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venerdì 11 aprile 2014

Francesco Mazzaferro. Jan Verkade, Cennino Cennini e la ricerca dell'arte spirituale durante la Prima guerra mondiale. Prima parte



SI VEDA: PROGETTO CENNINI

Francesco Mazzaferro
Jan Verkade, Cennino Cennini e la ricerca dell'arte spirituale 
durante la Prima guerra mondiale
Prima parte

[Versione originale aprile 2014 - nuova versione aprile 2019]

Fig. 1) La copertina della seconda traduzione in tedesco
di Cennino Cennini ad opera di Willibrord Verkade (1916)


DIECI COSE CHE ABBIAMO IMPARATO SU JAN VERKADE – UN RIASSUNTO 

Primo: nella sua prefazione alla (seconda) traduzione in tedesco del Libro dell’Arte di Cennino Cennini, Jan Verkade (alias il Padre benedettino Willibrord Verkade) scrive che “la nuova direzione della pittura sarà di natura spiritualistica”. Questo è un saggio su Verkade e la sua ricerca di un'arte spirituale, attraverso i paesi, le lingue e le scuole artistiche. La traduzione di Cennino fu una tappa di questa ricerca. 

Secondo: Jan Verkade pubblicò la sua traduzione a Strasburgo (all’epoca parte della Germania) nel corso della Prima Guerra Mondiale. Era sua intenzione offrire ai pittori contemporanei la possibilità di avere accesso diretto alla conoscenza delle tecniche artistiche della tarda scuola giottesca. Naturalmente pensava di aiutare a far accrescere l’interesse dei suoi contemporanei per l’uso dei colori (la tempera) e delle tecniche (l’affresco), che aveva catturato l’attenzione di pittori con motivazioni religiose sin dalla fine del XIX secolo. La traduzione fu completata nel 1914, ma il libro apparve nel 1916. Se la traduzione del trattato tardo-medievale era in tedesco, il tessuto culturale alla base dell’interesse di Verkade per Cennino in ultima analisi va ricondotto alle sue frequentazioni francesi (il principale nemico militare della Germania nel corso del conflitto).

Terzo: le radici estetiche di Jan Verkade si trovano nella risoluta reazione della letteratura e dell’arte francese in senso anti-naturalistico ed anti-positivistico maturata negli ultimi decenni del XIX secolo (Baudelaire, Verlaine). Alcuni dei miti costitutivi del movimento simbolista accompagnarono tutte le fasi della sua variegata produzione artistica.

Quarto: le traduzioni francese (1911) e tedesca (1914-1916) di Cennino Cennini sono fra loro connesse indirettamente tramite l’interesse nutrito, nei rispettivi paesi, dalle cerchie artistiche che si richiamavano al cattolicesimo nei confronti dell’investigazione delle tecniche artistiche medievali; tutto ciò grazie soprattutto al pittore e critico d’arte e musicale Maurice Denis. Sfortunatamente, è provato che la guerra spezzò i contatti fra Verkade e la Francia, che risalivano al 1891, quando Verkade era divenuto membro del gruppo dei Nabis e aveva fatto conoscenza con Paul Sérusier e Maurice Denis, ovvero il nucleo teorico del movimento. Verkade, Denis e Sérusier formarono un trio che condivideva lo stesso interesse per arte e religione, con comune disdegno per il naturalismo e comune passione per il simbolismo.


Fig. 2) La copertina della seconda edizione francese di Cennino Cennini
a cura di Henri Mottez, con prefazione di Auguste Renoir

Quinto: c’è una linea di continuità fra l’ammirazione di Verkade per Paul Gauguin, di cui fu discepolo (1891), la sua partecipazione alla cerchia artistica dei Nabis a Parigi e in Bretagna, la sua appartenenza alla scuola d’arte di Beuron (dopo la decisione, nel 1894, di entrare nell’ordine monastico dei Benedettini a Beuron, in Germania) e la sua traduzione del trattato di Cennino. Verkade interpreta Cennino come un precursore di diversi aspetti della pittura sintetista e simbolista: il trattamento dei colori, la semplificazione nella composizione, l’interesse per gli affreschi. 

Sesto: Jan Verkade firmò la sua traduzione del Libro dell’Arte (si veda il frontespizio dell’edizione 1916) come rappresentante dell’arte di Beuron, il movimento artistico fondato da Peter Lenz (ovvero Padre Desiderius Lenz) alla fine degli anni ’60 dell'Ottocento. Il movimento ebbe vita sino agli anni '30 del Novecento e mirò a un rinnovamento complessivo dell’arte a soggetto sacro in Europa. Nato nei monasteri benedettini tedeschi, attirò su di sé grande attenzione nel corso di quei decenni (compresa quella del futuro Papa Paolo VI, che scrisse su di esso un articolo nel 1929), perché si proponeva di creare un legame tra simbolismo, arte dell’antico Egitto e Grecia, uso normativo dei canoni e delle proporzioni e spiritualismo. Si trattò del tentativo di distillare una sintesi fra arte moderna e tradizione, tenendo il passo con l’estetica moderna ma cercando di trovare un nuovo equilibrio spirituale, con alcuni aspetti in comune con l’arte astratta (un’estetica basata sulla geometria; il canone delle proporzioni per rappresentare i corpi umani). L’arte di Beuron, in termini estetici, cercò di stabilire uno stile collettivo, dove aspetti comuni e tipici dovevano avere la meglio sull’emergenza di una qualsiasi connotazione individualistica. Paul Sérusier e Maurice Denis introdussero il movimento in Francia, traducendone testi chiave.

