Mark Clarke
Mediaeval Painters' Materials and Techniques
The Montpellier Liber diversarum arcium
Archetype Publications, 2011
Isbn 978-1-904982-64-7
[1] Testo della quarta di copertina:
“The anonymous Montpellier Liber diversarum arcium (‘Book of Various Arts’) contains the most complete set of instructions in the craft of mediaeval painting to have survived to the present day. Its comprehensive summary of the state of the art of painting in the workshops of the fourteenth century will be of great interest to art historians, conservators and historians of artists’ technology.
This long-overlooked manuscript provides a complete practical painting course: drawing, water-based tempera, oil and fresco. It includes painting on manuscripts, panels, sculptures and walls, but also painting on glass and ceramics. Instructions are given for the preparation of materials such as pigments and media, and also for their application and modelling, as well as for gilding and other useful techniques.
The range of knowledge displayed is remarkable with nearly six hundred recipes, two thirds of which are unique to this manuscript. Furthermore it demonstrates that when the van Eycks and their contemporaries transformed painting in the fifteenth century, they did so using materials and techniques of oil painting that already existed.
This volume contains the first ever published translation of the Liber diversarum arcium together with an extensive technical and historical commentary.”
[2] La storia critica del Liber diversarum arcium non è certo piena di soddisfazioni. L’unica edizione a stampa che si ricordi è quella proposta nel 1849 da Guglielmo Libri all’interno del Volume I del Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques des départements. Per il resto il manoscritto viene citato in genere in relazione al molto più famoso De diversis artibus del monaco Teofilo, come testimone di una copia corrotta di quest’ultimo manoscritto. Per questo motivo la presente (splendida) edizione riveste particolare importanza e giustamente propone il Liber diversarum arcium come uno dei testi fondamentali del fare artistico del Nord Europa nel corso del XIV secolo.
[3] Il Liber diversarum arcium (anonimo) è conservato con segnatura MS H 277 nella biblioteca interuniversitaria di Montpellier, fondi antichi, sezione medicina. Il fatto che si trovi a Montpellier non ha nulla a che vedere con la sua provenienza. È molto probabile che l’originale sia stato redatto nei paesi del Nord Europa, nella Francia settentrionale, nelle Fiandre o in Germania (cfr. pp. 51-54). Molto verosimilmente è stato scritto nel corso del XIV secolo. Quello che è certo è che il manoscritto originale (o una copia di esso) viaggia verso sud, e arriva in Italia. Qui si perde. Ma prima di scomparire viene ricopiato nel Ms. H 277. L’esame codicologico del manoscritto mostra alcune cose: l’esemplare contiene manoscritti in materia di medicina; il Liber diversarum arcium è, visto con occhi moderni, un’eccezione. Lo è molto meno con occhi contemporanei, in un mondo in cui la produzione di pigmenti e di farmaci fanno in sostanza capo alle stesse figure professionali. Tutti i testi contenuti nel manoscritto vengono rilegati insieme, in un periodo di tempo compreso fra il 1400 e il 1430 circa, in un’area geografica che fa capo a Venezia. Ad essere precisi, in uno dei testi (cfr. p. 314) compare un registro delle nascite, in cui sono riportati i dati di 13 bambini nati fra il 24 luglio 1411 e il 12 agosto 1431 (ecco il termine post-quem). I bambini risultano essere venuti al mondo presso la casa dello scrivente, a Conegliano, o in altre zone del veneziano. La trascrizione del Liber è un disastro. Mentre, come vedremo, l’anonimo che lo assembla ha straordinarie capacità tecniche artistiche, il copista non ne capisce praticamente nulla, e commette errori madornali; il latino in cui scrive il copista è di difficilissima comprensione e molto spesso scorretto. Tutto ciò non favorirà certo, in età moderna, lo studio del manoscritto. Ovviamente sappiamo ben poco dei passaggi successivi, se non che il manoscritto si trova nella Biblioteca Albani a Roma quando i Francesi occupano l’Italia e danno il via a un’opera di spoglio di opere d’arte e manoscritti che tutti ben conosciamo (si veda Paul Wescher, I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre). Il manoscritto Ms H 227 viene depredato nel 1798 e, dopo un passaggio di pura natura speculativa, viene acquistato dal governo francese nel 1804 e collocato presso la biblioteca di medicina di Montpellier nello stesso anno. È così che un testo composto nel Nord Europa, copiato a Venezia, trasferito a Roma, finisce per essere custodito nel sud della Francia.
