Giovanni Mazzaferro
Mary Philadelphia Merrifield:
la Signora di Brighton che amava i colori
Mappa di Brighton (1850) Copyright Brighton History Center |
AVVERTENZA:
Questo post è stato pubblicato nel 2014. Dopo tale data sono state scoperte a Brighton le lettere che Mary Philadelphia Merrifield inviò a suo marito dall’Italia nel corso del viaggio che la ricercatrice condusse fra 1845 e 1846 alla ricerca di manoscritti che testimoniassero le tecniche artistiche degli antichi maestri italiani. Molte delle informazioni contenute nel presente post risultano essere pertanto superate, incomplete e, a volte, non corrette. Ho pubblicato le lettere nel 2018 in La donna che amava i colori. Mary P. Merrifield: Lettere dall’Italia (1845-1846), Milano, Officina Libraria, 2018, isbn 88-99765-70-5. Invito pertanto gli interessati a far riferimento alla consultazione di tale volume. Ho comunque deciso di mantenere visibili i vecchi post per dare un’idea di quelle che erano le informazioni disponibili prima della scoperta delle lettere e di come le ricerche su Mary P. Merrifield siano evolute negli ultimi anni.
* * *
Ricostruire le vicende e le opere
di Mary Philadelphia Merrifield è un’impresa ardua, almeno per due motivi:
innanzi tutto perché questa donna straordinaria, nata a Southwark nel 1804 e
morta a Brighton nel 1889, ha coltivato tanti e tali interessi (fra cui,
naturalmente, quello per l’arte) da essere difficilmente incasellabile (basti
pensare che oggi è ricordata sia per avere pubblicato gli Original Treatises on the Art of Painting [1] sia per gli studi di
botanica che occuparono gli ultimi trent’anni della sua vita, e grazie ai quali
si vide dedicata il nome di un’alga marina); ma soprattutto perché ogni
documentazione archivistica relativa alla sua figura, alle sue relazioni, alla
sua biografia – almeno per quanto riguarda gli anni che dedicò all’arte - è
totalmente sparita (usiamo volutamente il termine “sparita” e non “persa”
perché il nostro sogno è che, prima o poi, riemerga dalla soffitta impolverata
di qualche erede).
Eppure noi questo tentativo lo
facciamo ugualmente, perché del tutto ingiustamente oggi la Merrifield viene
ricordata “solo” per la sua attività di raccolta e di traduzione di trattati
artistici, e non invece per quello che fu: una figura pionieristica e centrale
nella storia dell’arte ed in particolare nella storia delle tecniche
artistiche; una scienziata (o, se preferite, una “protoscienziata”) di pigmenti
e colori; una donna di straordinaria perseveranza e caparbietà che si mosse in
un mondo, quello vittoriano, che guardava sicuramente con grande sospetto a
qualsiasi attività di carattere intellettuale non svolta da uomini.
Sto parlando al plurale perché
questo è solo il primo di una serie di commenti volti a restituire un’immagine
più veritiera della Merrifield, e in questo viaggio, idealmente, non sarò solo.
Mi avvarrò dell’aiuto di Caroline Palmer, attualmente Print Room Assistant al
Western Art Department of Prints and Drawings all’Ashmolean Museum di Oxford e
a una serie di appunti manoscritti di mio padre, Luciano Mazzaferro, che studiò
a lungo i singoli trattati raccolti dalla Merrifield nei suoi Original Treatises (naturalmente ognuno
è responsabile per i rispettivi scritti).
A questo saggio introduttivo
faranno quindi seguito i seguenti scritti:
- Caroline Palmer, Mary Philadelphia Merrifield and the alliance with science (dedicato agli anni della stesura dei trattati artistici);
- Caroline Palmer, Colour, Chemistry and Corsets: Mary Philadelphia Merrifield’s 'Dress as a Fine Art' (dedicato agli scritti in cui la Merrifield si occupa di tessuti e di abbigliamento in maniera del tutto scientifica, dimostrando come la moda non fosse una frivolezza femminile, ma un’attività strettamente correlata alle Belle Arti, soprattutto tramite lo studio della teoria dei colori);
- Giovanni Mazzaferro, Mary Philadelphia Merrifield in Italia (ricostruzione del viaggio del 1846 in Italia volto al reperimento di manoscritti che testimoniassero le tecniche della pittura ad olio italiane);
- Luciano Mazzaferro. Gli Original Treatises di Mary Philadelphia Merrifield. Parte I: I manoscritti Le Bègue;
- Luciano Mazzaferro. Gli Original Treatises di Mary PhiladelphiaMerrifield. Parte II: il manoscritto Volpato e l’edizione ‘pirata’ di Bassano del Grappa;
- Luciano Mazzaferro. Gli Original Treatises di Mary Philadelphia Merrifield. Parte III: i manoscritti facenti capo alla famiglia Edwards.
- Luciano Mazzaferro. Gli Original Treatises di Mary Philadelphia Merrifield. Parte IV: gli altri manoscritti.
Molta carne al fuoco, dunque. Cominciamo
subito.
FINO AL 1844
Mary Philadelphia Watkins nasce
nel 1804. E’ figlia di un avvocato (che muore quando lei ha solo quattro anni)
e sposa nel 1827 un altro avvocato, John Merrifield [2], trasferendosi a
Brighton. Fra il 1827 e il 1836 ha cinque figli: Charles (1827), Henry (1830),
Frederick (1831), Edwin John (1835) ed Emily Katherine (1836). Mary e suo
marito dovevano essere una famiglia agiata, posto che suo marito era
classificato come ‘gentry’ in una sorta di censimento locale del 1840 [3].
Questo è tutto quello che
sappiamo della sua vita. Di lei non abbiamo nemmeno un’immagine. In particolare
non conosciamo nulla degli studi di Mary, di come imparò le lingue (almeno
italiano, francese e spagnolo), se sia mai stata in Italia in quegli anni, di
come si appassionò all’arte (è certo però che amava dipingere ritratti ad
acquerello, posto che partecipò con due suoi dipinti ad una mostra nel 1851 [4]),
di come sviluppò un interesse profondo per la scienza e per la chimica in
particolare. [5]
LA TRADUZIONE DEL ‘LIBRO DELL’ARTE’ DI CENNINO CENNINI
La Merrifield si fa conoscere nel
1844, con la traduzione del Libro
dell’Arte di Cennino Cennini [6] [7]. Nella sua prefazione, l’autrice ci
racconta: “La traduzione dell’opera è inoltre raccomandata in una lettera che è
apparsa sull’Art Union (Ottobre
1841), dove si suggerisce di procurarsi traduzioni di diversi lavori sulla
pittura, al fine di ottenere informazioni pratiche sull’argomento in generale e
di scoprire, in particolare, se possibile, l’intero procedimento osservato dai
pittori del quattordicesimo e del quindicesimo secolo nel dipingere quei
quadri, i cui colori e l’esecuzione dei quali suscitano ancora in noi sorpresa
ed ammirazione anche dopo un lasso di tempo di quattro secoli” (pp. V-VI) [8].
