Francesco Mazzaferro
Albert Ilg e Julius von Schlosser:
due modi diversi di interpretare Cennino Cennini
nell'Austria-Ungheria del 1871 e del 1914
Prima parte
Albert Ilg |
N.B.:Su Julius von Schlosser si veda su questo blog anche: L'Italia di Julius von Schlosser, A cura di Loredana Lorizzo; Julius von Schlosser a 150 anni dalla nascita. Le celebrazioni a Vienna; Julius von Schlosser e due antologie di fonti di storia dell'arte; Julius von Schlosser. Il significato delle fonti per la storia dell’arte dell’epoca moderna; Julius Schlosser Magnino, La letteratura artistica;
Albert Ilg e la prima traduzione in tedesco di Cennino Cennini (1871)
A parte il primissimo anno della sua vita, Albert Ilg (1847-1896) passò tutta la sua esistenza, relativamente breve, sotto il lungo regno di Francesco Giuseppe (1847-1916), nel mezzo dell’età aurea della Vienna capitale di un impero multinazionale. Ilg – che diverrà uno degli storici dell’arte di riferimento nell’impero austro-ungarico, il direttore della più importante collezione d’arte viennese ed una figura di spicco nel dibattito su arte e stile nell’impero asburgico [1] – produsse la prima traduzione tedesca del Libro dell’Arte di Cennino Cennini nel 1871, all’età di soli 24 anni [2]. Si trattò di un compito impegnativo, che richiese la traduzione di 140 pagine dall’italiano (l’edizione critica di Cennino, così come pubblicata nell’edizione dei fratelli Milanesi), la stesura di un ampio saggio introduttivo di 23 pagine e 40 pagine di note.
La traduzione del lavoro di Cennino effettuata da Ilg è ancor oggi menzionata in quasi tutte le rassegne bibliografiche sulla sua produzione scientifica, compresi vari lessici e dizionari enciclopedici, a dimostrazione che l’impresa giovanile di Ilg fu riconosciuta fra I principali meriti della sua carriera professionale.
Ilg era una fervente cattolico di origine ebraiche, con un forte senso di identità e di appartenenza all’impero asburgico [3]. Quando pubblicò la traduzione di Cennino, Ilg stava lavorando da un anno al k.k. Österreichisches Museum fur Kunst und Industrie (il Museo Austriaco di Arte e Industria), fondato e diretto da Rudolf Eitelberger von Edelberg a partire dal 1867. Eitelberger aveva riunito attorno al museo un gruppo di giovani studiosi provenienti da ogni parte dell’Impero. Tra i suoi numerosi allievi, Ilg era sicuramente uno dei più promettenti.
Nel suo curriculum vitae, pubblicato da Andreas Dobslaw [4], si fa menzione del fatto che Ilg aveva beneficiato, per la traduzione di Cennini, dei consigli datigli dallo storico dell’arte tedesco Hermann Grimm (1828-1901). In quegli anni, Eitelberger organizzò il primo congresso internazionale di storici dell’arte (Vienna, 1873); doveva avere davvero ottime relazioni con i colleghi stranieri, in particolare con quelli provenienti da paesi di lingua tedesca.
Le Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittealters und der Renaissance
La traduzione di Albert Ilg (1871) nella collana Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittealters und der Renaissance (reprint dell'editore Wagener, 2008) |
La prima traduzione in tedesco del Libro dell’Arte inaugurava anche la più famosa collana di sempre sulle fonti della storia dell’arte (Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittealters und der Renaissance), collana curata proprio da Rudolf Eitelberger von Edelberg. L’attenzione della collana era sulle reciproche connessioni fra storia dell’arte (Kunstgeschichte) e tecniche artistiche (Kunsttechnik) nel Medioevo e nel Rinascimento.
Ilg ebbe un ruolo essenziale nel lancio della prima serie della collana – la cui vita durò dal 1871 al 1888 -, posto che tradusse cinque dei primi sette volumi della medesima. Fra questi, tre riguardavano le fonti di storia dell’arte medievali: oltre a Cennino le traduzioni tedesche di Eraclio (Sui colori e le arti dei Romani, 1873) [5], e di Teofilo Monaco (Schedula Diversarum Artium, volume VII, nel 1874) [6]. Eraclio era (secondo Ilg) un italiano, che visse a Roma attorno al 994; Teofilo, il monaco tedesco Ruggero, originario di Padeborn, nella Germania del Nord, vissuto tra la fine dell’undicesimo e l’inizio del dodicesimo secolo.
A confronto con l’introduzione scritta per l’opera di Cennino, quelle per le altre due traduzioni medievali offrono un ricco apparato a commento dei testi, specialmente da un punto di vista filologico, ma non contengono discussioni su arte e stile. A parziale spiegazione della cosa, va detto che i lavori di Eraclio e Teofilo Monaco non erano semplicemente traduzioni (come nel caso di Cennino, posto che Ilg tradusse dall’allora recente edizione critica dei fratelli Milanesi), ma vere e proprie edizioni critiche da lui condotte sui manoscritti originali. Inoltre, Eitelberger non amava troppo discussioni astratte di carattere stilistico. Per lui, come detto sopra, la critica d’arte si caratterizzava soprattutto per lo studio combinato di tecniche e fonti.
