Mark Clarke è uno dei maggiori esperti di storia delle tecniche artistiche del mondo. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo The Art of All Colours: Mediaeval Recipe Books for Painters and Illuminators. London: Archetype Publications (2001) e Mediaeval Painters’ Materials and Techniques: The Montpellier ‘Liber diversarum arcium’. London: Archetype Publications (2011).
Nel 2007 Clarke si è recato a Washington D.C., presso gli American Archives of Art e ha avuto modo di consultare gli archivi di Daniel V. Thompson, autore nel 1932 di un'edizione italiana del Libro dell'Arte, ma soprattutto autore (l'anno successivo) dell'ultima traduzione in inglese. Ha avuto così modo di leggere cosa, a distanza di decenni (morì nel 1980), Daniel V. Thompson si rimproverasse della sua pur fortunatissima traduzione e di ricostruire la storia della traduzione medesima.
Ha scritto in merito (lo stesso anno) un saggio intitolato Pentimenti: D.V. Thompson’s reflections on his translation of Cennini che è liberamente consultabile nella sua versione inglese sul sito personale dell'autore all'indirizzo http://www.clericus.org/pentimenti.htm
Per gentile concessione dell'autore, ho provveduto a tradurre in italiano il testo, che viene riportato integralmente qui di seguito
Mark Clarke
Pentimenti: riflessioni di D.V. Thompson sulla sua traduzione di Cennini
Pentimenti: riflessioni di D.V. Thompson sulla sua traduzione di Cennini
Introduzione
Nel 1932 D.V. Thompson Jr, (1902-1980) fece pubblicare una nuova edizione
del testo italiano di Cennino Cennini. Nel 1933 seguì un secondo volume
contenente una sua nuova traduzione in inglese del testo. Nel 1960 questa
traduzione fu ristampata da Dover, è rimasta in produzione fino ad oggi ed è
largamente diffusa: non solo: si tratta spesso dell’unica fonte sulle tecniche artistiche letta in inglese dalla
maggioranza degli studenti di storia dell’arte e anche i migliori conservatori
di dipinti raramente conoscono molte altre fonti. Tutto ciò ha fatto sì che
l’opera esercitasse un’enorme influenza, e, quindi, che anche le sue eventuali
imperfezioni potessero provocare conseguenze rilevanti.
Questo testo presenta i commenti, le correzioni e le riflessioni di
Thompson sulla traduzione successive alla pubblicazione della stessa, assieme a
chiarimenti e nuove acquisizioni di Thompson. Documenta inoltre una piccola
parte delle vicende editoriali relative alla traduzione e alle revisioni della
medesima.
Il materiale su cui si basa questa comunicazione è [n.d.t. in parte]
conservato negli Archivi di Arte Americana dell’Istituto Smithsonian a
Washington (in particolare nei ‘Daniel Varney Thompson Papers”, per lo più
inediti) ed [n.d.t.] in parte si fonda su una serie di interviste registrate
fra il 1974 e il 1976 nell’abitazione di Thompson, a Beverly Farms,
Massachussets.
Primi problemi con la sua traduzione
Nel 1933, mentre visitava l’Inghilterra, a Thompson – sono parole sue – venne
“ordinato di comparire” davanti alla Society
of Mural Decorators and Painters in Tempera – di cui Lady Herringham
(1852-1929) era stata una delle fondatrici – “per giusticare la sua temerarietà
nell’aver tentato di incrinare la relazione fra Cennino, fonte di ogni bene, e
Lady Christiana J. Herringham, sua traduttrice, ma anche sua sacerdotessa”
(Lady Herringham aveva pubblicato la sua traduzione di Cennini nel 1899). Thompson
ricorda la riunione nella sua intervista registrata.
Andai a una riunione della Società e dissi che nella traduzione di Lady
Herringham c’erano errori materiali che io avevo corretto con grande
riluttanza. Con grande riluttanza perché io ero cresciuto con la traduzione di
Lady Herringham, l’aveva amata sinceramente, e trovavo che fosse molto più
leggibile – e tutt’ora la trovo molto più leggibile e molto più gradevole – rispetto
alla mia, ma che pensavo che fosse poco accurata. [Discusse della sua
traduzione con la Società, e alla fine]… decisero che il tempo sarebbe stato
galantuomo… e che la mia traduzione impertinente sarebbe stata ben presto
dimenticata. Sono felice di poter dire che le cose sono andate diversamente e
credo che Allen e Unwin [n.d.t. gli editori dell’edizione Herringham] abbiano
ormai ritirato dal mercato l’edizione tradotta dalla Herringham, mentre Dover
mi dice che le vendite della mia traduzione continuano ad andare più che bene
anche ora [Intervista, 1974, Nastro 3 Lato 1; trascrizione pp. 63-4]
Thompson conclude il suo ricordo esprimendo insoddisfazione in merito ad
alcuni punti della sua stessa traduzione:
Non mi piace, e voglio correggere alcune espressioni infelici e un certo
numero di errori materiali che vi sono contenuti. [Intervista, Nastro 3 Lato 1;
trascrizione pp. 64]
E in effetti Thompson fece qualcosa per correggere questi errori
pubblicamente. Come ricorda:
Una mia amica stava avendo grossi problemi nell’ottenere carte da disegno
di colori adatti da usare come sfondo per alcuni progetti che stava facendo, e
io le dissi: “Nessun problema; la risposta è facilmente rintracciabile in
Cennino, che descrive metodi per tingere carte, comuni nel 15simo e nel 16simo
secolo. Tu devi solo seguire le direttive che ti fornisce Cennino”. Lei le
seguì e incontrò diverse piccole difficoltà che io le risolsi senza problemi.
