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mercoledì 15 gennaio 2014

Mark Clarke. Pentimenti: riflessioni di D.V. Thompson sulla sua traduzione di Cennini

Daniel V. Thompson
ENGLISH VERSION

Premessa di Giovanni Mazzaferro

Mark Clarke è uno dei maggiori esperti di storia delle tecniche artistiche del mondo. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo The Art of All Colours: Mediaeval Recipe Books for Painters and Illuminators. London: Archetype Publications (2001) e Mediaeval Painters’ Materials and Techniques: The Montpellier ‘Liber diversarum arcium’London: Archetype Publications (2011).

Nel 2007 Clarke si è recato a Washington D.C., presso gli American Archives of Art e ha avuto modo di consultare gli archivi di Daniel V. Thompson, autore nel 1932 di un'edizione italiana del Libro dell'Arte, ma soprattutto autore (l'anno successivo) dell'ultima traduzione in inglese. Ha avuto così modo di leggere cosa, a distanza di decenni (morì nel 1980), Daniel V. Thompson si rimproverasse della sua pur fortunatissima traduzione e di ricostruire la storia della traduzione medesima.


Ha scritto in merito (lo stesso anno) un saggio intitolato Pentimenti: D.V. Thompson’s reflections on his translation of Cennini che è liberamente consultabile nella sua versione inglese sul sito personale dell'autore all'indirizzo http://www.clericus.org/pentimenti.htm

Per gentile concessione dell'autore, ho provveduto a tradurre in italiano il testo, che viene riportato integralmente qui di seguito


Mark Clarke
Pentimenti: riflessioni di D.V. Thompson sulla sua traduzione di Cennini


Introduzione

Nel 1932 D.V. Thompson Jr, (1902-1980) fece pubblicare una nuova edizione del testo italiano di Cennino Cennini. Nel 1933 seguì un secondo volume contenente una sua nuova traduzione in inglese del testo. Nel 1960 questa traduzione fu ristampata da Dover, è rimasta in produzione fino ad oggi ed è largamente diffusa: non solo: si tratta spesso dell’unica fonte sulle tecniche artistiche letta in inglese dalla maggioranza degli studenti di storia dell’arte e anche i migliori conservatori di dipinti raramente conoscono molte altre fonti. Tutto ciò ha fatto sì che l’opera esercitasse un’enorme influenza, e, quindi, che anche le sue eventuali imperfezioni potessero provocare conseguenze rilevanti.

Questo testo presenta i commenti, le correzioni e le riflessioni di Thompson sulla traduzione successive alla pubblicazione della stessa, assieme a chiarimenti e nuove acquisizioni di Thompson. Documenta inoltre una piccola parte delle vicende editoriali relative alla traduzione e alle revisioni della medesima.

Il materiale su cui si basa questa comunicazione è [n.d.t. in parte] conservato negli Archivi di Arte Americana dell’Istituto Smithsonian a Washington (in particolare nei ‘Daniel Varney Thompson Papers”, per lo più inediti) ed [n.d.t.] in parte si fonda su una serie di interviste registrate fra il 1974 e il 1976 nell’abitazione di Thompson, a Beverly Farms, Massachussets.

Primi problemi con la sua traduzione

Nel 1933, mentre visitava l’Inghilterra, a Thompson – sono parole sue – venne “ordinato di comparire” davanti alla Society of Mural Decorators and Painters in Tempera – di cui Lady Herringham (1852-1929) era stata una delle fondatrici – “per giusticare la sua temerarietà nell’aver tentato di incrinare la relazione fra Cennino, fonte di ogni bene, e Lady Christiana J. Herringham, sua traduttrice, ma anche sua sacerdotessa” (Lady Herringham aveva pubblicato la sua traduzione di Cennini nel 1899). Thompson ricorda la riunione nella sua intervista registrata.

Andai a una riunione della Società e dissi che nella traduzione di Lady Herringham c’erano errori materiali che io avevo corretto con grande riluttanza. Con grande riluttanza perché io ero cresciuto con la traduzione di Lady Herringham, l’aveva amata sinceramente, e trovavo che fosse molto più leggibile – e tutt’ora la trovo molto più leggibile e molto più gradevole – rispetto alla mia, ma che pensavo che fosse poco accurata. [Discusse della sua traduzione con la Società, e alla fine]… decisero che il tempo sarebbe stato galantuomo… e che la mia traduzione impertinente sarebbe stata ben presto dimenticata. Sono felice di poter dire che le cose sono andate diversamente e credo che Allen e Unwin [n.d.t. gli editori dell’edizione Herringham] abbiano ormai ritirato dal mercato l’edizione tradotta dalla Herringham, mentre Dover mi dice che le vendite della mia traduzione continuano ad andare più che bene anche ora [Intervista, 1974, Nastro 3 Lato 1; trascrizione pp. 63-4]

Thompson conclude il suo ricordo esprimendo insoddisfazione in merito ad alcuni punti della sua stessa traduzione:

