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Luciano Mazzaferro
Giovan Battista Marino:
interessi artistici fra cortigianeria e collezionismo
Seconda parte - La Galeria
Seconda parte - La Galeria
[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione e la traduzione fedele di un manoscritto di nostro padre, Luciano Mazzaferro, a commento di tre opere di Giovan Battista Marino (1569-1625), in cui emergono gli interessi artistici del poeta barocco: la prima delle sue Dicerie sacre, la Galeria e le Lettere. Il titolo dello scritto, così come la suddivisione in paragrafi e le note sono di nostra redazione]
LEGGI LA PRIMA PARTE
Giovanni Paolo Pannini, Galleria di vedute dell'antica Roma (1754-1757 circa) |
LEGGI LA PRIMA PARTE
La Galeria
Cinque anni dopo la pubblicazione delle Dicerie
apparve a Venezia la prima edizione della Galeria. L’opera ebbe un
notevole successo e se ne fecero varie ristampe: la prima per porre riparo ai
molti errori di stampa lamentati dal Marino (cfr. Lettere, pagg. 225
sgg.); le altre per far fronte alle continue richieste dei lettori. Tra il 1620
e il 1674 vennero eseguite diciassette ristampe. Poi, d’improvviso, gli
stampatori non si contesero più l’opera e cominciò il lungo silenzio. Nel 1926
la casa Carabba di Lanciano promosse un’edizione parziale, limitata alle
composizioni che si riteneva avessero un diretto interesse per le arti
figurative: il testo venne utilizzato più di una volta e gli studiosi che ne
trassero vantaggio non mancarono di esprimere il loro apprezzamento per i
criteri utilizzati nella raccolta. I giudizi cambiarono di colpo nel 1979, quando
di quest’opera del Marino si compì una riedizione integrale: quando capitò di
parlare nuovamente del testo uscito nel 1926, tutto venne condito con varie
riserve. Così van le cose e non c’è motivo per meravigliarsi. C’è da aggiungere
che la riedizione curata dal Pieri, pregevole per vari aspetti, è dovuta ad un
ricercatore che, per sua stessa ammissione, non ha soverchia confidenza con
lavori di pittura e di scultura e che, per porre riparo alla carenze in questo
campo, si è avvalso di vari intenditori, tra i quali trovo Mina Gregori.
L’opera è apparsa in due volumi; le citazioni che appaiono nella mia scheda
sono tutte ricavate dal primo volume, in cui si trovano i versi del Marino e la
prefazione del curatore. Anche se non lo cito mai, ho egualmente l’obbligo di
precisare che mi sono più volte servito del secondo tomo, in cui figurano il
commento e gli indici. [14].
In uno scritto firmato da Onorato Claretti,
consigliere di Stato a Torino [15], ma per lo più attribuito allo stesso Marino,
si avverte che il termine Galeria vuol “dir pinacoteca, luogo dove anticamente
(come riferisce Petronio Arbitro)” venivano conservate le pitture. Una raccolta
di lavori d’arte, insomma; ma di che tipo e, per venire al quesito che è spesso
parso il più rilevante, a chi appartenente? In anni ormai lontani si è più
volte affacciata la tentazione di attribuire , se non tutte, almeno la maggior
parte delle opere allo stesso autore dello scritto, che altro non avrebbe fatto
se non redigere un catalogo inconsueto e suggestivo delle pitture e dei vari
oggetti d’arte riuniti con passione e tenacia; oggi, messa da parte questa
versione senza dubbio semplicistica, si preferisce parlare di “Museo
immaginario” e si sbandiera questa etichetta, che appare largamente appagante,
senza troppo preoccuparsi di precisare il significato che le andrebbe
attribuito. Orsù, non vi è alcun dubbio sul fatto che una raccolta, come quella
descritta dal Marino, si basi su accostamenti improbabili, per non dire
impossibili. Una raccolta del genere non è mai esistita e non v’è alcun motivo
per supporre che una pinacoteca così strutturata possa in qualche modo esser
creata per la gioia di collezionisti e di amatori. Sotto questo profilo non v’è
argomento di discussione: un simile itinerario museale è un parto
dell’immaginazione e, se vogliamo davvero parlare di raccolta o di pinacoteca o
di museo, dobbiamo inevitabilmente parlare di raccolta, di pinacoteca, di museo
immaginari. Il punto su cui intendersi è semmai un altro: se la raccolta è
immaginaria, non è affatto vero che siano semplici prodotti di fantasia tutte
