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lunedì 7 aprile 2014

Lin Yutang. Teoria cinese dell'arte. Valentino Bompiani editore, 1967



Lin Yutang
Teoria cinese dell’arte


Tit.orig. The Chinese Theory of Art; trad. Elena Vaccari
Valentino Bompiani editore, 1967

Nota di lettura di Luciano Mazzaferro


Yen-Li-pen (m. 673) Uno dei 'Tredici imperatori'

[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione e la traduzione fedele della “nota di lettura” manoscritta dell’opera scritta da nostro padre, Luciano Mazzaferro, attorno al 2000 (in testa al manoscritto compare appunto la dicitura “nota di lettura”). Pur ormai vecchia di 50 anni l’antologia di Lin Yutang è tuttora considerata una pietra miliare della teoria artistica cinese].

“Questo libro” – sono le prime parole del volume – “vuole essere una raccolta di fonti sul pensiero cinese dell’arte e un aiuto a meglio comprendere i fini della pittura cinese, le sue correnti e tendenze, il suo sviluppo. E’ composto per la maggior parte di traduzioni da scritti d’artisti e critici d’arte cinesi sui problemi e le tecniche della pittura, lo stile, il gusto” (pag. 7).

Poco dopo il curatore della raccolta, d’ora in poi indicato con le iniziali L.Y., precisa: “Il campo degli scritti cinesi sull’arte offre una straordinaria ricchezza di materiali. Molti sono però costituiti da affermazioni d’ordine generale, senza particolari precisi e puntuali, e inoltre la maggioranza di essi dice la stessa cosa; […]. Potrei nominare almeno una dozzina di trattati sull’arte che sono l’uno la ripetizione dell’altro, con appena, qua e là, qualche intuizione personale, qualche osservazione dettata dall’esperienza; tradurli tutti senza aver prima operato una scelta giudiziosa significherebbe soltanto far sprecare tempo al lettore. Per questa mia raccolta ho scelto dunque in primo luogo quelli importanti da un punto di vista storico, in secondo luogo quelli che illuminano uno speciale aspetto del problema o che si distinguono per la precisione dei particolari. Ho cercato di offrire la massima varietà possibile e, anche fra le pagine di artisti famosi… ho fatto posto solo a quelle che non contengano ripetizioni” (pp. 8-9).

Oltre a brani di Confucio (551-479 a.C.), di Chuangtse (IV secolo a.C.), di Han Fei (III secolo a.C.), di Ts’ao Chih (anche lui del III secolo a.C.) e di due autori del quattordicesimo secolo, ossia Ni Tsan e Huang Kung-Wang, l’antologia fornisce una documentazione più ampia e, in qualche caso, pressoché integrale di varie opere tradotte dal cinese. In questa scheda ci si occupa esclusivamente del secondo gruppo di scritti, tralasciando qualsiasi riferimento ai sei brani di cui si sono appena citati gli autori. Si segnala che i titoli dei testi sono per lo più ideati da L.Y., che provvede altresì ad indicare l’epoca in cui le opere furono redatte. Nel seguente elenco si forniscono gli elementi distintivi dei testi e si provvede a specificare la pagina iniziale e finale di ciascun lavoro, tenendo conto sia dello spazio occupato dal testo tradotto dal cinese sia delle note che lo precedono o che sono poste al suo termine:


a)      KU K’AI CHIH, Appunti per un viaggio (tit. orig. Hua Yün-t’ai-shan Chi), pp. 32-35.
Lo scritto appartiene alla seconda metà del IV secolo d.C. e ci è pervenuto grazie alla sua inclusione nel Li-tai-Ming-hua Chi (cfr. lett e)).


b)      TSUNG PING, La gioia del dipingere (non viene fornita la trascrizione del titolo originale), pp. 36-39.
Seconda metà del IV sec. D.C. o primi decenni del secolo successivo. Ci è giunto, come lo scritto precedente, tramite il Li-tai-Ming-hua Chi (cfr. lett. e)). Scrive L.Y.: “Gli storici dell’arte hanno visto in queste pagine di Tsung Ping il preannuncio della nascita della pittura di paesaggio, che doveva diventare il più importante fra i “generi” di pittura praticati in Cina. […] Alla nascita e allo sviluppo della pittura di paesaggio si accompagnarono la nascita e lo sviluppo della critica d’arte e il sorgere di un’acuta sensibilità estetica nel corso del quarto e quinto secolo” (pag. 38).


