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sabato 8 marzo 2014

Francesco Mazzaferro. Albert Ilg e Julius von Schlosser: due modi diversi di interpretare Cennino Cennini nell'Austria-Ungheria del 1871 e del 1914 - Seconda parte

Julius von Schlosser 
SI VEDA: PROGETTO CENNINI

Francesco Mazzaferro

Albert Ilg e Julius von Schlosser:
due modi diversi di interpretare Cennino Cennini 
nell'Austria-Ungheria del 1871 e del 1914
Seconda parte

(Vai alla Prima parte)

La seconda serie delle Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittealters und der Renaissance

Ilg non scelse mai la carriera universitaria, e si dedicò completamente da un lato ad una sterminata attività letteraria (tra monografie, saggi ed articoli) sulla storia dell’arte, dall’altro al suo lavoro nei musei (fu il direttore del Kunsthistorisches Hofmuseum, poi divenuto il Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove fu incaricato di trasportare ed allestire collezioni d’arte provenienti da precedenti collocazioni all’interno dell’odierno palazzo); in terzo luogo ebbe un ruolo come pubblicista (tra il 1885 e la sua morte pubblicò, assieme ad un gruppo di letterati e storici dell’arte una serie di pamphlets intitolati ‘Gegen den Strom – Flugschriften einer literarisch-künstlerischen Gesellschaft’, ovvero ‘Controcorrente – Manifesti di una società di letteratura ed arte)

Diciassette anni dopo aver inaugurato la prima serie delle Quellenschriften con la traduzione di Cennino Cennini, Albert Ilg assunse l’iniziativa – si era nel 1888 – di pubblicare una seconda serie della collana sulla storia dell’arte. La lista della nuova serie è consultabile in Appendice II, in fondo a questo testo. 


Julius von Schlosser

Il ruolo che Ilg aveva svolto da giovane negli anni ’70, come allievo sotto la direzione di Eitelberger (traducendo cinque delle prime sette pubblicazioni), ora, nel corso degli anni ’90, viene assegnato al giovane Julius von Schlosser. Von Schlosser cura la pubblicazione di due dei nove volumi della serie diretta da Ilg, nel 1892 (quando ha 26 anni) e nel 1896 (a 30 anni).

Prima di lavorare alla nuova serie delle Quellenschriften, Schlosser aveva già pubblicato, ad appena 25 anni, una ricerca filologica intitolata “Beiträge zur Kunstgeschichte aus den Schriftquellen des frühen Mittelalters” (Contributi alla storia dell’arte attraverso le fonti scritte del primo Medio Evo) in una collana pubblicata dall’Accademia delle Scienze di Vienna [13]. Il suo studio era stato recensito in “Neues Archiv” [14], dove aveva ricevuto molti elogi. Il lavoro “segue soprattutto la transizione dell’architettura e della pittura dall’antichità fino all’epoca carolingia”.

Von Schlosser si era laureato in filosofia, filologia classica e storia dell’arte nel 1887, aveva lavorato tra il 1887 ed il 1889 all’Istituto Austriaco di Ricerche storiche e stava all’epoca lavorando dal 1889 al Kunsthistorisches Hofmuseum (di cui divenne curatore nel 1893).

In linea con la sua visione generale in merito all’arte – attenta soprattutto agli studi sul barocco – Ilg aveva deciso di allargare alla ‘Neuzeit’ (all’età moderna) l’arco cronologico coperto dalla nuova serie delle Quellenschriften. E tuttavia, quattro dei nove volumi pubblicati prima della sua scomparsa prematura riguardavano ancora il Medio Evo. Si trattava di una pubblicazione curata personalmente da Ilg su “Contributi alla Storia dell’Arte e alla Tecnologia Artistica dalla poesia tedesca del Medio Evo” [15], di due opere di Schlosser, rispettivamente sull’arte carolingia [16] e sul Medioevo nell’Europa Occidentale, intitolata Quellenbuch (ne parleremo fra un po') [17], e di un lavoro di Jean Paul Richter sull’arte bizantina.

L’introduzione al lavoro di Ilg del 1892 sulla poesia tedesca del Medio Evo chiarisce che questo testo apparteneva in origine alla prima serie delle Quelleschriften all’inizio degli anni ’70. Il volume era pronto, ma doveva essere revisionato da un filologo tedesco, Wilhelm Scherer. La sua morte improvvisa e l’accumularsi di altri impegni ne aveva impedito la pubblicazione.

Ilg scrive nell’introduzione che molti colleghi lo avevano spinto ad ultimare il lavoro: “Confesso che non lo avrei più completato, perché i cambiamenti dei miei orientamenti intellettuali (cosa che capita ad ognuno di noi) mi hanno portato, a partire da quei giorni, ad azioni e scopi completamente differenti. Quando iniziai l’opera, nel corso della mia giovinezza, la ricerca dell’ “Arte tedesca dell’alto Medioevo” sembrava a me (come a molte altre persone della mia età) un ideale supremo. Molti eventi e molte influenze mi hanno condotto, nel corso degli anni, ad interessarmi di un’area del tutto differente, della quale non è necessario che parli qui” (p. VI).

