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mercoledì 23 aprile 2014

Luciano Mazzaferro. Giovan Battista Marino: interessi artistici fra cortigianeria e collezionismo. Seconda parte


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Luciano Mazzaferro
Giovan Battista Marino: 

interessi artistici fra cortigianeria e collezionismo
Seconda parte - La Galeria


[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione e la traduzione fedele di un manoscritto di nostro padre, Luciano  Mazzaferro, a commento di tre opere di Giovan Battista Marino (1569-1625), in cui emergono gli interessi artistici del poeta barocco: la prima delle sue Dicerie sacre, la Galeria e le Lettere. Il titolo dello scritto, così come la suddivisione in paragrafi e le note sono di nostra redazione]


Giovanni Paolo Pannini, Galleria di vedute dell'antica Roma (1754-1757 circa)


LEGGI LA PRIMA PARTE


La Galeria

Cinque anni dopo la pubblicazione delle Dicerie apparve a Venezia la prima edizione della Galeria. L’opera ebbe un notevole successo e se ne fecero varie ristampe: la prima per porre riparo ai molti errori di stampa lamentati dal Marino (cfr. Lettere, pagg. 225 sgg.); le altre per far fronte alle continue richieste dei lettori. Tra il 1620 e il 1674 vennero eseguite diciassette ristampe. Poi, d’improvviso, gli stampatori non si contesero più l’opera e cominciò il lungo silenzio. Nel 1926 la casa Carabba di Lanciano promosse un’edizione parziale, limitata alle composizioni che si riteneva avessero un diretto interesse per le arti figurative: il testo venne utilizzato più di una volta e gli studiosi che ne trassero vantaggio non mancarono di esprimere il loro apprezzamento per i criteri utilizzati nella raccolta. I giudizi cambiarono di colpo nel 1979, quando di quest’opera del Marino si compì una riedizione integrale: quando capitò di parlare nuovamente del testo uscito nel 1926, tutto venne condito con varie riserve. Così van le cose e non c’è motivo per meravigliarsi. C’è da aggiungere che la riedizione curata dal Pieri, pregevole per vari aspetti, è dovuta ad un ricercatore che, per sua stessa ammissione, non ha soverchia confidenza con lavori di pittura e di scultura e che, per porre riparo alla carenze in questo campo, si è avvalso di vari intenditori, tra i quali trovo Mina Gregori. L’opera è apparsa in due volumi; le citazioni che appaiono nella mia scheda sono tutte ricavate dal primo volume, in cui si trovano i versi del Marino e la prefazione del curatore. Anche se non lo cito mai, ho egualmente l’obbligo di precisare che mi sono più volte servito del secondo tomo, in cui figurano il commento e gli indici. [14].