[4] Cosa rende straordinario il manoscritto (di cui esiste un’unica copia)? Innanzi tutto un dato oggettivo: l’abbondanza delle ricette proposte: sono quasi 600. Ma soprattutto l’organizzazione del testo, che è chiaramente strutturato da un profondo conoscitore delle tecniche artistiche. Non è azzardato – scrive l’autore – pensare al manoscritto come a un vero e proprio corso di tecniche artistiche strutturato in quattro libri (cfr. pp. 2-3). Il primo affronta le abilità fondamentali (nella sostanza il disegno); il secondo e il terzo illustrano tecniche specialistiche avanzate (pittura ad olio, pittura su muro). Meno “organico” rispetto al resto dell’opera risulta essere il quarto libro, in cui compaiono altre tecniche più “settoriali” (pittura su ceramica e vetro, su metallo, tintura, realizzazione di gemme artificiali). “Book 4 is more complicated…. It is noticeable that in Book 4 both the sections for metallurgy and vitreous materials are discontinuous. The likely reason for this is that the second section on each subject is a later addiction. The arrangement of Book 4 is suggestive of such later interpolations and additions that probably postdate the composition of the core LDA. These may have been added as infill and marginalia to the exemplar-LDA from which MS H 277 was copied or in some earlier copy… Book 4 also contains more Italian words, Italianate Latin, and references to Italian materials and techniques than do Books 1-3, and it is quite likely that the bulk of it was compiled from Italian sources or composed in Italy. Certain of the dye recipes are ones often associated with Italy or even specifically Venice” (p. 40). L’autore fa notare inoltre che è solo in quest’ultimo libro (che si presume aggiunto poco prima o in occasione della copiatura) che compaiono ricette inutili (in quanto imperfette) o del tutto improponibili perché manifestamente legate a leggende medievali.
[5] L’attenzione, dunque, va concentrata sui primi tre libri, fortemente operativi, e che ospitano ricette indebitate con le pratiche artistiche del Nord Europa. Su una cosa bisogna essere chiari: chiunque esso fosse, l’autore del ricettario non inventa nulla; semmai si confronta con una tradizione tecnica di cui conosciamo qualche prezioso testimone, senz’altro cronologicamente precedente. Il più famoso di tutti è il De diversis artibus di Teofilo, pubblicato da Lessing nel 1774. Come detto all’inizio, tutte le volte che viene citato, il Liber diversarum arcium viene considerato una copia tarda e corrotta del testo di Teofilo, risalente grosso modo al 1100. Eppure alcune cose sono dette molto chiaramente da Clarke. Proviamo ad elencarle:
· i ricettari medievali nascono per sedimentazione di conoscenza. Molto spesso sono copie di testi precedenti a cui vengono aggiunte ulteriori ricette. Chi li redige dunque (ed è anche il caso dell’anonimo del Liber) fa collazione di ricette da un lato e ne elenca di nuove se risultanti dalla propria esperienza personale. Nel Liber compare una parte del materiale di Teofilo, precedente di due secoli, ma stiamo parlando di una sessantina di ricette su seicento;
· più in generale, circa due terzi delle ricette presenti nel Liber non trovano riscontro in alcuna fonte precedente. Il che non vuol dire che siano tutte originali: è probabilissimo che buona parte delle fonti sia andata persa. Ma intanto bisogna riconoscere al Liber il ruolo di preziosissima testimonianza della tecnologia artistica medievale nel Nord-Europa; molto spesso, peraltro, per una stessa tecnica vengono riportate più ricette con varianti di procedimento; ad ogni modo, la sezione Textual parallels between the Liber diversarum arcium and other ‘recipe books’ analizza puntualmente le parentele con altri manoscritti;