A dire il vero, dal 1880 in poi, Ilg si dedica interamente a quello che considera il reale progetto della sua vita: studiare lo sviluppo di uno stile barocco autonomo nei paesi sotto la dinastia asburgica nel XVII e XVIII secolo e stabilire il ‘Neo-Barocco’ come futuro stile nazionale dell’Austria-Ungheria. La sua attività comincia con un pamphlet anonimo che Ilg firma con lo pseudonimo di ‘Bernini il giovane’ [18] e prosegue con numerose monografie e saggi [19]. Passa attraverso anche argomentazioni fortemente polemiche, caratterizzate da attacchi verbali violenti, che avrebbero segnato anche il suo crescente isolamento rispetto ai colleghi.


Julius von Schlosser: i primi riferimenti a Cennino Cennini

Se von Schlosser comincia la sua carriera nel 1891 con numerosi saggi e traduzioni sulla letteratura artistica del Medioevo, è solo nel 1914 che mostra di aver sviluppato un parere strutturato sul lavoro di Cennino.

La pubblicazione (nel 1892) delle Schriftquellen zur Geschichte der Karolinigischer Kunst (Fonti scritte sull’arte carolingia) copre cronologicamente un periodo ben lontano dal Libro dell’Arte di Cennini. Al contrario, il Quellenbuch zur Kunstgeschichte des Abendländischen Mittelalters (Libro delle fonti per la storia dell’arte del Medioevo occidentale) è un’antologia di testi letterari in lingua originale, che comprende anche, tra gli altri, il Trecento italiano, con Petrarca, Boccaccio e Filippo Villani. Non c’è alcun riferimento a Cennino. 

L’introduzione del Quellenbuch aiuta forse a capire perché il Libro dell’Arte non è incluso. Von Schlosser vi fa riferimento a tre differenti categorie di antica letteratura artistica: quella teoretica (theoretische), la storica (historische) e l’estetica (ästhetische). A pagina IX spiega che queste tre categorie non comprendono i trattati esclusivamente tecnici, come la Schedula di Teofilo, perché non possono essere considerati parte della storia dell’arte.

Troviamo il primo riferimento a Cennino in un lungo saggio su “Giusto's Fresken in Padua und die Vorläufer der Stanza della Segnatura” (Gli affreschi di Giusto a Padova e i precedenti della Stanza della Segnatura) [20], pubblicato nel 1896. Molto probabilmente, von Schlosser vi inserì un paio di citazioni marginali perché Cennino era stato attivo, come artista, a Padova.

Nel 1902, Julius von Schlosser pubblica un articolo nell’annuario delle collezioni d’arte imperiali intitolato “Zur Kenntnis der künstlerischen Überlieferung im späten Mittelalter” [21] (Sulla conoscenza della tradizione artistica nel tardo Medio Evo). Anche qui Cennino vi viene timidamente citato appena un paio di volte.


Julius von Schlosser e Cennino Cennini: a meta’ fra Medio Evo e Rinascimento

I Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte
contenenti il capitolo su Cennino Cennini
(1914)
Cennino Cennini entra dunque nell’universo di von Schlosser passo dopo passo, e probabilmente non dalla porta principale. Tuttavia è nel 1914 (a Guerra mondiale già cominciata) che von Schlosser propone la sua lettura del lavoro di Cennino, dedicandogli l’ultimo capitolo del primo volume (di cento pagine) dei Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte sul Medio Evo. Si trattava di materiali per lo studio delle fonti di storia dell’arte, che egli usava per i suoi corsi all’Università di Vienna, dove era divenuto Professore ordinario di Storia dell’Arte nel 1913.   

L’interpretazione di Cennino data da Von Schlosser nel 1914 è sostanzialmente differente rispetto a quella di Ilg del 1871 (ma anche da quella (non) fornita da egli stesso nel 1896). L’attenzione non è più sui difetti dell’opera. A differenza di Ilg, von Schlosser considera ora il Libro dell’Arte come contenente elementi innovativi, e mette in risalto tutti quelli che avranno un impatto sulle arti nei secoli successivi. Diversamente dal Quellenbuch del 1896- che ignorava Cennino – i Materialien lo includono tra i principali autori delle fonti della storia dell’arte.