le opere descritte nel modo che al Marino parve più attraente. La lettura dei
versi della Galeria porta a ritenere che almeno una parte delle opere
descritte appartenesse realmente al poeta e che altre ancora, pur non spettando
all’autore dell’Adone, fossero raccolte in altre collezioni private o sistemate
ad abbellimento di luoghi, sacri o no, di pubblico accesso. Alcune pitture e
talune sculture erano e sono così famose e pregiate che non richiedono alcuna
fatica a chi voglia precisarne l’ubicazione e la titolarità giuridica. Eppoi,
sempre all’interno della Galeria, si rinviene anche la descrizione di
opere che sono – senza ombra di dubbio o, per lo meno, per una serie di indizi
concordanti – dei semplici sbocchi della fluida fantasia del Marino: per queste
(e soltanto per queste) si può parlare, oltre che di pitture e di sculture
trapiantate in un “museo immaginario”, anche di “opere immaginarie”, spiegabili
con la semplice ideazione poetica e del tutto estranee al lavoro compiuto da
pittori e da altri artefici del regno delle immagini. Di più, nella Galeria
vi sono sonetti e altri versi che non si riferiscono ad opere concrete e
neppure immaginarie e che si spiegano con improvvise necessità espositive, con
fatti occasionali e di cronaca e persino con propositi di scontro polemico.
Credo di rimanere sufficientemente aderente alla realtà, se arrivo alla
conclusione di collocare le rime di quest’opera del Marino in cinque gruppi.
Prima di enumerarli, mi limito ad avvertire che i limiti tra un raggruppamento
e l’altro non possono in ogni caso risultare così netti come si vorrebbe e che
per un certo numero di descrizioni poetiche rimarrà sempre qualche dubbio sul
luogo più opportuno in cui collocarle. Cosa ovvia, si dirà, e comune alla
maggior parte delle classificazioni e dei riordinamenti; ma mi pare che il
richiamarla non sia completamente fuor di luogo.
Le “Favole”
In una prima sezione mi sembra logico inserire, se
non la totalità, certo una larga maggioranza di quelle “favole” con cui si apre
la raccolta. E’ pressoché sicuro che queste favole o episodi desunti dalla
mitologia antica dovessero costituire, almeno in un primo momento, l’unico
oggetto della Galeria. A Bernardo Castello, pittore genovese con cui
aveva stretto cordiali e proficui rapporti, il Marino così scrisse nel 1613 per
metterlo al corrente dell’opera che aveva “per le mani. E’ intitolata la Galeria,
e contiene quasi tutte le favole antiche, Ciascuna favola”- prosegue il poeta –
“viene espressa in un disegno di mano di valent’uomo; e sopra ogni disegno vi
fo un breve elogio in loda [n.d.r sic] di quel maestro, e poi vo scherzando
intorno ad esso con qualche capriccio poetico. Già n’ho accumulata una gran
quantità de’ più famosi ed eccellenti pittori di questa età, e voglio fargli
tutti intagliare con esquisita diligenza. Le poesie, che vi entrano, son tutte
in ordine: e sarà (credo) un libro curioso per la sua varietà” (v. Lettere,
pag. 143). Insomma, il Marino si mise a raccogliere una serie di raffigurazioni
dedicate a favole antiche e si propose due obiettivi: quelle di farle
intagliare e di farle seguire da un commento in versi (è l’obiettivo dichiarato)
e l’altro, non detto al Castello ma desumibile da altre sue lettere, di venire
in possesso di immagini piacevoli da immettere nella sua raccolta. Il primo dei
due obiettivi fu poi ampiamente rivisto: i costi dell’intaglio sconsigliarono
di riprodurre le raffigurazioni e quel che rimase, vale a dire la serie di
versi scritti dal Marino, fu stampata nella prima parte di un’opera che
apparirà rimpinguata con altre sezioni. A questo punto due aspetti dovrebbero
apparir chiari: le descrizioni compiute dal poeta napoletano si riferiscono non
già a figurazioni astratte, ma ad opere eseguite da autori dei quali Marino
cita il nome e su cui – come chiarito nella lettera poco fa citata – scherza
più o meno garbatamente. Va poi tenuto presente che le opere pervenute al poeta
e descritte nelle sue rime non sono sempre (per la verità, non sono quasi mai)
dei lavori su tela, ma dei semplici disegni verosimilmente tracciati in quel
formato e con quelle caratteristiche che, per assicurare l’uniformità, l’autore
dell’Adone richiedeva agli autori o direttamente o tramite amici influenti e
capaci di rimuovere le altrui pigrizie.