Allora mi dissi: “ Se questa ragazza ha avuto dei problemi, vale la pena che io
scriva un saggio per fare in modo che anche altri studiosi di Cennino possano
superarle”. Così scrissi un saggio per Tempera
[il periodico della Società, 1971] dando istruzioni su come risolvere le
piccole difficoltà che possono insorgere seguendo le istruzioni di Cennino. [Intervista,
Nastro 3 Lato 2; trascrizione p. 68]
Sfortunatamente è estremamente difficile reperire una copia di Tempera, che all’epoca veniva pubblicata
in un numero esiguo di copie (Thompson parlava “forse di 50 copie”). Di
conseguenza, queste correzioni non hanno certamente avuto ampia circolazione;
data la difficoltà nel trovare le copie, il saggio di Thompson viene riprodotto
nell’Appendice in fondo.
Riflessioni sulla sua traduzione
Se devo parlare degli errori che ho fatto nella mia traduzione di Cennino,
Cennino parla di tinture di pergamene così come di carta [Capitolo XVIII]. Per
farla, dice che la pergamena deve essere fissata a dei chiodi, e io ho tradotto “chiodi a testa larga”, ed è un pasticcio
di prim’ordine. Io stavo pensando a qualcosa come i chiodi dei tetti, e in
effetti si potrebbero usare i chiodi da tetto, ma non dovrebbero essere usati
per fissare la pergamena, ma come supporti a cui la pergamena dovrebbe essere
attaccata piegandola attorno alla testa del chiodo, e legandola con lo spago
allo stelo dello stesso. Si tratta di un tentativo davvero debole di difendere
la mia traduzione. Si potrebbero usare i chiodi da tetto. Ma quello che devi
usare, quello che chi lavora la pergamena o il tintore dovrebbe usare è un
piolo a forma di fungo o qualcosa del genere, può essere anche di sughero,
attorno al quale la pergamena può essere avvolta e legata, perché qualsiasi sia
la larghezza del chiodo che verrebbe usato, la pergamena, che si restringe
enormemente man mano che si asciuga, si strapperà – il chiodo strapperà la
pergamena man mano che si restringe e se il chiodo non è ben piantato nel
supporto ligneo o in qualche altro supporto che lo regge, la pergamena
semplicemente lo tirerà a sé e lo farà cadere. E, se il chiodo fosse ben
piantato, anche se fosse a testa larga, la pergamena si strapperebbe – la forza
che esercita è colossale. Ma se la pergamena fosse piegata attorno alla testa di
un tassello a forma di fungo e poi strettamente legata ad esso, la forza
verrebbe distribuita uniformemente attorno alla circonferenza del supporto e
non si strapperebbe E i supporti potrebbero a loro volta essere legati a un
pannello [Intervista, Nastro 3, Lato 2; trascrizione pp. 68-9]
Il testo pubblicato da Thompson riporta il termine bullecte al posto di chiodi
e ‘a testa grossa’ invece di “a testa larga”, ma tutto ciò non altera il senso
del discorso o fa venir meno le sue osservazioni.
Fra le carte dell’AAA [n.d.t. Archives of America Art] [Serie 4.1, Scatola
6] si trova un gran numero di fogli sciolti contenenti note su Cennini. Non è
chiaro per che scopo furono scritti ma non sembra che siano stati pubblicati, a
parte il testo dattiloscritto per l’articolo su Tempera che si trova assieme a loro.
Tutte le traduzioni sono soggette ad obsolescenza… Ma pochi traduttori si
sono visti mancare la terra sotto i piedi come il sottoscritto nel caso della
traduzione del termine cenniniano pastello.
Conosco ben pochi esempi di cambiamenti di significato così repentini negli
ultimi 50 anni come il caso della parola ‘plastic’.
Il pastello di Cennino è
descritto nel capitolo LXII. Si tratta di una miscela di resina cruda di pino,
di mastice e di cera fresca, mescolate assieme, filtrate ed unite con polvere
di lapislazzolo non troppo fina. Questa miscela è posta in una soluzione
alcalina tiepida estratta da ceneri di legno con un paio di pestelli di legni
necessari per estrarre il blu ‘oltremarino’dalla pietra, lasciando nel pastello il grosso dei componenti non
colorati del minerale (nelle testimonianze in latino di questo procedimento,
piuttosto rare, viene usata la parola pastillum).
Un impasto è un pastello; ma il
mio amore per la cucina mi spingeva a non chiamare questa miscela ‘impasto’.
Quando è calda, si tratta di un liquido vischioso; quando è fredda, di una
sostanza solida davvero dura. Mi sembrò ragionevole, nell’era della
pre-plastica, di chiamarla appunto ‘plastic’. Si è trattato di una scelta poco
saggia.