The first volume of J. von Schlosser’s  ‘Materialien zur Quellenkunde  der Kustgeschichte ‘, containing the chapter on Cennino Cennini (1914)

Cennino continua ad essere visto come una figura piena di contraddizioni, a metà tra due mondi, ma anche come l’inventore di un nuovo linguaggio. Mentre Ilg vedeva in lui un testimone del tramonto e della degenerazione dell’arte gotica, per von Schlosser – almeno dal 1914 – egli è parte integrante di un periodo storico (il Trecento) che ha ancora forti legami culturali col Medio Evo e che può allo stesso tempo ragionare in termini nuovi. Lasciamo parlare per noi l’autore:

„Cenninis Einleitung zu seiner Schrift ist dadurch merkwürdig, daß sie einen engen Zusammenhang mit Gedanken der scholastischen Enzyklopädie verrät. Wie Theophilus beginnt er ab ove, mit dem Sündenfall und der Arbeit der ersten Menschen, aus der sich alle Künste entwickeln, natürlich die Künste im Sinne des Mittelalters, die die necessitas hervorruft. (…) Zu jenen Künsten, die der Not der ersten Menschen ihren Ursprung danken, rechnet Cennini auch seine eigene, die Malerei. Klingt hier deutlich der Begriff der alten ars mechanica an, so führt Cennini sehr merkwürdigerweise einen Faktor ein, der seine Auffassung der Kunst schon der unsrigen nähert, freilich schon in der Spekulation des späten Altertums seine Rolle spielt: die künstlerische Phantasie, die zur Handgeschicklichkeit hinzutreten muß, um als wirklich darzustellen, was real nicht vorhanden ist; wir haben sie schon bei Dante angetroffen. Deshalb verdient die Malerei im zweiten Range unter der Wissenschaft (scienza) zu sitzen und von der Poesie den Kranz zu erhalten. Unwillkürlich erinnert man sich der trecentistischen Darstellungen der Künste, in der Spanischen Kapelle, in Giustos Eremitanifresken in Padua u.s.w. Denn gleich dem Dichter hat auch der Maler Freiheit zu bilden, wie es ihm die Phantasie erlaubt, sitzende oder aufrechte Figuren, halb Mensch, halb Roß.
Dreierlei ist an dieser Stelle bemerkenswert. Einmal die uralte, bis in die altgriechische Zeit zurückreichende Vergleichung des Malers mit dem Dichter, das berühmte ut pictura poesis, ein geflügelter Concetto des Alterturms, der bis auf Lessings Laokoon sein Wesen in der Kunsttheorie getrieben hat. Er stammt in dieser Fassung bekanntlich aus der Poetik des Horaz (v. 361) und hat dort allerdings einen wesentlich andern Sinn. Daß Cennini, sei es unmittelbar, sei es auf einem Umwege, seinen Vergleich aus dem viel gelesenen, auch in Dantes Convito benützen Schulbuch bezogen hat, lehrt das weiterfolgende Beispiel des Kentauren, mit dem die Epistola ad Pisones beginnt:

Humani capiti cervicem pictor equinam
Jungere si velit …..

Und Horaz (der sich gegen diese Auffassung übrigens polemisch verhält) faßt die Meinung der Gegenpartei in den Satz:

                            Pictoribus atque poetis
Quidlibet audendi sempre fuit aequa potestas.

Das ist wohl die ältere Spur dieses einflußreichen Werkes in der Kunsttheorie, die im weiteren Verlauf einen solchen Schatz an flügelten Worten und Gemeinplätzen daher übernommen hat.
Ferner meldet sich zum ersten Male, wenn auch nur flüchtig und, wie man sieht, aus antiker Grundlage erwachsend, das später endlos ausgesponnene Thema vom Rangstreit der Küste, der Paragone.
Zuletzt, und das ist das Wichtigste für uns, wird hier zuerst, am Vorabend der Renaissance, aus der Künstlerpraxis heraus ein Vorstoß unternommen, die bildende Kunst aus den Banden des Handwerks, der ars mechanica zu lösen, und zwar mit einem Elemente, das wieder antikem Denken angehört. Der Malerei gebührt die zweite Stelle nach der Wissenschaft, neben und vor der Poesie. Es ist der Weg, den die Theoretiker der Folgezeit weiter gewandelt sind und der schließlich zu dem Concetto der selbstherrlichen „schönen Kunst“ führte.“