Non mi piace, e voglio correggere alcune espressioni infelici e un certo numero di errori materiali che vi sono contenuti. [Intervista, Nastro 3 Lato 1; trascrizione pp. 64]

E in effetti Thompson fece qualcosa per correggere questi errori pubblicamente. Come ricorda:

Una mia amica stava avendo grossi problemi nell’ottenere carte da disegno di colori adatti da usare come sfondo per alcuni progetti che stava facendo, e io le dissi: “Nessun problema; la risposta è facilmente rintracciabile in Cennino, che descrive metodi per tingere carte, comuni nel 15simo e nel 16simo secolo. Tu devi solo seguire le direttive che ti fornisce Cennino”. Lei le seguì e incontrò diverse piccole difficoltà che io le risolsi senza problemi. Allora mi dissi: “ Se questa ragazza ha avuto dei problemi, vale la pena che io scriva un saggio per fare in modo che anche altri studiosi di Cennino possano superarle”. Così scrissi un saggio per Tempera [il periodico della Società, 1971] dando istruzioni su come risolvere le piccole difficoltà che possono insorgere seguendo le istruzioni di Cennino. [Intervista, Nastro 3 Lato 2; trascrizione p. 68]

Sfortunatamente è estremamente difficile reperire una copia di Tempera, che all’epoca veniva pubblicata in un numero esiguo di copie (Thompson parlava “forse di 50 copie”). Di conseguenza, queste correzioni non hanno certamente avuto ampia circolazione; data la difficoltà nel trovare le copie, il saggio di Thompson viene riprodotto nell’Appendice in fondo.

Riflessioni sulla sua traduzione

Se devo parlare degli errori che ho fatto nella mia traduzione di Cennino, Cennino parla di tinture di pergamene così come di carta [Capitolo XVIII]. Per farla, dice che la pergamena deve essere fissata a dei chiodi, e io ho tradotto “chiodi a testa larga”, ed è un pasticcio di prim’ordine. Io stavo pensando a qualcosa come i chiodi dei tetti, e in effetti si potrebbero usare i chiodi da tetto, ma non dovrebbero essere usati per fissare la pergamena, ma come supporti a cui la pergamena dovrebbe essere attaccata piegandola attorno alla testa del chiodo, e legandola con lo spago allo stelo dello stesso. Si tratta di un tentativo davvero debole di difendere la mia traduzione. Si potrebbero usare i chiodi da tetto. Ma quello che devi usare, quello che chi lavora la pergamena o il tintore dovrebbe usare è un piolo a forma di fungo o qualcosa del genere, può essere anche di sughero, attorno al quale la pergamena può essere avvolta e legata, perché qualsiasi sia la larghezza del chiodo che verrebbe usato, la pergamena, che si restringe enormemente man mano che si asciuga, si strapperà – il chiodo strapperà la pergamena man mano che si restringe e se il chiodo non è ben piantato nel supporto ligneo o in qualche altro supporto che lo regge, la pergamena semplicemente lo tirerà a sé e lo farà cadere. E, se il chiodo fosse ben piantato, anche se fosse a testa larga, la pergamena si strapperebbe – la forza che esercita è colossale. Ma se la pergamena fosse piegata attorno alla testa di un tassello a forma di fungo e poi strettamente legata ad esso, la forza verrebbe distribuita uniformemente attorno alla circonferenza del supporto e non si strapperebbe E i supporti potrebbero a loro volta essere legati a un pannello [Intervista, Nastro 3, Lato 2; trascrizione pp. 68-9]

Il testo pubblicato da Thompson riporta il termine bullecte al posto di chiodi e ‘a testa grossa’ invece di “a testa larga”, ma tutto ciò non altera il senso del discorso o fa venir meno le sue osservazioni.

Fra le carte dell’AAA [n.d.t. Archives of America Art] [Serie 4.1, Scatola 6] si trova un gran numero di fogli sciolti contenenti note su Cennini. Non è chiaro per che scopo furono scritti ma non sembra che siano stati pubblicati, a parte il testo dattiloscritto per l’articolo su Tempera che si trova assieme a loro.