Rudolf Eitelberger von Edelberg |
Rudolf Eitelberger von Edelberg
Qualsiasi saggio scritto su Rudolf Eitelberger von Edelberg (1817-1885) comincia innanzi tutto con l’identificarlo come un pioniere. Fu il primo professore di Storia dell’Arte all’Università di Vienna (1852). Nel 1853 creò la "k.k. Central-Commission zur Erforschung und Erhaltung der Baudenkmale", ovvero la Commissione centrale austro-ungarica per lo studio e la conservazione dei monumenti. Fu lui a far sì che l’Europa centrale si aprisse alle influenze del Craft and Art movement – originario del Regno Unito -, tanto che fu, come già detto, il fondatore e il direttore del Real Museo Austriaco di Arte ed Industria (nel 1864). Nel 1871 creò la collana Quellenschriften, che ci è già familiare (per una lista dei volume pubblicati nella prima serie delle Quellenschriften, si veda l’appendice I in fondo). Un anno dopo, condusse a Vienna il primo congresso internazionale di storici dell’arte, un anno prima dell’Esposizione Universale di Vienna del 1873. Fu uno dei fondatori della cosiddetta Scuola di Storia dell’Arte di Vienna nel 1874. Morì nel 1885.
In un’epoca caratterizzata da una cultura profondamente conservatrice, Eitelberger fu una personalità di animo liberale (e prese parte quale attivista politico ai moti rivoluzionari del 1848, quando si assunse la responsabilità della politica editoriale del Wiener Zeitung). Incoraggiò sempre gli scambi culturali, importò dall’estero nuove idee, creò gruppi di studiosi attorno a lui, organizzò il suo museo secondo una visione moderna, lanciò una serie di iniziative pedagogiche intorno al museo; ebbe un’intensa attività come pubblicista sui giornali e cercò di guadagnare l’interesse di un pubblico più vasto per la storia dell’arte attraverso nuove forme di pubblicazione (come le Quellenschriften).
Eitelberger fu un sincero difensore dell’identità multinazionale e multiculturale dell’Impero. In un momento in cui il nazionalismo stava creando il rischio di una deflagrazione politica e culturale dell’Impero, “secondo Eitelberger Vienna non doveva conoscere odii né nazionalistici né religiosi e neppure una politica su basi nazionali” [7]. In quest’ottica – fra le molte e stimolanti iniziative riguardanti tutte le regioni dell’Impero – egli intraprese nel 1858 la catalogazione di tutti i più importanti (ma poco conosciuti) edifici medievali dell’Impero (Mittelalterliche Kunstdenkmale des österreichischen Kaiserstaates) [8]. I due volumi che ne risultarono comprendevano anche esempi di architettura medievale a Milano, Venezia e in tutte le altre regioni Italiane all’epoca incluse nell’Impero. Eitelberger scrisse personalmente un saggio di 35 pagine sulla Basilica di Sant’Ambrogio a Milano ed un altro di 20 sulla Cattedrale e il Battistero di Cremona.
Grazie ad un’intelligente politica di promozione della ricerca scientifica, le istituzioni offrirono l’opportunità alle migliori menti dell’Impero di studiare e fare ricerca a Vienna, facendo di conseguenza della stessa Scuola della Storia dell’arte di Vienna un ambiente multiculturale. Questa attitudine cosmopolita è confermata dai fatti. Ad esempio, il primo allievo di Eitelberger a vincere una cattedra all’Università di Vienna fu il boemo Moriz Thausing, che introdusse un approccio positivista all’interno della Scuola di Vienna. Anni dopo, il ceco Max Dvořák ereditò da Alois Riegl – di lingua tedesca – il ruolo di leader della Scuola di Vienna, nonostante le proteste di alcuni intellettuali viennesi di lingua tedesca. Dvořák traghettò la Scuola di Vienna da un approccio positivista verso un’analisi estetica e formale, aprendo la strada, dopo di lui, a Julius von Schlosser.
Eitelberger combinò fra loro diversi aspetti culturali per legittimare una visione della storia dell’arte come disciplina imparziale e basata sulla ricerca e per proporre lo stesso metodo di lavoro per tutte le regioni e gli stili dell’Impero. Innanzi tutto, storicismo: le sue convinzioni erano fortemente radicate nell’analisi dello sviluppo dell’arte del passato, con un atteggiamento appunto storicistico e un profondo interesse per il Medio Evo e il Rinascimento, come comuni basi culturali su cui si fondava l’arte dell’Impero Austro-Ungarico. In secondo luogo, filologia: si assicurò che ogni eredità culturale fosse studiata sulla base di solide realtà scientifiche: da questa sua convinzione derivarono la sua idea che le fonti per la storia dell’arte fossero una sorta di ‘secondo pilastro’ della storia dell’arte, il suo motto “la storia dell’arte come filologia” e le Quellenschriften. In terzo luogo, la tecnologia: la stessa passione analitica lo portò a focalizzare la sua attenzione sulle tecniche artistiche.
La pubblicazione di Cennino Cennini, Eraclio e Teofilo Monaco fra i primissimi volumi delle Quellenschriften era dunque in linea con diversi dei punti focali della scuola di Eitelberger: l’interesse per il Medio Evo, la passione per le tecniche artistiche, e il desiderio di usare storia e fonti dell’arte per riformare la teoria dell’arte dell’epoca. Per un’analisi più approfondita su quest’ultimo punto si veda, in questo blog, la recensione al lavoro di Andreas Dobslaw intitolato Die Wiener "Quellenschriften" und ihr Herausgeber Rudolf Eitelberger von Edelberg", e un’interessante recensione di Alexander Auf der Heyde ivi compresa.
Alfred Ilg su Cennino Cennini: un uomo del passato, testimone di un’arte morente
Il giudizio su Cennino espresso da Ilg nella sua traduzione appare tagliente ed allo stesso severo, specie se confrontato con le pagine apologetiche scritte nelle introduzioni delle precedenti traduzioni (Giuseppe Tambroni, Carlo e Gaetano Milanesi, Mary P. Merrifield e Victor Mottez).