„Nicht umsonst steht Cenninis Buch auf der Scheide zweier Perioden. Es enthält antik-mittelalterliche und moderne Elemente; er selbst betont ausdrücklich das „Moderne“ an Giottos Styl. Zum ersten Male erscheint dieser wichtige, schon früher gebrauchte Terminus in der italienischen Kunsttheorie. Wohl wird schon die Natur als sicherste Führerin gebannt (c.28), begreiflich genug in einer Zeit und Umgebung, die, wie besonders die Fresken der veronesisch-paduanischen Schule zeigen, ein unmittelbares und ziemlich ausgiebiges Modellstudium pflegte, aber für den nach dem Norden verschlagenen Giottisten hat das Wort kaum viel mehr Bedeutung als für seine Landsleute aus del Laienstande, Boccaccio und Villani, und er bleibt den Traditionen seiner Schule im allem Wesentlichen zugetan.  Die Typik und die Vorherrschaft des mittelalterlichen exemplum tritt uns fast in allen seinen Vorschriften und Ratschlägen entgegen. Führt die Regel, im Freien zu zeichnen und dann die Sonne stets zur Linken zu haben (c.18), gleich auf antik-südlichen Boden, so sind die weitern Einzelheiten doch wieder ganz mittelalterlich formelhaft, wie denn in Cenninos Werkstatt genau so mit Bausen nach ältern Vorbildern gearbeitet wird als etwa in den Ateliers der Athosklöster (c.28). Die Stellen des Gesichtes werden genau bezeichnet, wo der Schatten zu sitzen hat: Nase, Lippen, Mundrand, Kinn u.s.w. Ebenso wird die Weise, in der Agnolo Gaddi das Wangenrot anlegte, genau geschildert und zur Nachahmung empfohlen, da sie dem Gesicht mehr „rilievo“ gebe. Dieser wichtige Kunstausdruck tritt uns hier ebenfalls zum ersten Male entgegen. Ebenso formelhaft sind die perspektivischen Vorschriften (c.87). Die obern Gesimse der Architekturen sollen fallend, die untern steigend gebildet werden; das ist noch nicht einmal die rein empirische Manier, die in Flandern geübt wurde, als die toskanischen Maler bereits die mathematische Konstruktion begründet hatten. Genau so formelhaft sind die Vorschriften für die Landschaftsmalerei; hier finden wir den oft zitierten Rat, große unbehauene Steine als exempla im Atelier zu halten. Es handelt sich um die merkwürdig schematische, aus der Antike vererbte Darstellung des Terrains mit abgetreppten Felsen, die sich in den Bildwerken des Trecento mit ungemeiner Zähigkeit erhält und auch in die französische Miniaturmalerei übergangen ist. (…)
Wichtig und merkwürdig ist Cenninis Kapitel über die Proportionen des Menschen (c.70); es ist wieder das erste Mal, daß sie in einem Kunsttraktat zur Sprache kommen. In der Theorie behaupten sie von da an ihre feste Stelle bis auf unsere Zeit herab. Empirischer Formeln solcher Art hat eben keine Werkstattpraxis seit altägyptischer Zeit entraten können, selbst im Malerbuche des Athos fehlt das Kapitel nicht, hier freilich wohl (seiner ganz späten Redaktion entsprechend) auf abendländisch-italienischer Grundlage. Cenninis Angaben, die Einschreibung des Körpers, die Dreiteilung des Gesichtes nach Nasenlängen verraten deutlich die antike Quelle. Es ist der berühmte Passus in Vitruvs Architekturbuch (III, i), der die antike, für uns mit Polyklets Kanon beginnende Praxis kompendiert. (…)
Echt mittelalterlich, obgleich auch hier (freilich dieser Zeit nicht mehr verständlicher) Nachklang von der Antike her nachzittern könnte, ist die Ausscheidung der Frau aus der Proportionslehre, weil sie kein „Ebenmaß“ besitze (…). Daß Cennini ein Mensch des Mittelalters ist, zeigt seine völlige Unkenntnis der Anatomie, er ist fest im Bibelglauben, daß der Mann eine Rippe weniger als die Frau habe. Dergleichen hat nun freilich wenig praktische Bedeutung; dafür ist die Forderung der geziemenden Farbe, braun für den Mann, weiß für die Frau, im rhetorischen Concetto des Decorum sowohl als in der Praxis selbst ein Nacklang antiker Ateliergewohnheiten, der sich übrigens selbst noch im 17. Jahrhundert mitunter recht auffällig bemerklich macht. Die Antike selbst, als Form, spielt bei Cennini aber noch nicht die mindeste Rolle; das könnte für seine Zeit und seine Umgebung recht verwunderlich scheinen, denn Padua war damals schon eine echte Humanistenstadt, in der der Preis des Altertums laut verkündet wurde, und die merkwürdigen Denkmünzen der Carraresen, die Cennini wohl selbst noch gesehen hat, gehören zu den ältesten und merkwürdigsten Zeugnissen des italienischen Klassizismus. Aber Cennini ist viel zu fest mit der Praxis der heimatlichen Giotteske verwaschen; wie fremd er im Grunde antikem Wesen gegenübersteht, zeigt seine ganz mittelalterlich fabulose Vorstellung von der Art, wie die nackten Statuen des Altertums entstanden seien, nämlich als Nachahmungen von Naturabgüssen über der ganzen Figur, über die er sich ausführlich verbreitet (c.182); das Akademisch-Formelhafte ist übrigen auch hier leicht zu erkennen. (…)
Im übrigen ist das Atelier des Cennini noch ganz zünftig und handwerksmäßig eingerichtet; es übernimmt alle Arten gewerblicher Arbeiten, das Bemalen von Fahnen, Schildern, Truhen, Vorzeichnungen für Stricker und Zeugdrücker, selbst das kunstgerechte Schminken der Damen. Alles das geht ja noch ins 15. Jahrhundert fort, wohl auch darüber hinaus; Handwerk und Kunst, ars mechanica und liberalis  sing noch einträchtig beisammen. Die Trennung der hohen ‚schönen‘ Kunst vom offiziell verachteten ‚Kunstgewerbe‘, des ‚Kunstmalers‘ vom ‚Flachmaler‘ hat sich dann seit der Virtuosenzeit der Spätrenaissance vollzogen, und erst die modernste Entwicklung hat sie wieder fallen lassen, in Theorie wie in Praxis.
Endlich ist Cenninis Traktat ein erster und merkwürdiger Zeuge für die aus der Atelierpraxis heraus entwickelte, bei ihm schon ziemlich gefestigte Terminologie der  Kunstausdrücke. Einige dieser Termini, denen ein langes Leben beschieden war, haben wir schon erwähnt; Milanesis treffliches Glossar zu seiner Ausgabe gibt übersichtliche Auskunft. Ich will hier nicht auf die besonderen technischen Ausdrücke eingehen, sondern nur kurz einige Begriffe allgemein theoretischen Gehalts herausheben: ‚Disegno‘ der bei Cennini schon den Sinn angenommen hat, in dem ihn die spätern Theoretiker gebrauchen; er ist das fondamento dell’arte zusammen mit dem Kolorit (il colorire c.4) und bedeutet über die bloße ‚Zeichnung‘ hinaus die innere, durch die Theorie gefestigte Form: [il disegnare di gesso] … ti farà sperto pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua (c.13), und besonders das abschätzige Urteil c.171 über die Miniatoren, die mehr pratica als disegno haben. Während der Ausdruck esempio (c.8 u. ö) der mittelaterlichen Kunstterminologie  angehört, sind das schon erwähnte rilievo (c.28) für Modellierung, das (auch in das Malerbuch von Athos hinübergewanderte) naturale (c.28), ignudo (c.71), sfumare (c.31. 71), maniera (c.27) Ausdrücke, die aus der Kunstsprache von da ab nicht mehr verschwunden sind.