Se quanto ci dice la Merrifield è vero (e non si vede perché non debba esserlo)
non si può non sottolineare quanto fosse (fortunatamente) incosciente ed
ambiziosa. Incosciente perché il suo doppio status di donna e di dilettante,
priva di qualsiasi appoggio dell’establishment,
l’avrebbe esposta potenzialmente al dileggio della stampa se il risultato
dell’opera non fosse stato più che buono; ambiziosa perché, dando luogo
all’impresa, si autorappresentava come ‘a person conversant with terms of Art
and with Art itself’ [9], in grado di operare la traduzione ‘faithfully and
judiciously’ [10].
Vale la pena aprire una piccola
parentesi per spiegare il momento storico: nel 1834 è andato a fuoco
Westminster. Ricostruito negli anni successivi, si pone il problema della decorazione
del medesimo. Viene creata una Commission
of Fine Arts per prendere decisioni in merito. Ne è Presidente il Principe
Alberto, tedesco, consorte della Regina Vittoria ed appassionato d’arte;
l’unico artista che ne fa parte è Charles Lock Eastlake (che ne è segretario) [11].
Il Principe fa pressione perché il nuovo Parlamento sia dipinto con la tecnica
dell’affresco (sostanzialmente sconosciuta in Inghilterra) esattamente come
hanno fatto i Nazareni (il primo movimento artistico volto alla riscoperta delle
antiche tecniche) in Germania. Nel 1841 Peter Cornelius (uno dei principali
esponenti dei Nazareni) è a Londra ufficialmente per dare suggerimenti, ma in
pratica per esplorare la possibilità di accettare l’incarico. Tutta la comunità
artistica inglese è, di fatto, contraria e preme perché ad eseguire i lavori
siano artisti locali. Eastlake, che inizialmente era contrario alla decorazione
a fresco, una volta presa la decisione ottiene che l’incarico sia affidato a
mani inglesi. Si pone a questo punto l’enorme problema di ‘insegnare’ la
tecnica dell’affresco agli artisti inglesi. In questo filone si incanala la
traduzione della Merrifield così come (e soprattutto) il successivo The Art of Fresco Painting (1846) [12].
Parlare di traduzione è
assolutamente riduttivo. Le note numerosissime apposte dalla Merrifield fanno
emergere chiaramente almeno tre cose: l’autrice in qualche modo sa di cosa sta
scrivendo; lo sa nel senso che non può non avere praticato l’arte; ha una
formazione scientifica e un interesse smisurato per i pigmenti; conosce
perfettamente la letteratura artistica precedente. Sono, per inciso, aspetti e
materie che compaiono ampiamente leggendo molti saggi sull’Art Union (fondato nel 1839). Tant’è che viene spontaneo domandarsi
se la Merrifield non sia autrice di qualcuno degli articoli apparsi anonimi
sulla rivista. Se così non fosse, va comunque detto che la ‘donna’ Merrifield
si dimostra perfettamente all’altezza dei colleghi maschi.
FRA 1844 E 1846
Ma la Merrifield non si limita a
Cennino. Nell’autunno del 1844 (un fatto che non ci sembra sia stato messo in
rilievo da nessuno), saputo che il conte Charles de l’Escalopier si è procurato
una copia di un manoscritto contenente molte ricette artistiche (segnato Ms.
6741) conservato presso la Biblioteca Reale di Francia) [13], si reca a Parigi,
incontra Jacques-Joseph Champollion-Figeac [14], fratello maggiore di quel
Champollion a cui si deve la decrittazione dei geroglifici e a sua volta
archeologo, nonché conservatore dei manoscritti presso la Biblioteca Reale dal
1828 al 1848, ed ottiene la promessa di ricevere una copia del manoscritto, che
tuttavia riceverà con “some unavoidable delay” [15] e che pubblicherà
all’interno degli Original Treatises.
Ora, come questa donna, madre di cinque figli, autrice di una traduzione di
Cennino, senza sostanziali appoggi, abbia trovato modo di andarsene in Francia
e di farsi ricevere da Champollion è veramente un mistero. Avvalendosi di
informazioni desunte da Caroline Palmer (le cui ricerche d’archivio sono preziosissime)
qualcosa si può supporre: nell’ottobre del 1844 la Merrifield invia una copia
della traduzione di Cennino alla Commission
of Fine Arts e si fa ricevere da Robert Peel, Primo ministro inglese. E’
probabilmente tramite l’intervento suo e di Charles Eastlake che la Merrifield
ottiene quanto meno delle credenziali per poter essere ricevuta in Francia. Ad
ogni modo, l’indipendenza dimostrata da questa donna nell’intraprendere il
viaggio (con la famiglia?) è incredibile.
THE ART OF FRESCO
PAINTING
Nel dicembre del 1845 la Merrifield licenzia
l’introduzione al suo The Art of Fresco
Painting in the Middle Ages and the Renaissaince. Attenendoci ancora
una volta a quanto dice l’autrice nell’introduzione, proviamo a spiegare come
andarono le cose. Le esigenze determinate dal problema della decorazione di
Westminster avevano spinto la Commission
of Fine Arts ad assegnare a un ‘fine gentleman fully competent to the task”
[16] il compito di indagare i metodi seguiti dagli antichi maestri per
realizzare i loro affreschi. Senonché il risultato finale (pubblicato in
occasione del Terzo Rapporto della Commissione alla Regina nel luglio 1844)
aveva evidenziato che restavano ancora dei dubbi: “the problems yet to be
solved are, the speedier preparation of lime, adapted for fresco painting, and
the preparation of durable colours of the more florid kind such as lake and crimson.” [17] Da qui parte la ricerca
della Merrifield, che nella sostanza si divide in tre parti: la prima,
costituita da un’introduzione di oltre cinquanta pagine, vede l’autrice
impegnata in un esame serrato di tutti i pigmenti citati nei trattati presi in
considerazione nella parte successiva e nel fare riferimento alle risultanze
chimiche conosciute sugli stessi. Per dirla in due parole, posto che i trattati
sono scritti in lingue diverse e risalgono a periodi diversi non esiste
uniformità e certezza innanzi tutto sul nome dei pigmenti; la Merrifield parte
dalle fonti e si rifà ad evidenze scientifiche per fare ordine in materia. La
sezione successiva (che in realtà è indicata come prima parte) riporta in ampi
estratti le prescrizioni in materia di affreschi di Vitruvio (nell’edizione
allestita da Felipe de Guevara e pubblicata da Mengs nel 1788), Teofilo, Leon Battista Alberti, Cennino Cennini, Vasari (nella sezione delle Vite dedicata alle tecniche artistiche),
Borghini, Armenini, Andrea Pozzo, Pacheco, Palomino e John Martin. La terza
sezione (la Parte seconda del libro) presenta ulteriori brevi estratti da tutta
una serie di autori della letteratura artistica: Alessandro da Morrona (Pisa Illustrata), Vasari (questa volta
dalle biografie delle Vite), Lanzi,
Bottari-Ticozzi, Malvasia, Baldinucci, Ridolfi, Giovanni Gaye, Mengs, Bellori
[18].