La tesi principale espresso da Ilg è che, quando Cennino stilava il Libro dell’Arte, non era più in sintonia con il mondo culturale di Firenze e Padova, città che stavano in quel momento per dar vita al Rinascimento. Cennino - scrive il giovane Ilg nella sua prefazione alla traduzione in tedesco del Libro dell’Arte (1871) – era, già in quei giorni, un uomo del passato. In un passaggio importante, Ilg fa riferimento al Libro dell’Arte come a una testimonianza di un’arte morente (absterbend), gravemente malata (untergehend) e già in declino (herabgekommene). Cennino ne collaziona e perpetua le nozioni principali nel suo Libro dell’Arte come se si trattasse di un necrologio (Nekrolog) scritto da qualcuno che commemora le virtù personali del defunto. Legato alle ultime (letzten), grandi forme di rappresentazione della gloria passata di Giotto, Cennino non ha alcun contatto personale con quegli innovatori dell’arte italiana che esistevano già ai suoi tempi e che stavano per creare un ponte con la prima generazione artistica del Quattrocento. Dopo tutto, Firenze e Padova ospitavano già, in quegli anni, delle scuole improntate a principi umanistici. La prima importante conclusione di Ilg in merito a Cennino, dunque, è che egli apparteneva al passato, e non al presente (e men che meno al futuro).
„Es ist
von bedeutenden Folgen für Cennino gewesen, dass er sich dem letzten grössern Giottisten gesellte
und nicht jenen Malern, in deren Werken wir den Uebergang des Trecento zur
Epoche der Uccello, Masolino etc. in leisen Anklängen bemerken. Ob ihn dieser
Anschluss an die absterbende Weise
einer Schule zu dem wenigbedeutenden Nachahmer derselben machte, als der uns
Cennino, der Künstler, entgegentritt, ob diese Lehrerwahl Ursache geworden,
dass er gleich andern spätern Vertretern einer untergehenden Richtung, deren Wissen und Können statt durch die
That, durch das theoretische Wort des trattato allein wie in einem Nekrolog zu bewahren unternahm; ob
nicht umgekehrt a priori sein kleines Talent eben den Lehrling an die
traditionell berühmte, aber schon herabgekommene
Schule sich anschliessen liess, - das ist heute unerweisbar, doch das
letztere wohl das wahrscheinlichere.“
Introduction, pages ix-x.
[Italics
not in the original]
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“Il fatto che
Cennino sia legato agli ultimi grandi seguaci di Giotto e non a quei pittori
nei cui lavori noi troviamo le tracce di una transizione – passo dopo passo –
dal XIV secolo verso l’era di Paolo Uccello, di Masolino e così via comporta
importanti conseguenze. Oggi come oggi è impossibile asserire se questo
legame con la maniera agonizzante
di una scuola artistica lo trasformò in un imitatore senza importanza alcuna
della scuola stessa (come Cennino dice in merito a se stesso, riferendosi
alla sua attività artistica); o se per caso fu la scelta casuale del suo
maestro che costituì la ragione ultima per cui (come altri rappresentanti di
una tendenza in declino) decise di
preservare la conoscenza e le abilità della scuola non tramite l’attività
artistica, ma solo attraverso il discorso teorico di un trattato, come un necrologio); o se, infine, fu, al
contrario, il suo scarso talento che lo portò a priori a cercare un legame
come apprendista con una scuola tradizionalmente famosa, ma già in declino. E tuttavia, l’ultima
sembra l’ipotesi più probabile”
Introduzione, pagine ix-x.
[I corsivi non compaiono nell’originale]
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Ilg, dunque, rigetta totalmente la tesi di coloro che trattano Cennino come uno degli inventori del concetto di modernità nell’arte, citando spesso la celebre frase di Cennino circa Giotto come pittore moderno. Negli scritti di estetica che si occupano di modernismo capita spesso, negli ultimi cent’anni, di trovare riferimenti a Cennino, come se fosse stato un precursore dell’arte contemporanea. Mentre quegli scritti citano Cennino come inventore del concetto che “ogni opera d’arte, è moderna nel momento in cui è fatta” Ilg la pensa in maniera radicalmente differente.
In entrambe le versioni italiane di Tambroni e dei Milanesi, la celebre frase sulla modernità di Cennino viene resa in questa maniera: “Il quale Giotto rimutò l'arte del dipignere di greco in latino, e ridusse al moderno; ed ebbe l'arte più compiuta che avessi mai più nessuno”. Merrifield sembra fraintendere il senso della prima parte del passaggio, quando traduce “This Giotto introduced the Greek manner of painting among the Latins, and united it to the modern school, and the art became more perfect than it had ever been.” La traduzione di Victor Mottez in francese si legge: “Giotto changea l’art de la peinture; de la forme grecque il la conduisit à la forme latine moderne. Il posséda l’art le plus complet que jamais personne ait eu ensuite en sa puissance“. Se si fosse basato su tutte le versioni già disponibili, Ilg avrebbe dovuto usare il termine “moderno“ nel suo testo tedesco.
Tuttavia, la traduzione del passaggio da parte di Ilg non presenta alcun riferimento alla modernità [9]. Usando le sue parole “Jener Giotto verwandelte die Malerkunst vom griechischen wieder in’s italienische und leitete sie zum heutigen Stande. Er handhabte die Kunst vollkommener, als je einer“ (Giotto trasformò la pittura dallo stile Greco a quello latino, e lo portò allo stato odierno. Ebbe una padronanza dell’arte come nessuno aveva mai avuto” – capitolo 1, pagina 5). Il riferimento è al concetto di contemporaneità (‘heutig‘ viene da ‘heute’, che significa ’oggi’), non alla modernità.