Altre poesie
basate su immagini realmente esistenti
Le “favole” non sono le uniche poesie della Galeria
scritte a commento di figurazioni pervenute al Marino e custodite nella sua
raccolta. Ve ne sono sicuramente delle altre, ma (poiché il poeta non ci dà
informazioni di sorta) è necessario muoversi con particolare cautela, quasi ci
si trovasse su un campo minato. Sono tuttavia portato ad includere nel novero
dei beni posseduti dal Marino i “Ritratti di diversi Signori e Letterati
amici dell’Autore” (naturalmente con qualche eccezione, come nei numeri XV,
4, 4a e 4b su cui capiterà di parlare più avanti), tutti o quasi i ritratti a
lui eseguiti e quelli riguardanti la sua donna. Che il Marino si adoperasse
perché gli venisse eseguita e regalata qualche tela in cui fosse ripreso in
bell’acconciamento e che, per giunta, si rivolgesse ad amici, a conoscenti e
talora persino ad avversari per averne il ritratto è cosa facilmente desumibile
dalle sue lettere. E dalla sua stessa fonte si ricava che in vari casi si
impegnava a ricambiare il favore con la scrittura di versi elogiativi da porre
nella Galeria o in altre sue opere e talvolta (ma piuttosto di rado) con
l’invio di qualche suo ritrattino o, meglio ancora, di una buona copia da
affidare ad un valido pittore che, guarda un po’, non riusciva poi a
rintracciare. I ritratti suoi, della sua amica o di “signori” e “letterati” da
lui conosciuti non figurano in abbondanza all’interno della Galeria, ma
tutto induce a credere che l’impegno dimostrato dai pittori che li hanno
eseguiti sia stato maggiore di quello richiesto per il compimento delle
“favole”. Più che a disegni, tracciati alla prima occasione in un momento di
libertà, i ritratti ci fanno pensare a pitture ad olio, a lavori con tutti i
tratti del bel fare accademico.
Poesie basate su
opere viste in altre collezioni o in luoghi pubblici
Apollo del Belvedere |
Vanno poi ricordate in un terzo gruppo di lavori,
le opere che il Marino aveva sicuramente visto ed ammirato in altre collezioni
o in luoghi pubblici e che, di certo, non potevano far parte della sua
raccolta. Sono esecuzioni solitamente di alto prestigio, di cui viene detto
l’autore che le creò e precisato – beninteso, nei casi in cui aveva senso farlo
– anche il nome del collezionista che aveva provveduto a ordinarle o a
raccoglierle. Cito alcuni lavori: le pitture “in casa di Giovan Carlo Doria”
(n. 5 pag. 51, n. 8 pag. 52 sg.; n. 13b pag. 56, n. 16 pag. 57, n. 21 pagg 59
sg, nn. 22 e 23, tutt’e due a pag. 60); quelle della collezione del cardinale
Aldobrandini (n. 3 pagg. 50 sg. e n. 19 alle pagg. 58 sg.); quelle “in casa di
Bartolomeo della Nave” (n. 15 pagg. 56 sg., n. 17a pag. 58 e n. 18 nella stessa
pagina); la maggior parte delle altre tele d’interesse sacro o di illustrazione
biblica con appena qualche eccezione, come quella “Giuditta con la testa
d’Oloferne” (n. 1 pag. 49) più volte richiesta dal Marino a Cristoforo
Bronzino; i ritratti dei Savoia ricordati dal poeta in omaggio verso il suo
mecenate (nn. 17 e 18 pag. 227, n. 18a pagg. 227 sg., n. 15 pag. 282); il
ritratto dei coniugi Doria (n. 21 pag. 229); numerose sculture di età classica,
come il celeberrimo “Apollo in Belvedere” (n. 1 pag. 271), la “Venere ignuda”
ritenuta di Fidia (n. 5 pag. 273), la più che nota “Vacca di Mirone” (nn. 25.