Fig. 3)  Maurice Denis. Theories 1890 - 1910
du symbolisme et de Gauguin vers un nouvelle ordre classique



Settimo: Verkade fu l’ambasciatore dell’arte di Beuron in Europa e colui che mise in piedi rapporti personali con diversi artisti e movimenti al di fuori delle sedi monasterili. Le sue memorie (dalla giovinezza alla Prima guerra mondiale) furono un bestseller dell’epoca e furono stampate in tedesco, inglese, francese, spagnolo, italiano, ceco e polacco. Verkade non ebbe solo strette relazioni con Sérusier e Denis, ma anche con le Secessioni di Vienna e di Praga, con Alexei von Jawlensky, membro del movimento del “Cavaliere Azzurro”, con Giuseppe Prezzolini, animatore della rivista Il Leonardo e con molti altri. Non si dovrebbe sottovalutare inoltre il fatto che il monastero di Beuron fu non solo un centro religioso, ma anche un centro culturale (con una biblioteca di circa 400.000 volumi fondata negli anni Venti) che osteggiò il Nazismo e raccolse sotto la guida dell'abate superiore Raphael Walzer alcuni dei più importanti rappresentanti della resistenza cattolica (fra cui, Edith Stein, che fu uccisa ad Auschwitz e che è stata proclamata Santa nonché una dei sei patroni dell’Europa).

Ottavo: l’interesse per Cennino Cennini nella cultura francese risale a metà 1800, principalmente come portato dell’ammirazione di Ruskin per il Gothic Revival. Tuttavia, mentre in Gran Bretagna questa corrente di pensiero era collegata ad un’idea di progresso sociale, in Francia divenne una caratteristica della cultura cattolica più conservatrice. Cennino conquistò i cuori di quella parte dell’élite culturale d’Oltralpe che si rammaricava della rivoluzione francese, che era inorridita di fronte alla Comune di Parigi, che sostenne il complotto contro Dreyfus, che animò il movimento nazionalista e, alla fine, filo-fascista di Action Française (condannato dal Papa) e che, ad ogni costo, voleva un conservatorismo politico e culturale. In ultima analisi, Cennino Cennini divenne in Francia un referente culturale per artisti (come Auguste Renoir) che erano sostanzialmente convinti di non poter mai più recuperare la grandezza dell’arte medievale del passato, dopo secoli di corruzione culturale a partire dal Rinascimento. Un eroe anti-razionalista ed anti-illuminista. Fu Maurice Denis ad essere all’origine della nuova maniera di vedere Cennino in Francia a partire dal 1911, convincendo Renoir a scrivere un testo programmatico anti-modernista come prefazione al libro di Cennino e dandolo alle stampe nella casa editrice (“L’Occidente”) di cui era critico d’arte.


Fig. 4) L’Action française (1912),
Organe du Nationalism Integral

Nono: Maurice Denis – il vero centro della rete di contatti tra l'edizione francese e quella tedesca di Cennino – oscillava fra ricerche d’avanguardia per il rinnovo dello spiritualismo e tentativi nostalgici di ristabilimento della tradizione. Parlando d’arte, definì la cultura Nabis come ‘neo-tradizionalismo’ e interpretò la linea Gauguin, van Gogh e Cezanne come una nuova forma di classicismo. Con i suoi “Laboratori d’arte sacra”, fondati nel 1919, cercò invano di creare una nuova generazione di artisti spirituali cristiani. Altri gruppi di artisti e di critici dell’arte (il gruppo Haute Claire e la rivista L’independence) fecero anch’essi riferimento a Cennino Cennini come simbolo estetico originale di purezza dell’arte, ma la loro interpretazione fu più radicale (in termini nazionalistici e conservatoristici) tanto che finirono per supportare e legittimare i primi movimenti fascisti francesi, ben prima dell’esperienza di Vichy.

Decimo: è dunque possibile dare una lettura complessiva del ruolo di Cennino come ‘mito originario’ di varia correnti spirituali nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo, nel quadro del cattolicesimo conservatore. Perché il tentativo di rinnovare l’arte in senso religioso e seguendo le tecniche medievali fallì? In un certo senso, fu sconfitto dalla storia, dalla crisi, dalla guerra (Verkade non dipinse per molti anni dopo la Prima guerra mondiale) e dall'abisso in cui cadde l'umanità. Jan Verkade aveva debuttato in un circolo artistico che aveva preso il nome (i Nabis) dal termine ebraico che significa ‘profeti’. Morì nel 1946, il che vuol dire che il suo sogno di un’arte spirituale fu probabilmente distrutto dalla scoperta della shoah.


Radici comuni in tempo di guerra 

La seconda traduzione in lingua tedesca del Libro dell’Arte di Cennino Cennino ad opera del pittore olandese Jan Verkade (1868-1946) venne alla luce nel corso della Prima Guerra mondiale. Verkade la firmò come Padre benedettino Willibrord Verkade. Il frontespizio include un riferimento all’appartenenza di Verkade alla Scuola d’arte di Beuron. Se la traduzione era stata completata nel 1914, la prefazione è datata ottobre 1915 e il libro fu pubblicato a Strasburgo (a quell’epoca ancora parte della Germania di Guglielmo II) nel 1916. Nel pieno della Prima guerra mondiale.