Non solo il termine ‘plastic’ ha assunto una quantità di significati
all’epoca inimmaginabili e tutti inappropriati; ma la soluzione per tradurre
correttamente si trovava, del tutto inosservata, nel testo stesso. Quando tutti
gli ingredienti sono stati messi assieme, Cennino dice chiaramente: “Poi… fanne
un pastello, tutto incorporato insieme.”. Vale a dire che il pastello non è qualcosa che deve essere
mescolato assieme, ma che deve essere il risultato di ingredienti già mescolati
fra loro; in questo senso, non può essere altro che una ‘cake’. E ‘cake’ è una
traduzione legittima di pastello.
Thompson rielaborò ed approfondì questo punto su pochi altri fogli, mal
scritti e probabilmente correlati fra loro. Questi fogli furono, all’apparenza,
scritti sul finire degli anni 70, vale a dire poco prima della sua morte. Si
tratta di dieci fogli, fra loro simili per qualità della carta, aspetto
tipografico e layout. Non è sempre è chiaro in che punto i fogli dovevano essere
correlati l’uno all’altro, in parte perché Thompson era abituato, quando
preparava un testo per la pubblicazione, a scrivere ogni paragrafo su un foglio
separato (e ciò – spiega in un saggio intitolato Mechanical Aids to Editing, redatto mentre era al Cortauld
Institute e apparentemente inedito – perché nel corso di radicali riscritture i
paragrafi buoni potessero essere salvati). Certamente, in questo caso, sono
stati mischiati con altri fogli contenenti commenti su Cennini e sul disegno
preparatorio, che qui vengono omessi. E’ quindi possibile che la sequenza non
sia corretta. L’inizio di ogni nuovo foglio è indicato con il segno ¶.
¶Uno dei motivi per cui le traduzioni invecchiano è naturalmente che i cambiamenti
nel lessico diminuiscono col passare del tempo. Così, dal momento che la
traduzione è sempre più recente dell’originale il passare del tempo la inficia
più dell’originale.
La mia traduzione del Libro dell’Arte
di Cennino è stata fatta all’incirca cinquant’anni fa e mostra tutta la sua età,
anche se, per mancanza di meglio, viene ancora letta. L’inglese dei laboratori
artigianali degli anni 30 non è più utilizzato. Non posso farci nulla. Ma nel
corso degli anni, dal momento in cui The
Craftsman’ Handbook apparve per la prima volta, mi sono reso conto di
errori che è necessario correggere.
Uno solo di questi è attribuibile a un cambio di significato di un termine
inglese usato nella traduzione; ma questo cambiamento è spettacolare. Nel corso
del capitolo LXII, sulla produzione di blu oltremarino, ho tradotto la parola pastello, ovvero la miscela di mastice,
resina grezza e cera con lapislazzolo polverizzato, con il termine ‘plastic’.
Nel 1933 le materie plastiche canoniche erano la gomma e la celluloide, con
la bachelite che stava cominciando a divenire di uso comune. Il termine
‘plastic’ oggi come oggi è ben poco in relazione con il suo significato
originario. Nessuno oggi tradurrebbe il pastello
di Cennino con il termine ‘plastic’, e quella del 1933 non fu una buona scelta.
Il termine inglese equivalente dovrebbe essere semplicemente ‘ a cake’
¶ C’è una frase che rimane poco
felice, vale a dire proprio il titolo dell’opera, Il Libri dell’Arte. I traduttori precedenti l’avevano resa come The Book of the Art. Ma il termine arte è ambiguo. Può significare ‘arte’,
ed anche più specificamente arte della pittura come un tardo copista di uno dei
manoscritti suggerisce. Ma può significare anche corporazione, una delle tante
che esistevano nella Firenze di Cennino.
Nel capitolo di apertura, il termine ‘arte’ è usato frequentemente nel
senso di ‘professione’, e la professione di cui si parla è chiaramente il
mestiere della pittura. Io ho usato invece una traduzione abbastanza libera (The
Craftsman’s Handbook ) [n.d.t. letteralmente Il Manuale
dell’Artigiano] per il titolo inglese.
La scelta non è stata del tutto felice; nell’inglese britannico,
‘Craftsmanship’ è un termine strettamente legato al mondo massonico, e non era
certo mia intenzione parlare di Massoneria.
¶ L’errore che oggi mi sembra più grave e di maggior portata compare in
tutta evidenza nella Nota 2 di pagina 94 della mia traduzione: “E’ molto forte
la tentazione di interpretare i dossi come “reflected lights”
[n.d.t. luci riflesse]…ma ciò implicherebbe un livello di sofisticatezza nella
resa di luci e ombre che probabilmente Cennino non aveva.”
L’uso di luci e ombre nel trecento Fiorentino era [n.d.t. invece] molto
sofisticato; e ogni fenomeno era stato riconosciuto. Dire che il risultato non
fosse naturalistico è semplicemente la conseguenza di un nostro luogo comune,
non dell’osservazione dello stesso.