Alfred Ilg su Cennino Cennini: l’apprendistato come forma di degenerazione dell’arte
La seconda importante osservazione fatta da Ilg su Cennino è che la lunghezza e il tipo di apprendistato ‘vocazionale’ che egli va perorando nel Libro dell’Arte impediscono strutturalmente l’autonomia nella creazione artistica. Il dovere di passare un lunghissimo periodo della propria vita (12 anni) al servizio di un unico maestro, e la raccomandazione di seguire lo stile del maestro senza possibilità alcuna di originalità o di contaminazione attingendo all’opera di altri maestri vengono visti da Ilg come procedimenti che distruggono ogni forma di creatività. Ilg osserva che Giotto, nel periodo in cui era discepolo di Cimabue, non aveva dovuto seguire questa sorta di servitù. E ancora, Ilg afferma:
„Mit
Giotto’s Tod endet die mehr souveräne, isolirte Stellung des grossen
Künstlers im Mittelalter, indem nun das wuchernde Gedeihen des Zünftwesen
leider auch mit den wirklichen Vorrechten des Talents tabula rasa macht
und Meister und Kleckser in Eine Reihe bringt, weil sie in
Einer Innungsrolle stehen.”
(see footnote on chapter
27 at pages 144-145)
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“Con la morte
di Giotto scompare la posizione dominante e distinta di un Grande Maestro nel
Medioevo. Da quel momento in poi la prosperità generalizzata delle arti
corporative fa purtroppo anche tabula rasa dei privilegi dell’artista basati
sul talento. Maestri ed imbrattatele sono posti sulla stesso piano, perché si
trovano accomunati all’interno della stessa corporazione”.
(si veda la
nota a piè di pagina nel capitolo 27 alle pagine 144-145)
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Anche qui, i termini usati da Ilg nella sua introduzione sono chiarissimi: il sistema si basa sulla “geistige Uebermacht der Meister” (predominanza spirituale dei maestri), e tratta i giovani allievi alla stregua di “Schatten des Vorbildes auf Kosten ihrer Individualität” (ombre del loro modello a costo della loro individualità), portandoli a ”eigene Armuth” (povertà delle loro idee) e “Degenerirung” (degenerazione).
„Zwölf
Jahre stand er unter Agnolo’s Leitung, (…). So lange Schulzeit war bei den
Alten gewöhnlich. Rumohr (Ital. Forschung, Vol II., p. 400) erkennt in diesem
Brauche, welcher aus dem immer mehr durchgebildeten Zünftewesen entsprang,
mit Recht eine nicht nützliche Einrichtung; die geistige Uebermacht der
Meister gereichte in Folge zulange währender Einwirkung auf den Zögling
demselben nicht mehr zum Nutzen; sie lehrte und ermunterte die Neulinge nicht
mehr allein, sondern wandelte sie zu schwachen Spiegelungen, richtiger: zu
Schatten des Vorbildes auf Kosten ihrer Individualität und besonderen Anlagen
um, die schaffenstüchtige, zur Erfindung frischeste Zeit der Jugend ward
ihrer schönsten Fähigkeit beraubt, indem alle Kräfte lediglich in Nachahmung
aufgingen.
Freilich
genügte und entsprach solches gerade den mindern Talenten, deren höchstes
Ziel eben hiess: dem Meister gleichzukommen. Cennino spricht sich hierüber
(im 27.Cap.) deutlich
aus, er nennt das “in den Luftkreis (aria) der Meister miteinbezogen warden”.
Aber nicht der ganze Sternenkreis am Kunsthimmel ist damit gemeint,
dessen mannigfachen Strahlen der Jünger das Auge aufthuen soll, sondern nur die
einzelnen Muster der einzelnen Nachfolger, indem jedes Vorbild seinem Schüler
insbesonders eine abgeschlossene Welt gelten muss; hieltest du es anders,
setzt er hinzu, zeichnetest du heute nach diesem, morgen nach jenem Meister,
so müsstest du nothwending Phantast werden. Tugend und Schwächen des Vorbilds
wurden so dem Lernenden heilig, der, selber untergeordneter Begabung, dann
jene stets verblasst, diese durch die eigene
Armuth vergrössert aufweist, während kein fremdes, gesundes Element
hinzutritt und die Degenerirung
aufhält. So ist es denn von Giotto bis Cennino u.a. letzte Vertreter der
Schule ein stetes Falles, dessen Phasen in Taddeo und Agnolo Gaddi die Abtönung zeigen, bis der Giotte’ske
Styl endlich neuen Wandlungen weicht, einem Geschlechte vergleichbar, das
immer nur aus verwandten Gliedern fortgezeugt
und durch keinen fremdartigen Samen neubelebt, allmählich entarter und
erlischt.“
Introduction, pages ix-x.
[Italics
not in the original]
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“Rimase dodici
anni sotto la guida di Agnolo [n.d.r. Gaddi] (…). Un periodo così lungo di
apprendistato era normale tra i Primitivi... Giustamente, Rumohr (Ital. Forschung,
vol. II p. 400) stigmatizzò questa prassi (che andò aumentando con
l’incremento nel numero delle corporazioni) come dannosa. La supremazia spirituale del maestro non
volgeva mai a vantaggio del discepolo, per via di un periodo troppo lungo in
cui il maestro esercitava la sua attiva influenza sull’alunno. Non giovava
nemmeno all’insegnamento e non incoraggiava i nuovi arrivati, ma li
trasformava in deboli riflessi, o, più correttamente, nell’ombra del modello (a spese della loro individualità). I
discepoli erano derubati della loro freschezza e delle loro migliori
capacità, posto che le loro forze migliori erano impiegate solo per
imitare.
