Erudizione e mercato artistico nell’Italia dell’Ottocento: il caso di Michelangelo Gualandi
AVVERTENZA: Quest'articolo è stato scritto prima che scoprissi l'epistolario inedito fra Michelangelo Gualandi e Charles Lock Eastlake presso la biblioteca universitaria di Francoforte. Contiene pertanto alcune inesattezze (poche, a dire il vero), ma soprattutto, va integrato col materiale venuto alla luce successivamente. Vi prego pertanto di far riferimento a G. Mazzaferro, Il mercato artistico nel carteggio fra Michelangelo Gualandi e Charles Lock Eastlake (1855-1865): un'introduzione, pubblicato sulla rivista MDCC1800 9/2020 e liberamente scaricabile al link http://doi.org/10.30687/MDCCC/2280-8841/2020/01/005 e a S. Avery-Quash, G. Mazzaferro, Michelangelo Gualandi (1793-1887) and the National Gallery in Journal of the History of Collections, Oxford University Press, 2020, consultabile al link:
In una breve autobiografia redatta con calligrafia tremante nel 1884,
all’età di novantuno anni, Michelangelo Gualandi (Bologna, 1793 – Bologna,
1887) scriveva:
«Ebbi la sorte di fare la
conoscenza del celebre inglese ser [sic] E[a]stlake; venuto fra noi per
acquisti di Pitture, egli mi accordò la intera sua fiducia, che seppi meritare
come mediatore sì in Bologna che in altre Città; così mi volle seco, e se ne
dichiarò appieno contento col rimunerarmi generosamente. Morte, che taglia i
migliori e lascia stare i rei lo tolse alla mia stima ed affezione»
[1].
In verità, Gualandi è citato in
ambito artistico essenzialmente per due sue opere erudite, vale a dire le sei
serie delle Memorie originali italiane risguardanti le belle arti [2] e
i tre tomi della Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed
architettura: scritte da più celebri personaggi dei secoli XV. a XIX. / […]
in aggiunta a quella data in luce da Bottari e dal Ticozzi [3]. La Nuova
raccolta di lettere si presenta come una costola delle Memorie.
Gualandi cominciò a pubblicare sotto questo titolo sia documenti d’archivio sia
missive d’artisti; poi, con il lievitare del materiale raccolto personalmente o
ricevuto dalla sua rete di corrispondenti, decise di separare le cose,
inserendo tutte le lettere in un’opera a parte che si richiamava alle
precedenti esperienze di Bottari e di Ticozzi. Uno dei motivi fondamentali del
successo delle raccolte gualandiane fu che esse, a partire dalla Serie Quarta
delle Memorie, cominciarono a presentare anche documenti inediti tratti
dagli archivi medicei, facendo sì che Gualandi fosse percepito come legittimo
successore di Giovanni Gaye (1804-1840) e del suo Carteggio inedito
d’artisti [4].
In realtà la produzione a stampa di natura erudita di Gualandi è
nutritissima; prima e dopo le Memorie e la Nuova raccolta di lettere Michelangelo
si rintana, però, su argomenti di carattere prettamente locale senza mai
suscitare un vero e proprio interesse nazionale. Sterminata, poi, è la produzione
manoscritta autografa, che spesso si innerva sulla trascrizione di documenti
d’archivio. Lo smembramento degli archivi di Gualandi (suddivisi quanto meno
fra Bologna, Francoforte sul Meno, Washington e la Pennsylvania) ha impedito
sino ad oggi di avere una visione d’insieme dell’indefessa attività di studio
dell’erudito bolognese [5].
Proprio grazie al reperimento e alla scoperta di nuovi materiali, il cui
studio è ancora in fase iniziale, questo saggio ambisce a proporre
all’attenzione degli studiosi una figura piena di limiti e contraddizioni, ma,
nel suo complesso per nulla secondaria. E punta soprattutto, abbinando prove «documentali» e indiziarie», a far luce
sull’attività mercantile del bolognese, condotta per svariati decenni
parallelamente rispetto alla ricerca erudita, e praticamente ignota sino a
oggi; attività che culminò nella collaborazione decennale con Charles Lock
Eastlake, di cui Gualandi fu fiduciario e agente nel reperimento di opere
d’arte sul mercato emiliano (e non solo).