¶ Lo stesso medesimo discorso vale per la ricetta di Cennino per brunire la
foglia d’oro nel Capitolo CLVII: “un po’ di gesso sottile, e una piccola
quantità di biacca, meno di un terzo del gesso [poi prendi] un po’ di zucchero
depurato, meno della biacca. Trita queste cose con acqua chiara, in maniera
molto sottile. Poi raccogli il tutto e lascialo seccare senza esposizione ai
raggi del sole. Quando ne vuoi usare per fare dorature [su pergamena], prendine
un po’, tanto quanto basta; e distemperalo
con chiara d’uovo, ben battuta, come ti ho insegnato prima. E tempera il miscuglio
con esso. Fai asciugare. Poi prendi il tuo oro: e lo puoi stendere con o senza
alito… e brunisci tutto in una volta.”
Questa formula sembrava essere difettosa, perché l’oro non avrebbe aderito
alla base sia con l’alito sia senza, e al primo tocco del brunitore il tutto si
sarebbe sbriciolato via.
Non molto tempo dopo la pubblicazione della mia traduzione fui colpito
dall’idea che il “gesso sottile” potesse essere, come avevo supposto, il
materiale descritto nel Capitolo CXVI, oppure, in maniera altrettanto
legittima, il materiale composito descritto nel Capitolo CXVII, vale a dire che
potesse non essere il gesso di Parigi iperammollato [n.d.t. il gesso sottile si
otteneva tenendo a macero per mesi il gesso grosso, o ‘gesso di Parigi’], ma
una mistura del gesso sottile con colla.
Noi usiamo molto spesso la stessa medesima parola per una sostanza semplice
o per uno dei suoi composti: ‘Cemento’, per esempio, oppure ‘Cacao’.
Forse mi resi conto di questa possibilità in ritardo per via di una mia
conversazione con lo scomparso Guy Loumyer. Agli inizi della primavera del
1927, lui e sua madre mi ospitarono molto generosamente nella loro bellissima
villa di Riant Mont, a Losanna. Io gli domandai cosa ci fosse dietro al
suggerimento che aveva dato a Edward Johnston sull’esistenza di una superficie
per l’applicazione di dorature friabile in modo uniforme; la circostanza era
stata citata dallo stesso Johnston nel suo magistrale Writing, Illuminating and Lettering.
¶ Loumyer mi spiegò che si trattava della naturale conseguenza di una sua
teoria sul fatto che le dorature di manoscritti dovessero la loro versatilità a
un’infinità di minutissime fissurazioni. Convenne tuttavia sul fatto che
c’erano più prove che giocavano a sfavore della sua teoria piuttosto che a
supporto della medesima.
Dopo aver sostituito nella ricetta di Cennino al materiale semplice [n.d.t.
il gesso sottile] il composto di gesso sottile con colla, mi resi conto che non
solo la ricetta era fruibile ma che si trattava di gran lunga della ricetta più
utile delle tante che avevo provato in merito. La combinazione di una colla
animale con l’albume dell’uovo produce un composto di estrema morbidezza e
durezza, che si può rendere leggermente igroscopico aggiungendo un po’ di
zucchero e che si asciuga, anche con solidi in sospensione, in maniera tale da
produrre una finitura lucida che rende la brunitura di una superficie dorata
estremamente facile ed affidabile.
¶ Nel Capitolo XXXVII Cennino descrive un pigmento nero “che è
fatto da ‘vine twigs’… un colore insieme nero e magro ed è uno dei colori
perfetti che noi usiamo, e ciò è tutto…”. Questo passo è allettante.
Le parole esatte che tradussi come “vine twigs” erano sermenti di viti. Ero
in errore.
I Sermenti o, meglio, i sarmenti, sono
per il botanico i cosiddetti ‘stoloni’ come quelli della pianta di fragola, e,
per il bravo giardiniere, le ‘talee’. Ora, la vite non produce ‘stoloni’, e il
carboncino fine è prodotto sia dalle talee della vite così come dal salice
arbustivo che la sostiene.
Ma un giorno, quando la mia traduzione era già divenuta vecchia, provai a
produrre un pigmento nero dal legno della vite. Ben lungi dall’essere
‘perfetto’, era del tutto inutilizzabile. Ero costernato, ma fiducioso in
Cennino. Che cosa avrebbe potuto voler dire?
La sola risposta che mi sembrava attendibile erano i viticci. Ne raccolsi una quantità sufficiente per riempire una
piccola scatola di metallo, la sigillai e feci cuocere il tutto in un forno ben
caldo. Con mia grande gioia, i piccoli ‘cavatappi’ [n.d.t. i viticci], ora nero
corvino, avevano prodotto per polverizzazione un bellissimo e denso pigmento
nero.
Non credo che un botanico chiamerebbe ‘sarmenti’ i viticci. Ma Cennino non
era un botanico. Non è stato difficile capire che cosa volesse significare una
volta sicuri che ci voleva dire qualcosa. Dobbiamo essere davvero certi prima
di classificare come sbagliate le cose che noi non capiamo immediatamente in
questi vecchi documenti.
¶ Le traduzioni come chiavi di lettura dei lavori tradotti tendono a
perdere i loro pregi col tempo. Molte poche di esse hanno la capacità di
mantenere questo merito anche quando il loro potere di permettere la
comprensione dell’originale si smussa.