Tutte le traduzioni sono soggette ad obsolescenza… Ma pochi traduttori si sono visti mancare la terra sotto i piedi come il sottoscritto nel caso della traduzione del termine cenniniano pastello. Conosco ben pochi esempi di cambiamenti di significato così repentini negli ultimi 50 anni come il caso della parola ‘plastic’.
Il pastello di Cennino è descritto nel capitolo LXII. Si tratta di una miscela di resina cruda di pino, di mastice e di cera fresca, mescolate assieme, filtrate ed unite con polvere di lapislazzolo non troppo fina. Questa miscela è posta in una soluzione alcalina tiepida estratta da ceneri di legno con un paio di pestelli di legni necessari per estrarre il blu ‘oltremarino’dalla pietra, lasciando nel pastello il grosso dei componenti non colorati del minerale (nelle testimonianze in latino di questo procedimento, piuttosto rare, viene usata la parola pastillum).
Un impasto è un pastello; ma il mio amore per la cucina mi spingeva a non chiamare questa miscela ‘impasto’. Quando è calda, si tratta di un liquido vischioso; quando è fredda, di una sostanza solida davvero dura. Mi sembrò ragionevole, nell’era della pre-plastica, di chiamarla appunto ‘plastic’. Si è trattato di una scelta poco saggia. 
Non solo il termine ‘plastic’ ha assunto una quantità di significati all’epoca inimmaginabili e tutti inappropriati; ma la soluzione per tradurre correttamente si trovava, del tutto inosservata, nel testo stesso. Quando tutti gli ingredienti sono stati messi assieme, Cennino dice chiaramente: “Poi… fanne un pastello, tutto incorporato insieme.”. Vale a dire che il pastello non è qualcosa che deve essere mescolato assieme, ma che deve essere il risultato di ingredienti già mescolati fra loro; in questo senso, non può essere altro che una ‘cake’. E ‘cake’ è una traduzione legittima di pastello.

Thompson rielaborò ed approfondì questo punto su pochi altri fogli, mal scritti e probabilmente correlati fra loro. Questi fogli furono, all’apparenza, scritti sul finire degli anni 70, vale a dire poco prima della sua morte. Si tratta di dieci fogli, fra loro simili per qualità della carta, aspetto tipografico e layout. Non è sempre è chiaro in che punto i fogli dovevano essere correlati l’uno all’altro, in parte perché Thompson era abituato, quando preparava un testo per la pubblicazione, a scrivere ogni paragrafo su un foglio separato (e ciò – spiega in un saggio intitolato Mechanical Aids to Editing, redatto mentre era al Cortauld Institute e apparentemente inedito – perché nel corso di radicali riscritture i paragrafi buoni potessero essere salvati). Certamente, in questo caso, sono stati mischiati con altri fogli contenenti commenti su Cennini e sul disegno preparatorio, che qui vengono omessi. E’ quindi possibile che la sequenza non sia corretta. L’inizio di ogni nuovo foglio è indicato con il segno ¶.