Una formazione mercantile
Michelangelo Gualandi nacque a Bologna il 13 marzo 1793 da Romano
Gualandi (1756-1824) e Maria Pozzi (?-1826) [6]. La famiglia apparteneva
probabilmente al piccolo ceto mercantile [7]. Michelangelo studiò fino a
quattordici anni e poi – come scrisse nell’autobiografia – fu «destinato al commercio» per volontà paterna (non
ebbe quindi una formazione universitaria). In effetti, la tenuta della
contabilità e la pratica commerciale appaiono essere le attività della
giovinezza, abbinate a una particolare predisposizione per le lingue (imparò
perfettamente il francese e riusciva a farsi ben comprendere con l’inglese)
[8]. Inizialmente al servizio di terzi, poi operando in proprio, Gualandi
praticò l’attività di ‘negoziante’, spostandosi frequentemente sia in Italia
sia all’estero. Il termine «negoziante» va inteso in senso assai più lato di quello
odierno: siamo ancora in tempi in cui, sostanzialmente, il significato si può
assimilare a quello di imprenditore. Il «negoziante» è colui che opera un «negotium», un affare; cioè,
sostanzialmente, agisce in proprio facendo viaggiare merci a proprio rischio e
pericolo. Di quali merci stiamo parlando? Gli indizi a nostra disposizione sono
pochissimi: a) un frammento di una lettera indirizzata da Gualandi (che si
trovava in quel momento ad Ancona) nel 1818 a Geremia Delsette, erudito
residente a Bologna e collezionista di maioliche [9]; b) l’acquisto di due affreschi
di Bartolomeo Cesi a Imola nel 1824 [10]; c) la pubblicazione (assieme a un
gruppo di amici) di un opuscolo celebrativo intitolato A Lodovico Lipparini
pittore nel 1828 [11]; d) la conoscenza di fatti legati all’esportazione di
quadri da Bologna in Inghilterra [12]. Tutti elementi che inducono a pensare
che Gualandi si occupasse (forse facendo anche altro) di commercio di libri,
quadri e oggetti di belle arti sin dagli anni Venti.
Tuttavia, la prima notizia certa che abbiamo in merito a Gualandi come «negoziante risale al
1831, e ha a che fare con i moti rivoluzionari dei mesi di febbraio e marzo di
quell’anno. Sul n. 1 dell’8 febbraio 1831 de Il Monitore Bolognese appare
un annuncio che oggi non si può leggere se non con un pizzico di ironia: si invitano
tutti i membri della Guardia Nazionale che vogliano dotarsi di un’arma per
affrontare l’esercito austriaco e le truppe papaline a rivolgersi a Michele
Angelo Gualandi, negoziante in Via de’ Libri, che provvederà a mostrar loro un
particolare esemplare di fucile e, dietro il pagamento di una caparra, a farlo
pervenire nei giorno successivi [13]. L’annuncio introduce un tema che sarà una
costante nella vita di Michelangelo: il suo militare nel fronte liberale, la
manifesta ostilità nei confronti dello Stato pontificio e la patriottica
aspirazione all’unità d’Italia. Nella sua autobiografia Gualandi scrive con una
buona dose di retorica:
«Nei
moti del 21 (e più tardi del 31, del 48 e del 60) mi associai coi veri patrioti
colla voce, cogli scritti, coi fatti, allo scopo di accellerare [sic],
affrontando rischi e persecuzioni, il giorno di vedere liberata dalla schiavitù
interna ed estranea la diletta Patria, cancellando dalla sua Storia quel
terribile pronostico “Per servir sempre o vincitrice o vinta”».