In uno scritto firmato da Onorato Claretti, consigliere di Stato a Torino [15], ma per lo più attribuito allo stesso Marino, si avverte che il termine Galeria  vuol “dir pinacoteca, luogo dove anticamente (come riferisce Petronio Arbitro)” venivano conservate le pitture. Una raccolta di lavori d’arte, insomma; ma di che tipo e, per venire al quesito che è spesso parso il più rilevante, a chi appartenente? In anni ormai lontani si è più volte affacciata la tentazione di attribuire , se non tutte, almeno la maggior parte delle opere allo stesso autore dello scritto, che altro non avrebbe fatto se non redigere un catalogo inconsueto e suggestivo delle pitture e dei vari oggetti d’arte riuniti con passione e tenacia; oggi, messa da parte questa versione senza dubbio semplicistica, si preferisce parlare di “Museo immaginario” e si sbandiera questa etichetta, che appare largamente appagante, senza troppo preoccuparsi di precisare il significato che le andrebbe attribuito. Orsù, non vi è alcun dubbio sul fatto che una raccolta, come quella descritta dal Marino, si basi su accostamenti improbabili, per non dire impossibili. Una raccolta del genere non è mai esistita e non v’è alcun motivo per supporre che una pinacoteca così strutturata possa in qualche modo esser creata per la gioia di collezionisti e di amatori. Sotto questo profilo non v’è argomento di discussione: un simile itinerario museale è un parto dell’immaginazione e, se vogliamo davvero parlare di raccolta o di pinacoteca o di museo, dobbiamo inevitabilmente parlare di raccolta, di pinacoteca, di museo immaginari. Il punto su cui intendersi è semmai un altro: se la raccolta è immaginaria, non è affatto vero che siano semplici prodotti di fantasia tutte le opere descritte nel modo che al Marino parve più attraente. La lettura dei versi della Galeria porta a ritenere che almeno una parte delle opere descritte appartenesse realmente al poeta e che altre ancora, pur non spettando all’autore dell’Adone, fossero raccolte in altre collezioni private o sistemate ad abbellimento di luoghi, sacri o no, di pubblico accesso. Alcune pitture e talune sculture erano e sono così famose e pregiate che non richiedono alcuna fatica a chi voglia precisarne l’ubicazione e la titolarità giuridica. Eppoi, sempre all’interno della Galeria, si rinviene anche la descrizione di opere che sono – senza ombra di dubbio o, per lo meno, per una serie di indizi concordanti – dei semplici sbocchi della fluida fantasia del Marino: per queste (e soltanto per queste) si può parlare, oltre che di pitture e di sculture trapiantate in un “museo immaginario”, anche di “opere immaginarie”, spiegabili con la semplice ideazione poetica e del tutto estranee al lavoro compiuto da pittori e da altri artefici del regno delle immagini. Di più, nella Galeria vi sono sonetti e altri versi che non si riferiscono ad opere concrete e neppure immaginarie e che si spiegano con improvvise necessità espositive, con fatti occasionali e di cronaca e persino con propositi di scontro polemico. Credo di rimanere sufficientemente aderente alla realtà, se arrivo alla conclusione di collocare le rime di quest’opera del Marino in cinque gruppi. Prima di enumerarli, mi limito ad avvertire che i limiti tra un raggruppamento e l’altro non possono in ogni caso risultare così netti come si vorrebbe e che per un certo numero di descrizioni poetiche rimarrà sempre qualche dubbio sul luogo più opportuno in cui collocarle. Cosa ovvia, si dirà, e comune alla maggior parte delle classificazioni e dei riordinamenti; ma mi pare che il richiamarla non sia completamente fuor di luogo.


Le “Favole”

In una prima sezione mi sembra logico inserire, se non la totalità, certo una larga maggioranza di quelle “favole” con cui si apre la raccolta. E’ pressoché sicuro che queste favole o episodi desunti dalla mitologia antica dovessero costituire, almeno in un primo momento, l’unico oggetto della Galeria. A Bernardo Castello, pittore genovese con cui aveva stretto cordiali e proficui rapporti, il Marino così scrisse nel 1613 per metterlo al corrente dell’opera che aveva “per le mani. E’ intitolata la Galeria, e contiene quasi tutte le favole antiche, Ciascuna favola”- prosegue il poeta – “viene espressa in un disegno di mano di valent’uomo; e sopra ogni disegno vi fo un breve elogio in loda [n.d.r sic] di quel maestro, e poi vo scherzando intorno ad esso con qualche capriccio poetico. Già n’ho accumulata una gran quantità de’ più famosi ed eccellenti pittori di questa età, e voglio fargli tutti intagliare con esquisita diligenza. Le poesie, che vi entrano, son tutte in ordine: e sarà (credo) un libro curioso per la sua varietà” (v. Lettere, pag. 143). Insomma, il Marino si mise a raccogliere una serie di raffigurazioni dedicate a favole antiche e si propose due obiettivi: quelle di farle intagliare e di farle seguire da un commento in versi (è l’obiettivo dichiarato) e l’altro, non detto al Castello ma desumibile da altre sue lettere, di venire in possesso di immagini piacevoli da immettere nella sua raccolta. Il primo dei due obiettivi fu poi ampiamente rivisto: i costi dell’intaglio sconsigliarono di riprodurre le raffigurazioni e quel che rimase, vale a dire la serie di versi scritti dal Marino, fu stampata nella prima parte di un’opera che apparirà rimpinguata con altre sezioni. A questo punto due aspetti dovrebbero apparir chiari: le descrizioni compiute dal poeta napoletano si riferiscono non già a figurazioni astratte, ma ad opere eseguite da autori dei quali Marino cita il nome e su cui – come chiarito nella lettera poco fa citata – scherza più o meno garbatamente. Va poi tenuto presente che le opere pervenute al poeta e descritte nelle sue rime non sono sempre (per la verità, non sono quasi mai) dei lavori su tela, ma dei semplici disegni verosimilmente tracciati in quel formato e con quelle caratteristiche che, per assicurare l’uniformità, l’autore dell’Adone richiedeva agli autori o direttamente o tramite amici influenti e capaci di rimuovere le altrui pigrizie.


