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giovedì 27 febbraio 2014

I magnifici disegni di Giovanni Battista da Sangallo per il De Architectura di Vitruvio (1520-1548)


English Version

Vitruvius
Ten Books on Architecture
The Corsini Incunabulum with the annotations and autograph drawings of Giovanni Battista da Sangallo


A cura di Ingrid D. Rowland

Edizioni dell’Elefante, 2003 



[1] Cosa rende unico la copia dell’incunabolo del De Architectura di Vitruvio conservata con segnatura Ms. Corsini F.50.1 presso l’Accademia dei Lincei? Molto semplicemente: le splendide illustrazioni di cui la corredò Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo. L’Accademia dei Lincei mi ha concesso gentilmente la possibilità di riprodurne cinque. Lo faccio subito. Dopo le illustrazioni, troverete la recensione al volume. Tutti i diritti di riproduzione delle immagini sono riservati e fanno capo all'Accademia dei Lincei.

Fig. 1 Figura umana inscritta in un cerchio (l’uomo vitruviano)

Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo
Figura umana inscritta in un cerchio (Vitruvio III, 1, 3)
Ms. Corsini F.50.1
Accademia Nazionale dei Lincei 


Fig. 2 Interno di anfiteatro

Giovanni Battista da Sangallo detto Il Gobbo
Interno di anfiteatro romano (Vitruvio V.5.1-5)
Ms. Corsini F.50.1
Accademia Nazionale dei Lincei


Fig. 3 Le terme dei romani

Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo
Le terme dei Romani (V.10.1-5)
Ms. Corsini 50.F.1
Accademia Nazionale dei Lincei
Fig. 4 Effetti ottici

Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo
Effetti ottici (Vitruvio VI.2.1-4)
a sinistra in basso: 'Scena dipinta in tavola piana'
a destra in basso: 'Effetto dei remi sull'acqua'
Ms. Corsini 50.F.1
Accademia Nazionale dei Lincei

Fig. 5 Cinque tipi di cavedio, interpretati come cortili Rinascimentali

Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo
I cinque tipi di cavedio rappresentati come cortili romani del 1500 (Vitruvio VI.3.1-2)
Da destra in alto in senso orario: cavedium toscanicum, cavedium corinto,
cavedium thetrastilo, cavedium, displuiato, cavedium testudinato
Ms. 50.F.1
Accademia Nazionale dei Lincei

[2] L’editio princeps (in latino) del De Architectura di Vitruvio è, come noto, opera di Giovanni Sulpicio da Veroli. Si tratta di un incunabolo del 1486 (tecnicamente, col termine incunabolo si identifica un qualsiasi libro stampato nel corso del XV secolo). L’opera ha una caratteristica fondamentale: quella di essere concepita come un moderno “work in progress”. Sulpicio, professore di Grammatica presso l’Università di Roma, ammette, con grande coraggio, di non essere in grado di interpretare tutti i passaggi del testo vitruviano così come a lui giunto nel XV secolo. Secoli e secoli di trascrizioni di manoscritti hanno fatto sì che in primo luogo si perdessero dieci delle undici illustrazioni di cui in origine era corredata l’opera vitruviana; che andassero smarriti tre poemi greci (poi recuperati e pubblicati da Fra Giocondo nella seconda e successiva edizione del 1511); e che in diversi punti il testo originale latino fosse difficilmente ricostruibile. Sulpicio se ne rende perfettamente conto e proprio per questo allestisce un’edizione con ampi margini in ogni pagina perché siano gli stessi lettori a integrare il testo, ad apportare correzioni e a fornirlo delle illustrazioni. Lascia inoltre uno spazio bianco in corrispondenza delle composizioni poetiche greche andate perdute. 

[3] Passano gli anni; nel frattempo escono nuove edizioni (abbiamo già citato quella in latino di Fra Giocondo, ma bisognerà quanto meno ricordare la prima edizione italiana di Cesare Cesariano (1521)); solo un interprete, tuttavia, a cavallo fra gli ultimi anni ’20 del Cinquecento e il 1548 sembra raccogliere la sollecitazione di Giovanni Sulpicio. Si tratta di Giovan Battista da Sangallo, detto il Gobbo, che, in quel lungo lasso di tempo, annota, postilla e soprattutto correda di magnifiche illustrazioni un esemplare della princeps. L’incunabolo è oggi conservato presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, nella biblioteca Corsiniana, con segnatura Ms. Corsini 50.F.1. Le illustrazioni di Giovan Battista non sono inedite. Buona parte di esse è stata pubblicata nel 1988 da Gabriele Morolli in L’Architettura di Vitruvio: una guida illustrata. Rilettura delle «Institutiones novae» accompagnata da inediti disegni sangalleschi e corredata da una biografia e da un indice dei principali termini architettonici. Ma è nel 2003 che, per la prima volta, l’Accademia Nazionale dei Lincei permette alle Edizioni dell’Elefante di riprodurre fotograficamente l’intero incunabolo su cui lavorò Giovan Battista. Ne risulta una pubblicazione semplicemente magnifica, a cui fa da degna cornice l’introduzione di Ingrid D. Rowland, una di quelle introduzioni che solo il mondo anglosassone è tradizionalmente in grado di approntare, eccellente per chiarezza, capacità di sintesi e di ricostruzione dell’ambiente romano dei primi del Cinquecento. Ad essa facciamo riferimento per la compilazione di queste note.

