I Taccuini manoscritti di Giovanni Morelli
A cura di Jayne Anderson
Federico Motta editore – Regione Marche, 2000
Anonimo, La Città ideale, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino |
Giovanni Morelli
Giovanni Morelli è un nome che dice poco ai profani, e che è semmai più noto a chi si interessa d’arte. Eppure Morelli va ricordato per almeno due aspetti: a) fu innanzi tutto uno dei massimi “conoscitori” d’arte dell’Ottocento b) a lui si deve il merito di aver inventariato e salvato da rovina o dispersione all’estero buona parte del patrimonio artistico marchigiano ed umbro.
Morelli, innanzi tutto, non nacque italiano [1]; e non solo perché vide la luce a Verona nel 1816 (all’epoca facente parte dell’Impero Austro-Ungarico), ma perché era figlio di genitori svizzeri (il bambino si chiamava Johannes Morell; il nome fu italianizzato negli anni ’30). Può sembrare un particolare da nulla, ma in realtà non lo è, specie se si pensa che dopo gli studi, compiuti esclusivamente all’estero (prima in Svizzera poi a Monaco) posto che la famiglia era protestante, Giovanni aderì convintamente ai movimenti indipendentisti italiani (tant’è che in tutte le biografie viene ricordato come patriota, uomo politico ed esperto d’arte). Partecipò attivamente ai moti d’indipendenza del 1848 e in particolare alle Cinque Giornate di Milano; quando la rivolta fu sedata Morelli si ritirò di fatto a vita privata nel bergamasco, dedicandosi agli studi. Morelli era laureato in medicina, ma in realtà la sua grande passione era la storia dell’arte. Sin dai tempi degli studi universitari strinse rapporti con ambienti artistici di tutta Europa e, specie a Monaco, conobbe studiosi del calibro di Karl von Ruhmor e Gustav Friedrich Waagen (direttore del Museo di Berlino prima e di San Pietroburgo poi), allora all’avanguardia nell’allestimento di strutture museali; i viaggi di Morelli gli permisero di conoscere Otto Mündler, e poi ancora Charles Lock Eastlake, allora non ancora Direttore della National Gallery; a Milano le frequentazioni erano nella cerchia di Giuseppe Molteni, pittore, restauratore, commerciante d’arte e Conservatore di Brera dal 1854. Col passare degli anni Morelli, insomma, riuscì ad entrare nel circuito europeo della connoisseurship, e lo fece dalla porta principale. La sua fama divenne indiscussa; Eastlake lo portava in palmo di mano e si rivolgeva a lui in questioni attributive con la massima fiducia. Morelli sviluppò un sistema attributivo che divenne universalmente noto come “sistema scientifico morelliano”, e che doveva molto ai suoi studi di anatomia della giovinezza (ne parleremo dopo).
Franz von Lenbach, Ritratto di Giovanni Morelli (1886) |
Morelli patriota e uomo politico
Lo scoppio della II guerra d’Indipendenza vede nuovamente lo storico dell’arte impegnato in prima persona per l’Indipendenza italiana, prima con un ruolo militare, poi, a vittoria avvenuta, dandosi alla vita politica. Viene nominato deputato nel 1860, e resterà parlamentare, nella fila del partito liberale di Cavour fino al 1870. Le nomine politiche sono anche un’occasione straordinaria per contribuire in prima persona alla salvaguardia del patrimonio artistico del neonato Regno d’Italia. Il senso di urgenza che si deve presentare ai patrioti italiani all’indomani dell’Unità Italiana deve essere pressante: ci sono intere regioni del Paese, ad esempio le Marche e l’Umbria, precedentemente sotto lo Stato Pontificio, in cui manca totalmente un inventario del patrimonio artistico. La conservazione del patrimonio è peraltro minacciato da un lato dalla soppressione di una quantità smisurata di enti ecclesiastici, dall’altro dalla continua emorragia di opere d’arte verso compratori esteri che approfittano del dissesto generale per rimpolpare le proprie collezioni.