Ancora una volta, parlare
semplicemente di traduzione è del tutto riduttivo. Ma, con riferimento proprio alle
traduzioni, bisognerà ricordare che nell’introduzione la Merrifield segnala
come le prime bozze delle medesime siano state eseguite (e poi da lei riviste)
dai figli Charles e Frederick: a tradurre dall’italiano è stato Charles; dallo
spagnolo Frederick. E – permettetemi – si rimane strabiliati al pensiero che,
essendo la traduzione stata operata nel 1845, Charles risultava avere 18 anni e
Frederick 14! Sia Charles sia Frederick, peraltro, saranno, da grandi eminenti
scienziati: Charles sarà un famoso matematico e Frederick diverrà presidente
della Royal Entomological Society. Se
si pensa che loro padre era avvocato, è ancor più strabiliante notare come, in
ultima analisi, a influenzare le loro scelte professionali siano stati gli
interessi scientifici della madre: un altro fatto straordinario
nell’Inghilterra vittoriana.
GLI ANNI DELLA CONSACRAZIONE
Il successo di The Art of Fresco Painting è notevole, e
il nome della Merrifield, evidentemente, viene tenuto in considerazione dagli
esperti del settore esattamente come se avessero a che fare con un uomo.
Nell’autunno del 1845 (prima quindi che esca il lavoro sull’affresco) la Merrifield
è incaricata dal Governo inglese (quindi da Robert Peel) di andare nell’Italia
del Nord e di cercare di rintracciare manoscritti che testimonino questa volta
le tecniche seguite dai maestri italiani in merito alla pittura ad olio [19].
Ancora una volta Mary parte, questa volta appunto su incarico ufficiale del
governo inglese. Grazie alle sue credenziali, le si spalancano le porte delle
biblioteche più importanti e di quelle più piccole. Ma, naturalmente, noi del
viaggio della Merrifield non sappiamo nulla. Non sappiamo che tragitto seguì,
non sappiamo con chi lo fece, anche se in almeno due situazioni viene citata la
presenza di un figlio (che presumiamo sia Charles, che si era occupato di
tradurre dall’italiano anche gli scritti in The
Art of Fresco Painting), non sappiamo quando viaggiò. Nell’assoluta (e
dolorosa) mancanza di qualsiasi documentazione, noi però qualche cosa siamo in
grado di dirla. L’opera che derivò dall’esperienza italiana, ovvero The Original Treatises, è in realtà
disseminata di tante briciole di pane che permettono, come nella favola di
Pollicino, di ricreare un itinerario, sia pur molto parziale. E’ quello che
abbiamo fatto e che proporremo alla vostra attenzione in un prossimo commento.
E’ estremamente probabile che il
viaggio della Merrifield si sia svolto nel 1846. Alla notazione iniziale che
l’incarico le era stato dato nell’autunno del 1845 segue quella che “comunicai
i punti più importanti riferiti alla ricerca a Sir Robert Peel nell’ottobre del
1846”. Tenuto conto, poi, che normalmente d’inverno non si viaggiava, appare
logico circoscrivere la visita italiana della scrittrice di Brighton al periodo
compreso fra la primavera e l’autunno del 1846.
Al di là dei risultati pratici
della ricerca della Merrifield (che la lasciano parzialmente insoddisfatta in
particolare con riferimento alla reticenza degli interlocutori veneziani – una
donna incontentabile: l’opera è meravigliosa ed è tuttora citata come una
pietra miliare della disciplina della storia delle tecniche artistiche -) il
soggiorno italiano porta alla Merrifield un riconoscimento personale che la
riempie di soddisfazione. Il 21 febbraio 1847, quando l’autrice è probabilmente
già tornata in Inghilterra, la Merrifield è proclamata membro onorario
dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Mary sarà talmente orgogliosa
dell’onorificenza attribuitale che lo farà scrivere, ad esempio, sul
frontespizio degli Original Treatises
[20].
La pubblicazione di questi ultimi,
avvenuta nei primi mesi del 1849 (ma la prefazione è datata 6 novembre 1848) segna
la definitiva consacrazione della Merrifield e dimostra come la scrittrice di
Brighton abbia raggiunto la piena maturità. Rispetto al compito originale
(quello di raccogliere e tradurre fonti relative alla pittura ad olio)
l’autrice si è spinta assai più in là, come dimostra il titolo completo dell’opera.
Il suo lavoro si estende anche alle tecniche miniatorie, ai mosaici e alla
pittura su vetro; alle dorature, alle tinture, alla preparazione dei colori e a
quella di gemme artificiali. I trattati presentati (più o meno lunghi, quasi
sempre in edizione integrale con testo originale e traduzione a fronte) sono
una dozzina. Fin qui stiamo parlando di cose note; ciò che stupisce è che ben
poco si parli dell’introduzione, che supera le 300 pagine (!) e in cui la
Merrifield distilla tutto il suo sapere. Una prima parte è dedicata all’esame
storico delle singole tecniche artistiche (esclusa la pittura ad olio); la
seconda – che riguarda invece i risultati ottenuti in merito alla pittura ad
olio – si divide a sua volta in quattro aree: a) la trascrizione delle
testimonianze fornite da artisti e restauratori italiani nel corso del viaggio
della Merrifield nella nostra penisola; b) la spiegazione di quali siano i
pigmenti utilizzati in pittura (naturali e artificiali), delle loro proprietà
chimiche, e dei diversi modi con cui spesso sono stati chiamati; c) la
descrizione dei modi con cui si creano olii e vernici; d) ed infine il
resoconto delle procedure usate nel dipingere. [21]
Una copia degli Original Treatises con la firma di Frederick Merrifield (uno dei figli di Mary) Per gentile concessione di Alexandra Loske |
Parleremo diffusamente dei
singoli trattati; evidenzieremo altri aspetti legati al gusto estetico e
all’approccio scientifico dell’autrice. Qui ci preme far notare come la
bibliografia citata dalla Merrifield sia letteralmente sterminata. Posto che
sono così poche le tracce lasciate da Mary credo davvero che sarebbe il caso di
sfruttarle al massimo: è auspicabile che prima o poi venga redatta una lista
completa dei testi citati nell’opera per capire la molteplicità degli influssi
e la pluralità degli interessi della scrittrice di Brighton.