· di particolare rilevanza la parentela con un altro manoscritto, il Compendium artis picturae di Bruxelles (MS 10152), in particolare in relazione proprio al trattato di Teofilo;
· il De diversis artibus è testimoniato (in parte o in toto) da una ventina di manoscritti, che più o meno si assomigliano. Fanno eccezione proprio il Liber e il Compendium di Bruxelles. “The wording of the Theophilus extracts in these two manuscripts differs substantially from the commonly accepted text, but the wording in each of these two manuscripts conforms very closely with each others” (p. 30). Studiati singolarmente, si è detto che i due manoscritti riportavano una versione corrotta e approssimativa di Teofilo. Con molta più probabilità, derivano la loro versione del De diversis artibus da un identico manoscritto dello stesso andato perso e con versione differente rispetto agli altri testimoni;
· tuttavia è da sottolineare anche che una parte non indifferente del trattato di Teofilo non è presente nel Liber diversarum arcium. Una possibilità è che l’autore del Liber non lo avesse a disposizione. Ma, ad un esame più accurato, si nota che si tratta dei prologhi, del libro II, sulla lavorazione del vetro e del III, sulla metallurgia. La realtà è che solo una piccola parte del trattato di Teofilo ha a che fare con la pittura (circa un quinto) e che quella parte c’è; mentre sono espunte tutte quelle sezioni che hanno a che fare con altre abilità artigianali. Il sospetto che si tratti di una precisa scelta “editoriale” è forte; l’idea – come già detto – era quella di creare un “corso di pittura” e al progetto iniziale ci si attiene.
[6] Perché tutta questa attenzione sul rapporto fra il Liber e Teofilo? È semplice: perché quest’ultimo è stato sempre considerato il manoscritto di riferimento delle pratiche artistiche del Nord Europa, e in particolare è stato citato ogni qual volta è emersa la questione della “scoperta” della pittura ad olio da parte dei Van Eyck (la discussione in merito è sconfinata: si rimanda a Paola Del Vescovo, Il trattato di Teofilo e il problema dell’origine della pittura ad olio, Ferrara, 2006). Tuttavia, se è certo che Teofilo testimonia la presenza della pittura ad olio sin dal XII secolo, è altrettanto fuori di dubbio – sostiene Clarke – che il Liber (che è stato redatto nel 1300) restituisce lo stato dell’arte subito prima della “scoperta”. È per questo che va studiato con estrema attenzione. Il tutto si inquadra in una tesi, ormai ampiamente consolidata, che nulla c’era da scoprire, nel senso che la tecnica era praticata da secoli, ma che i Van Eyck – o chi per loro – riuscirono a renderla “efficiente” in termini di resa qualitativa e di tempi di lavorazione.
[7] Si impone un brevissimo paragone fra il Liber e il Libro dell’Arte di Cennino Cennini. Ovviamente non esistono parentele strette fra i due testi, che sono in fin dei conti espressioni di due mondi diversi; il Liber dà molta maggiore importanza alla pittura ad olio; Cennino alla tempera e all’affresco. I due manoscritti possono a ragione essere considerati come complementari in termini sostanziali e grosso modo coevi in termini cronologici (il Liber è scritto nel corso del 1300, probabilmente all’inizio; Cennino è di fine 1300). Lo scopo dei due autori potrebbe essere stato lo stesso: creare un manuale di pittura ad uso e consumo degli artisti contemporanei.
[8] Resta da dire – ma sarà occasione di un’apposita recensione – che Mark Clarke è autore di uno straordinario repertorio di manoscritti di tecniche artistiche medievali (se ne trovano catalogati circa 400) pubblicato anch’esso con Archetype nel 2001. Si tratta di The Art of All Colours. Mediaeval Recipe Books for Painters and Illuminators.

Nessun commento:
Posta un commento