Solo pochi anni prima un pittore francese, Henri Mottez (1858-1937), aveva pubblicato la seconda versione francese del trattato di Cennino, nel 1911. La pubblicazione era stata possibile grazie all’incoraggiamento e al supporto di un suo collega, Maurice Denis (1870-1943). Si trattava in sostanza della revisione della prima edizione francese, operata da Victor Mottez (1809-1897), padre di Henri. Maurice Denis, pittore e critico d’arte sul giornale cattolico conservatore “L’Occident” suggerì inoltre a Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) di scrivere l’introduzione, nella forma di una lettera di apprezzamento indirizzata ad Henri Mottez, e fece sì che il libro venisse pubblicato nel 1911 nella collana Biblioteque de l’Occident (cfr.: Helbert). Secondo Margherita D’Ayala Valva, il ruolo di Denis nella traduzione del libro di Cennino Cennini potrebbe essere stato ancora più importante. 

La comune radice delle due traduzioni (quella francese di Henri Mottez del 1911 e quella in tedesco di Jan Verkade del 1914-1916) consiste proprio negli strettissimi contatti che Verkade aveva con la cultura tedesca. Nel 1891, a soli 23 anni, Verkade aveva passato mesi cruciali della sua vita a Parigi e in Bretagna, facendo conoscenza con Paul Gauguin e divenendo membro del gruppo simbolista dei Nabis, che comprendeva Pierre Bonnard, Maurice Denis, Paul Ranson. Ker-Xavier Roussel, Paul Sérusier ed Édouard Vuillard, tutti all’epoca giovanissimi.

Qui di seguito concentreremo la nostra attenzione sulla relazione tra Jan Verkade e i due membri dei Nabis che più erano interessati all’estetica e alla teoria dell’arte: Paul Sérusier, che era stato l’allievo più vicino a Gauguin e che introdusse Jan nel gruppo, e Maurice Denis, che elaborò in forma scritta le principali teorie del gruppo stesso. Molti aspetti accomunano i tre: l’attenzione alla teoria dell’arte ed il fatto che scrissero libri su di essa, l’interesse per la religione e la spiritualità e – in termini stilistici – l’uso similare dei colori. Tutti questi aspetti saranno affrontati qui sotto. Vi è chiara evidenza di un’intensa interazione fra loro fra il 1898 e il 1913. 

La cosa più probabile è che sia stato Maurice Denis a portare Verkade a conoscere Cennino Cennini. Secondo Robert L. Herbert, Denis aveva letto Cennino già nel 1902. Sin da quando aveva 20 anni – scrive Verkade nel suo primo volume di memorie, intitolato nella sua traduzione italiana del 1924 Il divino tormento. Ricordi di un pittore-monaco  e presente in questa biblioteca nella versione tedesca (“Die Unruhe zu Gott” (1920)) – Denis ebbe un grande interesse per la teoria dell’arte, la filosofia e il cattolicesimo. Verkade parla di lui come di “un vero amico” con un “serio e profondo interesse religioso”. Ammira la sua variegata attenzione per la filosofia dell’arte e per la politica. Dice ancora di lui: “Maurice Denis ha fatto di me un francese”. 

I contatti fra Verkade e Denis rimasero intensi anche dopo che Verkade entrò nell’ordine Benedettino e nel monastero tedesco di Beuron nel 1902. Denis lo visitò a Beuron diverse volte e i due si incontrarono anche a Montecassino e a Parigi (accompagnati da Paul Sérusier). Mantennero inoltre una fitta corrispondenza. 

Non fu a dire il vero un’influenza monodirezionale, nel senso che non fu solo la Germania ad importare l’arte francese. Peter Lenz, nato a Monaco, in seguito Padre Desiderius Lenz (1832-1928), descrisse l’estetica della scuola d’arte di Beuron, basata sul simbolismo, in uno scritto del 1898 intitolato “Zur Ästhetik der Beuroner Schule” (presente in questa biblioteca nella versione inglese: ‘The aesthetics of Beuron and other writings’). Il testo venne tradotto in francese da Paul Sérusier, con un’introduzione di Maurice Denis, e pubblicato nel 1905 nella Biblioteca dell’Occidente, la stessa collana della traduzione di Cennino ad opera di Henri Mottez del 1911. 

In un’epoca in cui Germania e Francia si combattevano, molte radici culturali comuni univano dunque i due paesi. Elenchiamole. Innanzi tutto, come detto sopra, sia Verkade sia Denis erano stati membri del gruppo dei Nabis ed entrambi erano stati allievi di Paul Gauguin. In secondo luogo, tutti e due erano convinti del ruolo centrale nell’arte di simbolismo, sintetismo e spiritualità. Come terzo punto erano entrambi membri a tutti gli effetti di quella che Renoir chiamava, nella sua lettera prefatoria alla traduzione di Mottez, la “cultura cattolica”. Quarto: i due condividevano inoltre un interesse comune per aspetti tecnici dell’arte, come i colori e gli affreschi. 

E non solo: le comuni radici culturali risalivano in realtà alla generazione precedente. Victor Mottez (padre di Henry e – come già detto – primo traduttore di Cennino in francese nel 1858) fu fortemente influenzato dai Nazareni. Ebbe modo di imparare la tecnica dell’affresco da Johann Friedrich Overbeck (1789-1869) e lavorò assieme a Peter Cornelius (1783-1867) a Saint-Germain-l’Auxerrois (si veda d’Ayala Valva). Gli stessi pittori Nazareni giocarono un loro ruolo nella formazione artistica di Peter Lenz. Cornelius lo aiutò con una borsa di studio a pagare un viaggio a Roma, dove incontrò Overbeck. Anche se Lenz alla fine non seguì lo stile dei Nazareni, egli fu sicuramente influenzato dalle loro tecniche e dalla loro mistica. 

