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mercoledì 9 aprile 2014

Ilaria Miarelli Mariani, Seroux d'Agincourt e l'Histoire de l'Art par les monumens. Bonsignori editore, 2005



Ilaria Miarelli Mariani
Seroux d’Agincourt e l’Histoire de l’Art par les monumens
Riscoperta del Medioevo, dibattito storiografico 
e riproduzione artistica tra fine XVIII e inizio XIX secolo

Bonsignori editore, 2005
Isbn 88-7597-368-7

Histoire de l'Art par les monumens. Vol. IV. Tavola LXIV:
Tavola storica e cronologica delle facciate delle Chiese, prima e durante la Decadenza delle Arti
Paris, Bibliothèque Nationale de France, Site Tolbiac, Réserve des Livres Rares
© BNF

[1] Seroux (o Séroux) d’Agincourt è una figura largamente citata nella storiografia dell’arte, per via della sua Histoire de l’Art par les monumens depuis sa décadence au IVe siècle jusqu’a son renouvellement au XVIe siècle. Tuttavia è oggi anche un personaggio poco conosciuto. Il suo capolavoro fu pubblicato in Francia a fascicoli addirittura lungo l’arco di tredici anni (dal 1810 al 1823) e ristampato integralmente in sei volumi sempre nel 1823. Seroux (1730-1814) era morto già da diversi anni. In Italia la Storia dell’arte fu stampata fra il 1826 ed il 1829 (o 1830, secondo lo Schlosser) a cura di Stefano Ticozzi. Si ricorda inoltre un’edizione mantovana del 1841. Da allora, nel nostro Paese, più nulla. Non solo la Storia dell’arte di Seroux non è più stata pubblicata, ma è impressionante come manchi un nucleo significativo di monografie sull’autore, sicché è lecito pensare che, in qualche occasione, dovendo esprimere un’opinione, ci si sia rifatti acriticamente alle posizioni espresse dai più noti esponenti della storiografia artistica. Per fortuna, sembra che le cose stiano cambiando, intanto perché appare sul mercato editoriale questo prezioso lavoro di Ilaria Miarelli Mariani e soprattutto perché nella primavera del 2006 è stata pubblicata una nuova edizione della Storia dell’arte (sempre a cura della Miarelli Mariani) per i tipi dell’editore Nino Aragno. 

Histoire de l'Art par les monumens. La Basilica di San Vitale a Ravenna

[2] Dovendo necessariamente operare una sintesi, si può dire che fino ad oggi Seroux è stato interpretato secondo due “lezioni” fra loro alquanto diverse. Da un lato si può collocare lo Schlosser, che nella sua Letteratura artistica (pp. 488-489) ne parla brevemente, ma in termini lusinghieri. Dopo aver ricordato il suo trasferimento a Roma nel 1787 (in età quindi già avanzata) nonché i rapporti con il mondo erudito del tempo, Schlosser scrive: “Ciò che aveva fatto il Winckelmann nel campo della storia dell’arte antica  egli lo trasferì nelle epoche successive... Anche il suo capolavoro, uscito dopo la sua morte, con le sue 325 tavole incise a contorno, frutto di studii trentennali, tuttora pregevole per le cose inedite che contiene, specialmente del Medio Evo, lo rivela seguace di quel grande tedesco, come del resto egli stesso si professava, e vero patriarca della moderna storia dell’arte. In esso è investigato il linguaggio dei monumenti stessi; prevale non la considerazione antiquaria, ma l’analisi stilistica, e l’A. non si stanca di far rilevare che l’organo decisivo è l’occhio del ricercatore, che l’interpretazione formale deve sostituire quella del contenuto, che le fonti primarie e l’opera d’arte stessa devono prevalere sulla tradizione indiretta, letteraria. Il suo sistema storico, presuppone il grande indirizzo storico-universale dei Francesi... L’opera del d’Agincourt è dunque fondamentale per la nostra materia e costituisce nella sua storia un faro tuttora splendente.” D’altro lato, è senz’altro più riduttivo il giudizio di chi si richiami a quanto espresso da Giovanni Previtali ne La fortuna dei primitivi (pp. 164-175). Previtali invita a non lasciarsi ingannare, quando Seroux si sofferma “sulla necessità di «vedere» i monumenti, di basarsi sullo «stile»... In realtà il d’Agincourt assai più che i monumenti guardava i disegni che di essi gli mandavano gli amici... o le incisioni delle opere a stampa” (p. 166). Ciò che meno convince Previtali, poi, è proprio la debolezza della critica di Seroux, troppo legata ad un’idea astratta di decadenza delle arti prima (dal IV al XII secolo) e di rinascita poi (dal XII al XVI secolo) che lo porta ad escludere “monumenti ed artisti, anche di sommo valore, semplicemente perché «non importanti per lo sviluppo»” (p. 167); in generale l’atteggiamento di Seroux nei confronti delle arti medievali appare troppo severo e non manca di riflettere la formazione culturale dell’autore, legato nei suoi anni francesi a Caylus e Mariette, che certo non apprezzavano gli artefici dei secoli di mezzo. Peraltro l’opera di Seroux nasce di fatto vecchia; pubblicata nel 1823, “fu composta tra il 1779 ed il 1789... Verso l’89 egli già la spediva a Parigi per farla stampare e solamente le vicende della rivoluzione consigliarono gli amici francesi a rispedirgli indietro i rami” (p. 165); i trent’anni successivi consentono aggiornamenti bibliografici, ma non ne modificano l’impianto di fondo. Previtali, insomma, non ritiene che la statura di Seroux possa essere affiancata ad esempio a quella di un Lanzi e della sua Storia pittorica. Solo dopo aver considerato questi limiti, si deve comunque “tener conto nella giusta misura dell’importanza che egli ebbe nella cultura dell’epoca, soprattutto per la sua opera di divulgazione ad alto livello e di diffusione di un interesse per il medioevo artistico” (p. 173). Si rimanda anche alle posizioni più sfumate (ma sostanzialmente in accordo con Previtali), espresse da Luigi Grassi in Teorici e storia della critica d’arte. Vol. 3°. Il Settecento in Italia (pp. 191-195).