A dire il vero, un coinvolgimento
diretto risulta solo nel 1831. Michelangelo fu Sergente maggiore della Guardia
civica di Bologna [14]. Dopo il fallimento della rivolta, «Gualandi
Michelangelo, d’anni 42, di Bologna, possidente e negoziante [n.d.r. è
definito] esaltato liberale, nemico del Governo, istigatore maldicente» [15]
e compare fra i rivoltosi massoni che hanno lasciato Bologna e sono scappati
all’estero [16]. Il ritorno a Bologna, senza dubbio, fu successivo all’amnistia
del 1832. Le idee politiche di Gualandi e la sua adesione alla massoneria sono
comunque da tenere presenti perché probabilmente gli permisero di entrare in un
circuito di amicizie di cui poté avvalersi anche professionalmente.
«Negoziante», «procuratore», «amatore
di belle arti»
Stando all’autobiografia, nel
1834 Gualandi decise di abbandonare l’attività di negoziante (nel 1834),
cedendola al fratello minore Pietro e di dedicarsi interamente, da quel momento
in poi, allo studio delle belle arti e della storia [17]. Una scelta di vita,
quindi. In realtà le cose devono essere andate in maniera assai più traumatica,
come risulta dalla visione di alcuni documenti custoditi presso la Deputazione
di Storia Patria: nel 1834 Michelangelo ebbe problemi finanziari con un
banchiere bolognese, Gaetano Mazzanti, e molto probabilmente non riuscì a
onorare una cambiale. Pur esibendo un certificato (in data giugno 1834) da cui
risultava che Mazzanti, alla fine, era stato pagato, compresi gli interessi,
c’è da supporre che sia stato inibito, almeno temporaneamente, all’esercizio
della negoziazione [18].
Una cosa è certa: Gualandi non
abbandonò le pratiche commerciali, ma le svolse in maniera diversa: non più
negoziante, ma procuratore, preferibilmente nel mondo dell’arte contemporanea.
L’idea, insomma, era quella di diminuire il rischio e lavorare, in sostanza, a
provvigione. L’esame delle lettere spedite da Gualandi allo scultore bolognese
Cincinnato Baruzzi (1796-1878) dimostra, ad esempio, che almeno fra 1837 e 1839
Michelangelo seguì gli affari economici del richiestissimo allievo di Antonio
Canova, da un lato provvedendo alla spedizione delle sue opere, dall’altro
cercando di stabilire contatti per l’ottenimento di nuove commissioni. Dallo
stesso carteggio emerge che Michelangelo promosse anche l’attività artistica di
un giovane Cesare Masini (1812-1891), giungendo a caldeggiarne, sin dal 1839,
la nomina a titolare della cattedra di Pittura nell’Accademia bolognese [19].
Accanto all’attività di
procuratore, Michelangelo portò avanti anche quella di commissionario, ed è
questo l’aspetto per noi più importante. Risale molto probabilmente agli anni
fra il 1834 (in cui cessò di essere negoziante) e il 1840, un altro documento
prezioso, reperibile nella versione manoscritta delle Memorie resa
disponibile online dall’Università di Francoforte. Si tratta di una correzione
dell’ultima ora, effettuata su un pezzo di carta riciclato. In particolare, a
carta 380b della Serie Seconda, è inserito un foglietto con correzioni che, sul
retro, riporta il seguente testo a stampa:
«Palace Zambeccari
near St. Paul’s Church
Bologna
near St. Paul’s Church
Bologna
Michelangelo Gualandi
begs leave to inform the English Nobility and Gentry passing through this town
that he has established a Commercial commission-house concerning the purchase,
sale, and expedition of pictures, statues, books, engravings, and any other precious
object belonging to the branch of the liberal Arts.
Mr. Gualandi has an active correspondence abroad.
The Commission-house will be opened from 10 in the morning to 4 o’ clock in the afternoon…» [20].
Mr. Gualandi has an active correspondence abroad.