¶Uno dei motivi per cui le traduzioni invecchiano è naturalmente che i cambiamenti nel lessico diminuiscono col passare del tempo. Così, dal momento che la traduzione è sempre più recente dell’originale il passare del tempo la inficia più dell’originale.
La mia traduzione del Libro dell’Arte di Cennino è stata fatta all’incirca cinquant’anni fa e mostra tutta la sua età, anche se, per mancanza di meglio, viene ancora letta. L’inglese dei laboratori artigianali degli anni 30 non è più utilizzato. Non posso farci nulla. Ma nel corso degli anni, dal momento in cui The Craftsman’ Handbook apparve per la prima volta, mi sono reso conto di errori che è necessario correggere.
Uno solo di questi è attribuibile a un cambio di significato di un termine inglese usato nella traduzione; ma questo cambiamento è spettacolare. Nel corso del capitolo LXII, sulla produzione di blu oltremarino, ho tradotto la parola pastello, ovvero la miscela di mastice, resina grezza e cera con lapislazzolo polverizzato, con il termine ‘plastic’.
Nel 1933 le materie plastiche canoniche erano la gomma e la celluloide, con la bachelite che stava cominciando a divenire di uso comune. Il termine ‘plastic’ oggi come oggi è ben poco in relazione con il suo significato originario. Nessuno oggi tradurrebbe il pastello di Cennino con il termine ‘plastic’, e quella del 1933 non fu una buona scelta. Il termine inglese equivalente dovrebbe essere semplicemente ‘ a cake’
¶  C’è una frase che rimane poco felice, vale a dire proprio il titolo dell’opera, Il Libri dell’Arte. I traduttori precedenti l’avevano resa come The Book of the Art. Ma il termine arte è ambiguo. Può significare ‘arte’, ed anche più specificamente arte della pittura come un tardo copista di uno dei manoscritti suggerisce. Ma può significare anche corporazione, una delle tante che esistevano nella Firenze di Cennino.
Nel capitolo di apertura, il termine ‘arte’ è usato frequentemente nel senso di ‘professione’, e la professione di cui si parla è chiaramente il mestiere della pittura. Io ho usato invece una traduzione abbastanza libera (The Craftsman’s Handbook ) [n.d.t. letteralmente Il Manuale dell’Artigiano] per il titolo inglese.
La scelta non è stata del tutto felice; nell’inglese britannico, ‘Craftsmanship’ è un termine strettamente legato al mondo massonico, e non era certo mia intenzione parlare di Massoneria.
¶ L’errore che oggi mi sembra più grave e di maggior portata compare in tutta evidenza nella Nota 2 di pagina 94 della mia traduzione: “E’ molto forte la tentazione di interpretare i dossi come “reflected lights” [n.d.t. luci riflesse]…ma ciò implicherebbe un livello di sofisticatezza nella resa di luci e ombre che probabilmente Cennino non aveva.”
L’uso di luci e ombre nel trecento Fiorentino era [n.d.t. invece] molto sofisticato; e ogni fenomeno era stato riconosciuto. Dire che il risultato non fosse naturalistico è semplicemente la conseguenza di un nostro luogo comune, non dell’osservazione dello stesso.
¶ Lo stesso medesimo discorso vale per la ricetta di Cennino per brunire la foglia d’oro nel Capitolo CLVII: “un po’ di gesso sottile, e una piccola quantità di biacca, meno di un terzo del gesso [poi prendi] un po’ di zucchero depurato, meno della biacca. Trita queste cose con acqua chiara, in maniera molto sottile. Poi raccogli il tutto e lascialo seccare senza esposizione ai raggi del sole. Quando ne vuoi usare per fare dorature [su pergamena], prendine un po’, tanto quanto basta; e  distemperalo con chiara d’uovo, ben battuta, come ti ho insegnato prima. E tempera il miscuglio con esso. Fai asciugare. Poi prendi il tuo oro: e lo puoi stendere con o senza alito… e brunisci tutto in una volta.”
Questa formula sembrava essere difettosa, perché l’oro non avrebbe aderito alla base sia con l’alito sia senza, e al primo tocco del brunitore il tutto si sarebbe sbriciolato via.
Non molto tempo dopo la pubblicazione della mia traduzione fui colpito dall’idea che il “gesso sottile” potesse essere, come avevo supposto, il materiale descritto nel Capitolo CXVI, oppure, in maniera altrettanto legittima, il materiale composito descritto nel Capitolo CXVII, vale a dire che potesse non essere il gesso di Parigi iperammollato [n.d.t. il gesso sottile si otteneva tenendo a macero per mesi il gesso grosso, o ‘gesso di Parigi’], ma una mistura del gesso sottile con colla.
Noi usiamo molto spesso la stessa medesima parola per una sostanza semplice o per uno dei suoi composti: ‘Cemento’, per esempio, oppure ‘Cacao’.
Forse mi resi conto di questa possibilità in ritardo per via di una mia conversazione con lo scomparso Guy Loumyer. Agli inizi della primavera del 1927, lui e sua madre mi ospitarono molto generosamente nella loro bellissima villa di Riant Mont, a Losanna. Io gli domandai cosa ci fosse dietro al suggerimento che aveva dato a Edward Johnston sull’esistenza di una superficie per l’applicazione di dorature friabile in modo uniforme; la circostanza era stata citata dallo stesso Johnston nel suo magistrale Writing, Illuminating and Lettering.
¶ Loumyer mi spiegò che si trattava della naturale conseguenza di una sua teoria sul fatto che le dorature di manoscritti dovessero la loro versatilità a un’infinità di minutissime fissurazioni. Convenne tuttavia sul fatto che c’erano più prove che giocavano a sfavore della sua teoria piuttosto che a supporto della medesima.
Dopo aver sostituito nella ricetta di Cennino al materiale semplice [n.d.t. il gesso sottile] il composto di gesso sottile con colla, mi resi conto che non solo la ricetta era fruibile ma che si trattava di gran lunga della ricetta più utile delle tante che avevo provato in merito. La combinazione di una colla animale con l’albume dell’uovo produce un composto di estrema morbidezza e durezza, che si può rendere leggermente igroscopico aggiungendo un po’ di zucchero e che si asciuga, anche con solidi in sospensione, in maniera tale da produrre una finitura lucida che rende la brunitura di una superficie dorata estremamente facile ed affidabile.
  ¶ Nel Capitolo XXXVII Cennino descrive un pigmento nero “che è fatto da ‘vine twigs’… un colore insieme nero e magro ed è uno dei colori perfetti che noi usiamo, e ciò è tutto…”. Questo passo è allettante.
Le parole esatte che tradussi come “vine twigs” erano sermenti di viti. Ero in errore.
I Sermenti o, meglio, i sarmenti, sono per il botanico i cosiddetti ‘stoloni’ come quelli della pianta di fragola, e, per il bravo giardiniere, le ‘talee’. Ora, la vite non produce ‘stoloni’, e il carboncino fine è prodotto sia dalle talee della vite così come dal salice arbustivo che la sostiene.
Ma un giorno, quando la mia traduzione era già divenuta vecchia, provai a produrre un pigmento nero dal legno della vite. Ben lungi dall’essere ‘perfetto’, era del tutto inutilizzabile. Ero costernato, ma fiducioso in Cennino. Che cosa avrebbe potuto voler dire?
La sola risposta che mi sembrava attendibile erano i viticci. Ne raccolsi una quantità sufficiente per riempire una piccola scatola di metallo, la sigillai e feci cuocere il tutto in un forno ben caldo. Con mia grande gioia, i piccoli ‘cavatappi’ [n.d.t. i viticci], ora nero corvino, avevano prodotto per polverizzazione un bellissimo e denso pigmento nero.
Non credo che un botanico chiamerebbe ‘sarmenti’ i viticci. Ma Cennino non era un botanico. Non è stato difficile capire che cosa volesse significare una volta sicuri che ci voleva dire qualcosa. Dobbiamo essere davvero certi prima di classificare come sbagliate le cose che noi non capiamo immediatamente in questi vecchi documenti.
¶ Le traduzioni come chiavi di lettura dei lavori tradotti tendono a perdere i loro pregi col tempo. Molte poche di esse hanno la capacità di mantenere questo merito anche quando il loro potere di permettere la comprensione dell’originale si smussa.