Alcune considerazioni conclusive sulla sua traduzione di Cennini sono
registrate su una serie di fogli sciolti scritti con mano molto incerta, tutti
in carattere maiuscolo, che evidenze interne del testo indicano dover risalire
a dopo il 1977 circa. Sembra che si tratti di una serie di progetti parziali. Il
segno ¶ indica un nuovo foglio.
¶ Cennino quarantacinque anni dopo
Non è cosa facile descrivere un’operazione tecnica in termini comprensibili
per un lettore che non sia familiare con materiali e strumenti anche se è
familiare con il prodotto finito. A dire il vero non è semplice anche quando
materiali e strumenti sono a portata di mano. A partire da due ferri per fare
la maglia e un gomitolo di lana, quante parole bisognerebbe usare per spiegare
come fare “due diritti e due rovesci” senza un esempio o un’illustrazione?
¶ Nel 1933 l’American Council of Learned Societies mi assicurò una borsa di
studio per cercare altre fonti manoscritte medievali di tecniche artistiche, e,
mentre stavo lavorando al British Museum, la ‘Tempera Society’ mi convocò
perché spiegassi perché avessi ritenuti necessario ripubblicare [n.d.t. in una
nuova traduzione inglese] Cennino.
La mia risposta fu convincente solo in misura modesta. Lady Herringham
aveva solo fatto alcuni piccoli errori
grossolani [n.d.t. scritto in senso ironico], tipo tradurre violante come
“affascinante” invece di “tendente al viola.: C’erano… [il resto della pagina è
bianca]
¶ Quando la mia traduzione del Libro dell’Arte di Cennino d’Andrea
Cennini fu pubblicata, nel 1933, fu vista con grande sospetto dalla London
Society of Mural Decorators and Painters in Tempera, e i membri di quella
prestigiosa e venerabile associazione mi invitarono ad incontrarli e a
giustificare, se ne fossi stato capace, la mia mancanza di rispetto nel cercare
di soppiantare la traduzione di Lady Christiana J. Herrington
Lasciatemi spiegare i retroscena della mia risposta.
La deliziosa versione fornita da Lady Herringham era stata la mia prima
introduzione a Cennino, quindici anni prima, e vi ci ero molto affezionato
quando nel 1920 divenni l’allievo prediletto di Edward Waldo Forbes, e per me
si alzò il sipario su un mondo fatto di avventura, mistero, bellezza e sfida.
Come formazione provenivo dalle scienze fisiche, alla base delle quali sta
una visione critica dei fenimeno (o, almeno, così mi è stato insegnato), ma la
pittura era il mio hobby e le istruzioni di Cennino mi affascinavano e mi
[lasciavano perplesso?]
Edward Forbes non solo aveva dato nuova vita all’allora polveroso Fogg
Museum di Harvard, e lo aveva arricchito con prestiti e donazioni provenienti
dalle proprie riservate e brillanti collezioni, ma, per un quarto di secolo,
aveva raccolto informazioni su metodi e materiali pittorici ¶ da ogni fonte
immaginabile. Nel suo studio era possibile trovare una raccolta sconfinata, anche
se priva di sistematicità,di pigmenti e materiali affini, gomme, resine, olii,
pannelli di legno, pergamene, lastre, pestelli, malte, minerali e metalli. Era
un paradiso dove erbacce e orchidee potevano fiorire l’una accanto all’altra.
Una bottiglietta di blu oltremarino, più costosa dell’oro, poteva trovarsi
gomito a gomito con un barattolo di marmellata di ossa di pollo destinate ad
essere calcinate e tritate come Cennino dice di fare nel Capitolo 40.
Ogni anno Forbes faceva lezione a un piccolo gruppo di studenti sulle
tradizioni delle tecniche artistiche e insegnava in pratica i metodi base per
preparare campiture in gesso e dorare, pitturare a tempera e in buon fresco.
Per farmi diventare un assistente molto più utile, Forbes educò il mio
spirito di osservazione e mi diede l’opportunità di diventare amico ed allievo
a Firenze di Nicholas Lochoff, incomparabile [copista] e del brillante Federigo
Ioni di Siena, pittore-restauratore
[n.d.t. e famosissimo falsario] (il cui livello di ‘restauro’ giungeva a
colmare lacune fino al 99% dell’originale).
Per tutto il nostro lavoro insieme, Forbes ed io facevano costantemente
riferimento a Cennino. La mia formazione scientifica mi rendeva meno propenso
ad accettare una dipendenza così completa da un testo conosciuto solo di
seconda mano. Così decisi di rivedere il testo ¶ italiano così come stabilito
in due copie manoscritte, nessuna delle quali originale (l’originale non è noto
come esistente). Con accanto il testo [n.d.r. italiano] accuratamente
stabilito, avrei poi fatto una nuova traduzione in inglese.
Questa mia determinazione acquistò maggiore forza [quando] fui nominato
primo istruttore in Storia dell’Arte a Yale nel 1926 e, contemporaneamente,
venni incoraggiato in tal senso da Edwin Cassius Taylor, Professore di Pittura
presso la Yale School of the Fine Arts, uomo di larghe vedute e di gran cuore.