The Commission-house will be opened from 10 in the morning to 4 o’ clock in the afternoon…» [20].
![]() |
Figura 2) Il volantino pubblicitario della commissionaria di Michelangelo Gualandi. Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte sul Meno, Ms. lat. qu. 97 Bd. 2 http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222521#dcId=1571239300277&p=1, c. 380b. |
Il volantino, a questo punto, è mutilo e purtroppo non abbiamo modo di
continuare a leggerne il testo. Quanto ci è pervenuto, permette, tuttavia, di
chiarire un punto. Gualandi non aveva più il suo ‘negozio’ in via dei Libri,
come risultava nel 1831, ma uno studio a Palazzo Zambeccari a San Paolo.
Probabile che il trasloco fosse avvenuto con la cessione dell’attività di
negoziante nel 1834. La permanenza a Palazzo Zambeccari, tutto sommato, fu
breve. In un avviso rivolto ai lettori, questa volta legato alla Serie Prima
delle Memorie, Michelangelo invitava gli interessati a scrivergli presso
il suo studio a Palazzo Zambeccari. La data è 15 settembre 1840 [21]. Nel
programma a stampa dell’opera, datato 31 luglio 1841, lo studio di Gualandi è a
Palazzo Fava [22].
Ma torniamo al volantino scritto in inglese: dalla sua lettura appare
chiarissimo che i destinatari sono i visitatori inglesi in città. Non chiare
sono le circostanze grazie alle quali Gualandi riesce a contattarli.
L’annuncio, ovviamente, non fu pubblicato sulla stampa locale in lingua
italiana, che non era letta dagli inglesi; né mi risulta che esistessero
pubblicazioni locali in lingua inglese. La cosa più probabile è che il
volantino fosse distribuito presso gli alberghi più esclusivi della città, in
particolare alla prestigiosa Pensione Svizzera, o Hotel Brun, presso la quale alloggiava
la gran parte dei turisti stranieri. Oppure è possibile che il volantino
venisse materialmente consegnato ai forestieri da un personaggio di cui
conosciamo pochissimo, ma che sembra avere un ruolo importante in questa
situazione: si tratta del banchiere Flavio Perotti, vice-console inglese a
Bologna, corrispondente di Coutts, uno degli istituti bancari più antichi e
prestigiosi dell’Inghilterra [23]. Il
meccanismo che possiamo immaginare è semplice:
Perotti (sfruttando la sua carica) si occupava dell’accoglienza dei
viaggiatori inglesi, delle prime indicazioni di carattere pratico e introduceva Gualandi (consegnando, fra
l’altro, il volantino di cui abbiamo parlato) per la visita della città.
Quest’ultimo stimolava acquisti mostrando agli ospiti opere della propria
collezione o, eventualmente, contattando la nobiltà locale se il potenziale
acquirente si dimostrava interessato a quadri appartenenti ad altri.
Alcuni indizi per suffragare questa ipotesi: è certo che Gualandi fece
spesso il cicerone per i viaggiatori inglesi. Così ad esempio scriveva a
Baruzzi il 15 aprile 1839:
«Domani sarò in faccende perché accompagnerò
il Duca e la Duchessa di Sutherland, spero bene; così altri personaggi; se ne
aspetta un diluvio» [24].
Il meccanismo che ho sopra descritto è esattamente quanto accadde nel
caso del soggiorno bolognese di Mary Philadelphia Merrifield nel 1846 [25]: una
volta arrivata a Bologna, Mrs. Merrifield fu innanzi tutto visitata da Perotti
ed ebbe poi come suo referente privilegiato proprio Gualandi che, oltre ad
aiutarla fattivamente per consultare un importante manoscritto presso il
convento di S. Salvatore, le propose
l’acquisto dei due affreschi di Bartolomeo Cesi comprati a Imola nel
1824 [26] per 150 napoleoni e di una non meglio identificata «Donna
che accarezza il bambino» (una Madonna, presumo) per altri 50 napoleoni [27].