[Traduzione di Filippo Rossi] [22]

“L’introduzione del Cennini al suo scritto è importante per la stretta connessione che rivela col pensiero enciclopedico scolastico. Come Teofilo egli comincia ab ovo, col peccato originale e il lavoro dei primi uomini, da cui derivarono tutte le arti, naturalmente nel senso medievale, provocate dalla necessitas (...) Tra quelle arti che devono la loro origine alle necessità dei primi uomini, il Cennini annovera anche la sua propria, la pittura. Sebbene in questo sia chiara l’eco dell’antico concetto di ars mechanica, è notevole che il Cennino introduca un fattore che avvicina alla nostra la sua concezione dell’arte, e che ha già parte nella speculazione della tarda antichità: la fantasia artistica, che deve accompagnarsi all’abilità tecnica, per rappresentare come reale ciò che in effetti non è presente; l’abbiamo già incontrata in Dante. Per questo la pittura merita di sedere in seconda fila sotto la scienza e di essere incoronata dalla poesia. Vien fatto di ricordarsi delle rappresentazioni trecentesche delle arti, nel cappellone degli Spagnuoli, negli affreschi di Giusto agli Eremitani di Padova, ecc.  Come il poeta anche il pittore è libero di foggiare, secondo gli concede la fantasia, figure sedute o stanti, metà uomini e metà cavalli.
Questo luogo è notevole sotto tre punti di vista. C’è innanzi tutto l’antichissimo confronto del pittore col poeta, che risale fino all’età greca arcaica, il famoso ut pictura poësis, un concetto proverbiale nell’antichità, che ha avuto anche troppo peso nella teoria dell’arte fino al Laocoonte di Lessing. È noto che in questi termini esso deriva dalla Poetica di Orazio (v, 361), dove ha, però un significato sostanzialmente diverso, Che il Cennini, direttamente o no, abbia tratto il suo paragone da quel testo molto letto e già messo a profitto nel Convito di Dante, ce lo mostra il successivo esempio del centauro, con cui comincia la Epistola ad Pisones [n.d.r. altro nome dell’Ars Poetica di Orazio]:

Humani capiti cervicem pictor equinam
Jungere si velit …..
[n.d.r. Se il pittore volesse unire una testa umana con un collo di cavallo…]

e Orazio (che, per altro tiene un atteggiamento polemico di fronte a questa concezione) esprime il parere della parte opposta nella frase:

                            Pictoribus atque poetis
Quidlibet audendi sempre fuit aequa potestas.
[n.d.t. Pittori e poeti hanno sempre goduto del giusto diritto di tentare qualsiasi strada]

È questa la traccia più antica di quest’opera importante nella teoria dell’arte, che ne ha tratto in seguito un tesoro di modi proverbiali e di luoghi comuni.
Infine, ciò che più importa per noi, c’è qui un primo accenno, proprio alla vigilia del Rinascimento, e all’infuori della pratica artistica, a liberare l’arte figurativa dai legami del mestiere, dall’ars mechanica, e questo con un elemento che appartiene anch’esso al pensiero antico. Alla pittura spetta il secondo posto dopo la scienza, accanto alla poesia e prima di essa. Per questa via andranno anche i teorici posteriori fino a giungere al concetto dell’ «arte bella» indipendente. […]