LE ARTI APPLICATE E LA MODA
Non c’è alcuna contraddizione se
negli anni successivi la Merrifield, oltre a manuali pratici contenenti
consigli per chi vuol dipingere ad acquerello, scriva prima un saggio in
occasione dell’Esposizione Universale di Londra del 1851 in cui si occupa della
maniera sbagliata in cui i produttori inglesi hanno allestito i loro campionari
di tessuti [22] e poi un libro sulla moda [23], pubblicato qualche mese dopo
anche in edizione americana. Caroline Palmer lo dimostrerà nel secondo dei
suoi interventi. In entrambi i casi la Merrifield pone l’accento sul fatto che
l’abbinamento dei colori non è una questione innata di gusto, ma una disciplina
scientifica, che chiunque può studiare e che è retta da leggi ben precise. E’
evidente l’influenza esercitata sulla Merrifield da un lato dalla Teoria dei colori di Goethe, tradotta in
inglese da Charles Lock Eastlake nel 1840 [24], dall’altro dai principi sul
contrasto armonico dei colori del chimico francese Michel Eugène Chevreul [25].
L’esemplificazione delle leggi del colore tramite pitture e sculture che
rientrano nel campo delle Belle Arti può permettere a chiunque di cogliere il
senso delle regole da seguire. La Merrifield, insomma, fa divulgazione scientifica,
esattamente come nel caso dei trattati di tecniche artistiche.
LE SCIENZE E LA BOTANICA
Nel 1857 il governo inglese
assegna alla Merrifield una pensione come riconoscimento per i servizi forniti
a favore dello sviluppo dell’arte nel Paese. E, tuttavia, la Merrifield non
scriverà più d’arte. Rivolgerà invece altrove i suoi interessi scientifici.
Sembrerebbe peraltro che l’attenzione di Mary si sia rivolta innanzi tutto alla
descrizione di quella Brighton a cui la scrittrice era evidentemente profondamente
legata. E se un primo titolo, uscito proprio nel 1857 (Brighton, Past and Present: A Handbook for Visitors and Residents
[26]), fa pensare a una vera e propria guida per il forestiero che visita la
cittadina, un secondo, del 1860, svela che il vero interesse è per il
patrimonio naturalistico di Brighton e per la classificazione di flora e fauna:
A Sketch of the Natural History of
Brighton and Its Vicinity [27]. Da questo momento in poi l’attenzione della
Merrifield si sposta decisamente sulla botanica. Può sembrare un passaggio
brusco, e probabilmente lo è, ma lo appare molto meno se si pensa che anche
l’arte, per la scrittrice di Brighton, era in ultima analisi, scienza. Sugli
ultimi trent’anni di vita, e sui suoi studi botanici non mi soffermerò, salvo
far presente alcune cose (desunte soprattutto dal lavoro della Palmer a cui si
rinvia): a) l’Oxford Dictionary of
National Biography la cita come “art writer and algologist”; b) Mary
pubblica sino alla morte su giornali scientifici come Nature; c) nel corso dei suoi studi le viene dedicato il nome di
un’alga che si trova negli oceani dell’Australia Occidentale [28]; d) Mary
collaborò alla creazione del Brighton Museum
& Art Gallery; i materiali da lei forniti sono stati ricollocati presso
il Booth Museum [29]; e) dopo il 1877
(ovvero dopo la morte del marito) Mary si trasferì a Cambridge, a casa della
figlia, Emily Katherine, maritata con Charles Daw, e qui rimase fino alla
morte. Presso la Plant Sciences Library
di Cambridge è presente sua corrispondenza relativa però solo agli
interessi botanici. Alla morte, l’erbario della Merrifield fu trasferito alla British Library e da qui presso il Natural History Museum di Londra, dove
tuttora si trova [30].
Scheda tecnica della Nanopera merrifildiae (http://www.flora.sa.gov.au/efsa/Marine_Benthic_Flora_SA/Part_IIID/Nanopera_merrifieldiae.shtml) |
IL METODO SCIENTIFICO DI MARY PHILADELPHIA MERRIFIELD
Credo che, negli Original Treatises, esista un passaggio
ben preciso che aiuti a capire in che modo la Merrifield intendesse la scienza,
questa branca del sapere che abbiamo visto essere il filo conduttore di tutta
la sua vita. Parlando di artisti che avevano storicamente posseduto capacità
matematiche fuori dal comune, l’autrice dice (a p. LXV della sua introduzione):
“I nomi dei pittori che hanno posseduto grandi capacità matematiche
sono molti. Ma l’uomo più importante fra i moderni fu senza dubbio Leonardo da Vinci, che fu contemporaneamente pittore, poeta, musicista, matematico e
filosofo della natura e – come dicono alcuni – anche architetto e scultore; la
sua sagacia anticipò Bacon nel dichiarare che gli esperimenti devono precedere
la teoria”.
Il riferimento a Francis Bacon
(1561-1626), filosofo empirista della rivoluzione scientifica non poteva essere
più calzante. Non vi è dubbio che la cultura della Merrifield sia impregnata
dell’empirismo baconiano, volto a rappresentare la natura tramite la sua
attenta osservazione e a tentare di capirne i fenomeni in via sperimentale per
fornire applicazioni utili al genere umano. Nel caso di specie non siamo di
fronte alla semplice riproposizione di scoperte od osservazioni altrui (che
pure vi sono in abbondanza), ma proprio ad iniziative che si possono
perfettamente calare nel metodo scientifico e che sono frutto dell’iniziativa
della Merrifield stessa. Palmer, nel suo “Mary Philadelphia Merrifield and the
alliance with science” cita un esempio assai calzante con riferimento a The Art of Fresco Painting [31]:
“Feci
in modo di polverizzare un campione di ematite cristallizzata e, dopo aver lavato
la polvere e spazzato via le particelle più leggere, trovai una parte di ferro
che si era depositata sul fondo. Dopo averla rimossa il colore sembrava essere
più puro. Inoltre ho calcinato un’altra parte del minerale e l’ho trovata
divisa in piccole scaglie, nella maniera descritta."
Ma di esempi di esperimenti
scientifici condotti dalla Merrifield, all’interno degli Original Treatises, se ne possono trovare decine: a titolo di
esempio citerò le pp. CCXXXIV
(stiamo parlando di rendere puri gli olii da adoperare per dipingere) in cui si
legge: “Some time since I tried this recipe, and found that in proportion as
the oil lost its colour, the spirit of wine acquired it, and the mucilage
separating, was carried to the bottom of the bottle with the lavender flowers”.