I miei studenti avevano la destrezza e la capacità di disegno che mi
mancavano e mi mantennero sempre attento e ben stimolato. Non è un’esagerazione
dire che ho imparato io più da loro di quanto ho loro insegnato,
Per esempio, Edward Forbes ed io avevamo sottovalutato la presenza di
forellini in una superficie di gesso e li avevamo chiusi. Joni non lo aveva
fatto. Alcuni studenti curioso mi spinsero a capire il motivo e la cura. Il
motivo era che [n.d.r. chiudendoli] il gesso sarebbe marcito e si sarebbe
disintegrato. La cura era ovvia!
Cennino era il nostro libro di testo. Il mio piano di reeditare il testo
divenne più che mai urgente. La mia buona amica Belle da Costa Greene della
Morgan Library di New York si procurò delle copie fotostatiche dei manoscritti
fatte apposta per me. Nel 1932 la Yale
University Press pubblicò la mia edizione del testo italiano e un anno dopo la
traduzione inglese.
¶ Quando, nel 1932, ebbi fatto del mio meglio per produrre una traduzione
accurate del Libro dell’Arte di
Cennino d’Andrea Cennini, basata su uno studio scrupoloso e su una nuova
edizione del testo italiano, sapevo già che era imperfetta.
Sapevo, ad esempio, che la mia traduzione del titolo non era buona. Ma The Book of the Art era senza senso, a
meno che Arte non significhi
corporazione, professione, mestiere artigianale. Sarebbe stato più saggio
aggiungere “della pittura” e chiamare l’opera The Book of the Art of Painting, ma c’erano capitoli che non
riguardavano la pittura, benché forse ancora nell’ambito di ciò che si potrebbe
chiedere a un maestro di una corporazione di pittori (io non ero al corrente
del fatto che, nell’inglese britannico il termine ‘Crafmanship’ fosse associato
alla Massoneria’).
E’ meglio, credo, fare un po’ di errori a lasciare che un lavoro abbia una
sua utilità facendolo conoscere piuttosto che lasciarlo nascosto, mai visto,
inutilizzato, sperando un giorno di riuscire a perfezionarlo. E grazie alle
edizioni Dover la mia traduzione di Cennino ha trovato il suo sbocco nelle mani
di molte più persone di quanto io avessi potuto pensare 45 anni fa.
Conclusioni
Potrei riassumere le
difficoltà [n.d.t. che ho incontrato nel tradurre Cennini] dicendo che
normalmente non è molto difficile tradurre con accuratezza quello che sapete
che un autore vuole dire. Ma se non lo sapete, si finisce per incorrere negli
errori che ho fatto io. Io non posso nemmeno reclamare, a discolpa e merito
della mia traduzione, il vantaggio della bellezza pittoresca che, qua e là,
appare nella traduzione di Cennino operata da Lady Herringham, quando traduce
l’espressione ‘emery powder’ [n.d.t. polvere di carta smerigliata] con
‘powdered emeralds’ [n.d.t. smeraldi triturati] [Risate]. Cè qualcosa di
straordinariamente meraviglioso nel macinare cose con smeraldi triturati
[Intervista, Nastro 3 Lato 2; trascrizione p. 69. Cfr. Craftsman’s Handbook p. 83 n.3 and Herringham p. 112.]
Data la lunghezza del trattato di Cennini e il lasso di tempo dal momento
della pubblicazione della sua traduzione, il numero di pentimenti che Thompson
esprimeva sembra essere piccolo e di importanza relativamente limitata, e di
questo dobbiamo essergli grati. Oggi, tuttavia, molti termini usati nel libro
di Cennini verrebbero tradotti con termini in qualche modo differenti. (Si
veda, ad esempio, Nadolny 2008 l’uso fatto da Thompson dei termini ‘glue’,
‘size’, ‘gesso’ e ‘tailor’s chalk’). Thompson non si stancò mai di enfatizzare
come l’esperienza pratica fosse uno strumento incomparabile ai fini della
comprensione di testi di storia della tecnologia artistica, e, a partire dal
1933, si è andata sedimentando in tutto il mondo un’enorme massa di esperienza,
attraverso l’esame filologico di Cennini e di altri testi contemporanei,
attraverso l’esame tecnico dei quadri, e attraverso attente ricostruzioni
basate su questi due tipi di esami, e come conseguenza di queste attente
ricerche. Si potebbe facilmente immaginare che Thompson sarebbe stato contento
di vedere che il suo testimone sia stato raccolto con tanto entusiasmo.
Pubblicazioni
citate
Herringham,
Christiana. J. (1899) The Book of the Art of Cennino Cennini: A
Contemporary Practical treatise on Quattrocento Painting, London: Allen. Ristampa
1930, George Allen & Unwin, Ltd.
Nadolny, J. (2008)
‘European documentary sources before c. 1550 relating to painting grounds
applied to wooden supports: translation and terminology’ in: Townsend, J.,
Doherty, T., Heydenreich, G., Ridge, J. (eds) Preparation for Painting: The
Artist's Choice and its Consequences, London: Archetype Publications, pp.
1-13.