Naturalmente,
tutto ciò era sufficiente e corrispondeva esattamente alle necessità di chi
era meno talentuoso e il cui obiettivo ultimo, in definitiva, era di
replicare i maestri. Cennino parla molto chiaramente (nel Capitolo 27) quando
significativamente parla di “essere coinvolti nell’aria del maestro”. Aria (Luftkreis)
non significa qui l’intero firmamento delle stelle nel Paradiso dell’Arte, i
cui raggi variegati dovrebbero educare gli allievi. Cennino fa riferimento
solo allo schema compositivo particolare di ogni “successore” che segue il
suo “modello”, cosìcché quel modello è solo per quegli allievi, in un mondo
totalmente chiuso. Se mai ci si comportasse diversamente, se ci ispirasse un
giorno a un maestro e l’altro ad un altro, allora si finirebbe per soffrire
di allucinazioni, dice Cennino. Sia le
qualità sia le debolezze del loro ‘modello’ diventavano sacre per l’allievo. Posto
che non veniva recepito alcun elemento esterno, potenzialmente salutare, i
discepoli diventavano talenti
subordinati, con l’aggravante ulteriore della povertà di idee e della degenerazione.
Questo era quello che successe dai tempi di Giotto a quelli di Cennino –
l’ultimo rappresentante della scuola – con un declino costante e progressivo,
e con poche eccezioni nell’opera di Taddeo ed Agnolo Gaddi, fino a quando, in
conclusione, lo stile di Giotto andò peggiorando e peggiorando, in un
processo molto simile a quello che succede quando una genia dà vita a nuove
generazioni solo accoppiandosi fra parenti e senza essere ravvivata da semi
esterni, e gradualmente degenera e alla fine viene estirpata.
Introduzione, pagine ix-x.“
[I corsivi non compaiono nell’originale]
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Se vogliamo fare un confronto, vale la pena considerare che Tambroni (si veda qui sotto l’originale in italiano e la traduzione inglese della Merrifield) la pensava esattamente all’opposto [10]. Egli, in sostanza, giustificava la pratica di un lungo apprendistato (ed anche la condizione di sostanziale asservimento dei discepoli nelle botteghe artigiane) come una necessità per evitare la dispersione di un patrimonio di competenze che era stato costruito nei secoli, mettendosi quindi solo nella visuale dei maestri ed ignorando la questione della creazione artistica.
“In leggendo il
libro di Cennino si conosce, che a ragion disse il Vasari, essere le cose in
esso comprese tenute per rarissimi segreti a’ que’ tempi antichi. Perocchè ad
ogni passo s’incontrano le prove della gelosia con che i maestri guardavano
la scienza loro, la quale comunicavano poco a poco e di grado in grado
a’discepoli. Pel qual modo d’insegnamento e’ conveniva a’ giovani, a voler
apprendere, mettersi in istato di servitù, siccome si raccoglie dal cap. ii: e con questo di dispongono con amore di
ubbidienza; stando in servitù per venire a perfezione di ciò. (…) E in
due luoghi ripete Cennino, che Taddeo Gaddi fu discepolo di Giotto per anni
ventiquattro, e ch’egli setto lo fu d’Agnolo durante dodici anni. Nel cap. civ
poi discorre il tempo ch’egli credea necessario per apprendere l’arte, e lo
determina a tredici anni; cioè, un’anno intero disegnare: poi stare per sei
anni ad apprendere i lavori più materiali e grossolani: ed altri se in
praticare a colorire: adornare di mordenti: far drappi d’oro: usare di
lavorare di muro. É perciò che io credo fossero insegnate con grande cautela
e poco a poco le discipline dell’arte a’ discepoli, stando sempre fra’maestri
l’antica tradizione delle pratiche.”
(p.xxiii)
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“In reading the book of
Cennino, we acknowledge the truth of what Vasari asserted, namely, that the
things comprised in it were considered great secrets in those ancient times;
for in every page we find proofs of the great jealousy with which the masters
concealed their knowledge, which they communicated only step by step to their
disciples. And this mode of instruction, by placing students in a state of
servitude, as is observed in the second chapter, was well adapted to youths
desirous of learning. (…) Cennino repeats in two places that Taddeo Gaddi was
the disciple of Giotto for twenty-four years, and that he himself was that of
Agnolo for twelve years. In chap. 104, he afterwards discourses on the time
in which he thought the art might be acquired, and he determines on thirteen
years; namely, one whole year to be devoted to drawing; then six years to
learning the mechanical and more common parts of the art; and another six
years to practising colouring, adorning with mordants, making draperies of
gold, and practising painting on walls’’. And for this reason I think that
the discipline of the art was taught to the disciples with great caution and
by gradual steps, the masters being always the depositories of the old
traditions of practice.”
(pp. xxxv-xxxvi)
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Riassumendo, anche in questo secondo aspetto cruciale del libro di Cennino il giovane Ilg mostra un giudizio tagliente e un parere del tutto autonomo. Sotto un certo aspetto, la sua attenzione alle manchevolezze del sistema educativo dei pittori ai tempi di Cennino, fondato su un insegnamento a base ‘vocazionale’ si può spiegare anche con la sua biografia: come abbiamo visto, sta scrivendo a 24 anni, dopo che gli è stata data grande responsabilità da parte di Rudolf Eitelberger von Edelberg nella preparazione del primo volume di un’importante collana di fonti di storia dell’arte. Non è quindi del tutto sorprendente che il giovane Ilg non faccia altro che criticare duramente un sistema vocazionale basato sulla totale soppressione dell’autonomia degli alunni.
Alfred Ilg su Cennino Cennini: teoria dell’arte e tecniche artistiche
Facendo un bilancio finale sul Libro dell’Arte, Ilg osserva che solo un numero del tutto limitato di capitoli contiene elementi utili per comprendere il concetto di Arte per Cennino. Il resto dell’opera è soltanto di interesse tecnico. Ciò porta a un giudizio severo (mindergünstige Wort) sul ruolo di Cennino se comparato con lo spirito generale dell’epoca in cui visse (Gesammtgeist), giudizio che, tuttavia, è mitigato dal riconoscimento della ricchezza delle informazioni che ci ha trasmesso su un tipo di pittura ormai morto.