Altre poesie basate su immagini realmente esistenti

Le “favole” non sono le uniche poesie della Galeria scritte a commento di figurazioni pervenute al Marino e custodite nella sua raccolta. Ve ne sono sicuramente delle altre, ma (poiché il poeta non ci dà informazioni di sorta) è necessario muoversi con particolare cautela, quasi ci si trovasse su un campo minato. Sono tuttavia portato ad includere nel novero dei beni posseduti dal Marino i “Ritratti di diversi Signori e Letterati amici dell’Autore” (naturalmente con qualche eccezione, come nei numeri XV, 4, 4a e 4b su cui capiterà di parlare più avanti), tutti o quasi i ritratti a lui eseguiti e quelli riguardanti la sua donna. Che il Marino si adoperasse perché gli venisse eseguita e regalata qualche tela in cui fosse ripreso in bell’acconciamento e che, per giunta, si rivolgesse ad amici, a conoscenti e talora persino ad avversari per averne il ritratto è cosa facilmente desumibile dalle sue lettere. E dalla sua stessa fonte si ricava che in vari casi si impegnava a ricambiare il favore con la scrittura di versi elogiativi da porre nella Galeria o in altre sue opere e talvolta (ma piuttosto di rado) con l’invio di qualche suo ritrattino o, meglio ancora, di una buona copia da affidare ad un valido pittore che, guarda un po’, non riusciva poi a rintracciare. I ritratti suoi, della sua amica o di “signori” e “letterati” da lui conosciuti non figurano in abbondanza all’interno della Galeria, ma tutto induce a credere che l’impegno dimostrato dai pittori che li hanno eseguiti sia stato maggiore di quello richiesto per il compimento delle “favole”. Più che a disegni, tracciati alla prima occasione in un momento di libertà, i ritratti ci fanno pensare a pitture ad olio, a lavori con tutti i tratti del bel fare accademico.