Alcune considerazioni conclusive sulla sua traduzione di Cennini sono registrate su una serie di fogli sciolti scritti con mano molto incerta, tutti in carattere maiuscolo, che evidenze interne del testo indicano dover risalire a dopo il 1977 circa. Sembra che si tratti di una serie di progetti parziali. Il segno ¶ indica un nuovo foglio.

¶ Cennino quarantacinque anni dopo

Non è cosa facile descrivere un’operazione tecnica in termini comprensibili per un lettore che non sia familiare con materiali e strumenti anche se è familiare con il prodotto finito. A dire il vero non è semplice anche quando materiali e strumenti sono a portata di mano. A partire da due ferri per fare la maglia e un gomitolo di lana, quante parole bisognerebbe usare per spiegare come fare “due diritti e due rovesci” senza un esempio o un’illustrazione?
¶ Nel 1933 l’American Council of Learned Societies mi assicurò una borsa di studio per cercare altre fonti manoscritte medievali di tecniche artistiche, e, mentre stavo lavorando al British Museum, la ‘Tempera Society’ mi convocò perché spiegassi perché avessi ritenuti necessario ripubblicare [n.d.t. in una nuova traduzione inglese] Cennino.
La mia risposta fu convincente solo in misura modesta. Lady Herringham aveva solo fatto alcuni  piccoli errori grossolani [n.d.t. scritto in senso ironico], tipo tradurre violante come “affascinante” invece di “tendente al viola.: C’erano… [il resto della pagina è bianca]
¶ Quando la mia traduzione del Libro dell’Arte di Cennino d’Andrea Cennini fu pubblicata, nel 1933, fu vista con grande sospetto dalla London Society of Mural Decorators and Painters in Tempera, e i membri di quella prestigiosa e venerabile associazione mi invitarono ad incontrarli e a giustificare, se ne fossi stato capace, la mia mancanza di rispetto nel cercare di soppiantare la traduzione di Lady Christiana J. Herrington
Lasciatemi spiegare i retroscena della mia risposta.
La deliziosa versione fornita da Lady Herringham era stata la mia prima introduzione a Cennino, quindici anni prima, e vi ci ero molto affezionato quando nel 1920 divenni l’allievo prediletto di Edward Waldo Forbes, e per me si alzò il sipario su un mondo fatto di avventura, mistero, bellezza e sfida.
Come formazione provenivo dalle scienze fisiche, alla base delle quali sta una visione critica dei fenimeno (o, almeno, così mi è stato insegnato), ma la pittura era il mio hobby e le istruzioni di Cennino mi affascinavano e mi [lasciavano perplesso?]
Edward Forbes non solo aveva dato nuova vita all’allora polveroso Fogg Museum di Harvard, e lo aveva arricchito con prestiti e donazioni provenienti dalle proprie riservate e brillanti collezioni, ma, per un quarto di secolo, aveva raccolto informazioni su metodi e materiali pittorici ¶ da ogni fonte immaginabile. Nel suo studio era possibile trovare una raccolta sconfinata, anche se priva di sistematicità,di pigmenti e materiali affini, gomme, resine, olii, pannelli di legno, pergamene, lastre, pestelli, malte, minerali e metalli. Era un paradiso dove erbacce e orchidee potevano fiorire l’una accanto all’altra. Una bottiglietta di blu oltremarino, più costosa dell’oro, poteva trovarsi gomito a gomito con un barattolo di marmellata di ossa di pollo destinate ad essere calcinate e tritate come Cennino dice di fare nel Capitolo 40.
Ogni anno Forbes faceva lezione a un piccolo gruppo di studenti sulle tradizioni delle tecniche artistiche e insegnava in pratica i metodi base per preparare campiture in gesso e dorare, pitturare a tempera e in buon fresco.
Per farmi diventare un assistente molto più utile, Forbes educò il mio spirito di osservazione e mi diede l’opportunità di diventare amico ed allievo a Firenze di Nicholas Lochoff, incomparabile [copista] e del brillante Federigo Ioni di Siena, pittore-restauratore [n.d.t. e famosissimo falsario] (il cui livello di ‘restauro’ giungeva a colmare lacune fino al 99% dell’originale).
Per tutto il nostro lavoro insieme, Forbes ed io facevano costantemente riferimento a Cennino. La mia formazione scientifica mi rendeva meno propenso ad accettare una dipendenza così completa da un testo conosciuto solo di seconda mano. Così decisi di rivedere il testo ¶ italiano così come stabilito in due copie manoscritte, nessuna delle quali originale (l’originale non è noto come esistente). Con accanto il testo [n.d.r. italiano] accuratamente stabilito, avrei poi fatto una nuova traduzione in inglese.
Questa mia determinazione acquistò maggiore forza [quando] fui nominato primo istruttore in Storia dell’Arte a Yale nel 1926 e, contemporaneamente, venni incoraggiato in tal senso da Edwin Cassius Taylor, Professore di Pittura presso la Yale School of the Fine Arts, uomo di larghe vedute e di gran cuore.
I miei studenti avevano la destrezza e la capacità di disegno che mi mancavano e mi mantennero sempre attento e ben stimolato. Non è un’esagerazione dire che ho imparato io più da loro di quanto ho loro insegnato,
Per esempio, Edward Forbes ed io avevamo sottovalutato la presenza di forellini in una superficie di gesso e li avevamo chiusi. Joni non lo aveva fatto. Alcuni studenti curioso mi spinsero a capire il motivo e la cura. Il motivo era che [n.d.r. chiudendoli] il gesso sarebbe marcito e si sarebbe disintegrato. La cura era ovvia!
Cennino era il nostro libro di testo. Il mio piano di reeditare il testo divenne più che mai urgente. La mia buona amica Belle da Costa Greene della Morgan Library di New York si procurò delle copie fotostatiche dei manoscritti fatte apposta per me.  Nel 1932 la Yale University Press pubblicò la mia edizione del testo italiano e un anno dopo la traduzione inglese.