Thompson, D. V., Jr. Cennino d’Andrea Cennini da Colle di Val
d’Elsa. Il Libro dell’Arte. New Haven: Yale University Press. Volume
1: Text (1932), Volume 2: The Craftsman’s
Handbook (1933). Ristampato Dover Publications, New York,
1960 e successivamente.
Thompson, D. V.,
Jr. (1971) ‘Letter from America’. Tempera. Pubblicato dalla Society
of Painters in Tempera. April 1971, pp. 7–8. [si veda anche Editorial, pp.
1-2]
Carte inedite
2,92 metri lineari di materiale, citato semplicemente come i Daniel Varney Thompson Papers, sono
conservati negli Archivi di Arte Americana dello Smithsonian Institute, negli
uffici di Washington D.C. Una lista di orientamento nell’archivio è stato
compilata di recente. [n.d.t. la lista delle carte di Daniel V. Thompson è oggi
disponibile online http://www.aaa.si.edu/collections/daniel-varney-thompson-papers-9246/more]
Intervista
Intervista con
Daniel Varney Thompson, 25 settembre 1974-2 Novembre 1976, Archives of American
Art, Smithsonian Institution. Intervista registrata condotta da Robert Brown.
Quattro cassette e una trascrizione dattiloscritta (con correzioni di M. Clarke),
che possono essere ascoltate presso gli Archives of American Art, Washington
D.C. Purtroppo, la prima cassetta è praticamente inusabile a causa di un guasto
tecnico.
Ringraziamenti
L’autore è estremamente grato all’Association for Manuscripts and Archives
in Research Collections per un generoso finanziamento che ha reso possibile la
sua visita a Washington nell’aprile del 2007.
L’autore vorrebbe ringraziare gli AAA [n.d.t. Archives of American Art] per
aver avuto accesso alle carte, e in particolare Cathy Gaines che ha preparato
un inventario prima del suo arrivo. Lo staff, amichevole ed efficiente, ha
contribuito a rendere la visita produttiva e piacevole: Marisa
Bourgoin, Elizabeth Botten, Wendy Hurlock Baker, e Tessa Veazey
I Daniel Varney
Thompson Papers sono proprietà degli Smithsonian Institution’s Archives of
American Art. I diritti letterari posseduti dal donante sono stati dedicati all’uso
pubblico per ricerca e studio. La collezione è soggetta a tutte le leggi
relative al copyright.
Appendice – ‘Lettera
dall’America’, Tempera, Aprile 1971,
pp. 7-8
[Le note a piè di pagina sono di
Thompson]
In una recensione di recenti traduzioni di Teofilo monaco1, ho
cercato di evidenziare i pericoli che riguardano le interpretazioni di
operazioni tecniche. Mi viene in mente che molti anni fa caddi in pieno nella
trappola della traduzione letterale e non mi accorsi di aver sbagliato per
diversi mesi, e, quel che è ancora peggio, fino ad oggi non ne ho fatto
relazione alcuna.
Nel Libro dell’Arte, Cennino
Cennini descrive una colla, un assiette,
per dorare su pergamena.2 Io ho tradotto il suo dettato in questo
modo: ‘…un po’ di gesso sottile, una piccola quantità di biacca, meno di un
terzo del gesso… un po’ di zucchero raffinato, meno della biacca… temperalo con
bianco d’uovo.”3
Per quel che vale, la traduzione è sufficientemente
accurata, ma non è di nessun aiuto: perché non tiene alcun conto di
un’ambiguità in italiano dalla cui corretta soluzione dipende il senso di quel
che scrive l’autore.
Nello stesso testo [n.d.t. in un diverso punto del Libro dell’Arte] Cennino
definisce il gesso sottile per mezzo di un capitolo dedicato a produrlo dal
gesso grosso (=gesso di Parigi) ammollandolo a lungo in così tanta acqua da
prevenire il suo indurimento.4 Si acquisisce, tramite
ricristallizzazione, una struttura capillarmente aghiforme molto diversa da
quella del gesso cotto da cui è costituita. Questo materiale così modificato ha
grandi proprietà di riflettività ottica quando si asciuga, anche quando è
legato a una mistura di un supporto gelatinoso5. Questa mistura
‘temperata’ è anche chiamata gesso
sottile, così come la superficie prodotta dalla sua applicazione. 6
Al momento della pubblicazione della mia traduzione io ero sconsolatamente
consapevole che questa regola di Cennino per l’uso di un mordente dorato su
pergamena non dava nelle mie mani un risultato soddisfacente. Legata al gesso
sottile senza altra mistura, la superficie risultante era fragile, quasi
impossibile da dorare e si sbriciolava in fase di brunitura. Sbagliando,
permisi a me stesso di credere che il testo potesse essere scorretto, o che
l’autore stesse scrivendo di operazioni al di fuori del proprio campo di
competenza, forse sulla base di dicerie. Forse fui influenzato dall’opinione,
geniale ma insostenibile, dell’erudito Guy Loumyer 7 (che me la
comunicò privatamente nel 1927), secondo il quale l’apparente flessibilità di
campiture di manoscritti dorati era dovuta a piccolissime fratture presenti in
essi e non per l’uso di un materiale intrinsecamente flessibile. Qualsiasi sia
stata la ragione, la colpa rimane.