E, infine, nel 1846, Gualandi comprò, proprio dalla collezione
Zambeccari, tramite Perotti, un ritratto di Carlo V che Gaetano Giordani aveva
attribuito a Tiziano e che poi fu trasportato in Inghilterra, dove se ne perdono
le tracce [28]. La circostanza è nota perché la vendita fece scalpore e fu
istruita un’inchiesta della Commissione Ausiliaria di Antichità e Belle Arti
che, in sostanza, sfociò in un nulla di fatto. Perotti, peraltro, si occupava già
da anni dell’esportazione di quadri bolognesi in Inghilterra, come dimostra il
suo acquisto di diciotto quadri (di cui sei dalla medesima collezione
Zambeccari), risalente al giugno del 1838, per cui chiese il permesso di invio
oltre Manica [29]; non è affatto escluso che, anche in questa vicenda, ci fosse
lo zampino di Gualandi.
Come si vede, gli elementi per sospettare che fra l’erudito e il
banchiere bolognesi esistesse una società di fatto ci sono tutti. Resta da
capire quale fosse la reale consistenza della collezione Gualandi prima a
Palazzo Zambeccari (fino al 1840) e poi a Palazzo Fava (fino al 1857). È fra quelle opere, in
prima battuta, che Michelangelo proponeva acquisti ai suoi visitatori. Della
raccolta sappiamo purtroppo pochissimo, ed è senza dubbio questa una delle
principali lacune che dobbiamo colmare. Mi sembra assai strano, ad esempio, che
Gualandi non abbia mai compilato un catalogo da distribuire per posta o da
consegnare a mano. Di scarsa utilità mi sembra essere l’opuscolo che Luciano
Scarabelli diede alle stampe a Piacenza nel 1843, intitolato Alcuni quadri
di Michelangelo Gualandi in Bologna. Qui viene presentata
solo una selezione di opere, con uno stile prettamente letterario e
attribuzioni probabilmente molto fantasiose. Si tratta chiaramente di uno
scritto destinato a essere diffuso presso un pubblico ristretto di
aristocratici o alto borghesi italiani che di belle arti, probabilmente, capivano
poco, ma che desideravano però avere nelle loro abitazioni quadri etichettati
coi nomi dei principali esponenti della scuola bolognese dai Carracci in poi
[30] o moderni di ispirazione ancora classicista [31]. Non compare nemmeno un
primitivo, il che è in chiaro contrasto con gli interessi dei conoscitori
dell’Ottocento [32] e con la stessa attività mercantile di Gualandi, che, nelle
vesti di agenti di Eastlake (come vedremo) solo di primitivi si occupò.
Comunque siano andate le cose, si può senz’altro dire che l’erudito
bolognese rientra in una categoria di operatori per sua natura ambigua: amava
definirsi ‘amatore di belle arti’, utilizzando un’espressione che voleva dire
tutto e il contrario di tutto. Più in generale, potremmo dire che, mentre in
alcuni paesi (come ad esempio in Inghilterra) tendeva a professionalizzarsi la
figura del conoscitore, a cui erano richieste competenze ben precise sia dai
privati sia dalle nascenti istituzioni museali [33], in altri – e l’Italia è
senza dubbio uno di questi – a occuparsi di transazioni continuavano a essere
pittori, restauratori, o, come nel caso di Michelangelo, amatori ed eruditi. In
linea di massima i motivi sono evidenti: quello inglese era un mercato di
compratori, che avevano i capitali e a cui premeva innanzi tutto essere
rassicurati su paternità, originalità e qualità di ciò che stavano comprando;
l’italiano era un mercato sbilanciato sul lato dell’offerta, alla spasmodica
ricerca di capitali. La situazione economica era molto pesante e il ceto
nobiliare vendeva prima i propri beni mobili, e, se non basta, passava agli
immobili [34]. Più o meno tutti gli stati di antico regime, primo fra tutti lo
Stato pontificio, posero in essere una legislazione di contrasto del fenomeno
che da un lato fece maturare un’idea più strutturata di tutela del patrimonio
artistico e dall’altro, però, pose in essere pratiche che un liberista
definirebbe protezionistiche, disincentivando le esportazioni anche tramite
l’introduzione di un pesante sistema daziario [35]. Sia sul lato dell’offerta
sia su quello della domanda si cercavano (come comprensibile) intermediari che
riuscissero a muoversi fra i paletti fissati dall’editto Pacca del 1820, se del
caso aggirandoli in maniera poco ortodossa. Più che conoscitori di opere erano
richiesti i conoscitori di persone, perché in un sistema con molte regole,
spesso non rispettate, l’importante era che le figure a cui ci si rivolgeva sapessero
a chi indirizzarsi in caso di problemi. Gualandi fu, senza dubbio, un
personaggio di questo tipo. Proprio per questo motivo, ogni suo comportamento
si presta a una duplice lettura, una letterale e l’altra più ambigua.