E poco più in là: “This method of purifying linseed-oil I have also tried, and
found it is very successful in removing the mucilage”. E a pag. CCXXXV:
“It may, hovewer, be
interesting to state, that I have bleached and clarified linseed-oil by the
following process… A bottle was filled, about one third with oil, another third
with water; it was then corked and shaken, until the water and oil were mixed
like an emulsion, when the cork was removed, and a piece of muslin tied over
the bottle, which was placed on the boiler of a kitchen-range, and kept in a
moderate heat day and night. The oil was shaken every day (the muslin being
first removed and the cork inserted in the bottle) for a few days, and then
suffered to clear. In about a week the oil was removed from the water into another
bottle, and the process was repeated for several weeks until the water below
the oil ceased to appear milky, and the oil itself was clear and colourless.
During this experiment I observed that the mucilage was thrown down sooner if
warm water was added to the oil instead of cold, and that the oil separated
more rapidly from the water when the bottle was exposed to a gentle and regular
heat, although in a dark situation, than when it was placed in the variable
warmth of a sunny day. The addition of salt or sand accelerates the
clarification of the oil”.
Chiedo scusa se sono stato lungo.
L’ho fatto perché una domanda sorge spontanea: dopo aver letto tutto ciò, si
può definire la Merrifield col termine riduttivo di “traduttrice”?
Assolutamente no. La Merrifield è una scienziata a tutti gli effetti. E se
proprio ad altri esempi di traduttori ci si deve rifare – naturalmente con
pieno beneficio d’inventario – la figura a cui mi vien fatto di accostarla è
quella di Daniel V. Thompson, curatore nel 1933 della terza (e ancora per poco
ultima) edizione in inglese del Libro
dell’Arte di Cennino Cennini che dichiara: “il compito del traduttore di tecniche
artistiche non è solo quello di risparmiare al lettore la seccatura di
consultare un dizionario ma assai di più di scoprire e rappresentare il
significato e le intenzioni dietro alle parole del testo” [32].
L’ESTETICA DELLA MERRIFIELD
Alla fine della sua lunga
introduzione negli Original Treatises,
la Merrifield si scusa per non aver parlato del piacere da lei provato
nell’ammirare i capolavori dei Maestri italiani nel corso del suo viaggio nella
nostra penisola; non era questa – ci dice - l’occasione per farlo.
La domanda sorge spontanea: quali
erano i gusti di questa donna, che aveva reperito manoscritti che andavano
dall’VIII secolo fino ai suoi giorni? La risposta, ancora una volta, si trova
nei testi, ed in particolare – questa volta – nell’introduzione al Libro dell’Arte, pubblicato nel 1844 (a
pag. VII).
“In the pictures of
the period of which we are now speaking, we meet with none of the beautiful
demi-tints and broken colours observable in pictures of a later period; every
colour is distinct and forcible, and the figures appear as if inlaid upon the
ground. There is no harmonising, or lowering, or reflecting of one colour upon
another; no optical arrangement or balancing of the colours, and a glimmering
only of the light of perspective and chiaro-scuro. The pictures can scarcely be
said to consist of a whole, but of various parts; and we find, accordingly,
that they can be, and have been, cut down into smaller pictures without
suffering material injury” [33].
Togliamoci dalla testa, dunque,
che alla Merrifield piaccia la pittura dei primitivi italiani o che ne voglia
recuperare la purezza e la spiritualità (anzi: si è scusata poco prima per il
forte sentimento religioso di cui sono intrisi, che agli occhi degli anglicani
potrebbe sembrare blasfemia). Non siamo di fronte a una Pre-Raffaellita precoce,
insomma (la Confraternita dei Pre-Raffaelliti viene fondata nel 1848). Il
lavoro della Merrifield ha fini meramente pratici: capire come mai i colori dei
quadri dei primitivi italiani si sia conservato così bene e (vale di più per The Art of Fresco Painting) insegnare
agli artisti inglesi la tecnica dell’affresco. In questo senso la Merrifield si
inserisce perfettamente e in maniera del tutto allineata con una serie di
iniziative promosse direttamente dal governo inglese per il miglioramento della
scuola pittorica inglese e che, sul fronte dei trattati di tecniche artistiche,
comprendono quanto meno anche la traduzione del trattato di Teofilo da parte di
Robert Hendrie [34] e il primo volume della celebre opera sulla pittura ad olio
di Charles Lock Eastlake [35].
La Merrifield, dunque, è su
posizioni accademiche (le stesse di Eastlake). Ama i quadri di Reynolds, di
Rubens, e, naturalmente, fra gli italiani il colorismo veneziano.
L’AMORE PER I COLORI
Se c’è una cosa che emerge
nettissima leggendo le opere della Merrifield è il suo amore sconfinato per i colori;
un amore che sta, di fatto, alla base delle sue ricerche, che la induce ad
indagare le proprietà dei pigmenti e la loro storia, che la spinge a viaggiare,
a visitare le biblioteche e gli archivi del Nord Italia e in particolare di
quella Venezia che è la patria del colore, che le impone di recarsi al
capezzale di un “professore” parmense che ha studiato a lungo la pittura ad
olio e che si trova gravemente malato (probabilmente morente) pur di scoprire
qualcosa sul colorito di Correggio [36]; che la vede a Venezia (raggiunta da un
dispaccio secondo cui Pietro Edwards [37] avrebbe scoperto il metodo di
dipingere ad olio degli antichi maestri veneziani e l’avrebbe venduto al
governo di Venezia) cercare di penetrare (a volta anche in maniera un po’
furtiva) il muro di silenzio e la “gelosia” locale (p. 848) per mettere le mani
su un manoscritto di tale importanza.
La Merrifield non ci relaziona
sui quadri che ha visto; nelle (poche) occasioni in cui lo fa, non parla di
dipinti. Parla di colori. L’esempio più eclatante è riferito a un quadro non
finito all’epoca attribuito a Leonardo e conservato alla Pinacoteca di Brera,
una “Madonna col Bambino e l’agnello” [38]. Leggiamo come la descrive la Merrifield:
“This very interesting
picture has been mentioned by Mr. Eastlake (‘Materials’, p. 392), but as I have
alluded to it several times, I shall give a description of it from my own
memoranda [n.d.r.