[4] Quello fra i Sangallo e Vitruvio è un amore che dura decenni. Il fratello maggiore di Giovan Battista, ovvero Antonio il Giovane aveva tentato di tradurre il De Architectura (cominciando probabilmente un po’ prima del 1530). Il risultato era stato deludente: ci risulta che sia stato esteso il solo Proemio, proposto da Paola Barocchi in Scritti d’arte del Cinquecento. Giovan Battista, invece, andò ben oltre e tradusse quasi integralmente il trattato. Anzi, a dirla tutta, della traduzione di Giovanni Battista ci restano due copie: secondo quanto scrive Nicola Pagliara alla voce Cordini Giovanni Battista (Battista da Sangallo detto il Gobbo) sul volume 29 (1983) del Dizionario biografico degli italiani “la [n.d.r traduzione] più antica (Cors. 1846) è anche la più estesa: si interrompe al cap. XII del X libro ed è scritta quasi interamente di mano del C. su carte con filigrane usate a Firenze nel 1514-29. Insoddisfatto di questa versione, il C. ne fece una seconda (Cors. 2093) che arriva al termine del libro VI, scritta anch'essa quasi tutta di sua mano su carte con filigrana in uso nel terzo decennio del secolo”. Sia sul Dizionario sia in Vitruvio da testo a canone Pagliara cita il progetto di pubblicazione della traduzione di Battista a cura di Roberto Peliti e Franca Petrucci Nardelli, con introduzione di Armando Petrucci, progetto giunto fino allo stato di bozza nel 1969, ma mai arrivato alle stampe. Sempre secondo Pagliara “la traduzione, nonostante il forte impegno interpretativo del Sangallo, non si può dire riuscita. La grande esperienza pratica dell'architettura non ha potuto supplire del tutto alle sue scarse conoscenze della lingua latina, e molte volte il testo non è realmente compreso.” Le annotazioni che Giovanni Battista trascrive sull’incunabolo corsiniano ora ristampato sono simili, ma non identiche al testo della traduzione sangallesca integrale. 

[5] Se il tentativo di tradurre Vitruvio in italiano non si può dire particolarmente felice, cioè che rende del tutto unico l’esemplare in questione è l’apparato delle illustrazioni, semplicemente magnifico. Qui lasciamo la parola ad Ingrid Rowland (p. 24): “But what the Tuscan builder could claim in compensation for his scholarly shortcomings was an extraordinary powerful visual imagination (…). Battista da Sangallo was able to imagine ancient Rome as if it were a real place. His city of the Caesars is no archaeological abstraction; it is alive with people, from the fat little actor gesticulating from the front edge of a long projecting stage (…), to the energeting bathers who splash themselves from basins, wrestle in the palaestra, or sit in the tub, discussing with extravagant motions of their arms and hands. (…) Nor is Battista da Sangallo’s Rome only made of people. His trees are as carefully characterized by their appearance as they are distinguished in Vitruvius by their uses. His city walls are set in real landscapes of hills, valleys, and tortuous terrain (…). His Roman streets do not belong to some white-columned dream world; they are as scruffy and haphazard as a Roman street in his own day”. 

[6] Come fece Giovan Battista ad illustrare l’edizione di Sulpicio? Molto semplicemente: ne prese una copia e vi fece toglie la rilegatura. Poi, oltre ad annotare e illustrare le pagine di maggior interesse aggiunse proprio dei fogli ulteriori per i disegni di maggior interesse. Appare certo che quest’operazione fu fatta e rifatta in più di un’occasione, con qualche errore in sede di rilegatura. Ad esempio, nell’ultima rilegatura tre disegni a piena pagina, che dovevano essere chiaramente inseriti all’interno del Libro V, furono tralasciati e rilegati soltanto in fondo all’opera. Va chiarito che note e disegni non riguardano tutta l’opera, ma si concentrano soprattutto nei libri dal III al VI. È molto probabile – vista la qualità della riproduzione – che l’edizione moderna sia stata condotta in maniera del tutto simile: ovvero che i fogli siano stati lasciati liberi, riprodotti e nuovamente rilegati.

[7] Secondo quanto scritto dalla curatrice, annotazioni e illustrazioni dell’incunabolo risultano essere state redatte in almeno tre momenti differenti (cf. p. 34). Un primo intervento risale probabilmente già agli anni 20; un secondo alla fine degli anni ’30 e/o all’inizio del decennio successivo; ed infine un terzo fra il 1546 e il 1548.

[8] Si ringrazia la Dott.ssa Ada Baccari, Direttore Generale dell'Accademia, per la concessione dell'autorizzazione alla riproduzione delle immagini.

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