25a, 25b, 25c, 25d alle pagg. 286 sg.); la statua mutila del Pasquino ora sul
retro di Palazzo Braschi (n. 22 pag. 285); quattro marmi di Michelangiolo, cioè
la Notte (n. 26 pag. 288), l’Aurora (n. 26a, ivi), la Pietà
in San Pietro (n. 26b, ivi) e il Mosè (n. 26c, pag. 289); due opere del
Giambologna (n. 11 pag. 280 e n. 32 pag. 291). Non insisterò mai a sufficienza
nel dire che l’elenco – del resto qui presentato sotto forma di esempi
significativi – è assai lontano dall’esser completo e che sui confini tra
questo terzo gruppo e altre sezioni con opere ricordate nella Galeria
restano vari margini di dubbio che non credo possano esser rimossi e che in
ogni caso non penso certo io a rimuovere. Un tratto o punto caratteristico
resta tuttavia fermo: alludo alla disinvoltura con cui il Marino mise insieme,
in un unico volume, disegni propri, tele e miniature di poco conto con opere
sacre di larga risonanza e con capolavori di pregio inestimabile.
Poesie basate su
opere immaginarie
Sono giunto al quarto gruppo. Sino ad ora ho fatto
cenno ad opere presumibilmente appartenenti al Marino, a quelle che facevano
parte di raccolte create da altri collezionisti o che erano esposte in luoghi
sacri o pubblici. Qualunque sia stato il loro possessore (privato o pubblico,
qui poco importa), si tratta in ogni caso di pitture, sculture etc…
effettivamente esistenti: non sono insomma un mero parto della fantasia
poetica. Diverso discorso va invece tenuto per questo quarto gruppo, più folto
di quanto verrebbe fatto di supporre almeno in un primo momento, e costituito
da opere immaginarie, mai tradotte in realtà: il poeta le ha inventate, ha dato
loro una fisionomia e le ha poi descritte come se fossero tele o marmi posti
lì, a portata di mano e destinate all’ammirazione generale. In una rassegna
antologica delle opere del Marino eseguita per conto dell’editore Rizzoli,
Alberto Asor Rosa mette sul chi vive il lettore e giustamente gli segnala che
in varie parti della Galeria il Marino, “più che prendere ispirazione
dalle opere d’arte, tenta lui stesso di far concorrenza ai pittori e agli
scultori, sperimentando un genere nuovo: la ritrattistica in poesia” (pag. 377)
[16]. Tutto vero; tutto accettabile, a patto tuttavia che si dia un significato
meno rigido ai termini usati da Asor Rosa e che non si arrivi alla imprecisione
di creare una stretta identificazione tra ritratti e opere immaginarie. Nella Galeria
di Marino vi sono sicuramente (l’abbiamo già notato) dei ritratti “realizzati”,
ossia dei veri e propri ritratti, come del resto si rinvengono in altre sezioni
del volume talune composizioni semplicemente immaginate e mai trasformate in
raffigurazioni pittoriche o in immagini scultoree.