Gli anni Quaranta
Nel 1840 Michelangelo Gualandi cominciò a pubblicare le sue Memorie
originali italiane risguardanti le belle arti. La prima cosa da dire è che
si trattava di un bel cambiamento, rispetto ai resoconti sulle esposizioni
artistiche a Bologna degli anni dal 1835 al 1837 [36]. Si passava dal
contemporaneo alla storia, e da una tradizionale interpretazione letteraria
dell’opera d’arte a un filone di ricerca documentario che aveva visto
precedenti e vide successori soprattutto in area toscana, grazie alle
esperienze dell’Antologia Viesseux prima e dell’Archivio storico
italiano poi, pubblicazioni periodiche a loro volta più attente alla
moderna storiografia tedesca [37].
Non starò
qui a esaminare dettagliatamente contenuti e storia editoriale delle Memorie
e della Nuova raccolta di lettere (cosa che mi riprometto di fare in
altra occasione). Vorrei però operare in questa sede alcune osservazioni.
Nella presentazione al primo
volume delle Memorie Gualandi scrisse: «Non è nuovo in Italia il
pensiero di raccogliere documenti storici risguardanti le arti del disegno,
vuoi d’una città e sua provincia, vuoi dell’intera nazione… Il mio assunto è di
pubblicare nuovi Documenti inediti o rari, che abbiano relazione alle arti e
agli artisti; anzi per non incorrere in voce di servile raccoglitore, ho
divisato di aggiungere ai documenti note opportune ad illustrarli e a renderli
vie più interessanti» [38]. Vorrei soffermarmi sulla prima frase: io non
escludo affatto che, fra le motivazioni che portano alla pubblicazione
dell’opera ve ne siano di ordine patriottico; nel titolo le Memorie
artistiche sono rivendicate come ‘italiane’ e Gualandi parla di documenti
riguardanti l’intera ‘nazione’. Naturalmente, vi sono esempi precedenti come
gli Annali d’Italia di Ludovico Antonio Muratori o la Storia
pittorica della Italia di Luigi Lanzi che potrebbero smentire la mia
impressione; fatta sta che i precedenti politici di Gualandi mi portano a
pensare che quell’ ‘italiane’ non sia casuale e, in fondo, sia un modo, innocuo
per la censura, di parlare di ‘nazione’ da parte di un uomo che appena otto
anni prima era in esilio.
Se ci sia o non ci sia stata una
motivazione ‘patriottica’ (e qui torna il discorso della sostanziale ambiguità
di figure come il nostro erudito bolognese) una cosa è certa: con la
pubblicazione delle Memorie Gualandi ottenne almeno due obiettivi.