c)       HSIEH HO, Le sei tecniche del dipingere (Prefazione al Ku Hua-p’in Lu), pp. 40-44.
Seconda metà del V sec. d.C.: “Le «sei tecniche» qui illustrate hanno fornito fino ad oggi i criteri di base della critica d’arte cinese” (pag. 40).


d)     WANG WEI, Formule per la pittura di paesaggio (Shan-shui Lun), pp. 45-48.
Wang Wei è vissuto tra il 699 e il 759 d.C. Scrive L.Y.: “L’attribuzione al famoso poeta e pittore non è del tutto sicura, ma è più accettabile dell’attribuzione a Ching Hao [v. lett. f)] proposta da alcuni studiosi. Quel che è certo, è che si tratta di formule famose, tramandate di generazione in generazione…” (p. 45).


e)      CHANG YEN YÜAN, Dipinti famosi (dal Li-tai Ming-hua Chi), pp. 49-73.
L’opera viene datata 847 d.c. Dice L.Y.: “La nostra conoscenza della storia dell’arte cinese nei secoli antichi deve più a quest’opera che a qualsiasi altra di cui si sia nota l’esistenza” (p. 49). Gli scritti posti sotto le lettere a) e b) sono ricordati da questa fonte. L’opera può essere suddivisa in quindici parti. L.Y. tralascia di tradurre la terza parte, composta da una lista di pittori, e le ultime cinque parti (11. Colophon e firme; 12. Sigilli ufficiali e privati in epoche diverse; 13. Come montare i dipinti e catalogarli; 14. Gli affreschi nei templi di entrambe le capitali e del paese; 15. Lista di dipinti famosi d’autori sconosciuti). La parte iniziale del n. 6 viene riassunta (cfr. p. 63).


f)       CHIN HAO, Una conversazione sul metodo (Pifa Chi), pp. 74-81.
Prima metà del decimo secolo. L.Y: “Siamo ora in un secolo importante, il decimo, che vide la piena fioritura della tipica pittura cinese di paesaggio […] Ching visse negli anni di cambiamento di dinastia dai Tang ai Liang posteriori. Prese il suo nome poetico, Hung-ku-tse, dal luogo nominato nella prima fase di questo” scritto. La riporto: “Possiedo qualche ettaro di terra a Hungku… dove meno la vita di un contadino” (p. 74).


g)      KUO HSI, Istruzioni d’un padre (Lim-ch’üan Kao-chih), pp. 82-96.
L’opera risale al 1090. L.Y: “Quasi tutti sono d’accordo nel ritenere che il saggio sia stato scritto dal figlio di Kuo Hsi, Kuo Sze” (p. 82), che tuttavia si dovette attenere alle istruzioni del padre. Questa circostanza spiega sia l’attribuzione a Kuo Hsi sia il titolo attribuito al lavoro.

Riproduzione parziale del testo. Avverte L.Y.: “Vi sono altre interessanti osservazioni sul modo di trattare temi poetici nella parte intitolata Hua Yi ; sulla tecnica per dipingere le rocce, il suolo, gli aspetti della pioggia, dei temporali, della neve, dello schiarirsi del cielo, e sull’uso del pennello, dell’inchiostro, dei colori, ecc., nella parte dedicata a certe “formule”, Hua Chüeh. Ma le pagine qui riprodotte bastano a dimostrare la sensibilità di Kuo Hsi alla natura e la sua profonda conoscenza della tecnica pittorica” (p. 96).


h)      KUO JO-HSÜ, Note sulla pittura (T’u-hua Chien-wen Chih), pp. 97-114.
Saggio scritto nel 1074, sei anni prima della morte dell’autore, e qui riprodotto in forma non integrale. L.Y.: “Chang Yen-yüan [cfr. lett. e)] portò la sua pregevole storia della pittura fino all’anno 841 e… espresse la speranza che qualcuno la riprendesse dove l’aveva lasciata lui” (p. 97). L’invito fu raccolto da Kuo-Jo-hsü cui si deve un’opera “che abbraccia il periodo dal 689 al 1074 (ibid)”. Lo scritto “gode di molta fama, benché non sia all’altezza della storia di Chang-Yen-yüan” (ibid). Vengono qui presentate le “poche parti dove l’opera è veramente originale e importante come fonte di storia dell’arte” (p. 97). “L’opera è stata tradotta integralmente da Alexander Soper” (p. 98). Con l’aiuto di un’indicazione fornita da Wai-Kam-Ha (S.U.A., XIV col. 852) sono portato a ritenere che lo studio di A. Soper, da me non consultato, sia stato pubblicato negli “Archives of the Chinese Art Society of America”, IV, 1950.