„Im
trattato gibt er [Cennino] auch fast nur handwerkliche Vorschiften, ohne über
die eigentliche Kunst, ihren Zweck, Sinn und Werth sich Rechenschaft, uns
seine Ansichten darzulegen. Was dennoch des Meisters Denken über die geistige
Bedeutung seines Künstlertums bekundet, reducirt sich auf folgendes.
Blos
die ersten 3, das 27-29. und das 104. Cap. Sind(…), von allgemeinem, nicht
nur für den Techniker von Interesse. Wenig einzelne Stellen ausgenommen
Wenig
einzelne Stellen ausgenommen tritt er sonst nie aus dem dürren Receptenstyl
heraus. Immerdar redet er als Handwerker zu uns, ohne sich den Schein zu
geben, als wolle er mehr sein. Er steht
damit nicht vereinzelt, sondern der Mehrzahl seiner Genossen gleich, denen
genug war, zu schaffen, zu arbeiten, ohne statt ihrer Kunstleistung selbst
deren Zweck, Bedeutung und Zukunft in den Vordergrund zu drängen, ohne an
ihre Person zu denken. Jedoch es fehlt nicht gänzlich an dem Bestreben,
über die Kunst als ethisches Moment selbst zu discutiren. Auch Cennino bemüht
sich und beginnt damit seine Schrift.
Wir
sind soweit gekommen, dass auch das
letzte mindergünstige Wort über den Autor ausgesprochen ist. Es war
nothwendig, diese Urtheil vorauszuschicken, welches kein allgemeines über
Cennino ist, sondern nur für die Gesichtspunkte gilt, von denen auch unser
Meister betrachtet werden muss, damit auch er in der richtigen Stellung neben
seinen Zeitgenossen und im Verhältnisse zu dem Gesammtgeiste der Periode
erscheine. Aber ich weiss recht wohl, dass diese Beurtheilungen nicht die
entscheidenden für Cennino sind, sein Werth ist auf einem besonderen Gebiete
zu suchen, das zu bestellen die gleichzeitigen Künstler selten gedachten, die
somit beim Sinken ihrer Schulen nichts von den werthvollen Errungenschaften
mehrerer Menschenalter den kommenden Geschlechtern retteten. Rechten wir
daher nicht mit dem Zufall, welcher Cennino in die Periode des Absterbens der
Giotte’sken Richtung versetzte und ihm auch kein gewaltiges Reformtalent
verlieh; gegen das eine und andere vermag das Individuum nichts: völlig sein Verdienst, seine lobwürdige That aber ist gewiss das Unternehmen, der Nachwelt
die ganze grosse Bedeutung jener Schule nochmals vor Augen zu stellen, wozu
er keinen geeigneteren Weg erwählen könnte, als, indem er die reiche Fülle
der Mittel vor uns ausbreitete, welche wie bei allem auch hier mit den
Kräften wuchsen und die äusserlichen Begleiter, Proben und Beweise des
geistigen Werthes bilden.“
(pages
xvii-xviii)
Italics not in the
original
|
“Nel trattato
egli [Cennino] fornisce quasi esclusivamente prescrizioni di natura
artigianale senza prendersene la responsabilità e senza darci alcun suo
parere sull’arte a lui contemporanea, il suo scopo, il suo significato e il
suo valore. Ad ogni modo, tutto ciò che descrive il pensiero del Maestro sul
significato spirituale della sua arte può essere ridotto ai passi sotto
citati. Con l’eccezione di pochissimi passaggi che comprendono davvero poche
parole, solo i capitoli 3, dal 27 al 29 e del 104 sono di interesse generale
e non solo per i tecnici dell’arte.
Con l’eccezione
di pochissimi estratti in passaggi isolati, Cennino non abbandona mai il suo
stile arido, che si risolve in un elenco di ricette. Ci parla sempre da
artigiano, senza mai arrogarsi la volontà di essere qualcosa di diverso.
Peraltro, il suo non è un atteggiamento isolato. Lo stesso vale per la maggioranza dei suoi colleghi, per i quali
bastava aver fatto il lavoro, senza prefiggersi scopi futuri o considerazioni
sull’importanza e il futuro dell’arte e senza pensare a se stessi come
individui. Tuttavia, egli non vien meno del tutto al tentativo di
dibattere sull’arte su un piano etico; in questo senso Cennino fa uno sforzo
e comincia il suo scritto con argomentazioni appunto di carattere etico.
Siamo andati
così avanti in questa introduzione che anche l’ultima parola sfavorevole nei confronti dell’autore
è stata detta. Era necessario pronunciare così presto questo tipo di
giudizio, che non è un giudizio generale nei confronti di Cennino, ma che
vale solo per comprendere la prospettiva generale da cui il nostro maestro
deve essere valutato. Tutto ciò per far sì che egli appaia nella corretta
posizione nei confronti dei suoi contemporanei, ben in contrasto con lo Gesammtgeiste (spirito complessivo)
della sua epoca. Ma io so benissimo che questi giudizi non sono determinanti
per valutare Cennino. Il suo effettivo valore va trovato in un’area
particolare, di cui molto raramente altri artisti – una volta che la loro
scuola artistica entrava in crisi – si occuparono, dimenticando in tal modo
di salvare per le future generazioni le conquiste più importanti di quelle
passate. È stata quindi una fortuna che Cennino fosse attivo nel momento in
cui l’arte giottesca stava morendo – e che tale crisi non gli abbia dato un
talento così importante da agire come riformatore. Il merito di Cennino non è
stata la sua capacità di resistere alla crisi o di rinnovarsi. Ciò che è
stato suo merito esclusivo, ciò che ha fatto e per cui va lodato è stata
sicuramente l’impresa di trasmettere ai suoi successori - davanti ai loro
occhi – prova della grande importanza storica di queste scuole morenti.