Il viaggio nelle Marche
Di fronte a quest’urgenza, nell’aprile del 1861 il Ministro della Pubblica Istruzione nomina Morelli ispettore ministeriale per le Marche e l’Umbria. I compiti sono specificati dallo stesso Morelli in una sua lettera a De Sanctis del 15 aprile 1861:
“…1) di prendere accurata nota di tutti gli oggetti d’arte sparsi nelle varie chiese, conventi ed altri luoghi pubblici soggetti a soppressione;
2) di pigliare e consigliare alle autorità locali tutti quei provvedimenti che servir possono a impedire l’ulteriore sperpero di tante preziose opere d’arte, le quali, essendo già da molto tempo negli occhi e nel desiderio di vari direttori di Pinacoteche straniere, corrono ora più che mai il rischio di andare per sempre perdute all’Italia”
Morelli chiede ed ottiene che nel viaggio lo accompagni l’altro grande conoscitore italiano, Giovanni Battista Cavalcaselle, da lui conosciuto nel 1857. Non vi è dubbio che, oltre alla stima personale, li accomuni il sentimento patriottico; anche Cavalcaselle ha combattuto per l’Indipendenza, ed ha anzi conosciuto anni di esilio proprio per la sua battaglia contro l’Austria-Ungheria.
Il viaggio nelle Marche e nell’Umbria, durato dal 17 aprile all’8 luglio del 1861, è un episodio leggendario e notissimo nella storia dell’arte italiana. Partendo da Bologna i due visitano di tutto e vanno dappertutto, con ogni mezzo di trasporto (il dorso del mulo è uno dei più frequenti). Posto che lo scopo è di annotarsi tutto, Morelli tiene naturalmente dei taccuini di tutto ciò che osserva e vede. Si deve a Jaynie Anderson, la principale esperta di Giovanni Morelli [2], se questi taccuini sono stati ora ritrovati, dopo oltre un secolo in cui erano stati per dispersi, e sono stati ripubblicati nel 2000 grazie al contributo della Regione Marche.
Racconta la Anderson nella sua Premessa(p. 3):
“Molti anni fa mi misi a cercare se tra gli appunti di lavoro di Giovanni Morelli fosse rimasto materiale che in qualche misura registrasse il suo modo di pensare davanti ai dipinti. Sylvia Zavaritt ricordava in una cassa nella soffitta di villa Zavaritt... [n.d.r. Zavaritt è il cognome della mamma di Morelli] un piccolo quaderno appartenuto allo studioso. Grazie all’aiuto di un falegname che forzò la cassa ritrovai così gli appunti di Morelli sulle opere d’arte viste durante il famoso viaggio effettuato nel 1861 per conto del governo italiano... Alla scoperta di questo quaderno, conosciuto come taccuino A, è seguito alcuni anni dopo il ritrovamento di un secondo, il taccuino B. Il loro contenuto viene pubblicato qui per la prima volta, in edizione critica.”
Non vi è dubbio, tuttavia, che il materiale ritrovato non costituisca tutto quelle che Morelli scrisse; i due taccuini, ad esempio, non comprendono le annotazioni della parte del viaggio dedicata all’Umbria.
Il viaggio nelle Marche: successi e delusioni
Quali furono le conseguenze del viaggio? In realtà per rispondere bisogna anche capire quali erano gli obiettivi di Morelli: non solo la tutela del patrimonio, non solo l’interruzione delle vendite all’estero, ma anche la creazione di un grande museo nazionale a Firenze che risultasse dalla collazione delle principali opere d’arte provenienti dagli enti ecclesiastici soppressi. Non è certo un caso che nei suoi taccuini Morelli annoti con la dicitura “Firenze” le opere d’arte che ritiene degne di essere esposte. E non è certo un caso se lo studioso, esponente di una connoisseurship europea che fa della musealizzazione dei dipinti in grandi contenitori che fungano anche da rappresentazione dell’identità nazionale un punto base, pensi alla creazione di un grande Museo (e magari pensi anche di dirigerlo). Morelli, naturalmente, redasse al termine del viaggio un suo rapporto ufficiale che fu presentato al Governo. Tuttavia la delusione fu enorme quando, nell’aprile dell’anno successivo, si decise che le opere d’arte degli enti soppressi sarebbero rimaste proprietà dei comuni in cui si trovavano. Il sogno del grande museo svaniva per sempre. Scrive Morelli in una lettera dell’8 maggio 1862: “Ecco con un sol tratto di penna del Re distrutto quell’indefesso mio lavoro di 68 giorni consecutivi – nel quale io avevo posto tanto amore e che avea condotto a termine con l’intimo convincimento d’aver reso un servizio al mio paese – sebbene neppure un cane che non me n’abbia ringraziato e credo nemmeno letto il mio rapporto” (p. 30). Tuttavia, l’inventariazione del patrimonio fu effettuata e l’emorragia di opere d’arte verso l’estero fortemente ridimensionata (Eastlake nei suoi taccuini se ne lamenta tantissimo).