[Nota di Giovanni Mazzaferro: in realtà sembra che quella del 1950 fosse una sorta di “anticipazione” della vera e propria traduzione, risalente al 1951: Kuo Jo-Hsü's Experiences in Painting. (T'u-hua chien-wên chih). Trans. and annotated by A. C. Soper. pp. xiii + 216. Washington, 1951. An eleventh century history of Chinese paintings together with the Chinese Text in facsimile. Translated and annotated by Alexander Coburn Soper, Professor of History of Art at Bryn Mawr College, pp. xiii + 216. American Council of Learned Societies, Washington, D.C., 1951].


i)        MI FEI, L’arte del conoscitore (Hua Shih), pp. 115-125.
Opera della seconda metà dell’undicesimo secolo. Mi Fei fu un grande pittore che – ci vien detto da L.Y. – “esercitò una vasta e durevole influenza sui secoli successivi. Artista originalissimo, creò un suo stile nella pittura di paesaggio: lo stile Mi Fei” (p. 115). Particolarmente interessanti mi sembrano le ultime due pagine ove si affronta il tema del restauro dei dipinti antichi.


Mi Fei (1051-1107)
Monti ed alberi nella nebbia


j) CHAO MENG-FUI, Lo spirito antico, pp. 126-129.
Viene riportato il passo di un’opera, appartenente al tredicesimo secolo, della quale L.Y. non fornisce il titolo originale.

Le pp. 130-133 sono occupate da due brani, rispettivamente di Ni Tsan e di Huang Kung-Wang, e dal commento che ad essi dedica L.Y.


k)      KAO LIEN, Il punto di vista di un profano (Chung Sheng Pa Chan), pp. 134-141.
L’autore è vissuto tra il 1521 e il 1593. L.Y.: “Kao Lien è l’autore di un libro sul piacere di vivere, il Chung Sheng Pa Chan, diviso in parti dedicate alla cucina, alla medicina, al gioco degli scacchi, all’igiene, al riposo e a tutte le amenità di una vita piena d’agi; vi sono inoltre capitoli sul modo di aver cura dei dipinti e sull’arte del conoscitore. Possiamo dire che Kao Lien presenta il punto di vista del profano: amante dell’arte, ma profano per sempre” (p. 136).


l)        KU NING-YÜAN, Sul lavoro di pennello (Hua Yin), pp. 142-145.
Il breve saggio – “uno fra i più intelligenti saggi cinesi sull’arte” secondo L.Y. (p. 142) – è qui riprodotto quasi integralmente. L’unica omissione sembra sia quella indicata a p. 143, n. 7.


m)    YÜAN HUNG-TAO, Sii te stesso, pp. 146-148.
Manca la trascrizione del titolo originale dell’opera. Yüan Hung-tao, meglio noto come Yüan Chung-lang, operò all’inizio del diciassettesimo secolo. Scrive di lui L.Y.: fu tra i fondatori “della scuola di poesia di kung-an, che diede il massimo rilievo alla “personalità” individuale, deprecando l’imitazione degli antichi” (p. 147). Leggo a p. 148 queste belle parole di Yüan: “Un buon artista deriva dalla natura, non da un altro artista. Un buon pittore non prende a suo maestro un pittore del passato, ma tutta la creazione nel suo splendore.”


n)      HSIEH CHAO-CHEH, Chiacchiere (Wa Tsa-tsu, ovvero Cinque pots-pourris), pp. 149-161
Hsieh Chao-cheh non fu un artista, ma un pubblico funzionario e studioso “che visse il lungo regno di Wan-li (1573-1619)” (p. 149). Hsieh è l’autore di un’opera, qui parzialmente riprodotta, in cui – ce lo segnala L-Y- - “si parla assolutamente di tutto, dalla storia dell’omosessualità in Cina alla medicina popolare, ai fantasmi, agli elefanti e via di seguito. Sono chiacchiere cordiali, in un tono familiare, come d’una conversazione tra amici” (p. 150).