Anche un traduttore giovane e privo d’esperienza avrebbe dovuto stare in
allerta in merito all’ambiguità del termine ‘gesso sottile’. E quasi subito
dopo l’uscita della mia traduzione fui fortemente colpito dall’ipotesi che la
scelta di una valida alternativa che non avevo messo in pratica potesse
portare, nella pratica, a un risultato di successo. Se una qualsiasi
interpretazione avallata dall’utilizzo che ne fa l’autore conferma le sue
raccomandazioni tecniche, deve ovviamente essere preferita a una qualsiasi
interpretazione che non la confermi.
Con mia soddisfazione – e dispiacere – riuscii a trovare che quando il
gesso mescolato e temperato [n.d.t. con colla animale] veniva usato al posto
del gesso sottile, si formava un mirabile mordente a base acquosa, idealmente
fatto apposta per dorare su pergamena senza problema alcuno. Tutto ciò aveva
l’effetto di aggiungere uno strato gelatinoso all’albume d’uovo che veniva
usato come legante, e questa combinazione, assieme all’elemento igrofilo dello
zucchero, ha esattamente la flessibilità e la durezza, nonché le qualità
temporaneamente igroscopiche necessarie per formare un mordente ideale. Come
Cennino promette 2,3 ‘puoi scrivere lettere con penna, campi o ciò
che vuoi; è perfettissimo’. Anche i tocchi più fini si asciugano con grande
lucentezza, e assorbono prontamente la foglia d’oro.8
Cennino non stava sbagliando (possiamo discutere sulla ‘gelatina’ e basarci
sul contesto per chiarire se stiamo parlando del materiale in sé, in grani o
fogli, o di una gelatina ricavata da essa). Io stavo sbagliando nel non essere
capace di risolvere l’ambiguità in via sperimentale; dal momento che il compito
del traduttore di tecniche artistiche non è solo quello di risparmiare al
lettore la seccatura di consultare un dizionario ma assai di più di scoprire e
rappresentare il significato e le intenzioni dietro alle parole del testo.
Daniel V. Thompson
Beverly Farms, Massachussetts
1. Speculum, XLII (1967), 312-339.
2. Cennino d’Andrea Cennini da Colle di
Val d’Elsa, Il Libro dell’ Arte D.V. Thompson, ed. (New Haven, 1932) pagine 95–6.
3. Cennino d’Andrea Cennini, The Craftsman’s
Handbook D.V. Thompson tr. (New Haven, 1932; ristampe anastatiche di
Dover Publications), pagina 100.
4. Ibid., pagina 71.
5. Ibid., pagina 72. Cfr. anche Practice
of Tempera Painting (New Haven, 1936), pagine 36–39.
6. Craftsman’s Handbook, op.
cit., pagine 72–3 e pagina 74 e pagina 7.
7. Autore di Les Traditions
techniques de la peinture Mediévale (Brussels, 1914) e L’Outilage
et la Matériel du Peintre de l”antiquite grecque et romaine (Brussels,
1922).
8. La pubblicazione di questa traduzione
‘di laboratorio’ fu ritardata ai suoi tempi dal mio desiderio romantico di trasmettere
tali informazioni per prima a Miss Belle da Costa Greene, della Morgan Library,
in forma di lettera scritta a caratteri dorati. Lei mi aveva gentilmente
aiutato fornendomi le copie fotostatiche dei manoscritti di Cennino. Come gli
San Girolamo nel suo lamento (Ad Eustochium de custodia virginitatis, I,
115) io ‘macchiai la pergamena con il rosso e liquefeci l’oro in lettere’.
Quando mi sentii competente, invitai il venerabile Professor Henderson, del
Dipartimento di Lingue Classiche di Yale a verificare il mio latino. Lui mi
raccomandò che le parole del memoriale formassero sulla pagina la forma di
un’urna, o di qualche altra elegante figura; e alla fine, passando attraverso
eccessive complicazioni del mio scrivere e della mia presentazione, la
presentazione non fu mai fatta.
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ALL THE POST IN THE CENNINI'S SERIES
Giovanni Mazzaferro. Cennino Cennini e il "Libro dell'arte": censimento delle edizioni a stampa. Parte prima: dal 1821 al 1900. Bologna, dicembre 2013
Giovanni Mazzaferro. Cennino Cennini e il "Libro dell'arte": censimento delle edizioni a stampa. Parte seconda: dal 1901 al 1950. Bologna, dicembre 2013
Giovanni Mazzaferro. Cennino Cennini e il "Libro dell'arte": censimento delle edizioni a stampa. Parte terza: dal 1951 ad oggi. Bologna, dicembre 2013
Giovanni Mazzaferro. Cennino Cennini, un'edizione misteriosa e l'Ungheria del primo 1900
Francesco Mazzaferro. Cennino and Stalin's 'Neo-renaissance': the Russian Translation of the "Book of the Art" (1933)
Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini tra Europa e Giappone, e perché il tentativo fallito di Tsune Nakamura di tradurre il Libro dell'Arte, dopo tutto, non è stato inutile
Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini in 1924 Poland: the Journal 'Sztuka i Artysta' Between Theory of Art and Commercial Promotion
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