In fin dei
conti, egli non poteva scegliere miglior via che mostrarci le procedure
tecniche in tutta la loro ricchezza, procedure divenute sempre più
sofisticate col tempo, indicatrici tangibili, prove ed evidenze dello spirito
intellettuale del tempo”.
(pages xvii-xviii)
Italics
not in the original
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Davvero un giudizio molto duro sul lavoro di Cennino. Il suo merito principale è quello di aver documentato la crisi spirituale di un mondo che non aveva più futuro. Ma anche un’affermazione che – nella Vienna di quegli anni – aveva precisi toni polemici riguardo ad alcuni aspetti delle discussioni contemporanee su uno “stile nazionale” nell’Austria-Ungheria, nel cosiddetto periodo della ‘Ringstraße’, la nuova circonvallazione di Vienna che doveva mostrare il gusto architettonico e l’identità culturale dell’Impero nella seconda metà del XIX secolo.
Alfred Ilg e lo stile ‘nazionale’ austro-ungarico
Per capire appieno la cosa, è necessario fare un passo indietro. Nel 1849 John Ruskin aveva scritto la sua opera teorica sull’arte gotica, intitolata “Le sette lampade dell’architettura” [11]: si tratta delle sette categorie morali verso cui deve essere orientato il lavoro degli architetti, seguendo il modello gotico: sacrificio, verità, potenza, bellezza, vita, memoria ed obbedienza. L’opera comprende la tesi che lo stile gotico si adatti particolarmente agli edifici pubblici (sono gli anni in cui viene ricostruita Westminster in stile neogotico dopo che il palazzo originale era stato distrutto da un incendio). Fra il 1851 e il 1853 Ruskin pubblicò un secondo famoso lavoro sull’architettura, in tre volumi, intitolato “Le pietre di Venezia” [12]. A quell’epoca, visitare Venezia voleva dire entrare nell’impero asburgico e il libro dovette avere una vasta eco anche a Vienna. In un capitolo sulla “Natura del Gotico”, Ruskin pose le fondamenta del movimento del Revival Gotico, definendo le caratteristiche appunto dello stile gotico. In un altro capitolo, ad esso dedicato, definisce il Palazzo Ducale di Venezia come il prototipo di tutti i palazzi pubblici. Nel 1856 la famiglia degli Asburgo commissiona la costruzione del primo edificio neogotico a Vienna, la Votivkirche. Solo due anni dopo, Eitelberger ordina il censimento di tutti gli edifici gotici medievali dell’Austria-Ungheria (come detto sopra). Nel 1872 viene iniziata la costruzione della nuova City-Hall di Vienna in stile neo-gotico.
Concludendo: Albert Ilg – al tempo della traduzione di Cennino Cennini – era immerso in un clima culturale molto favorevole per l’arte medievale e il Revival gotico. Gli sarebbe pertanto stato facile comporre un’altra ode al mondo di Cennino. E tuttavia, fece esattamente il contrario. Uno dei miti originari del Revival gotico fu la rinnovata ammirazione per gli artisti medievali, il loro ardore religioso e la loro disponibilità collettiva a dedicarsi all’implementazione del fare artistico, senza alcun interesse per i riconoscimenti individuali e la necessità di rivelare una personalità geniale. Come è chiaro da quanto detto prima, già a 24 anni Albert Ilg si opponeva radicalmente a queste correnti di pensiero. A partire dal 1880 e fino alla fine della sua vita, egli sarà a capo – forse inutilmente – della resistenza contro le influenze neogotiche a Vienna, promuovendo il Barocco e il Neobarocco come stili ‘nazionali’ dell’Austria-Ungheria.
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APPENDICE I:
LA PRIMA SERIE DELLE QUELLENSCHRIFTEN (1871-1888)
Quellenschriften für Kunstgeschichte
und Kunsttechnik des Mittealters und der Renaissance – (R. Eitelberger
1817-1885)
I – Cennino Cennini, Das Buch von
der Kunst oder Tractat der Malerei, Albert Ilg, 1871
II – Ludovico Dolce, Aretino oder
Dialog über Malerei von Lodovico Dolce, Rudolf Eitelberger, 1871
III – Albrecht Dürer, Briefe,
Tagebücher und Reime, Moriz Thausing, 1872
IV – Heraclius, von den Farben und
Künsten der Römer, Albert Ilg, 1873
V - Michel Angelo Biondo, Von der
hochedlen Malerei, Rudolph Valdek and Albert Ilg, 1873
VI – Ascanio Condivi, Das Leben des Michelangelo
Buonarroti, Albert Ilg, 1874
VII – Theophilus
Presbyter, Schedula Diversarum Artium, Albert Ilg, 1874.
VIII – Kunstbestrebungen am
Bayerischen Höfen unter Herzog Albert V. und seinem Nachfolger Wilhelm V, J.
Stockbauer, 1874
IX – Donatello, seine Zeit und
Schule, eine Reihenfolge von Abhandlungen, Hans Semper, 1875
X – Des Johann Neudörfer schreib- und rechenmeisters zu Nürnberg nachrichten von künstlern und werkleuten daselbst aus dem jahre 1547,
Johann Neudörffer,
1875
XI –Leone Battista Alberti’s
kleinere kunsttheoretische Schriften, Hubert Janitschek, 1877
XII – Quellen der byzantinischen
Kunstgeschichte, Friedrich Wilhelm Unger, 1878
XIII – Das Buch der Malerzeche in
Prag, (Kniha bratrstva malirskeho v Praze) 1348- 1527, Matthias Pangerl, 1878
XIV - Arnold Houbraken's Grosse
Schouburgh der niederländischen
Maler und Malerinnen, Alfred von Wurzbach, 1880
XV-XVII – Lionardo da Vinci, Das Buch der Malerei nach
dem Codex Vaticanus (Urbinas), Heinrich Ludwig, 1882
XVIII – Lionardo da Vinci, Das Buch der Malerei nach
dem Codex Vaticanus 1270, Heinrich Ludwig, 1882
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Quellenschriften for art history and
art of the Middle Ages and the Renaissance - (edited by R. Eitelberger
1817-1885 )
I - Cennino Cennini , The book of
the art or treaty of painting, Albert Ilg, 1871
II - Ludovico Dolce , Aretino or
dialogue on painting by Lodovico Dolce , Rudolf Eitelberger , 1871
III - Albrecht Dürer, Letters,
diaries and rhymes , Moriz Thausing , 1872
IV – Heraclius, On the colours and
arts of the Romans, Albert Ilg , 1873
V - Michel Angelo Biondo , On the
most noble painting, Rudolph Valdek and Albert Ilg, 1873
VI - Ascanio Condivi , The Life of Michelangelo
Buonarroti, Albert Ilg , 1874
VII - Theophilus Presbyter ,
Schedula Diversarum Artium, Albert Ilg , 1874.