Tutte queste osservazioni mostrano che le due traduzioni, tedesca e francese, nacquero sulla base di un comune (o comunque simile) terreno culturale. Sfortunatamente, ciò non comporta che comunanze e similitudini siano state in grado di superare – nonostante le amicizie di lunga data, il comune ardore religioso e i punti di vista analoghi sull’arte - le fratture determinate dalla guerra fra i due paesi.

Il 25 novembre 1916 Maurice Denis scriveva un articolo per Le Correspondant su “Il presente e il futuro della pittura francese” ragionando su come eliminare qualsiasi residua influenza tedesca sull’arte francese (si veda: Denis, 1922). Di più: nell’articolo spiegava in lungo e in largo che lui non era mai stato soggetto a influenze tedesche e che – con riferimento ai suoi frequenti contatti col monastero di Beuron, che si trovava in Germania – aveva solamente acquisito opinioni molto generali sull’arte moderna (p. 26). 

Anche Verkade, l’artista-monaco, nel suo secondo libro di memorie, “Alla ricerca della bellezza” (posseduto in questa biblioteca nella versione originale tedesca, intitolata “Der Antrieb ins Vollkomene”) scriveva del “coraggio e della competenza dell’esercito tedesco”, grazie al quale il monastero di Beuron non era stato toccato dalla guerra. E’ noto che Verkade non dipinse più fra il 1915 e il 1924: una possibile conseguenza dello shock della guerra. 

Un terzo volume di Verkade (“Spuren des Daseins” - Tracce dell'esistenza) fu terminato nel 1935, due anni dopo che Hitler aveva preso il potere in Germania, e venne pubblicato nel 1938. Non si tratta della terza parte della memorie, ma più di una raccolta di aforismi, con pochi riferimenti all’arte, come se l’autore si fosse ritirato dal mondo. In ogni caso non vi compaiono più riferimenti a Maurice Denis e Paul Sérusier, con i quali aveva scritto – nel 1920 – di aver formato il “trio cattolico” della pittura. Anche la corrispondenza di Verkade con Sérusier, pubblicata da quest’ultimo nel libro “ABC de la peinture” termina con una lettera datata 1913. 

Io speravo sinceramente che i contatti fra i tre amici, così attivi nel condividere idee su arte e religione, fossero continuati, ma, sfortunatamente, non ho trovato alcuna traccia di ciò.


Temi in comune in merito al Libro dell'Arte di Cennino Cennini

Verkade scrive nella sua prefazione: “se qualcuno mi chiedesse quale sia il  vantaggio di quest’opera [il Libro dell’Arte], risponderei che consiste fondamentalmente in una migliore comprensione di quell’arte – che oggi è divenuta nuovamente a noi così cara – i cui eroi furono Giotto, i Memmi, Lorenzetti e l’Orcagna. Attraverso il trattato di Cennino – all’apparenza così arido – fluisce lo stesso, meraviglioso spirito che ci colpisce nell’opera di quei maestri. E’ lo spirito della venerazione e della pietà, dell’amore e dell’entusiasmo, che – ingenuo, ma devoto nella fede – cerca di plasmare immagini che siano chiaro specchio della sua forza e della sua delicatezza quasi non riconosciuta. Il libro ci porta più vicini a questo spirito, che non appartiene più ai nostri tempi”. 

E aggiunge: “La nuova direzione verso cui si indirizzerà la pittura sarà di natura spirituale. E tuttavia, la pittura fino ad oggi è stata supportata dalle tecniche dell’età del naturalismo. Potranno forse i pittori del Trecento e il maestro delle loro tecniche [Cennino Cennini] aiutarci a sviluppare modi di espressione a noi più consoni?” 

In quegli anni Maurice Denis avrebbe senz’altro condiviso il riferimento allo spiritualismo come principale direzione verso cui si sarebbe mossa l’arte moderna. In un discorso del 1919 intitolato “Le nuove direzioni dell’arte cristiana” si espresse in questo modo: “Se c’è qualcosa di caratteristico e di certo nell’evoluzione generale dell’arte negli ultimi 50 anni è che tende sempre più a rifuggire dal naturalismo – nel senso letterale di realismo – per orientarsi verso un sentimento spirituale, verso una sintesi, verso un’espressione decorativa.” 

Il ragionamento di Renoir non è molto dissimile. Tuttavia, egli non fa riferimento allo spiritualismo, e dubita anche che sia possibile recuperare lo stato d’animo degli antichi maestri. E se loda il lavoro di Cennino nella lettera d’introduzione alla traduzione di Mottez, si sofferma anche sulle cause della decadenza della pittura nella sua epoca, e ne identifica tre. In primo luogo, la perdita del sentimento religioso (lo splendore passato della cultura cattolica era alla base del fiorire delle arti), rimpiazzato da razionalismo e tecnologia; come secondo punto l’emancipazione dell’artista da tradizioni condivise, che avevano in precedenza preservato la base culturale di fondo per la produzione di lavori d’arte collettivi (si pensi alle cattedrali); ed infine, la specializzazione del lavoro e la divisione del lavoro nella produzione industriale, che aveva fortemente ridotto l’importanza dei mestieri artigianali nella creazione materiale, sostituendo il lavoro creativo manuale con la produzione alienata di massa.