Il libro del Cennini sta non invano al limite di due periodi. Contiene elementi antico-medievali e moderni; l’autore stesso mette espressamente in rilievo il «moderno» nello stile di Giotto. Appare per la prima volta, nella teoria italiana dell’arte, questo termine importante e del resto non nuovo. La natura è già indicata come la guida più sicura (c. 28), e ciò è abbastanza comprensibile in un tempo e in un ambiente che, come mostrano specialmente gli affreschi della scuola veronese-padovana, aveva abitudine a un immediato e fecondo studio del modello; ma per il giottesco trapiantato nel settentrione non ha molto maggiore significato che per i suoi compatrioti non artisti, Boccaccio e Villani, ed egli rimane sostanzialmente affezionato alle tradizioni della sua scuola. In quasi tutti i suoi precetti e consigli permane la tipica e il predominio dell’exemplum medievale. Se la regola di disegnare liberamente e di avere il sole sempre a sinistra (c. 18) [n.d.r. è un errore. In realtà c. 8] conduce subito su terreno antico e meridionale, gli altri particolari sono formulati in maniera affatto medievale, poiché nella bottega di Cennino si sarà lavorato proprio su calchi di antichi modelli come nei laboratorii dei conventi dell’Athos (c. 28). Vengono indicate esattamente le parti del volto dove dev’essere l’ombra: naso, labbra, orlo della bocca, mento, ecc, Così è descritta minutamente la maniera con cui Agnolo Gaddi metteva il rosso delle guance e ne viene raccomandata l’imitazione, poiché essa dà al viso più «rilievo». Anche questo termine importante ci appare qui per la prima volta. Allo stesso modo son formulati i precetti della prospettiva (c. 87). Le cornici architettoniche più alte devono essere rappresentate discendenti, quelle più basse ascendenti, cioè in una maniera  che non è ancora neppure quella puramente empirica che veniva seguita in Fiandra quando i pittori toscani avevano ormai fondato la costruzione matematica. Lo stesso si dice dei precetti per la pittura di paesaggio; troviamo qui il consiglio più volte citato di tenere come exempla nello studio delle grosse pietre grezze; si vuole cioè alludere alla rappresentazione, estremamente schematica e ereditata dall’antichità, del terreno con rupi digradanti, che si conserva con rara tenacità nelle pitture trecentesche e che è passata anche nella miniatura francese. […]

È notevole in particolare modo il capitolo del Cennini sulle proporzioni dell’uomo (c.70) di cui pure si parla per la prima volta in un trattato d’arte. Da allora esse conservano nella teoria il loro posto fisso. Nessuna pratica di laboratorio dalla più antica età egiziana in poi ha potuto fare a meno di tali formule empiriche; questo capitolo non manca neppure nel libro dei pittori dell’Athos al quale esso deriva da fonti italiane occidentali, come è naturale in quella sua tarda redazione.  I precetti del Cennini rivelano tutti chiaramente la fonte antica: l’inscrizione della figura umana nel circolo, le otto lunghezze del volto cui deve corrispondere il corpo, la tripartizione del viso nel senso della lunghezza del naso. C’è un passo famoso nel De architectura di Vitruvio (III, 1) che riassume la pratica antica, iniziata per noi dal Canone di Policleto. […]