Poesie basate su opere viste in altre collezioni o in luoghi pubblici

Apollo del Belvedere


Vanno poi ricordate in un terzo gruppo di lavori, le opere che il Marino aveva sicuramente visto ed ammirato in altre collezioni o in luoghi pubblici e che, di certo, non potevano far parte della sua raccolta. Sono esecuzioni solitamente di alto prestigio, di cui viene detto l’autore che le creò e precisato – beninteso, nei casi in cui aveva senso farlo – anche il nome del collezionista che aveva provveduto a ordinarle o a raccoglierle. Cito alcuni lavori: le pitture “in casa di Giovan Carlo Doria” (n. 5 pag. 51, n. 8 pag. 52 sg.; n. 13b pag. 56, n. 16 pag. 57, n. 21 pagg 59 sg, nn. 22 e 23, tutt’e due a pag. 60); quelle della collezione del cardinale Aldobrandini (n. 3 pagg. 50 sg. e n. 19 alle pagg. 58 sg.); quelle “in casa di Bartolomeo della Nave” (n. 15 pagg. 56 sg., n. 17a pag. 58 e n. 18 nella stessa pagina); la maggior parte delle altre tele d’interesse sacro o di illustrazione biblica con appena qualche eccezione, come quella “Giuditta con la testa d’Oloferne” (n. 1 pag. 49) più volte richiesta dal Marino a Cristoforo Bronzino; i ritratti dei Savoia ricordati dal poeta in omaggio verso il suo mecenate (nn. 17 e 18 pag. 227, n. 18a pagg. 227 sg., n. 15 pag. 282); il ritratto dei coniugi Doria (n. 21 pag. 229); numerose sculture di età classica, come il celeberrimo “Apollo in Belvedere” (n. 1 pag. 271), la “Venere ignuda” ritenuta di Fidia (n. 5 pag. 273), la più che nota “Vacca di Mirone” (nn. 25. 25a, 25b, 25c, 25d alle pagg. 286 sg.); la statua mutila del Pasquino ora sul retro di Palazzo Braschi (n. 22 pag. 285); quattro marmi di Michelangiolo, cioè la Notte (n. 26 pag. 288), l’Aurora (n. 26a, ivi), la Pietà in San Pietro (n. 26b, ivi) e il Mosè (n. 26c, pag. 289); due opere del Giambologna (n. 11 pag. 280 e n. 32 pag. 291). Non insisterò mai a sufficienza nel dire che l’elenco – del resto qui presentato sotto forma di esempi significativi – è assai lontano dall’esser completo e che sui confini tra questo terzo gruppo e altre sezioni con opere ricordate nella Galeria restano vari margini di dubbio che non credo possano esser rimossi e che in ogni caso non penso certo io a rimuovere. Un tratto o punto caratteristico resta tuttavia fermo: alludo alla disinvoltura con cui il Marino mise insieme, in un unico volume, disegni propri, tele e miniature di poco conto con opere sacre di larga risonanza e con capolavori di pregio inestimabile.


Poesie basate su opere immaginarie

Sono giunto al quarto gruppo. Sino ad ora ho fatto cenno ad opere presumibilmente appartenenti al Marino, a quelle che facevano parte di raccolte create da altri collezionisti o che erano esposte in luoghi sacri o pubblici. Qualunque sia stato il loro possessore (privato o pubblico, qui poco importa), si tratta in ogni caso di pitture, sculture etc… effettivamente esistenti: non sono insomma un mero parto della fantasia poetica. Diverso discorso va invece tenuto per questo quarto gruppo, più folto di quanto verrebbe fatto di supporre almeno in un primo momento, e costituito da opere immaginarie, mai tradotte in realtà: il poeta le ha inventate, ha dato loro una fisionomia e le ha poi descritte come se fossero tele o marmi posti lì, a portata di mano e destinate all’ammirazione generale. In una rassegna antologica delle opere del Marino eseguita per conto dell’editore Rizzoli, Alberto Asor Rosa mette sul chi vive il lettore e giustamente gli segnala che in varie parti della Galeria il Marino, “più che prendere ispirazione dalle opere d’arte, tenta lui stesso di far concorrenza ai pittori e agli scultori, sperimentando un genere nuovo: la ritrattistica in poesia” (pag. 377) [16]. Tutto vero; tutto accettabile, a patto tuttavia che si dia un significato meno rigido ai termini usati da Asor Rosa e che non si arrivi alla imprecisione di creare una stretta identificazione tra ritratti e opere immaginarie. Nella Galeria di Marino vi sono sicuramente (l’abbiamo già notato) dei ritratti “realizzati”, ossia dei veri e propri ritratti, come del resto si rinvengono in altre sezioni del volume talune composizioni semplicemente immaginate e mai trasformate in raffigurazioni pittoriche o in immagini scultoree.