prova certa, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la Merrifield teneva dei
taccuini e che purtroppo al momento sono smarriti]: - The picture represents the Virgin and Child with the Lamb. It is
painted on a white ground, which has a yellowish tint, apparently from being
covered with varnish. The ground is full of small hair-like cracks. The subject
is drawn with a black pencil. The sky and distance are finished with blue and
white, with a slight greenish tint. There is a rock behind the figures, the
colour of which, with the earth around, is of a very dark brown, probably
formed of black and majorica and a little lake. A space between the distance
and rocky ground is left quite blank, the white ground appearing. The face of
the Virgin is more finished than the rest of the picture; it was apparently
began in chiaroscuro with the usual brown – the gray shades incline to black,
the lights on the face to lake. The face of the Infant is nearly finished. The
hands are just sketched in lightly with the same water colours. The same may be
observed with respect to the toes: the black pencil-marks are visible on the
nails. The drapery, which is scarlet, appears to be formed of earthy reds, with
vermilion on the lights. The outer drapery is red also, and is lined with a
yellowish green, or perhaps this was to be a changeable drapery, since the
shades are red and the lights green. These were Lionardo’s favourite colours
for drapery. The sleeves of the Virgin, part of the mantle, indeed all that
part covering her knees, part of the Infant’s drapery, and the whole of the
Lamb are left quit blank, excepting that the outline of her knee is marked in
pencil. This shows that Lionardo sometimes finished portions of his pictures,
leaving the rest untouched, instead of beginning on all parts equally, or even
of painting the subject in chiaroscuro. The darks are raised higher than the
lights, and the foliage is minutely worked on the dark background. My
impression is that this picture was begun upon a non-absorbent white ground,
and that the yellowish tint is owing to the varnish with which it has been
covered”. [39]
Ancora una volta la stessa
domanda sorge spontanea: si può definire la Merrifield solo una traduttrice?
Sicuramente no. Qui l’autrice di Brighton dà il massimo di sé, si eleva al
rango di conoscitrice e ci rende ben consapevoli di quanto sarebbe importante
riuscire a recuperare i suoi taccuini.
LA MERRIFIELD E I PRE-RAFFAELLITI
L’accostamento viene naturale: la
traduzione del Libro dell’Arte è del
1844, il trattato sulle tecniche per l’affresco è del 1846; d’altro canto la
Confraternita dei Pre-Raffaelliti, con la loro rivalutazione di un’arte più
spirituale e semplice, la fascinazione per le tecniche antiche ed i temi
medievali, viene fondata nel 1848. I Pre-Raffaellitti vengono influenzati dalla
Merrifield?
Non ho una risposta netta. Mi
stupirei se i Pre-Raffaelliti non avessero letto i trattati della Merrifield,
che – lo si ricordi – non sono gli unici in quegli anni ad indagare le antiche
tecniche; mi stupirei anche se non vi avessero attentamente riflettuto sopra e
non ne fossero stati in qualche modo influenzati. D’altro canto è pur sempre
vero che l’opera della Merrifield si inquadra perfettamente nell’azione del
governo inglese, sostenuta dalla Royal Academy, volta a migliorare il livello
di una pittura sostanzialmente accademica tramite la riscoperta degli Antichi
Maestri. I Pre-Raffaelliti sono invece ideologicamente contrari agli
insegnamenti dell’Accademia.
Che io sappia ci sono stati
almeno due tentativi di stabilire un legame diretto (da un punto di vista
tecnico) fra Merrifield e Pre-Raffaelliti. Il primo è testimoniato dalla
biografia della studiosa inglese scritta da Adele Ernstrom nel Dictionary of Art dell’editore Grove [40].
Qui la Ernstrom dice che il
lavoro dell’autrice di Brighton ebbe “effect practise, especially among the
Pre-Raphaelites: her emphasis on the historical and aesthetic value of white
grounds to colour purity was probably strategic for their rejection of tonal
painting and adoption of the wet ground
technique” [41]. Non vi è dubbio che la riscoperta dei fondi bianchi sia
di quegli anni, ma va detto, peraltro, che era un’acquisizione proposta anche
da Eastlake. Un secondo legame viene
proposto da Alison Smith nel volume Pre-Raphaelites.
Victorian Avant-Gard (Londra, Tate Publishing, 2012). Il saggio è stato poi
tradotto in italiano e pubblicato nel 2014 in occasione sulla mostra dei
Pre-Raffaelliti tenutasi a Palazzo Chiablese a Torino [42]. Scrive la Smith:
“Più in generale, l’interesse per le tecniche utilizzate dai pittori del primo
Rinascimento fu alimentato da varie pubblicazioni quali, nel 1844, la
traduzione di Mary Philadelphia Merrifield del volume trecentesco di Cennino
Cennini Il libro dell’arte, seguita
nel 1849 dal suo Original Treatises… on
the Arts of Painting. Qui l’autrice raccomandava per purezza e stabilità i
pigmenti prodotti dallo studioso e fabbricante di colori George Field,
dichiarandoli l’approssimazione più vicina a quelli usati dai primi pittori
italiani; questo appunto ebbe molto effetto sui Preraffaelliti, che impiegarono
regolarmente i pigmenti di Field”. Ora, io davvero chiedo scusa, ma non ho
trovato in entrambe le opere citate un invito ad utilizzare i pigmenti di
Field. Ho trovato, invero, grande attenzione per Field e la sua opera
principale, la Cromatografia [43], i
cui pigmenti vengono messi a confronto con quelli esposti nell’opera di Cennino
[44]. Fra l’altro, non si può nemmeno dire che Field fosse sconosciuto agli
ambienti artistici inglese: già nel 1835 era considerato il principale
fornitore di colori per i pittori professionisti inglesi [45]. Non ci sembra
cioè che fosse necessaria la Merrifield perché a lui si rivolgessero i
Pre-Raffaelliti.
In conclusione: che una qualche
influenza della Merrifield e di quel tipo di letteratura artistica ci sia stata
sui Pre-Raffaelliti è fuori di dubbio; quanto detto fino ad oggi non mi pare
abbia individuato tuttavia un legame specifico e, comunque, questo legame deve
essere limitato ad aspetti meramente tecnici, posto che l’impostazione
filo-accademica degli studi della scrittrice di Brighton si pone in rotta di
collisione con il movimento fondato nel 1848.
LA MERRIFIELD OGGI
Spero di aver dato sufficiente
prova che la statura della Merrifield non è stata secondaria. I contributi che
verranno pubblicati di qui a breve esamineranno singoli aspetti dei suoi
interessi. Certo, Mary, come si diceva all’inizio, è una figura difficilmente
inquadrabile, se ad esempio non si tengono a mente i suoi interessi
scientifici. E tuttavia, ci sembra che, con gli anni, questi interessi siano
stati in qualche modo dimenticati a favore dell’opera filologica e di
traduzione dei testi che, per prima, portò all’attenzione della comunità degli
studiosi di storia delle tecniche artistiche. E’ un fenomeno
comprensibilissimo. Purché non si pensi di giudicare la Merrifield per qualche
errore di trascrizione o qualche incompletezza degli stessi testi. E la si
torni a valutare così come fu: una donna speciale, che seppe imporsi
all’attenzione degli specialisti nell’Inghilterra di età vittoriana; e,
soprattutto, una donna che amava i colori.