Schiettamente medievale, se anche vi possa balenare un’eco dell’antichità (non più comprensibile a quel tempo) è l’esclusione della donna dalla teoria delle proporzioni, perché essa non possiede alcuna «simmetria» […]. La completa ignoranza della anatomia mostra che il Cennini è uomo del Medio Evo; egli è ancora alla credenza biblica che l’uomo abbia una costola meno delle donna. Tutto ciò ha poco significato pratico; così la determinazione del colore conveniente, bruno per l’uomo, bianco per la donna, sia nel concetto retorico del decorum che nella pratica, è un’eco di antiche consuetudini di laboratorio, che del resto si notano talvolta perfino nel secolo XVII.  Ma l’antico, come forma, non ha ancora la minima parte nel Cennini, il che potrebbe sorprendere per il suo tempo e per il suo ambiente, poiché Padova era già allora una vera città umanistica, in cui pregio dell’antichità era apertamente proclamato; le medaglie dei Carraresi, che il Cennino certo vide, sono fra le più antiche e le più notevoli testimonianze del classicismo italiano. Ma il Cennini era troppo imbevuto della pratica dei compatrioti giotteschi; quanto egli sia in fondo estraneo all’antichità lo dimostra la favola medievale con cui egli spiega l’origine delle antiche statue nude, imitazioni di forme tratte dal vero sulla figura intera, intorno alle quali si diffonde ampiamente  (c.182); è facile riconoscere anche qui il formulario accademico. [...]
Nel resto, il laboratorio del Cennini ha ancora l’indirizzo di una maestranza artigiana; assume ogni genere di lavori industriali, la decorazione di bandiere, di scudi, di cassoni, disegni per ricamatori e stampatori di stoffe, perfino il maquillage a regola d’arte delle dame. Tutto ciò continua anche nel secolo XV, e oltre; mestiere e arte, ars mechanica e ars liberalis stanno ancora insieme. La separazione dell’arte «bella» dall’arte «industriale» ufficialmente disprezzata, del «pittore» dal «decoratore» si è compiuta dopo il virtuosismo del tardo Rinascimento ed è stata di nuovo cancellata soltanto dalla evoluzione più recente dell’arte , nella teoria come nella pratica.   
Il trattato del Cennini è anche la prima notevole testimonianza di una terminologia delle espressioni artistiche sviluppatasi dalla pratica dei laboratorii e già sufficientemente determinata. Già abbiamo citato alcuni di questi termini, cui era destinata una lunga vita; un chiaro ragguaglio ne dà l’eccellente glossario aggiunto dal Milanesi alla sua edizione. Senza diffondermi su particolari espressioni tecniche voglio soltanto citare qui brevemente alcuni concetti di valore generale: «disegno», che nel Cennini ha già il senso in cui lo usano I teorici posteriori; esso è il «fondamento dell’arte» insieme col colorito («il colorire», c.4) e significa, al di là del puro disegno, la forma interiore, determinata dalla teoria: «(il disegnare di gesso)… ti farà sperto pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua» (c. 13), e, soprattutto il giudizio spregevole c. 171 che viene dato dei miniatori, che hanno più «pratica» che «disegno». Mentre l’espressione «esempio» (c.8 e altrove) appartiene alla terminologia artistica medievale, quelle già citate di «rilievo» (c.9) per modellatura, «naturale» (c. 28, passata anche nel libro dei pittori dell’Athos), «l’ignudo» (c. 71), «sfumare» (c. 31, 71), «maniera» (c. 27) sono espressioni che sono rimaste fino da allora nel linguaggio artistico.” 


Cennino Cennini e la Scuola di Vienna: un bilancio 

Tra la prima traduzione in tedesco di Cennino Cennini da parte di Albert Ilg nel 1871 e il saggio di Julius von Schlosser del 1914 passano più di quarant’anni, nel corso dei quali almeno tre generazioni di storici dell’arte sono state attive alla Scuola di Storia dell’Arte di Vienna. Noi abbiamo preso in considerazione tre fra i rappresentanti più significativi della Scuola: Rudolf Eitelberger von Edelberg, Albert Ilg e Julius von Schlosser. 

Tutti e tre hanno contribuito a modellare i punti di vista degli studiosi d’arte su Cennino Cennini. Per Eitelberger l’interesse per gli aspetti tecnici e artigianali nell’arte giustificarono la traduzione di Cennino come volume inaugurale delle Quellenschriften, l’iniziativa culturale più importante prodotta in Europa in merito alle fonti per la storia dell’arte. Ilg tradusse il testo dall’Italiano al tedesco, ma non mostrò grande simpatia per l’autore, salvo ringraziarlo per aver preservato la testimonianza di un mondo che non aveva più ragione di esistere: Cennino aveva compilato null’altro se non il necrologio del gotico. Con Schlosser gli aspetti tecnici e materiali – così cari ad Eitelberger – divennero irrilevanti, mentre Cennino veniva visto come un ponte intellettuale fra antichità, Medio Evo e il futuro Rinascimento e come l’inventore di un nuovo linguaggio tecnico sull’arte che sarebbe sopravvissuto fino ai nostri giorni.

In quei quarant’anni, l’Austria-Ungheria (e in particolare Vienna) furono un laboratorio straordinario per un dibattito su stile e linguaggio in ogni sorta di disciplina artistica. La nuova disciplina delle fonti per la storia dell’arte fu dunque parte integrante della ricerca viennese per gli orientamenti estetici e l’identità di una società in continuo mutamento. 


APPENDICE II) – LA SECONDA SERIE DELLE QUELLENSCHRIFTEN (1888–1908)


Under the direction of Albert Ilg

1 – Der Anonimo Morelliano, Theodor Frimmel, 1888
2 – Luca Pacioli, Compendio della divina proporzione, Constantin Winterberg, 1889
3 – Filarets Tractat über die Baukunst, von Oettinger, 1890
4 – Schriften zur Geschichte der Karolinischen Kunst, von Schlosser, 1892
5 – Beiträge zur Geschichte der Kunst und Kunsttechnik aus mittelhochdeutschen Dichtungen, Albert Ilg, 1892
6 – Des Augsburger Patriciers Philipp Hainhofer Beziehungen zu Herzog Philipp II. von Pommern-Stettin. Correspondencen aus den Jahren 1610-1619, Oscar Doering, 1896
7 – Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters. Ausgewählte Texte des vierten bis fünfzehnten Jahrhunderts, Julius von Schlosser, 1896
8 – Quellen der byzantinischen Kunstgeschichte. Ausgewählte Texte über die Kirchen, Klöster Paläste Staatsgebäude und andere Bauten von Konstantinopel, Jean Paul Richter, 1897
9 – Francisco de Hollanda, Vier Gespräche über die Malerei geführt zu Rom 1538, Joaquim de Vasconcellos, 1899