Non possiamo tacere una seconda conseguenza, questa volta sul piano personale: bastarono 68 giorni (forse anche molti meno) per guastare il rapporto fra Morelli e Cavalcaselle. Non sembra che (almeno in questa fase; successivamente sì) il problema fossero dissapori sulle attribuzioni delle opere d’arte, quanto proprio una sostanziale incompatibilità di carattere. Fatto sta che il binomio si ruppe subito, ed, anzi, nei trent’anni successivi, la rivalità fra i due (specie l’acredine di Morelli nei confronti di Cavalcaselle) non sia mai andata scemando.
Morelli e i conoscitori europei
A parte la questione Cavalcaselle, resta poi da chiarire quali furono i rapporti negli anni seguenti fra Morelli e gli altri esponenti della connoisseurship europea di cui faceva parte. O, più nello specifico, come si comportò Morelli dopo l’Unità d’Italia nei confronti di quei conoscitori che in precedenza aveva aiutato ad acquistare quadri italiani? Le malignità (ovviamente) si sprecano. E tuttavia dall’esame dei documenti risulta che il comportamento fu del tutto professionale: Morelli era a tutti gli effetti facente parte di un circuito di conoscenze al cui interno godeva di prestigio indiscusso, e quindi, se richiesto, non si tirava indietro nel fornire attribuzioni o pareri. Ma non sembra (e qui salta fuori nuovamente il patriota) che abbia mai facilitato o favorito una vendita per interesse personale. Possiamo citare tre episodi significativi:
1) Proprio all’inizio del viaggio, a Faenza, Morelli vede, nell’Orfanotrofio di Faenza, una pala di Marco Palmezzano, che non esita a definire la più bella pala dell’artista da lui mai vista (Madonna col Bambino, i santi Michele e Giacomo, attualmente alla Pinacoteca di Faenza). Nel corso del colloquio col direttore, viene a sapere (notizia non vera) che Eastlake ha offerto per conto della National Gallery 3000 scudi per la pala. Morelli scrive immediatamente al Ministero della Pubblica Istruzione chiedendo che, d’intesa col Ministro della Giustizia, ingiungano al direttore di non vendere se non con esplicito assenso del governo
2) Altro episodio celeberrimo è quello del 1875. La Gemäldegalerie di Berlino sta per comprare la Tempesta di Giorgione da famiglia nobiliare veneta. Giuridicamente non c’è problema, perché l’opera è privata, ma Morelli fa sì che venga acquistata da un privato italiano e non dalla pinacoteca tedesca.
3) Più contestato, almeno fino ad anni recenti, è il comportamento dello studioso nel caso della Madonna della Rondine di Carlo Crivelli, da lui vista nel corso del viaggio e poi comprata da Eastlake nel 1862 per la National Gallery. Vogliono i maligni che l’opera sia stata segnalata ad Eastlake da Morelli. In realtà la vendita era stata resa possibile perché l’opera, pur conservata in una chiesa, era di proprietà privata. E’ quello che scrive Morelli proprio nei suoi taccuini. Senonché Eastlake riesce ad entrare in possesso di una copia della relazione ufficiale di Morelli al Governo ed agisce senza scrupoli proprio in base a quanto ha letto.