¶ Quando, nel 1932, ebbi fatto del mio meglio per produrre una traduzione accurate del Libro dell’Arte di Cennino d’Andrea Cennini, basata su uno studio scrupoloso e su una nuova edizione del testo italiano, sapevo già che era imperfetta.
Sapevo, ad esempio, che la mia traduzione del titolo non era buona. Ma The Book of the Art era senza senso, a meno che Arte non significhi corporazione, professione, mestiere artigianale. Sarebbe stato più saggio aggiungere “della pittura” e chiamare l’opera The Book of the Art of Painting, ma c’erano capitoli che non riguardavano la pittura, benché forse ancora nell’ambito di ciò che si potrebbe chiedere a un maestro di una corporazione di pittori (io non ero al corrente del fatto che, nell’inglese britannico il termine ‘Crafmanship’ fosse associato alla Massoneria’).
E’ meglio, credo, fare un po’ di errori a lasciare che un lavoro abbia una sua utilità facendolo conoscere piuttosto che lasciarlo nascosto, mai visto, inutilizzato, sperando un giorno di riuscire a perfezionarlo. E grazie alle edizioni Dover la mia traduzione di Cennino ha trovato il suo sbocco nelle mani di molte più persone di quanto io avessi potuto pensare 45 anni fa.

Conclusioni

Potrei riassumere le difficoltà [n.d.t. che ho incontrato nel tradurre Cennini] dicendo che normalmente non è molto difficile tradurre con accuratezza quello che sapete che un autore vuole dire. Ma se non lo sapete, si finisce per incorrere negli errori che ho fatto io. Io non posso nemmeno reclamare, a discolpa e merito della mia traduzione, il vantaggio della bellezza pittoresca che, qua e là, appare nella traduzione di Cennino operata da Lady Herringham, quando traduce l’espressione ‘emery powder’ [n.d.t. polvere di carta smerigliata] con ‘powdered emeralds’ [n.d.t. smeraldi triturati] [Risate]. Cè qualcosa di straordinariamente meraviglioso nel macinare cose con smeraldi triturati [Intervista, Nastro 3 Lato 2; trascrizione p. 69. Cfr. Craftsman’s Handbook p. 83 n.3 and Herringham p. 112.]

Data la lunghezza del trattato di Cennini e il lasso di tempo dal momento della pubblicazione della sua traduzione, il numero di pentimenti che Thompson esprimeva sembra essere piccolo e di importanza relativamente limitata, e di questo dobbiamo essergli grati. Oggi, tuttavia, molti termini usati nel libro di Cennini verrebbero tradotti con termini in qualche modo differenti. (Si veda, ad esempio, Nadolny 2008 l’uso fatto da Thompson dei termini ‘glue’, ‘size’, ‘gesso’ e ‘tailor’s chalk’). Thompson non si stancò mai di enfatizzare come l’esperienza pratica fosse uno strumento incomparabile ai fini della comprensione di testi di storia della tecnologia artistica, e, a partire dal 1933, si è andata sedimentando in tutto il mondo un’enorme massa di esperienza, attraverso l’esame filologico di Cennini e di altri testi contemporanei, attraverso l’esame tecnico dei quadri, e attraverso attente ricostruzioni basate su questi due tipi di esami, e come conseguenza di queste attente ricerche. Si potebbe facilmente immaginare che Thompson sarebbe stato contento di vedere che il suo testimone sia stato raccolto con tanto entusiasmo.