Hsieh ripudiò le “sei tecniche” (cfr. lett. c)), dando così “una notevole prova di anticonformismo” (ibidem). A p. 155 si può leggere: “Gli antichi parlano delle “sei tecniche”: 1) creare un’atmosfera che dia la sensazione della vita; 2) creare una struttura mediante la pennellata; 3) dipingere le forme così come sono nella realtà; 4) colorire in modo appropriato; 5) composizione; 6) copiare. Neppure una di queste cose sfiora il segreto della pittura”. Hsieh non esclude che questi principi possano servir di guida a chi si dedichi a particolari generi di pittura, come i fiori o gli uccelli, ma subito dopo ci mette in guardia: “tentare di applicarli alla pittura d’oggi sarebbe come tentar d’infilare tasselli quadrati in buchi rotondi”.


o)     SHIH-T’AO, Un credo espressionista (K’u-Kia Ho-shang Yü-lu, alla lettera “Detti di frate Melone Amaro), pp. 162-188
Lo scritto risale al 1660. L.Y.: “Il vero nome di Shih-t’ao era Chu Yüan-tsi: si firmava anche “Abate cieco”, “Grande Lava-Bastoncelli”, “Frate Melone Amaro””. (p. 164). Vi sono motivi per ritenere che i puntini sospensivi posti a p. 170 (quint’ultimo rigo) e p. 181 (r. 5) si riferiscano a omissioni di modesta entità corrispondenti a poche parole.

L.Y.: il saggio è “assolutamente originale e rivela un acume psicologico, una profondità d’analisi dei processi della creazione artistica di cui non troviamo altri esempi nella letteratura cinese. Per quanto riguarda lo stile ha una grazia arcaica, una limpidezza e nello stesso tempo una pregnanza di significato che ne rendono assai difficile la traduzione. Ma fra tutti i saggi cinesi sull’arte, questo è il più profondo che sia mai stato scritto” (p. 165). Richiamo alcune affermazioni di insolita vivacità e bellezza. Al termine di p. 168 e all’inizio della successiva mi capita di leggere: “Coloro che raccolgono l’eredità del passato e non l’arricchiscono si comportano così perché la loro capacità di comprensione e penetrazione è limitata; se uno si contenta di imitare coloro che sono venuti prima di lui non può infatti avere una mente molto acuta. Il gentiluomo invece accetta il passato solo come un mezzo per progredire”. E subito dopo: “Si dice: “L’uomo perfetto non ha metodo”. Non è vero: ha un metodo, il migliore di tutti, che è quello di non avere metodo” (p. 169). Un vero grido di orgoglio prorompe da p. 170: “Io sono quello che sono, come sono; esisto, e basta. Non posso appiccicarmi sulla faccia i baffi degli antichi né mettermi nella pancia le loro viscere. Ho le mie viscere, il mio petto, e preferisco arricciolare con la punta delle dita i miei baffi. Se per caso succede che somiglio a qualcuno, è lui che mi imita, non io che cerco di diventare il suo fantasma. Così stanno le cose. Perché dovrei imitare gli antichi e non cercar di progredire, di sviluppare il mio io?”

[Nota di Giovanni Mazzaferro: per l’importanza che rivestono nella storia della teoria cinese dell’arte, i Detti di Frate Melone Amaro, di cui in questa biblioteca sono presenti successive edizioni italiane e francesi, saranno oggetto di specifica recensione]


Shih-T'ao (1641 ca. - 1717)
Paesaggio





p) SHIH-T’AO, Iscrizioni su dipinti (pp. 188-190).
Vengono riportate alcune delle iscrizioni che Shih-t’ao ha apposto sui suoi dipinti. Segnalo tre passi. Primo: “Se mi chiedessero: Appartieni alla Scuola del Sud o del Nord? o la scuola appartiene a te? riderei e risponderei: “ho il mio stile”” (p. 188). Secondo punto: “E’ difficile per gli artisti raggiungere il livello degli antichi, e la causa di questo sta nell’uso di copiarli. Si è cominciato a copiarli al tempo di Wang Wei [cfr. lett. d)], e si continua a copiarli ancor oggi. Copialo tre volte, e il carattere wu diventa wa. Non è triste?” (pp. 189-190). In quest’ultima iscrizione l’alta considerazione di sé si stempera in una riflessione velata di triste ironia: “Penso che i miei dipinti abbiano un notevole valore. Forse, dopo la mia morte avranno più ammiratori di adesso; non so. I miei veri ammiratori sorrideranno nel leggere queste parole” (p. 190).
  
q)     SHEN TSUNG CH’IEN, L’arte della pittura (Chieh-chou Hsüeh Hua P’ien, 1781), pp. 191-259.
L.Y.: “L’opera di Shen Tsung Ch’ien è in sé perfettamente compiuta e organica. Ne traduco qui i libri I e II, che, in termini quantitativi, rappresentano all’incirca i tre quinti dell’opera” (pp. 191-192). Vengono quindi omessi i due libri successivi: il libro III, che è “un ampio trattato sulla ritrattistica” e l’ultimo libro, il quarto, che riporta “osservazioni d’ordine generale”.