Histoire de l'Art par les monumens. Notre-Dame de Paris

[3] Ilaria Miarelli Mariani, di fronte ad affermazioni come quelle sopra svolte, opera a nostro giudizio la scelta più corretta: riparte dagli archivi e rilegge i documenti: ne ripercorre gli anni francesi, la sua fortunata carriera di funzionario reale, la formazione culturale all’ombra di Caylus e Mariette, il periodo dei viaggi europei ed in Italia nonché il trasferimento a Roma nel 1781, un semplice viaggio di qualche mese, secondo gli intenti iniziali, trasformatosi poi in una permanenza ultratrentennale. Da questo materiale risultano alcuni aspetti di grande interesse:

  • la scelta di Seroux di dedicarsi alla storia dell’arte medievale non ha nulla di strabiliante o di incredibile; va collocata ai suoi anni francesi ed è la sfida di un uomo che “per puro amore della storia... decise di inoltrarsi in tale deserto” (p. 192);
  • a questo progetto Seroux si dedicò per oltre trent’anni. In tali decenni egli seppe mettere in piedi una rete di eruditi, artisti, disegnatori di dimensioni internazionali tale da essere ben presto riconosciuto come punto di riferimento obbligato per coloro che agli studi dei secoli bui si vollero dedicare;
  • i materiali preparatori per l’Histoire de l’Art sono conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana; si tratta di una mole impressionante di materiale grafico da cui Seroux attinse per la stampa dell’opera, che, lo si ricorda, nelle sue 325 tavole riproduce “parzialmente o per intero, più di 1400 monumenti, dei quali, aggiunge con orgoglio Seroux, «più di settecento sono inediti»” (p. 130);
  • non corrisponde al vero che la redazione dell’opera si concluda in anni precedenti al 1789. L’ultima stesura, anzi, appare essere del 1809-1810 (p. 201);
  • ciò non toglie che l’opera, per dirla in due parole, nasca in qualche modo “vecchia”: “Seroux si trovò ad operare in un’epoca in rapida trasformazione. Ciò che egli addebitava come modello negativo agli artisti e appassionati d’arte aveva già cominciato ad attirare le attenzioni del gusto internazionale da almeno due decenni” (p. 196), mentre Seroux “in perfetta armonia con la sua formazione antiquaria e neoclassica... si appassionava, ancora nel nuovo secolo, per la statuaria antica e non per la scultura medievale” (ibidem); 
  • Seroux insomma non è un Lanzi, né ci tiene ad esserlo. Quando, il 9 ottobre 1812 Seroux scrive a Léon Dufourny per sollecitare una più rapida pubblicazione dell’opera, non è perché tema che nuove prospettive critiche possano soppiantare gli occhi con cui egli interpreta il mondo, ma perché vede minacciato il suo diritto di primogenitura in materia. Seroux vuole essere per l’arte medievale quello che Winckelmann è stato con la sua Storia dell’arte dell’antichità. Non è un caso che nel progetto originale il titolo completo della sua opera sia Histoire de l’Art par les monumens depuis sa décadence au IVe siècle jusqu’a son renouvellement au XVIe siècle, pour servir de suite a l’Histoire de l’Art chez les Anciens. Ed in fondo, non è così difficile capire: Seroux ha più di ottant’anni ed ha dedicato la vita ad un unico progetto. Ora, quel diritto di primogenitura, quel primato personale che è stato legittimato nel corso dei decenni da studi ininterrotti è minacciato dalla pubblicazione di altri testi con apparati iconografici opera spesso di artisti che Seroux stesso ha incoraggiato e introdotto allo studio della materia. L’uomo che scrive a Dufourny, nel 1812, non è né un precursore né uno studioso legato al passato: è solo un individuo che teme, oltre alla vita, di perdere ciò che in fondo gli spetta, e nella sua debolezza non può che suscitare le nostre simpatie.
[4] Di particolare interesse il capitolo dedicato a “La documentazione grafica per l’Histoire de l’Art” (pp. 129-167).

[5] Spiace dirlo, ma un ulteriore giro di bozze avrebbe reso maggior merito al lavoro della Miarelli Mariani. Sono decisioni, come noto, che non dipendono certo dalla volontà dell’autore.

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