NOTE
[1] Mary Philadelphia Merrifield, Original Treatises, dating from the XIIth to
XVIIIth centuries on the Arts of Painting, in oil, miniature, mosaic, and on
glass; of gilding, dyeing, and the preparation of colours and artificial gems;
preceded by a general introduction; with translations, prefaces, and notes.
Due volumi. Londra, John Murray, 1849.
[2] Non entriamo nei particolari
del sistema giudiziario inglese: va comunque detto che il padre di Mary era un
avvocato ‘di livello superiore’ rispetto al marito (ma sarebbe sbagliato
pensare alla differenza che esiste in Italia fra avvocati cassazionisti e non
cassazionisti).
[3] Pigot & Co’s, Directory for Sussex, 1840. Per la definizione di ‘Gentry’
si veda http://en.wikipedia.org/wiki/Gentry
[4] Si veda Caroline Palmer, Mary Philadelphia Merrifield and the
alliance with science.
[5] Julie Sheldon scrive (con
riferimento a Elizabeth Rigby, futura Lady Eastlake) che nell’Inghilterra
vittoriana uno dei modi più virtuosi con cui una donna poteva pensare di
contribuire al reddito familiare era quello di occuparsi di traduzioni (si veda
Susanna Avery-Quash e Julie Sheldon. Art for the Nation. The Eastlakes
and the Victorian Art World, Londra, The National Gallery, 2011, p. 58). Appare ragionevole
(ma del tutto ipotetico) pensare che Mary avesse studiato le lingue e
cominciato un’attività di traduzione anonima o sotto falso nome per dare una
mano alle sorti economiche della famiglia d’origine (ricordo che il padre era
morto quando lei aveva quattro anni). Ad ogni modo se problemi economici vi
furono, riguardarono la famiglia di provenienza, e non quella che Mary mise in
piedi con John Merrifield.
[6] A
Treatise on Painting written by Cennino Cennini in the year 1437; and first
published in Italian in 1821, with an introduction and notes, by Signor
Tambroni: containing practical directions for painting in Fresco, Secco, Oil
and Distemper, with the Art of Gilding and Illuminating Manuscripts adopted by
the Old Italian Masters. Translated by Mrs. Merrifield with an Introductory
preface, copious notes, and illustrations in outline from celebrated pictures.
Londra: Edward Lumley, 1844.
[7] Per quanto riguarda la
fortuna del trattato cenniniano e le sue traduzioni a partire dalla princeps di Tambroni (1821) mi permetto
di rimandare a Giovanni Mazzaferro, Cennino
Cennini e il “Libro dell’Arte”: censimento delle edizioni a stampa,
pubblicato online sul blog
L’indirizzo corretto è
[8] La lettera compare
effettivamente a pag. 172 (seconda colonna in basso) del numero di ottobre 1841
dell’Art Union, sotto la sezione
CORRESPONDANCE e con il titolo WORKS ON ART. E’ siglata “H.”. Posto che non ci
sembra che nessuno l’abbia fatto riportiamo quanto meno la parte iniziale:
“Sir, - The subject of Vehicles having been
brought before the public by your talented correspondent, J.E., in the two last
numbers of your excellent periodical, allow me to suggest that the following
authorities, quoted by Lanzi [n.d.r. l’abate Luigi Lanzi nella sua Storia Pittorica dell’Italia] be
forthwith sought for and translated.
1st. The MS of Andrea Cennini,
bearing date 1437, upon Painting. It is preserved in the library of S. Lorenzo,
at Florence.
2nd The Treatise of Theophilus…”
La lettera prosegue proponendo le
traduzioni del Malvasia, di Palomino, della Carta
del navegar pitoresco di Boschini, di Zanetti, del Lomazzo e di Armenini.
“The above works, faithfully and
judiciously translated by a person conversant with terms of Art and with Art
itself, would confer an immense advantage at the present time upon the
profession in all its branches. I say faithfully and judiciously; faithfully,
as being substantially correct; judiciously, as to the omission of all matter
which does not strictly refer to Art.
Should it be necessary, in order to carry into
effect the plan I have proposed, to raise a subscription for the purchase of
the works referred to, I shall be most happy to contribute the sum of one
guinea”.
Il numero di ottobre dell’Art
Union può essere letto qui:
[9] Si veda nota 8.
[10] Per una visione “di genere”
dell’attività della Merrifield, così come per un esame delle reazioni allo
scritto si rimanda senz’altro agli scritti di Caroline Palmer.
[11] Si veda la mia recensione a
Susanna Avery Quash e Julie Sheldon: Art
for the Nation… (cit), pubblicata online all’indirizzo http://letteraturaartistica.blogspot.it/2014/03/susanna-avery-quash-julie-sheldon-art.html
[12] Mary Philadelphia Merrifield. The Art of Fresco Painting, as practised by
the old Italian and Spanish masters. Londra, C. Gilpin, 1846.
[13] E’ la stessa Merrifield a
raccontarcelo, a p. 1 n. 2 dei suoi Original
Treatises.
[14] Si vedano ancora una volta
gli Original Treatises, p. X della
prefazione.
[15] Original
Treatises, cit. p. 1 n. 2.
[16] The
Art of Fresco Painting…, cit., p. V.
[17] Art
of Fresco Painting…, cit, p. XII.
[18] A titolo di curiosità, ma
anche a testimonianza della sensibilità della Merrifield, bisognerà segnalare
che l’estratto dal Carteggio inedito di
artisti di Giovanni Gaye riguarda le pagine del celeberrimo Diario di Pontormo pubblicate (postume)
nel III volume dell’opera (1840), ma all’epoca sostanzialmente sconosciute in
Inghilterra.
[19] Original
Treatises,… cit., p. VII.
[20] Ho recuperato l’informazione
presso l’Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Si veda in
particolare: Atti della Pontificia
Accademia di Belle Arti, Processi verbali del Segretario Cesare Prof. Masini
dal 1845 al 1855, Sessione della Domenica 21 Febbraio 1847 che così
recitano: “Sono proposti, ed acclamati accademici d’onore: la celebre Signora
Mary Philadelphia Merrifield di Brighton traduttrice del Trattato di Cennino
Cennini, e lo Scultore romano Alessandro Massimiliano Laboureur Cavaliere”.
[21] Original
Treatises, p. CXVII.
[22] Mary Philadelphi Merrifield, The Harmony of Colours as exemplified in the
Exhibition in Crystal Palace
Exhibition Illustrated Catalogue, Londra, 1851.
[23] Mary Philadelphia Merrifield, Dress as a Fine Art, Londra, Arthur
Hall, Virtue and Co., 1854.