Composizioni in omaggio ad artisti ed amici; invettive contro i nemici

Nel quinto ed ultimo gruppo vengono a collocarsi le composizioni poetiche in cui non si descrivono opere realmente esistenti e neppure pitture o sculture che siano (come al punto precedente) delle mere invenzioni, dei prodotti immaginari. I nessi con il mondo figurativo si fanno particolarmente esili sino al punto che, in più circostanza, si recidono del tutto. I versi del Marino attendono ad altro scopo: sono degli omaggi alla memoria di artisti e di amici, si riducono a semplici ringraziamenti o si rifanno a vecchie storielle per sbeffeggiare nuovamente i nemici e gli avversari più incalliti. Penso ai versi in morte di Scipione Pulzone (n. 8 pag. 190), di Annibale Carracci (n. 8b pag. 191) o del Caravaggio (n. 8a sempre a pag. 191): qui il Marino parla di artisti, non già di qualche loro opera. Mi vengono in mente le rime per il decesso del figlio di Jacopo Palma il Giovane (n. 9 pag. 192) e i versi scritti per la morte della moglie di Bernardo Castello (n. 9a, ancora a pag. 192). Si possono inoltre ricordare i nn. 4, 4a e 4b (pagg. 194 sg.), redatti per chiedere al conte Campeggi, a Guido Casoni e a Don Angelo Grillo il loro ritratto; né va trascurato il n. 3 (pag. 194), ove si ringrazia l’amico “Claudio Achillini del suo ritratto mandatogli”. Compaiono alcuni versi (non molti, per la verità, ma egualmente indicativi delle molteplici curiosità del poeta) che altro non sono se non traduzioni dal greco e dal latino. Eppoi è bene tener conto della inaspettata presenza dei cosiddetti “Ritratti Burleschi”: accanto a versi di difficile collocazione, si reperiscono rime sgraffianti, impietose e animate dal desiderio di far male, dirette contro Gaspare Murtola, il letterato genovese che, perso ogni controllo per i continui attacchi del poeta napoletano, giunse sino al punto di attentare alla sua vita. In un sonetto (n. 6 pag. 205) Marino fa pensare che esista un ritratto del suo avversario e, anziché descriverne il contenuto o le qualità stilistiche, sbotta in una fragorosa risata:

Ecco che l’Arte ha vinto la Natura
Poi che almen qui [n.d.r. il Murtola] non scrive, e non fa il matto.

Nei sonetti successivi il bersaglio resta sempre il Murtola. Nella composizione 6b si grida che è da “minchione” pensare ad un ritratto che raffiguri degnamente un uomo di simili fattezze. Per lasciar di lui “una impronta immortal”, basterebbe “solo il suo viso stampar dentro uno stronzo”.  Scusate, ma il Marino non andava troppo per il sottile, quando voleva strapazzare il prossimo. Per fortuna sua e nostra non si lasciava sempre dominare dal livore e si faceva trasportare dal gusto di annotare varie curiosità. Si vedano, sempre a titolo di esempio, i nn. 8 e 9 delle pagg 309 sg., ove si parla di incidenti capitati a due statue antiche o al n. 11 di pag. 310 che, a ben guardare, si presenta con i tratti tipici di una facezia (Testa posticcia nella statua di un traditore).


La Galeria come modello didascalico

La Galeria ha incontrato nel Seicento un successo notevole. L’ho già detto, e resta soltanto da chiedersi come mai un lavoro in versi di questo taglio sia riuscito a raccogliere tanta fortuna. Per diversi motivi, io credo. Innanzi tutto non va trascurata la circostanza che a scrivere la Galeria sia stato Giambattista Marino, un poeta apprezzatissimo nel secolo suo e un indiscutibile punto di riferimento per gli acquirenti di carta stampata. Va poi considerato che la natura composita della raccolta, i riferimenti a racconti mitologici e a scene di vita religiosa, la serie dei ritratti reali o fittizi, le varie attenzioni e curiosità messe in luce e l’altalenanza tra pettinati ossequi e polemiche senza alcun freno sembravano fatte su misura per moltiplicare l’interesse del lettore, per ridurre i rischi di monotonia, per attivare il gusto dei confronti e delle verifiche e per porsi alla ricerca di possibili sottintesi. Occorre inoltre aver presente che, accanto a raffigurazioni non sempre ben calibrate, la Galeria si presentava con risorse espositive assai apprezzate in quei tempi, con immagini sfolgoranti, con pezzi d’incredibile bravura, con innumerevoli giochi di parole, con una quantità inconsueta di ammiccamenti, di arguzie e di bizzarrie.