Per Renoir la lettura di Cennino agli inizi degli anni ’90 dell’Ottocento era stata (assieme ai viaggi precedenti in Italia del 1881-1882 e alla scoperta del classicismo a Venezia) una delle ragioni che avevano confermato ed anzi rinforzato la sua tendenza anti-modernista nell’ultima fase della sua pittura. Questo periodo della produzione artistica di Renoir era già stato oggetto di severe critiche in quegli anni. 

Lo scrittore Camille Mauclair (1872-1945) racconta nel suo Servitude et Grandeur littéraires del 1922 che aveva visitato l’anziano Renoir a Cagnes, dove visse dal 1889 fino alla morte nel 1919. “Da molto tempo questo maestro – che aveva in precedenza firmato delicatissimi capolavori di una sensualità ben equilibrata – non produceva altro che immagini di donne nude sovrappeso, deformate dall’elefantiasi, imbrattate di un rosso violaceo, appesantite in corpi enormi con piccole teste in cima, con bocche à la femme fatale, nasi piatti ed occhi bovini; e sono pitture tuttavia vendute a prezzi altissimi ed apprezzate per rispetto dell’autore (…). Trovai quest’uomo, anziano e sofferente completamente ipnotizzato da una lettura, di cui parlava con entusiasmo ingenuo e commovente. ‘Un italiano del XIV secolo. E’ incredibile quello che sapevano quegli uomini. Oggi la gente non conosce più nulla. Io vi sto imparando cose su cui avevo dubbi.. So quello che ancora mi manca, non posso crederci… l’ho solo preso in prestito’. Davvero colpito dalla sua modestia, diedi un’occhiata al libro. Era il piccolo trattato di pittura del buon e mediocre Cennino Cennini”. Purtroppo Mauclair non ci dice esattamente in quale anno sia avvenuto l’incontro. 

Se l’ultimo periodo della pittura di Renoir venne criticato da Mauclair, ebbe invece l’appoggio incondizionato del critico d’arte Denis, come segno della possibilità di combinare fra loro “sintesi e tradizione”). Già nell’ultimo decennio dell’Ottocento Denis parlava della “definizione di Neotradizionalismo”; nel 1910 scrisse un articolo intitolato “Da Gauguin e Van Gogh al Classicismo”. Gli ultimi anni di Gauguin assieme alla produzione artistica di Cezanne venivano considerati da Denis come i punti culminanti dell’arte. 

Ad ogni modo, l’ammirazione di Renoir per Cennino nella sua lettera prefatoria è esplicita: “Il trattato di Cennino non è solo un manuale tecnico; è anche un libro di storia che non ci parla di battaglie o di intrighi di corte, ma che ci introduce alla vita di questi lavoratori “délite”. E’ grazie a loro che l’Italia, così come la Grecia e la Francia, ha raggiunto la gloria più pura. Anche se non sempre essi fecero fortuna o consegnarono i loro nomi alla storia, hanno tuttavia arricchito le loro patrie di un tesoro inestimabile. E hanno creato i caratteri peculiari grazie ai quali noi riusciamo a distinguere un paese da un altro. Bisogna insistere su quest’aspetto. E’ l’insieme delle opere d’arte lasciata da molti artisti – dimenticati o sconosciuti – che restituisce la grandeur di un paese – e non il capolavoro originale di un genio. Quest’ultimo, isolato rispetto ai suoi contemporanei, il più delle volte non può essere incasellato all’interno di un qualsiasi paese o di un qualunque periodo storico: li oltrepassa. Solo le prime. al contrario, caratterizzano allo stesso tempo la loro epoca e il loro territorio, quasi la loro patria. Detto ciò (e senza sottostimare la gloria che lega artisti come Raffaello, Tiziano, Ingres o Corot ai loro tempi), non avrebbe senso – non vi sembra? – pretendere che si scrivesse un trattato della pittura per uomini così eccezionali. Coloro ai quali il maestro italiano [n.d.r. Cennini] si indirizzava non erano tutti geni, ma rimanevano pur sempre eccellenti lavoratori. Insomma, l’unico scopo che si prefiggeva Cennino era quello di formare bravi artigiani.”

Il Libro dell’Arte di Cennino era già stato tradotto in tedesco da Albert Ilg nel 1871. Quali sono le ragioni per cui Jan Verkade avvertì la necessità di dar vita a una nuova edizione tedesca nel 1914-1916? Qui di seguito prenderemo in considerazione due categorie interpretative: (1) le ragioni tecnico-pratiche, legate all’interesse per le tecniche artistiche, ed in particolare al colore e agli affreschi; e (2) l’importanza delle convinzioni di Verkade in ambito estetico (legate alla sua frequentazione con Gauguin, alla sua partecipazione a due movimenti artistici, i Nabis e la scuola artistica di Beuron) e il ruolo del cattolicesimo conservatore nel mondo dell’arte.


Le ragioni tecnico-pratiche alla base della nuova edizione in lingua tedesca

Molti fattori indicano che il primo obiettivo di Verkade era legato a ragioni di natura tecnica e pratica, come peraltro detto dallo stesso traduttore. La traduzione è il lavoro di un pittore per altri pittori. Si tratta di un obiettivo che Verkade condivise con diversi altri traduttori del Libro di Cennino a quei tempi (si veda: d’Ayala Valva). 