Il primo è il raggiungimento
della fama. Gualandi si vide ufficialmente riconosciuto quel ruolo di ‘amatore
delle belle arti’ che già si era attribuito da sé. Prima del 1839 Michelangelo non poteva
vantare altro titolo che essere socio onorario dell’Accademia Reale dei
Filomati di Scienze Lettere e Belle Arti di Lucca (dal 1836). Entro il 1846,
grazie a un’accorta politica di invio di copie omaggio e al sostegno di Cesare
Masini (che non fu nominato professore di Pittura all’Accademia di Bologna nel
1839 come sperava Gualandi, ma divenne professore e presidente di quella di
Perugia fino al 1845 e poi arrivò finalmente all’Accademia felsinea come
Segretario) e di Carlo Ernesto Liverati, divenne membro di altre diciassette
accademie. Di questo fatto fu, ovviamente, molto orgoglioso, tanto da rilegare
tutti i suoi diplomi in un elegante volume che è oggi conservato presso la
Deputazione di Storia Patria di Bologna [39]. Fra le tante recensioni ne
spiccano due internazionali: Alfred von Reumont presentò tutte le nuove uscite
sul Kunstblatt (la Serie Prima fu recensita sul volume I, n. 103 recante
data 1840) e Carlo Pepoli (ma in realtà la recensione fu pubblicata anonima
[40]) ne parlò sull’Art-Union di settembre 1842. Fra 1853 e 1856, poi, Ernst
Karl Guhl pubblicò (in due volumi) le sue lettere d’artisti (il titolo
originale è Künstler-Briefe [41]) che attingevano esplicitamente
dalle raccolte epistolari di Bottari-Ticozzi e dello stesso Gualandi.
Il risultato ultimo del successo
editoriale fu che Gualandi venne consegnato alla storia come erudito. Ancor
oggi le Memorie e la Nuova raccolta di lettere sono citate nella
letteratura scientifica. Il Gualandi che conosciamo è quello che emerge
dall’attività editoriale che condusse fra 1840 e 1846, con un’appendice nel
1856 (l’ultimo volume delle Lettere uscì infatti a dieci anni di
distanza dal precedente). Un’immagine, come è facile capire, estremamente
parziale, che prescinde dal resto della produzione a stampa (oggettivamente di
respiro molto locale) e non considera proprio l’attività mercantile che, pure,
tanto peso ebbe nella sua vita.
Un secondo obiettivo raggiunto
con la pubblicazione delle sue raccolte è che, grazie a esse, Gualandi creò (o
più probabilmente consolidò) una rete erudita di corrispondenti che copriva
buona parte dell’Italia. E qui c’è da chiarire, come risulta dall’esame dei
manoscritti pronti per la stampa con relativi documenti originali che, non di
rado, lo studioso bolognese si limitò al ruolo di puro curatore, trascrivendo
(e citando sempre con grande correttezza) materiali che gli pervennero da
corrispondenti come Carlo d’Arco (Mantova), Ranieri Bartolini e Carlo Ernesto
Liverati (Firenze), Luciano ed Enrico Scarabelli (Piacenza), Giuseppe Boschini
(Ferrara), Giuseppe Campori (Modena), l’abate Cadorin (Venezia), Carlo Milanesi
(Siena), Luigi Bonfatti (Gubbio), i fratelli De Minicis (Fermo) e molti altri
ancora. In particolare Gualandi ebbe probabilmente un debito di riconoscenza
con l’amico Carlo Ernesto Liverati (1805-1844), «pittore storico»
bolognese che, dopo un’esperienza di studio in Inghilterra, esercitava a
Firenze [42]. Liverati, oltre a inviare tantissimi documenti, fu probabilmente
colui che fornì a Gualandi i giusti contatti per ottenere che Leopoldo II, gran
duca di Toscana, disponesse, con rescritto del 3 settembre 1841, di trarre
estratti utili per la raccolta gualandiana dagli archivi medicei.