Pubblicazioni citate

Herringham, Christiana. J. (1899) The Book of the Art of Cennino Cennini: A Contemporary Practical treatise on Quattrocento Painting, London: Allen. Ristampa 1930, George Allen & Unwin, Ltd.

Nadolny, J. (2008) ‘European documentary sources before c. 1550 relating to painting grounds applied to wooden supports: translation and terminology’ in: Townsend, J., Doherty, T., Heydenreich, G., Ridge, J. (eds) Preparation for Painting: The Artist's Choice and its Consequences, London: Archetype Publications, pp. 1-13.

Thompson, D. V., Jr. Cennino d’Andrea Cennini da Colle di Val d’Elsa. Il Libro dell’Arte. New Haven: Yale University Press. Volume 1: Text (1932), Volume 2: The Craftsman’s Handbook (1933). Ristampato Dover Publications, New York, 1960 e successivamente.

Thompson, D. V., Jr. (1971) ‘Letter from America’. Tempera. Pubblicato dalla Society of Painters in Tempera. April 1971, pp. 7–8. [si veda anche Editorial, pp. 1-2]

Carte inedite

2,92 metri lineari di materiale, citato semplicemente come i Daniel Varney Thompson Papers, sono conservati negli Archivi di Arte Americana dello Smithsonian Institute, negli uffici di Washington D.C. Una lista di orientamento nell’archivio è stato compilata di recente. [n.d.t. la lista delle carte di Daniel V. Thompson è oggi disponibile online http://www.aaa.si.edu/collections/daniel-varney-thompson-papers-9246/more]

Intervista

Intervista con Daniel Varney Thompson, 25 settembre 1974-2 Novembre 1976, Archives of American Art, Smithsonian Institution. Intervista registrata condotta da Robert Brown. Quattro cassette e una trascrizione dattiloscritta (con correzioni di M. Clarke), che possono essere ascoltate presso gli Archives of American Art, Washington D.C. Purtroppo, la prima cassetta è praticamente inusabile a causa di un guasto tecnico.

Ringraziamenti

L’autore è estremamente grato all’Association for Manuscripts and Archives in Research Collections per un generoso finanziamento che ha reso possibile la sua visita a Washington nell’aprile del 2007.

L’autore vorrebbe ringraziare gli AAA [n.d.t. Archives of American Art] per aver avuto accesso alle carte, e in particolare Cathy Gaines che ha preparato un inventario prima del suo arrivo. Lo staff, amichevole ed efficiente, ha contribuito a rendere la visita produttiva e piacevole: Marisa Bourgoin, Elizabeth Botten, Wendy Hurlock Baker, e Tessa Veazey

I Daniel Varney Thompson Papers sono proprietà degli Smithsonian Institution’s Archives of American Art. I diritti letterari posseduti dal donante sono stati dedicati all’uso pubblico per ricerca e studio. La collezione è soggetta a tutte le leggi relative al copyright.


Appendice – ‘Lettera dall’America’, Tempera, Aprile 1971, pp. 7-8

 [Le note a piè di pagina sono di Thompson]