Composizioni in
omaggio ad artisti ed amici; invettive contro i nemici
Nel quinto ed ultimo gruppo vengono a collocarsi le
composizioni poetiche in cui non si descrivono opere realmente esistenti e
neppure pitture o sculture che siano (come al punto precedente) delle mere
invenzioni, dei prodotti immaginari. I nessi con il mondo figurativo si fanno
particolarmente esili sino al punto che, in più circostanza, si recidono del
tutto. I versi del Marino attendono ad altro scopo: sono degli omaggi alla
memoria di artisti e di amici, si riducono a semplici ringraziamenti o si rifanno
a vecchie storielle per sbeffeggiare nuovamente i nemici e gli avversari più
incalliti. Penso ai versi in morte di Scipione Pulzone (n. 8 pag. 190), di
Annibale Carracci (n. 8b pag. 191) o del Caravaggio (n. 8a sempre a pag. 191):
qui il Marino parla di artisti, non già di qualche loro opera. Mi vengono in
mente le rime per il decesso del figlio di Jacopo Palma il Giovane (n. 9 pag.
192) e i versi scritti per la morte della moglie di Bernardo Castello (n. 9a,
ancora a pag. 192). Si possono inoltre ricordare i nn. 4, 4a e 4b (pagg. 194
sg.), redatti per chiedere al conte Campeggi, a Guido Casoni e a Don Angelo
Grillo il loro ritratto; né va trascurato il n. 3 (pag. 194), ove si ringrazia
l’amico “Claudio Achillini del suo ritratto mandatogli”. Compaiono alcuni versi
(non molti, per la verità, ma egualmente indicativi delle molteplici curiosità
del poeta) che altro non sono se non traduzioni dal greco e dal latino. Eppoi è
bene tener conto della inaspettata presenza dei cosiddetti “Ritratti
Burleschi”: accanto a versi di difficile collocazione, si reperiscono rime
sgraffianti, impietose e animate dal desiderio di far male, dirette contro
Gaspare Murtola, il letterato genovese che, perso ogni controllo per i continui
attacchi del poeta napoletano, giunse sino al punto di attentare alla sua vita.
In un sonetto (n. 6 pag. 205) Marino fa pensare che esista un ritratto del suo
avversario e, anziché descriverne il contenuto o le qualità stilistiche, sbotta
in una fragorosa risata:
Ecco che l’Arte ha vinto la Natura
Poi che almen qui [n.d.r. il
Murtola] non scrive, e non fa il matto.
Nei sonetti successivi il bersaglio resta sempre il
Murtola. Nella composizione 6b si grida che è da “minchione” pensare ad un
ritratto che raffiguri degnamente un uomo di simili fattezze. Per lasciar di
lui “una impronta immortal”, basterebbe “solo il suo viso stampar dentro uno
stronzo”. Scusate, ma il Marino non
andava troppo per il sottile, quando voleva strapazzare il prossimo. Per
fortuna sua e nostra non si lasciava sempre dominare dal livore e si faceva
trasportare dal gusto di annotare varie curiosità. Si vedano, sempre a titolo
di esempio, i nn. 8 e 9 delle pagg 309 sg., ove si parla di incidenti capitati
a due statue antiche o al n. 11 di pag. 310 che, a ben guardare, si presenta
con i tratti tipici di una facezia (Testa posticcia nella statua di un
traditore).
La Galeria
come modello didascalico
La Galeria ha incontrato nel Seicento un
successo notevole. L’ho già detto, e resta soltanto da chiedersi come mai un
lavoro in versi di questo taglio sia riuscito a raccogliere tanta fortuna. Per
diversi motivi, io credo. Innanzi tutto non va trascurata la circostanza che a
scrivere la Galeria sia stato Giambattista Marino, un poeta
apprezzatissimo nel secolo suo e un indiscutibile punto di riferimento per gli
acquirenti di carta stampata. Va poi considerato che la natura composita della
raccolta, i riferimenti a racconti mitologici e a scene di vita religiosa, la
serie dei ritratti reali o fittizi, le varie attenzioni e curiosità messe in
luce e l’altalenanza tra pettinati ossequi e polemiche senza alcun freno
sembravano fatte su misura per moltiplicare l’interesse del lettore, per
ridurre i rischi di monotonia, per attivare il gusto dei confronti e delle
verifiche e per porsi alla ricerca di possibili sottintesi. Occorre inoltre
aver presente che, accanto a raffigurazioni non sempre ben calibrate, la Galeria
si presentava con risorse espositive assai apprezzate in quei tempi, con
immagini sfolgoranti, con pezzi d’incredibile bravura, con innumerevoli giochi
di parole, con una quantità inconsueta di ammiccamenti, di arguzie e di
bizzarrie.