[24] Johann Wolfgang Goethe, Theory of Colours, Londra, John Murray,
1840. Traduzione in inglese di Charles Lock Eastlake.
[25] Michel-Eugène Chevreul, De la loi du contraste simultané des
couleurs (Parigi, 1839). L’opera fu tradotta in inglese solo nel 1854; la
Merrifield, che la cita già nel saggio sui tessuti, la conosceva quindi in
francese. Non vi è dubbio che la Merrifield sia la divulgatrice del pensiero di
Chevreul in Inghilterra. Chevreul era, fra le altre cose, il direttore della
celeberrima manifattura tessile di Gobelins. Tutti i suoi studi sui colori partono
dalle lamentele che aveva ricevuto in merito alla scarsa efficacia
nell’accostamento dei colori in alcuni prodotti manifatturieri di Gobelins.
Come si vede, l’intento di Chevreul è chiaramente identico a quello della
Merrifield in Inghilterra una dozzina d’anni dopo. Peraltro, l’impressione è
che il pensiero di Chevreul abbia profondamente permeato tutta la famiglia
Merrifield. Chevreul, fra le altre cose, era un nemico accanito dello
‘spiritualismo’, ovvero di quella passione per il paranormale che si era
diffusa un po’ in tutta Europa in quegli anni e che vedeva il proliferare di
presunti medium in grado di colloquiare coi defunti nel corso di sedute
spiritiche. Nel 1855 Frederick Merrifield, il povero terzogenito che la mamma
faceva tradurre dallo spagnolo a 14 anni, partecipa a Londra a una seduta
spiritica e denuncia il medium Daniel Dunglas Home come ciarlatano. E’
impossibile che Frederick non conoscesse le tesi di Chevreul. Si veda http://en.wikipedia.org/wiki/Frederick_Merrifield.
[26] Mary Philadelphia Merrifield, Brighton, Past and Present: A Handbook for
Visitors and Residents, 1857. Ristampato nel 2011 dalla British
Library, Historical Print Editions. Non ho avuto modo di consultarlo.
[27] Mary Philadelphia Merrifield, A Sketch of the Natural History of Brighton
and its Vicinity, Brighton, 1860 (ma la prefazione è del giugno 1859). L’opera
è consultabile online a questo indirizzo: http://books.google.it/books?id=DzIIAQAAIAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
[28] L’alga è la Rytiphlaea merrifildiae o Nanopera merrifieldiae. Qui la sua
scheda tecnica: http://www.flora.sa.gov.au/efsa/Marine_Benthic_Flora_SA/Part_IIID/Nanopera_merrifieldiae.shtml
Questo episodio naturalmente mi
incuriosisce molto. Anche se non ho operato alcuna ricerca in merito, il
sospetto è che la cosa possa avere qualcosa a che fare con la permanenza in
Australia del quarto figlio, Edwin John, che lì muore nel 1887. Cosa sia successo
non lo so: che il figlio spedisse le alghe alla madre o che fosse lui a
cercarle, preso anch’egli dall’interesse per la scienza che era un vizio
materno, questo davvero non lo so. Ad essere sinceri, non mi stupirei nemmeno
se un giorno venissi a sapere che Mrs. Merrifield fece un viaggio in Australia.
Edwin John Merrifield è sepolto
in un piccolo cimitero australiano
[30] Si veda il secondo saggio di
Caroline Palmer.
[31] The
Art of Fresco Painting… cit., p. XXVIII.
[32] Si veda Mark Clarke, Pentimenti: riflessioni di D.V. Thompson
sulla sua traduzione di Cennini, pubblicato online sul blog ‘Letteratura
artistica’ all’indirizzo
Più in generale, è evidente che esiste una netta demarcazione fra tutte e tre
le traduzioni inglesi del Libro dell’Arte
(Merrifield, Herringham – con la rivalutazione della pittura a tempera – e
Thompson) rispetto a quelle italiane, francesi o tedesche (si veda il mio
censimento sulle edizioni a stampa citato alla nota 7). La differenza sta nella
scientificità della ricerca, a spese (forse) della correttezza filologica del
testo. E sarà così, molto probabilmente, anche per l’ormai imminente quarta
edizione, a cura di Lara Broecke, restauratrice, famosa per aver realizzato un
grande crocifisso per un luogo di culto a Cambridge seguendo esattamente le
istruzioni fornite da Cennino. Tutte le informazioni sono reperibili qui:
[33] Sta alludendo allo
smembramento dei polittici medievali, una cosa impensabile – continua un po’
più in là – per i grandi dipinti della scuola veneziana moderna.
[34] An
Essay Upon Various Arts in Three Books by Robert Hendrie, called also Rugerus,
Priest and Monk, Forming an Encyclopaedia of Christian Art of the Eleventh
Century, translated with notes by Robert Hendrie, Londra, John Murray,
1847.
[35] Charles Lock Eastlake, Materials for a History of Oil Painting. Vol.
I, Londra, Brown, Green and Longmans, 1847.
[36] Original
Treatises… cit. pp. CXLVII-CXLVIII.
[37] Artista e restauratore
veneziano. Si veda Luciano Mazzaferro. Gli
Original Treatises di Mary Philadelphia Merrifield. Parte III I manoscritti
facenti capo alla famiglia Edwards.
[38] Nei suoi Materials del 1847 Eastlake ne parla con
certezza come di “unfinished Leonardo”. Senonché, nei suoi Taccuini del 1854 calibra il tiro e scrive che sicuramente il
Bambino non è di mano di Leonardo (cfr. The
Travel Notebooks of Sir Charles Eastlake, a cura di Susanna Avery-Quash,
The Walpole Society, 2011. Taccuino 6 foglio 18v.) Oggi Brera parla
genericamente di “seguace di Leonardo”.
[39] Original
Treatises… cit, pp. CCXCVIII-CCXCIX n. 2.
[40] Dictionary
of Art, Grove Publishers, 1996, vol. 21 p. 165.
[42] Alison Smith, Tecniche e metodi della pittura
preraffaellita in Preraffaelliti. L’utopia della bellezza. Milano. 24ORE Cultura, 2014, p. 31.
[43] George Field, Chromatography; or, Treatise on Colours and Pigments as Used by Artists,
Londra, Thomas W. Salter, 1835.
[44] A
Treatise On Painting… Cit., p XI: “On comparing these pigments with the
tables of colours in Mr’s Field’s Chromatography,
it will be observed that all except amatito (which is not known as a modern
pigment), giallorino, and azzurro della magna, will be found in table iv., that
is, among these pigments not affected by light, oxygen, pure air, or the
opposite influences of shade, sulphurreted hydrogen, damp and impure air, the
action of lead and of iron […]. Cennino also differs from Mr. Field in regard
to the permanence of vermilion, which was found to lose its colour under
certain circumstances.”
[45] Linda M. Shires, On Color Theory, 1835: George Field’s Cromatography, avalaible
online at http://www.branchcollective.org/?ps_articles=linda-m-shires-on-color-theory-1835-george-fields-chromatographyhttps://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/12/lomazzo.html
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