E tuttavia, anche in assenza di una qualsiasi specifica motivazione pratica, Verkade avrebbe probabilmente tentato ugualmente di rimpiazzare la versione di Ilg con la propria, se non altro per offrire ai lettori un’edizione scritta in tedesco moderno. Tutto ciò che abbiamo detto sino ad ora rende evidente come sia l’ambiente culturale sia le convinzioni estetiche di Verkade fossero profondamente differenti rispetto a quelle del primo traduttore di Cennino Cennini in tedesco. Il giovane Ilg (il suo lavoro fu completato quando aveva 24 anni) avrebbe senza dubbio rifiutato molte delle suddette affermazioni di Verkade, Denis e Renoir sull’arte in generale ed in particolare su Cennino. Inoltre, le opinioni di Verkade divergevano anche da tutte le restanti e differenti visioni su Cennino degli altri membri della scuola viennese di Storia dell’arte, come Rudolf Eitelberger von Edelberg o Julius von Schlosser

Nel secondo volume delle sue memorie, Verkade ci racconta un episodio che risale al 1900, quando già lavorara a Beuron: “Presi parte alla decorazione pittorica dell’ingresso della nostra chiesa. All’epoca, cercai di dipingere con la tecnica dell’affresco seguendo alla lettera le prescrizioni di Cennino Cennini, un allievo per via indiretta di Giotto. Di Cennino avevo studiato il famoso libretto (Büchlein) intitolato Il Libro della Pittura (che avrei più tardi tradotto). Tuttavia giunsi alla conclusione che nelle nostre regioni è meglio non mescolare affatto la calce ai colori perché le gradazioni di colore – una volta che l’intonaco si era asciugato – difficilmente tendevano al chiaro e ciò rendeva impossibile ottenere una scala cromatica più profonda, che si adatta meglio ai nostri paesaggi del Nord. (…)” (Verkade, 1933). In altre parole: Verkade aveva cercato di sperimentare le tecniche del Libro dell’Arte già in una fase molto precoce della sua carriera artistica e si era scontrato con difficoltà di ordine tecnico; da qui, forse, il desiderio di chiarire alcuni aspetti tecnici attraverso una nuova tradizione dell’opera. 

La scelta del titolo, con riferimento al termine “Büchlein”, il piccolo libro o libretto (oggi probabilmente si parlerebbe di libro tascabile), rivela inoltre l’intenzione di evitare ogni riferimento ad un libro vero e proprio e ancor più a un trattato. E’ interessante che nelle sue memorie Verkade usi il termine “Büchlein” anche per definire il suo catechismo: un libretto con la dottrina esposta in maniera chiara e pratica. Il vocabolo, ad ogni modo, rappresenta una scelta unica fra tutti i traduttori di Cennino. Tuttavia va detto che “Büchlein” era, molto probabilmente, un termine che poteva essere usato all’epoca come sinonimo di libro (differentemente dal Tedesco odierno): Julius von Schlosser lo utilizza 37 volte nella sua Kunstliteratur del 1924. 

Si è già detto che il frontespizio include un riferimento a Verkade come appartenente alla scuola artistica di Beuron, altro segno dell’intenzione del traduttore di presentarsi come pittore. Si tratta anche della prima cosa che viene detta nella Prefazione: “La seguente traduzione non è un lavoro prettamente scientifico e non vuole esserlo, dal momento che il traduttore è un pittore che pratica l’arte, e non uno studioso (…) Ho prima di tutto preso in considerazione le necessità degli artisti e poi ho aggiunto al libro pochi orientamenti estetici ed alcune prescrizioni di tecnica pittorica” (p. V). 

In un libro come il trattato di Cennino, arido e a volte pedante, che consiste di più di 100 pagine di ricette e prescrizioni relative all’epoca medievale, diventa cruciale identificare criteri di selezione ed offrirli al lettore. Mentre la prefazione di Ilg conteneva riferimenti anticipatori di quei (pochissimi) capitoli che contenevano affermazioni sull’arte in generale (e su cui il lettore, interessato alla storia dell’arte, avrebbe potuto concentrare la propria attenzione), Verkade spiega di aver messo in evidenza – utilizzando una soluzione grafica differente e più leggibile – quei passaggi che apparivano importanti per gli scopi del pittore a lui contemporaneo. Ciò permette – dice il traduttore – di evitare che un collega impaziente salti i passaggi più importanti prima di mettere il libro da parte. E permette anche a un pittore di non perdere tempo, testando tutti i procedimenti, compreso quelli che all’epoca di Verkade non erano più importanti in termini tecnici. 

Questa è dunque la principale differenza tra Albert Ilg e Jan Verkade. Il primo mira a collocare Cennino nel contesto storico e culturale del passato (Gesammtgeist), mentre per il secondo Cennino è un libro scritto per i contemporanei, per validare aspetti tecnici sulla pittura che sono ancora importanti. 

Dal punto di vista di Verkade sono due gli aspetti ancor oggi rilevanti: l’arte di produrre i colori e l’arte di affrescare. I due temi sono fra loro correlati. 