[DEATH OF ALBERT ILG]

Under the direction of Camillo List (the son in law of Albert Ilg) – published in Wien-Leipzig

10 – Des Ausburger Patriciers Philipp Hainhofer Reisen nach Innsbruck und Dresden, Oscar Doering, 1901
11-13 Nürnberger Ratsverlässe über Kunst und Künstler im Zeitalter der Spätgotik und Renaissance (1449) 1474-1618 (1633) Theodor Hampe, Bd 1: (1449) 1474-1570, Bd. 2.: 1572-1618 (1663), Bd. 3: Personen-, Orts- und Sachregister, 1904
14 – Des Bildhauergesellen Franz Ferdinand Ertinger Reisebeschreibungen durch Österreich und Deutschland. Nach der Handschrift LGM 3312 der Kgl. Hof- und Staatsbibliothek München, Erika Tietze-Conrad, 1907
15 – Vasaristudien von Wolfgang Kallab, Julius von Schlosser, 1908

Under the direction of Albert Ilg

1 - The Anonimo Morelliano, Theodor Frimmel , 1888
2 - Luca Pacioli, Compendium of divine proportions, Constantin Winterberg , 1889
3 – Filaret, Treatise on Architecture , Oettinger , 1890
4 - Writings on the history of Carolingian Arts, von Schlosser , 1892
5 - Contributions to the history of art and technology from Middle High German poetries, Albert Ilg , 1892
6 – The relations of the Augsburg patrician Philipp Hainhofer with Duke Philip II of Pomerania -Stettin. Correspondence from the years 1610-1619,  Oscar Doering , 1896
7 - Sourcebook for the art history of medieval Europe. Selected texts from the fourth to the fifteenth century, Julius von Schlosser, 1896
8 - Sources of Byzantine art history. Selected texts on the churches , monasteries, palaces, State Building and other buildings of Constantinople, Jean Paul Richter, 1897
9 - Francisco de Hollanda, Four talks about the painting, conducted in Rome in 1538 , Joaquim de Vasconcellos, 1899

[DEATH OF ALBERT ILG]

Under the direction of Camillo List ( the son in law of Albert Ilg ) - published in Vienna-Leipzig

10 – Journey of the Ausburg patrician Philip Hainhofer to Innsbruck and Dresden, Oscar Doering , 1901
11-13 Nuremberg Edicts about art and artists in the age of late Gothic and Renaissance ( 1449 ) 1474-1618 ( 1633) Theodor Hampe , Vol 1: ( 1449 ) 1474-1570 , Volume 2 : 1572-1618 ( 1663 ) , Bd . 3: persons, places and subjects , 1904
14 – Travels of the sculptor Franz Ferdinand Ertinger through Austria and Germany . After the manuscript LGM 3312 of the the Royal and Imperial State Library, Munich , Erika Tietze-Conrad , 1907
15 – Studies on Vasari by Wolfgang Kallab , Julius von Schlosser, 1908


NOTE

[13] von Schlosser, Julius - Beiträge zur Kunstgeschichte aus den Schriftquellen des frühen Mittelalters, Wien, F. Tempsky, 1891, 186 pagine


[15] Ilg, Albert - Beiträge zur Geschichte der Kunst und Kunsttechnik aus mittelhochdeutschen Dichtungen, Wien, 1892. Questa biblioteca possiede un originale della seconda edizione del 1896.

[16] Von Schlosser, Julius – Schriftquellen zur Geschichte der Karolingischen Kunst, Wien, Carl Graeser Verlag, 1892. Disponibile in questa biblioteca nella versione ristampata da George Olms Verlag, 1988.

[17] Von Schlosser, Julius –Quellenbuch zur Kunstgeschichte des Abendländischen Mittelalters, Wien, Carl Graeser Verlag, 1896. Disponibile in questa versione nella versione ristampata da George Olms Verlag, 1986 e in traduzione italiana (Le Lettere, 1992)

[18] Bernini, (Der) jüngere [Albert Ilg] - Die Zukunft des Barockstils: eine Kunstepistel, 1880

[19] Fra gli altri, questa biblioteca possiede una copia dell’edizione originale di: Ilg, Albert – Die Fischer von Erlach, Wien, Verlag von Carl Konegen, 1895.

[20] Si veda http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/jbksak1896/0017

[21] Von Schlosser, Julius – Zur Kenntnis der Künstlichen Überlieferungen im späten Mittelalter, in: Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses, 1902, pp 279-338.

[22] Il capitolo su Cennino pubblicato nei Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte fu riportato integralmente in Die Kunstliteratur (pp. 91 e seguenti) del 1924, stampata in Italia nel 1935 come La letteratura artistica. Il testo è tradotto da Filippo Rossi. Si riporta quindi la traduzione del 1935 di Filippo Rossi.

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