In una recensione di recenti traduzioni di Teofilo monaco1, ho cercato di evidenziare i pericoli che riguardano le interpretazioni di operazioni tecniche. Mi viene in mente che molti anni fa caddi in pieno nella trappola della traduzione letterale e non mi accorsi di aver sbagliato per diversi mesi, e, quel che è ancora peggio, fino ad oggi non ne ho fatto relazione alcuna.
Nel Libro dell’Arte, Cennino Cennini descrive una colla, un assiette, per dorare su pergamena.2 Io ho tradotto il suo dettato in questo modo: ‘…un po’ di gesso sottile, una piccola quantità di biacca, meno di un terzo del gesso… un po’ di zucchero raffinato, meno della biacca… temperalo con bianco d’uovo.”3
   Per quel che vale, la traduzione è sufficientemente accurata, ma non è di nessun aiuto: perché non tiene alcun conto di un’ambiguità in italiano dalla cui corretta soluzione dipende il senso di quel che scrive l’autore.
Nello stesso testo [n.d.t. in un diverso punto del Libro dell’Arte] Cennino definisce il gesso sottile per mezzo di un capitolo dedicato a produrlo dal gesso grosso (=gesso di Parigi) ammollandolo a lungo in così tanta acqua da prevenire il suo indurimento.4 Si acquisisce, tramite ricristallizzazione, una struttura capillarmente aghiforme molto diversa da quella del gesso cotto da cui è costituita. Questo materiale così modificato ha grandi proprietà di riflettività ottica quando si asciuga, anche quando è legato a una mistura di un supporto gelatinoso5. Questa mistura ‘temperata’ è anche chiamata gesso sottile, così come la superficie prodotta dalla sua applicazione. 6
Al momento della pubblicazione della mia traduzione io ero sconsolatamente consapevole che questa regola di Cennino per l’uso di un mordente dorato su pergamena non dava nelle mie mani un risultato soddisfacente. Legata al gesso sottile senza altra mistura, la superficie risultante era fragile, quasi impossibile da dorare e si sbriciolava in fase di brunitura. Sbagliando, permisi a me stesso di credere che il testo potesse essere scorretto, o che l’autore stesse scrivendo di operazioni al di fuori del proprio campo di competenza, forse sulla base di dicerie. Forse fui influenzato dall’opinione, geniale ma insostenibile, dell’erudito Guy Loumyer 7 (che me la comunicò privatamente nel 1927), secondo il quale l’apparente flessibilità di campiture di manoscritti dorati era dovuta a piccolissime fratture presenti in essi e non per l’uso di un materiale intrinsecamente flessibile. Qualsiasi sia stata la ragione, la colpa rimane.
Anche un traduttore giovane e privo d’esperienza avrebbe dovuto stare in allerta in merito all’ambiguità del termine ‘gesso sottile’. E quasi subito dopo l’uscita della mia traduzione fui fortemente colpito dall’ipotesi che la scelta di una valida alternativa che non avevo messo in pratica potesse portare, nella pratica, a un risultato di successo. Se una qualsiasi interpretazione avallata dall’utilizzo che ne fa l’autore conferma le sue raccomandazioni tecniche, deve ovviamente essere preferita a una qualsiasi interpretazione che non la confermi.
Con mia soddisfazione – e dispiacere – riuscii a trovare che quando il gesso mescolato e temperato [n.d.t. con colla animale] veniva usato al posto del gesso sottile, si formava un mirabile mordente a base acquosa, idealmente fatto apposta per dorare su pergamena senza problema alcuno. Tutto ciò aveva l’effetto di aggiungere uno strato gelatinoso all’albume d’uovo che veniva usato come legante, e questa combinazione, assieme all’elemento igrofilo dello zucchero, ha esattamente la flessibilità e la durezza, nonché le qualità temporaneamente igroscopiche necessarie per formare un mordente ideale. Come Cennino promette 2,3 ‘puoi scrivere lettere con penna, campi o ciò che vuoi; è perfettissimo’. Anche i tocchi più fini si asciugano con grande lucentezza, e assorbono prontamente la foglia d’oro.8
Cennino non stava sbagliando (possiamo discutere sulla ‘gelatina’ e basarci sul contesto per chiarire se stiamo parlando del materiale in sé, in grani o fogli, o di una gelatina ricavata da essa). Io stavo sbagliando nel non essere capace di risolvere l’ambiguità in via sperimentale; dal momento che il compito del traduttore di tecniche artistiche non è solo quello di risparmiare al lettore la seccatura di consultare un dizionario ma assai di più di scoprire e rappresentare il significato e le intenzioni dietro alle parole del testo.

Daniel V. Thompson
Beverly Farms, Massachussetts

1. Speculum, XLII (1967), 312-339.
2. Cennino d’Andrea Cennini da Colle di Val d’Elsa, Il Libro dell’ Arte D.V. Thompson, ed. (New Haven, 1932) pagine 95–6.
3. Cennino d’Andrea Cennini, The Craftsman’s Handbook D.V. Thompson tr. (New Haven, 1932; ristampe anastatiche di Dover Publications), pagina 100.
4. Ibid., pagina 71.
5. Ibid., pagina 72. Cfr. anche Practice of Tempera Painting (New Haven, 1936), pagine 36–39.
6. Craftsman’s Handbook, op. cit.,  pagine 72–3 e pagina 74 e pagina 7.
7. Autore di Les Traditions techniques de la peinture Mediévale (Brussels, 1914) e L’Outilage et la Matériel du Peintre de l”antiquite grecque et romaine (Brussels, 1922).
8. La pubblicazione di questa traduzione ‘di laboratorio’ fu ritardata ai suoi tempi dal mio desiderio romantico di trasmettere tali informazioni per prima a Miss Belle da Costa Greene, della Morgan Library, in forma di lettera scritta a caratteri dorati. Lei mi aveva gentilmente aiutato fornendomi le copie fotostatiche dei manoscritti di Cennino. Come gli San Girolamo nel suo lamento (Ad Eustochium de custodia virginitatis, I, 115) io ‘macchiai la pergamena con il rosso e liquefeci l’oro in lettere’. Quando mi sentii competente, invitai il venerabile Professor Henderson, del Dipartimento di Lingue Classiche di Yale a verificare il mio latino. Lui mi raccomandò che le parole del memoriale formassero sulla pagina la forma di un’urna, o di qualche altra elegante figura; e alla fine, passando attraverso eccessive complicazioni del mio scrivere e della mia presentazione, la presentazione non fu mai fatta.



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