VIII - Art aspirations at the
Bavarian courts under Duke Albert V and his successor, Wilhelm V , J. Stockbauer
, 1874
IX - Donatello, his time and school,
a sequence of papers , Hans Semper , 1875
X - Of Johann Neudorfer - Writing
and arithmetic masters to Nurnberg - News from artists and workmen - from the
year 1547, Johann Neudörffer, 1875
XI Leone Battista Alberti 's smaller
art-theoretical writings , Hubert Janitschek , 1877
XII - Sources of Byzantine art
history, Frederick William Unger , 1878
XIII - The Book of Painters mine in
Prague, ( Kniha bratrstva malirskeho v Praze ) 1348-1527 , Matthias Pangerl ,
1878
XIV - Arnold Houbraken 's Big
Schouburgh on the Dutch painters and paintresses, Alfred von Wurzbach , 1880
XV- XVII - Leonardo da Vinci , The
Book of painting from the Vatican (Urbinas) Codex, Heinrich Ludwig, 1882
XVIII
– Lionardo da Vinci, The Book of painting from the Codex Vaticanus 1270,
Heinrich Ludwig, 1882
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NOTE
[1] Si veda il Necrologio di Ilg, a firma Wendelin Boeheim , pubblicato in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses (Yearbook of the Collections of History of Art of the Imperial House), 1898, pagine 354-359. http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/jbksak1898/0402
[2] In questa biblioteca è presente l’edizione facsimilare dell’originale del 1871, pubblicata da Wagener Edition, Melle nel 2008. L’edizione originale, pubblicata da Braumüller, è consultabile su Internet all’indirizzo http://books.google.it/books?id=cDFSAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=das+buch+von+der+kunst+cennino&hl=it&sa=X&ei=mdCpUsrmLMqUhQeWyIHYDg&ved=0CD4Q6AEwAA#v=onepage&q=das%20buch%20von%20der%20kunst%20cennino&f=false
[3]Rampley, Matthew – The Vienna School of Art History. Empire and the Politics of Scholarship, 1847-1918, The Pennsylvania State University Press, 2013, p.78. (presente in questa biblioteca)
[4] Dobslaw, Andreas – Die Wiener “Quellenschriften” und ihr Herausgeber Rudolf Eitelberger von Edelberg, Deutscher Kunstverlag, Berlin Mïnchen 2009, p 176. (presente in questa biblioteca)
[5] Heraclius. Von den Farben und Künsten der Römer. Originaltext und Übersetzung. Mit Einleitung, Noten und Excursen verseheln von Albert Ilg, Wien, 1873.
Per la princeps si veda:
[6] Theophilus Presbyter. Schedula diversarum artium, Bd. 1: Revidierter Text, Übersetzung und Appendix von Albert Ilg, Anonymous Bernensis. Zum ersten Male herausgegeben und übersetzt von Hermann Hagen, Wien, 1874.
In questa biblioteca è presente la ristampa anastatica, pubblicata da Otto Zeller Verlag e datata 1970. Per l’originale si veda: https://archive.org/details/scheduladiversa00pregoog
[7] Vybíral, Jindrĭch, “… die Kunst muss aus nationalem Boden hervorgehen“. Die Erfindung des tschechischen Nationalstils, in: Matthias Krüger – Isabella Woldt (eds). Im Dienste der Nation. Identifikationsstiftungen und Identitätsbrüche in Werken der bildenden Kunst, Berlin 2011, pp. 77-94.
[8] Mittelalterliche Kunstdenkmale des österreichischen Kaiserstaates, Mittelalterliche Kunstdenkmale des österreichischen Kaiserstaates, herausgegeben von Dr. Gustav Heider, Professor Rud. V. Eitelberger und Architecten J. Hieser, Stuttgart, Verlag Ebner & Seubert, 1858 and 1860 (2 volumes)
Si veda:
[9] Lo stesso approccio nella traduzione, riferito al concetto di contemporaneità piuttosto che di modernità, è presente nella traduzione, più tarda (1933) di Thompson, che scrive: “and that Giotto changed the profession of painting from Greek back into Latin, and brought it up to date; and he had more finished craftsmanship than anyone has had since“ Al contrario, la versione tedesca di Verkade’s, successiva di qualche decennio, (1914-1916) pone l’accento sull’elemento della modernizzazione (“Jener Giotto verließ die bizantinische Malerei und machte sie zu einer italienischen; er modernisierte die Kunst und beherrschte sie vollständiger, als je einer zuvor ossia ”Giotto abbandonò il modo di dipingere bizantino e lo trasformò in italiano; egli modernizzò l’arte ed ebbe una padronanza migliore su di essa di chiunque altro prima” .
[10] I fratelli Milanesi, Merrifield e Victor Mottez non espressero le loro opinion su questo aspetto.
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