportuno segnalare in corsivo in segno di
rispetto non può far dimenticare le asprezze e le difficoltà di un lavoro che
non sarebbe mai giunto a termine senza una grande tenacia e un amore,
tutt’altro che comune, per i vecchi scritti sull’arte figurativa.
Eppoi, quando finalmente si esce fuori dal lungo e
insistente discorso sul paragone fra Galeria e Pinacotheca, si
scoprono – magari appena accennati – dei riferimenti suggestivi e alcuni
intuizioni che meriterebbero d’essere accuratamente verificate. Penso (ad
esempio) al “dubbio”, manifestato a pag. XL, “che l’intera raccolta non sia
stata composta sotto un’unica ispirazione ma che sia cresciuta con aggiunte
successive, man mano accostate a redazioni molto antiche”. Se questi son dubbi,
evviva i dubbi. Un simile percorso critico consentirebbe di seguire
l’evoluzione di un gusto e di un pensiero, facendoci capire perfino certi
accostamenti e, allo stesso tempo, talune prese di distanza dalla Galeria.
Eppoi mi vengono in mente i suggestivi richiami all’Achillini (marinista di
ferro) [15], agli epigrammi latini di Andrea Mariani [16], a Les peintures morales
di Pierre Le Moyne [17], al trattato dell’Ottonelli e di Pietro da Cortona [18],
alle Dicerie sacre [19] – e non più soltanto alla Galeria – di
Giambattista Marino. Assai precisa e motivata risulta la distinzione tra il
corpo degli epigrammi del Silos e i Proloquia, con i loro fragili
tentativi d’impostazione teorica. Ben scelti i riferimenti alle opere di alcuni
artisti. Sorprendenti i richiami al Caravaggio: non mi sarei mai atteso che un
verseggiatore così stanco e spesso distratto ci potesse offrire una chicca così
gustosa come quella che M.B.B. segnala a pag. LI: diversamente dai dotti
reggitori della Chiesa di San Luigi dei Francesi, Silos preferiva la tela
rifiutata di San Matteo e l’angelo alla più scolorita versione che ne
prese il posto nella cappella Contarelli.
NOTE
[1] Per informazioni su James Alban Gibbes si veda:
[2] Sembrerebbe (ma trattandosi di informazioni
raccolte su wikipedia vanno confermate) che in realtà Elsum abbiamo stampato
una prima raccolta nel 1700, e poi delle versioni leggermente modificate nel
1703 e nel 1704:
[3] Girolamo Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana, 9 voll. 1772-1782.
[4] Catalogo della libreria del fu cavaliere
Giuseppe Bossi. Nota critica di Paola Barocchi, S.P.E.S. Studi per Edizioni
Scelte, s.d. (reprint edizione 1817). Presente in questa biblioteca.
[5] Leopoldo Cicognara, Catalogo ragionato dei
libri d’arte e d’antichità posseduti dal Conte Cicognara, Arnaldo Forni
editore, 1998 (reprint edizione 1821). Presente in questa biblioteca.
[6] Julius Schlosser Magnino, La letteratura
artistica. Consultata nella 3° edizione. La Nuova Italia, 1967. Presente in
questa biblioteca.
[7] Pollak, Oskar; Schudt, Ludwig. Le Guide di Roma : Materialen zu einer Geschichte der romischen
Topographie / unter Benutzung des Handschriftlichen nachlasses von Oskar Pollak
; hrsg. von Ludwig Schudt. Vienna; Augsburg : Benno Filser, 1930.
[8]
Fabia Borroni. Il Cicognara. Bibliografia dell’Archeologia classica e
dell’Arte italiana. Vol. I, tomo II. Firenze, Sansoni Antiquariato, 1955.
[9] Una
pura e semplice citazione anche in Sergio Rossetti, A Bibliography from the
Invention of Printing through 1899. I. The Guide Books, Firenze, Leo S.
Olschki, 2000. Presente in questa biblioteca.
[10] Giovanbattista
Marino, La Galeria. Consultata
l’edizione a cura di Marzio Pieri, Padova, Liviana Editoriale, 1979. Presente
in questa biblioteca.
[11] Julius von Schlosser, Die Kunstliteratur, Vienna, Anton Schroll, 1924. Consultato nella
ristampa anastatica dello stesso editore pubblicata nel 1985. Presente in
questa biblioteca
[12] Giovanbattista Marino, Lettere, a cura di Graziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966,
p. 213. Presente in questa biblioteca.
[13] Cristina De Benedictis, Per la storia del collezionismo
italiano. Fonti e documenti. Firenze, Ponte alle Grazie, 199, p. 96. Presente
in questa biblioteca.
[14] Alfonso Trabucco, La
Galeria di Giambattista Marino, Pescara, Tracce edizioni, 1998, p. 67.
Presente in questa biblioteca.
[15] Si veda Dizionario
Biografico degli Italiani, Alberto Asor Rosa, ad vocem:
[16] Si veda Dizionario
Biografico degli Italiani, Rita De Tata, ad vocem:
[17] Pierre Le Moyne, Les
Peintures Morales, 1641
[18] Giovan Domenico Ottonelli; Pietro da Cortona. Trattato della Pittura e Scultura, uso e
abuso loro (1652), a cura di Vittorio Casale, Treviso, Canova editrice,
1973. Presente in questa biblioteca.
[19] Giovanbattista Marino, Dicerie sacre e la strage de gl’innocenti, a cura di Giovanni
Pozzi, Torino, Einaudi, 1960. Presente in questa
biblioteca.
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