Carlo Crivelli, Madonna della Rondine, National Gallery of London |
Il metodo scientifico morelliano
Lo studio del metodo con cui Morelli attribuiva le opere d’arte ha rappresentato sempre un momento di particolare interesse (ma anche di grande difficoltà) per contemporanei ed epigoni. Innanzi tutto, va detto che Morelli era convinto che il suo metodo funzionasse solo con le opere rinascimentali. Non credeva, cioè, di poter applicare gli stessi criteri per ore, ad esempio, del Barocco o del Manierismo. Ma lasciamo parlare ancora Jaynie Anderson:
“Nella sua analisi del linguaggio formale, Morelli distingue tre gruppi di caratteristiche di importanza diversa. Proprio come in una classificazione scientifica [n.d.r. tornano fuori gli studi giovanili di medicina], alcune di queste hanno un valore maggiore di altre. La prima e meno importante categoria di caratteristiche riguarda la “posizione e il movimento del corpo umano, la forma del viso, il colorito, il panneggiamento”. Tutto questo costituisce l’impressione generale. Secondo Morelli i primi connoisseurs avevano fatto troppo affidamento, in sede attributiva, sull’impressione generale. In effetti il tipo di osservazioni che potrebbero rientrare in questa prima categoria sono raramente riscontrabili nei taccuini.
La seconda e più importante categoria consiste nei particolari anatomici e in altri dettagli, come la mano, “una delle più spirituali, caratteristiche parti del corpo umano, l’orecchio, il fondo a paesaggio, se vi si trova, l’accordo o la cosidetta armonia dei colori”. Questi criteri sono in accordo con molte delle descrizioni dettagliate di dipinti dei taccuini. “Nell’opera di un vero artista tutte queste singole parti del corpo sono caratteristiche individuali e perciò piene di significato; poiché, come ho detto, soltanto per la conoscenza di esso, si può penetrare à l’âme, à la tournure de l’esprit, allo spirito del creatore.” […] Questa seconda categoria di caratteristiche è il vero e proprio cuore del metodo morelliano, applicabile a tutti i dipinti […].
La terza categoria di caratteristiche è quella che ha maggiormente affascinato i commentatori moderni di Morelli, sulla scia di una discussione sul suo metodo fatta da Freud in un saggio sul Mosè di Michelangelo. È costituita da un gruppo di caratteristiche accessorie e marginali che è possibile individuare nella maggior parte degli artisti, ma non in tutti. Esse riguardano l’identificazione delle idiosincrasie, l’uso ricorrente di determinate forme espressive, utilizzate in maniera involontaria e talvolta inappropriata, “così quasi ogni pittore ha certe maniere abituali ch’egli mette in mostra e che gli sfuggono senza che egli se ne accorga […]” Ciò che chiamerei l’interpretazione freudiana di Morelli […] si è concentrata su questa terza categoria meno importante di caratteristiche. Il risultato è una moderna interpretazione caricaturale di questo metodo che incontra il gusto del ventesimo secolo ma che, inevitabilmente, ne oscura il nucleo centrale e di maggior valore.” (pp. 28-29)
Naturalmente i Taccuini manoscritti di Morelli rappresentano, specie per la loro “informalità” un’occasione unica per riscontrare i principi del metodo morelliano. Nel nostro piccolo, ora che sono presenti entrambi in questa biblioteca, cercheremo di porre a confronto, in un prossimo post, i taccuini di Morelli e quelli di Eastlake davanti alle stesse opere d’arte, per capirne affinità e divergenze.
All’edizione critica dei taccuini è abbinato un notevole apparato iconografico (circa 300 riproduzioni, alcune realizzate per l’occasione). “Il repertorio di immagini che viene qui presentato è il risultato di una ricerca condotta sul testo dei taccuini, al fine di individuare e identificare le opere viste e citate da Morelli; ricerca che tuttavia non ha pretese di completezza ed esaustività... Ciascuna opera è accompagnata da un rimando al Taccuino e al foglio in cui è citata. Tra parentesi quadre sono riportate le attribuzioni e le collocazioni indicate da Morelli, qualora diverse dalle attuali” (p. 154).