Il colore sintetista: Guaguin, Sérusier, Verkade e Denis 

Lasciamo direttamente il campo allo stesso Verkade, allorquando commenta l’uso dei colori nel Libro dell’Arte di Cennino (pag. 76 n. 1. Molte note a piè di pagina presenti nella traduzione sono cruciali per comprendere l’atteggiamento di Verkade nei confronti delle arti nel 1914-1916):

“Quando Michelangelo dipinse la Cappella Sistina, rinunciò a fare uso dello splendido colore di un Tiziano e della tecnica molto più semplice dei colori ad olio, tornando indietro alla tecnica più antica dell’affresco e dello spolvero, che è la più ragionevole e quella che paga di più se si dipinge con acquerelli. Cennini parla sempre dell’arte di “colorire”, in opposizione a quella di disegnare e quest’espressione è davvero appropriata. Le opere dalla scuola di Giotto fino a Beato Angelico sono proprio disegni colorati, e non dipinti nel senso di quelli di un Rubens o di un Velasquez. E giustamente è così perché essi sono quasi totalmente opere a soggetto religioso (e quindi di natura monumentale). Questi lavori sono fatti per servire e non come fini a se stessi, e quindi sono semplici e chiari, come si addice a qualcuno che debba servire. Essi peraltro servono all’Altissimo e qui si mette in pratica meravigliosamente la verità del detto “Come il Signore così il servitore”. Nella sobrietà dell’uso dei mezzi a loro disposizione, i pittori della scuola di Giotto sono esempi luminosi di come si possa esprimere potenza. Un esempio: non si avventurano certo nelle scale cromatiche, negli effetti rilucenti e nei contrasti di valori tonali intesi in senso moderno. E tuttavia essi sono in grado di esprimere nella maniera più semplice possibile piena ricchezza nell’aspetto delle loro opere, ricchezza che corrisponde a quella della natura: e lo fanno attraverso la ricca gradazione dei toni, dal colore puro al bianco. Ogni forma ha un colore che ci parla, non dieci o più di essi ed il risultato è quindi di grande effetto.” 

Pochi anni dopo, nel 1920, Verkade scrisse nelle sue memorie: “Gauguin era alla ricerca delle regole eterne dell’arte e insegnava ai suo allievi – che ritenevano che la generazione dei pittori en plein air e che i puntinisti andassero abbandonati – ad apprezzare e comprendere gli antichi maestri. Riportò la composizione dell’opera pittorica nella giusta prospettiva e imparò da Goethe che l’artista può mostrare la sua reale forza solo attraverso la limitazione dei mezzi. Perciò, all’inizio, permetteva ai suoi allievi di far uso solo di cinque o sei colori: il blu di Prussia, il rosso rubino, il rosso vermiglio, il giallo cromo o il giallo cadmio, l’ocra e il bianco” (Verkade, 1920, p. 64). 

Insomma, il concetto del ‘colorire’ cenniniano (menzionato nella traduzione del 1914-1916) è visto come il prototipo medievale del ‘colorismo’ di Gauguin (citato nelle memorie del 1920). 

Anna-Maria von Bonsdorff identifica Paul Gauguin e i suoi seguaci Paul Sérusier, Jan Verkade e Maurice Denis come i quattro rappresentanti di una specifica pratica del colore che chiama “pratica del colore sintetista”, basata sui colori terziari di giallo, violetto, blu, rosso, verde, arancione (in una combinazione di tre alla volta, come se si trattasse dei toni combinati negli accordi musicali). Per esempio, Gauguin fa riferimento alla ‘misteriosa’ vicinanza di toni e alle sottili risonanze dei verdi-bluastro, dei rossi purpurei e dei gialli-arancio. Le combinazioni terziarie sono usate per rafforzare al massimo la potenze del colore e la forza espressiva della pittura. Le parole chiave per i “colori sintetisti” – scrive von Bonsdorff – “sono sovrannaturale, visione, dinamismo, primitivo, emozione, sensazione ed immagine onirica”. La gamma dei colori diviene la forza espressiva chiave di un dipinto. 

Il riferimento alle categorie musicali trova il suo fondamento nel concetto di ‘arte globale’, tipica del simbolismo. Maurice Denis era anche un critico musicale e diversi lavori sono stati scritti sulla sua estetica musicale. Fu vicino, fra gli altri, a Albéniz, Fauré, Koechlin, Debussy e Ravel. Promosse la musica antica e quella di natura religiosa. 

In termini musicali, tuttavia, io penso che il riferimento più pregnante sia (più che al simbolismo di Debussy) all’opera di Olivier Messiaen (1908-1992), un musicista di incredibile talento con grande interesse per la religione e il misticismo. Possiedo un libro di Andrew Shenton intitolato “Messiaen the theologician”, Messiaen entrò in conservatorio ad undici anni e divenne organista della Chiesa della Santissima Trinità a Parigi nel 1931, un posto che mantenne sempre sino alla morte. Combinava serialismo e colorismo senza perdere in armonia. Maurice Denis lo ispirò per la sua opera “San Francesco d’Assisi”. Messiaen rimane uno dei musicisti più affascinanti del XX secolo. Teorizzò la combinazione di musica e colori. Vorrei raccomandare a chiunque non li abbia mai ascoltati almeno una volta nella vita i suoi Vingt Regards sur l'Enfant Jésus (Venti contemplazioni sull’Infante Gesù) o il suo ricco repertorio musicale ispirato al canto degli uccelli.