Tutto questo però non basta: nell’opera del Marino i lettori del Seicento dovevano trovare un ulteriore e determinante motivo di richiamo. Lo ha supposto o, per meglio dire, lo ha intuito Marzio Pieri quando, giunto al termine della sua ampia prefazione, viene a parlare di un intento didascalico che avrebbe mosso il poeta. Ciò detto, il Pieri non va oltre e si mette a giocare con parole d’affetto, quasi temendo d’essersi spinto troppo avanti. Ed invece questo intento didascalico c'era davvero e così chiaro da meritare qualche parola in più. Come in altre occasioni, il Marino capì le ambizioni e le esigenze, anche di modesta portata, dei tempi suoi e ancora una volta riuscì ad assecondarle. Un numero crescente di persone con qualche preoccupazione culturale sentiva il desiderio di parlare di opere d’arte, di uscire dai ristretti recinti di un lessico rigorosamente tecnico e di comunicare impressioni personali magari usando accorgimenti di vario tipo o compiendo vari ricami attorno al contenuto delle raffigurazioni artistiche. Sempre più le pitture e le sculture stavano diventando argomento di conversazione e si mirava ad intrecciare colloqui sulle loro attrattive utilizzando un modo forbito, secondo le preferenze dell’epoca. Ne sono convinto: l’opera del Marino, con l’attraente colorazione dei suoi versi, con il suo vocabolario ricco di tante voci e con i frequenti richiami al sapere storico e alla mitologia antica forniva una guida unica e davvero insostituibile. Per rendersi conto dell’originalità e della larga fruibilità della Galeria basta porla a confronto con le misere e balbettanti raccomandazioni di Pierre Le Brun (“La façon de parler des Beaux Tableux”), sostanzialmente coeve (1635), riportate nel secondo volume della compilazione della Merrifield. [17] Nell’opera del Marino, priva delle ingenuità commesse dal Le Brun, si ritrovavano “esempi di lettura” da utilizzare, senza timore d’apparire degli sprovveduti anche in circostanze impegnative. Si tenga conto delle varie accademie allora funzionanti, della lunga schiera di vecchi e nuovi adepti e della tendenza, divenuta una moda, di scrivere versi su opere appena dipinte e su sculture e pitture che, a gloria dei collezionisti, entravano nelle loro raccolte. Nessuna opera poteva offrire orientamenti didascalici così validi ed autorevoli come il variopinto incastro di versi architettato dal Marino. Con il suo libro l’esuberante poeta napoletano non forniva nessun apprezzabile contributo critico e non sfoderava alcun valido criterio per distinguere i grandi artefici dalla folla degli imitatori di seconda o terza fila, ma aiutava a muoversi con sufficiente disinvoltura tra le raccolte d’arte e a parlarne speditamente, secondo il proprio capriccio o le necessità del caso. 



NOTE

[14] Marzio Pieri, ovvero il curatore della presente edizione, è diventato nel frattempo professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Parma e collabora con una piccola casa editrice di Lavis (Trento), chiamata La Finestra, particolarmente attenta alla letteratura barocca e all’opera del Marino. Proprio con questa casa editrice, Pieri ha pubblicato nel 2005 una nuova edizione de La Galeria, in collaborazione con Alessandra Ruffino.

[15] Giovan Battista Marino, Rime. Parte Terza, Venezia, 1614.

[16] Giambattista Marino, Opere, a cura di Alberto Asor Rosa, Milano, Rizzoli, 1967.

[17] Pierre Le Brun, Recueuil des essaies des merveilles de la peinture in Mary P. Merrifield, Original Treatises on the Arts of Painting, vol II, pagg. 757-841, Londra, 1849.



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