Tutto questo però non basta: nell’opera del Marino
i lettori del Seicento dovevano trovare un ulteriore e determinante motivo di
richiamo. Lo ha supposto o, per meglio dire, lo ha intuito Marzio Pieri quando,
giunto al termine della sua ampia prefazione, viene a parlare di un intento
didascalico che avrebbe mosso il poeta. Ciò detto, il Pieri non va oltre e si
mette a giocare con parole d’affetto, quasi temendo d’essersi spinto troppo
avanti. Ed invece questo intento didascalico c'era davvero e così chiaro da
meritare qualche parola in più. Come in altre occasioni, il Marino capì le
ambizioni e le esigenze, anche di modesta portata, dei tempi suoi e ancora una
volta riuscì ad assecondarle. Un numero crescente di persone con qualche
preoccupazione culturale sentiva il desiderio di parlare di opere d’arte, di
uscire dai ristretti recinti di un lessico rigorosamente tecnico e di
comunicare impressioni personali magari usando accorgimenti di vario tipo o
compiendo vari ricami attorno al contenuto delle raffigurazioni artistiche.
Sempre più le pitture e le sculture stavano diventando argomento di
conversazione e si mirava ad intrecciare colloqui sulle loro attrattive
utilizzando un modo forbito, secondo le preferenze dell’epoca. Ne sono
convinto: l’opera del Marino, con l’attraente colorazione dei suoi versi, con
il suo vocabolario ricco di tante voci e con i frequenti richiami al sapere
storico e alla mitologia antica forniva una guida unica e davvero
insostituibile. Per rendersi conto dell’originalità e della larga fruibilità
della Galeria basta porla a confronto con le misere e balbettanti
raccomandazioni di Pierre Le Brun (“La façon de parler des Beaux Tableux”),
sostanzialmente coeve (1635), riportate nel secondo volume della compilazione
della Merrifield. [17] Nell’opera del Marino, priva delle ingenuità commesse
dal Le Brun, si ritrovavano “esempi di lettura” da utilizzare, senza timore
d’apparire degli sprovveduti anche in circostanze impegnative. Si tenga conto
delle varie accademie allora funzionanti, della lunga schiera di vecchi e nuovi
adepti e della tendenza, divenuta una moda, di scrivere versi su opere appena
dipinte e su sculture e pitture che, a gloria dei collezionisti, entravano
nelle loro raccolte. Nessuna opera poteva offrire orientamenti didascalici così
validi ed autorevoli come il variopinto incastro di versi architettato dal
Marino. Con il suo libro l’esuberante poeta napoletano non forniva nessun
apprezzabile contributo critico e non sfoderava alcun valido criterio per
distinguere i grandi artefici dalla folla degli imitatori di seconda o terza
fila, ma aiutava a muoversi con sufficiente disinvoltura tra le raccolte d’arte
e a parlarne speditamente, secondo il proprio capriccio o le necessità del
caso.
NOTE
[14] Marzio Pieri, ovvero il curatore della
presente edizione, è diventato nel frattempo professore ordinario di
Letteratura italiana all’Università di Parma e collabora con una piccola casa
editrice di Lavis (Trento), chiamata La Finestra, particolarmente attenta
alla letteratura barocca e all’opera del Marino. Proprio con questa casa
editrice, Pieri ha pubblicato nel 2005 una nuova edizione de La Galeria,
in collaborazione con Alessandra Ruffino.
[15] Giovan Battista Marino, Rime. Parte Terza,
Venezia, 1614.
[16] Giambattista Marino, Opere, a cura di
Alberto Asor Rosa, Milano, Rizzoli, 1967.
[17]
Pierre Le Brun, Recueuil des essaies des merveilles de la
peinture in Mary P.
Merrifield, Original Treatises on the
Arts of Painting, vol II, pagg. 757-841, Londra, 1849.
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