La forza spirituale degli affreschi

Ancora dalle memorie di Verkade: “Agli inizi degli anni ’90 un grido di battaglia rimbalzava da uno studio di pittura all’altro: “Sbarazziamoci del cavalletto; basta con questo strumento inutile. La pittura deve tornare di nuovo al servizio dell’arte nel suo complesso, e non essere fine a se stessa. Il lavoro del pittore comincia quando l’architetto considera finito il suo lavoro. Quindi, qui ci sono dei muri, quindi dipingiamo! Basta con la prospettiva! Il muro deve rimanere una superficie, non essere rotto dall’apparenza di orizzonti senza fine. Non ci sono quadri, ma solo decorazioni. Questo programma, in qualche modo frettoloso, e che ha reso maggiori benefici all’Arte e ai Mestieri che alla pittura, sembrava essere fatto apposta per la riscoperta dei primitivi italiani, che furono quindi al centro dell’attenzione degli artisti dell’epoca”. (Verkade, 1920, p. 80).

Fig. 5) Gabriel-Albert Aurier
(1865-1892)
Quel “grido di battaglia” originava dal critico d’arte Gabriel-Albert Aurier (1865-1892), che pubblicò un articolo su Le Mercure de France il 2 marzo 1891, intitolato Le symbolisme en peinture – Paul Gauguin, contenente la famosa frase: “Muri, muri, dategli dei muri!” 

Nell’articolo – scrive von Bonsdorff – Aurier riassumeva i criteri caratteristici “per la nuova (…) arte simbolista che – sosteneva – era essenzialmente soggettiva, sintetista, simbolista e ideista. (…) E’ importante porre l’accento su quanto forte Aurier considerasse il legame fra arte simbolista e aspetto decorativo. L’ammirazione per gli affreschi antichi e primitivi ne era una conseguenza essenziale. La misteriosa arte arcaica e del primo Rinascimento diveniva un modello ideale per la complessità dell’arte simbolista. Le possibilità di narrazione pittorica, ottenute combinando parola, immagine e storia, o storia immaginata, trovavano il loro pieno modo di espressione nell’arte della decorazione murale dei secoli diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo, arte che prese il nome di arte cerebrale pura”. (…)


Fig. 6) Charles Baudelaire
(1821-1867)
Aurier – scrive ancora Von Bonsdorff – si inseriva nella tradizione inaugurate da Charles Baudelaire (1821-1867) che, in Le Peintre de la vie moderne (1863) “si esprime con forza in merito all’arte arcaica come stile pieno di potenza, che dovrebbe essere ammirato. Baudelaire, per di più, accettava l’idea – anzi raccomandava - che il disegno si allontanasse dall’approccio prospettico alla Natura sviluppato a partire dal primo Rinascimento da artisti inclini alla resa naturalistica, al fine di accentuarne gli elementi di musicalità. In particolare invocava il ritorno alla potenza espressiva e agli effetti armonici raggiunti dagli artisti arcaici attraverso la manipolazione e la deformazione.”

La tradizione dell’affresco era stata mantenuta viva in Francia anche dagli allievi di Ingres, e soprattutto da Victor Mottez, già citato come autore della prima traduzione francese di Cennino, nel 1858, e come padre di Henri Mottez. Quasi tutti gli affreschi di Mottez andarono letteralmente in rovina vuoi per le condizioni climatiche, vuoi per pessima manutenzione e fors’anche per carenze di ordine tecnico. Le immagini che vedete degli affreschi di San Martino a Saint-Germain l’Auxerrois e a Saint Sulpice a Parigi (oggi in condizioni assai precarie) sono scansionate da una monografia sull’arte cristiana del 1910, opera dell’artista francese Abel Fabre (1846-1922). 

Sarà poi Maurice Denis – nella sua ultima fase – a sviluppare più di ogni altro il tema dell’affresco, sia da un punto di vista pratico sia da un punto di vista teorico. E’ interessante notare come all’epoca avrà abbandonato il suo netto rifiuto del naturalismo, in cerca di una soluzione mediana tra arte moderna e classicismo. L’arte nuova – rappresentata da Cézanne – non dovrà riprodurre l’arte, ma rappresentarla. Nel suo articolo (già citato) intitolato “Il presente e il futuro della pittura francese”, pubblicato nel 1916 (lo stesso anno della traduzione di Cennino da parte di Verkade) Denis vide l’affresco come una tecnica che avrebbe permesso il ritorno alla tradizione e al comune buon senso contro la deformazione (la stessa ‘deformazione’ che Baudelaire sosteneva attorno al 1860 e che era centrale per l’arte ‘sintetista’). L’affresco diviene l’"arma" della pittura decorativa contro futurismo, espressionismo, cubismo e altri movimenti artistici d’avanguardia. 

Assieme a Maurice Denis, il pittore George Desvallières creerà nel 1919 gli ‘Ateliers d’arte sacra’ “per arricchire le chiese, e in particolare quelle distrutte dalla guerra, con opere d’arte religiosa che sarebbero state allo stesso tempo estetiche, tradizionali e moderne”. Uno dei loro scopi era quello di rinnovare l’arte sacra contro gli schemi del 'Sansulpicismo' di Victor Mottez (ovvero di un'arte devozionale giudicata leziosa e superata).

Va da sé che la decorazione murale sarà il nucleo vero e proprio dell’arte di Beuron, su cui diremo di più nella continuazione di questo post. Lo stesso Verkade, in una lettera a Maurice Denis del 1907, scrive: “Per quello che riguarda gli affreschi murali io sono stato senza dubbio fedele al nostro programma” (Kehrbaum).


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