Non si deve tuttavia pensare che i libri I e II siano stati integralmente inseriti nell’antologia. Se alcune lacune (cfr. p. 195 r. 21; p. 238 r. 27; p. 249 r. 5; p. 253 r. 26) sono verosimilmente di modeste proporzioni, oltre invece si presentano con tratti assai diversi. A p. 201 viene segnalata l’omissione della parte finale del par. 2 (“un passaggio esclusivamente descrittivo”) e di un settore “in cui i principianti sono esortati a sviluppare forza e grazia” studiando gli antichi modelli. A p. 230 L.Y avverte d’aver tralasciato un intero paragrafo. Occorre infine aver presente che, per comodità di esposizione, tutta la materia è stata ampiamente ristrutturata modificando l’ordine dei paragrafi e includendoli “in tre sezioni intitolate: A) Problemi di tecnica: B) Gusto e stile; C) Fondamenti dello stile” (p. 192).

L.Y. esprime un giudizio entusiasta sullo scritto di Shen: “E’ il più leggibile, chiaro, particolareggiato ed esplicito e ci dice, nel pensiero che soggiace all’arte cinese e sui suoi fini, più di qualsiasi altra opera di questo genere” (p. 191). Già nell’Introduzione L.Y. aveva anticipato la sua valutazione positiva ed era arrivato sino al punto di consigliare al lettore di esaminare “questa antologia a rovescio” (p. 10), cominciando così proprio dal lavoro di Shen. E’, questa, una valutazione che non mi sento di condividere: la lettura di Shih-T’ao e di qualche altro autore mi sembra assai più stimolante e proficua.

Ciò naturalmente non significa che lo scritto qui indicato non presenti alcun interesse. Di tanto in tanto l’espressione s’illumina per la presenza di belle immagini e di valide intuizioni. Qualche esempio. Pag. 217: “Quando uno si prepara a mettere inchiostro sulla carta, dovrebbe sentirsi nel polso un potere simile a quello dell’universo creatore di vita. Questo potere fluisce da lui, libero e generoso, senza incontrare ostacoli e senza premeditazione. Una piccola macchia qui, una leggera pennellata là, e gli oggetti prendono forma. E’ il momento creativo, quando mano e mente e inchiostro e pennello lavorano insieme, in cooperazione perfetta”. Pag. 240: “Se la natura interiore delle cose lo consente, l’artista può staccarsi dall’esempio degli antichi, può raffigurare nei suoi dipinti qualcosa di diverso da ciò che vede l’occhio del corpo. Se è convinto di ciò che fa, non deve preoccuparsi della disapprovazione del mondo; ma impara a capire che rara fortuna sia trovare qualcuno capace di comprendere”. Pag. 242: “Il pittore deve cercar di cogliere lo spirito e la forma essenziale di ciò che vuole ritrarre, non sforzarsi di darne una riproduzione esatta, a detrimento del ritmo e del lavoro di pennello”. A p. 235 si rinviene un accostamento tra poesia e pittura che non sfigurerebbe affatto in un trattatello occidentale dei tempi passati: “Così la poesia come la pittura sono occupazioni di studiosi, modi di esprimere stati d’animo e sentimenti. Ciò che è soggetto di poesia può dunque essere anche oggetto di pittura; e ciò che è volgare in pittura è come cattiva poesia”. Ma, accanto a questi e a pochi altri momenti di felice intuizione, si avverte una diffusa fiacchezza di idee che finisce con lo stancare il lettore. Sono del parere che, nonostante le risonanti lodi rivolte all’autore, anche L.Y. abbia provato anche lui qualche senso di fastidio o, per lo meno, di disagio. Se così non fosse, non si riuscirebbe a capire perché mai abbia deciso di compiere tagli e riordinamenti di portata tutt’altro che limitata.


Shen Tsung Ch'ein (seconda metà del 1700)



L’opera di Lin Yutang si chiude con due elenchi, uno delle dinastie cinesi (dal terzo millennio a.C. sino all’instaurazione della Repubblica) e l’altro, sempre in ordine cronologico, degli artisti e delle principali tendenze di produzione artistica.

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