Morelli e Garibaldi
I taccuini non contengono esclusivamente considerazioni di carattere artistico. Ogni tanto, ad esempio, compaiono osservazioni di ordine politico. Ci pare interessante qui riportare due annotazioni su Garibaldi, dove si dimostra che Morelli era appunto un cavouriano convinto, e vedeva l’eroe dei due mondi con grande sospetto (e con una buona dose di antipatia):
“Tomasi [n.d.r. in realtà sembrerebbe Stefano Tomani Amiani] mi racconta tratti del buon senso e anche spirito del nostro re durante il viaggio da Ancona a Sessa, alle deputazioni degli Abruzzi egli fece una sì bella risposta improvvisata, che contro le consuetudini diplomatiche tutti quei signori proruppero infine in una Viva il re. Di Garibaldi disse che è un pazzo ma un buon’uomo, che l’Italia dovea utilizzare tutte le sue forze attive, quandanche vi fosse dentro dei cattivi elementi, che bisognava dunque servirsi di tutti i Garibaldini” (p. 119).
“Ciò che voleva e vuole Garibaldi è il trionfo di una minorità violenta la quale, dopo un’assai lunga attesa ritiene che sia venuta la sua ora, è il rovesciamento del governo che lavora senza posa a costruire l’Italia, è la rivolta contro la saviezza e la prudenza. Queste provocazioni intempestive di un partito senza viste politiche e senza programma stabilito, che sacrifica alla sua ambizione, ai suoi capricci e ai suoi odj le conquiste che l’Italia deve alla sua perseveranza e al suo coraggio, al suo bon senso, e ch’essa non può consolidare che colla sua saviezza e concordia…” (p. 125)
Ringraziamenti
Il volume mi è stato inviato in omaggio nel maggio 2004 dal Dr. Raimondo Orsetti, all’epoca Dirigente del Dipartimento Sviluppo Economico Servizio Tecnico alla Cultura della Regione Marche, che si ringrazia.
NOTE
[1] Si veda la voce Giovanni Morelli, redatta da Tommaso Casini in Dizionario biografico degli italiani http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-giacomo-lorenzo-morelli_(Dizionario-Biografico)/
[2] Jaynie Anderson ha curato l’edizione critica del principale scritto artistico di Morelli, Della pittura italiana (Adelphi, 1991), Riportiamo dalla bandella dell’opera: “Morelli scrisse il suo libro fondamentale, Della pittura italiana, in tedesco e lo pubblicò nel 1890 con lo pseudonimo Ivan Lermolieff. L’opera fece scalpore, anche perché in essa per la prima volta Morelli esponeva il suo metodo di attribuzione, illustrandolo con numerosi esempi sensazionali: per esempio, l’identificazione di alcuni ritratti di Raffaello, in precedenza attribuiti ad altri, di opere di Dosso Dossi e Piero di Cosimo. L’edizione italiana, curata da Gustavo Frizzoni, amico di Morelli, nel 1897, da allora non è stata più ristampata. Ma l’influenza di quest’opera è stata immensa – e ultimamente, soprattutto attraverso gli studi di Edgar Wind, è stata rivendicata anche l’importanza di Morelli come teorico. Diversi aspetti della vita e del carattere di Morelli erano tuttavia rimasti in ombra, e la presente edizione porterà molte novità anche in questo senso. La curatrice, Jaynie Anderson, ha infatti avuto accesso ad archivi sino ad ora ignoti e ha così ricostruito per la prima volta un sorprendente profilo biografico di Morelli, accompagnando poi il testo con una puntuale analisi delle complicate vicende, sino a oggi, dei quadri da lui attribuiti”
Grazie Morelli, senza del quale, mai avrei potuto porre l'accento del dubbio su un opera di Vincent van Gogh, tuttora giacente nel museo of Art di Chicago e che porta il titolo di : "Pescatore e barche in primavera sulle rive della senna"- 1887-Parigi- Opera messa a confronto,con la stessa scoperta a Milano, 1985- di cui si aveva certezza essere una copia, smentita poi, dall'expertise scientifica che ne svelava tutta la verità del quadro.......Opera poi andata dispersa.
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