Corrispondenti e commercio
Dietro a queste frequentazioni
epistolari erudite si nascondeva però, quasi sempre, un interesse di carattere
commerciale. I corrispondenti erano visti come potenziali venditori di beni
artistici e naturalmente come clienti nel commercio di quadri, libri, monete,
disegni e stampe. È lo stesso Michelangelo, a volte, a introdurre il
discorso. Così, ad esempio, con lettera del 15 dicembre 1855, Gualandi scriveva
al marchese modenese Giuseppe Campori (1821-1887), a cui era appena morto uno
zio:
«Delle pitture che vi
toccheranno in sorte [n.d.r. dall’eredità] gradirò un Catalogo e se antiche
sentirò ancora (detto fra noi) se intendete alienarle, nel quale caso v’invito
entrare con me soltanto per ciò in relazione e ve ne troverete contento; ho
tali conoscenze da sperare nella riescita [sic] e già un bel saggio ha avuto
luogo in questi passati giorni» [43].
In queste poche righe Gualandi
condensava due informazioni: innanzi tutto, che non operava in regime di
monopolio, ma che, anzi, ci doveva essere parecchia concorrenza; in secondo
luogo che a interessargli erano i dipinti antichi (contrariamente a quanto
risulterebbe dal catalogo Scarabelli del 1843 [44]).
Il ricorso ai corrispondenti
epistolari a scopo mercantile non è, del resto, un aspetto inedito, a queste
date. Nella direzione opposta (ovvero come tentativo di vendere un’opera già
acquisita) va vista, ad esempio, la lettera di accompagnamento di un opuscolo
in italiano e francese intitolato L’adorazione dei Magi. Pittura del XVI
secolo che Gualandi spedì a Pelagio Palagi il 4 aprile 1853 [45]:
«Eccovi un mio articolo
bilingue che interessa, come vedrete, la nostra scuola di pittura; piacciavi
delle cinque copie che rimangono passarne una all’Accademia e distribuire le
altre a persone atte a farne buon uso».
Il «buon uso»
di cui parlava Gualandi voleva dire, semplicemente, che fossero interessate
all’acquisto del dipinto. Tutte le precisazioni presenti nel fascicolo sono
volte ad attirare l’attenzione del collezionista e a convincerlo in merito a
provenienza e attribuzione del quadro. Così viene riportata l’expertise
dell’8 marzo 1853 di Giuseppe Guizzardi, Napoleone Angiolini e Clemente Alberi,
tutti professori presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e l’indicazione
che il dipinto è stato acquisito il 18 febbraio 1853 e che proviene dalla
Galleria Marescalchi [46].
A volte, peraltro, le
indicazioni, le richieste e i suggerimenti sono assai meno professionali, e al
di là dei toni camerateschi, lasciano intravvedere una spregiudicatezza che è
elemento da tenere sempre ben presente quando si vuole giudicare il
personaggio. Così, ad esempio, vent’anni prima, il 29 maggio 1837, dando
consigli a Cincinnato Baruzzi (a cui si rivolge dandogli del tu) Michelangelo lo
invitava a prender contatto a Torino con Pelagio Palagi per alienare la sua Leda,
unica statua rimasta invenduta fra quelle che l’artista aveva portato all’Esposizione
presso l’Accademia di Belle Arti di Milano dello stesso anno:
«E la sventurata Leda? Negletta
perché innocente! Obbrobrio della presunta umana razza! Pensa, agisci, fa di
tutto onde rinvenire un cane che almeno ami cacciare il Cigno, allora (tu dici
bene) regala di Tindaro la viziosa moglie. Fa un tentativo. Scrivi a Palagi il
risultato totale di Milano e accenagli [sic] rimanente la Leda che ben conosce,
e che lodò assai, fallo arbitro di offerirla a Torino, proponi di spedirgliela,
ecc. ecc.»
[47].
Il tono suona un po’ irriguardoso
nei confronti di un artista (Palagi) a cui lo stesso Gualandi, circa un mese
prima, aveva chiesto di trovargli un lavoro a Torino presso la Corte reale:
«Quando Ella torna in Torino,
pensi un poco a me: sono qui come vagabondo, quando vorrei, e dovrei profittare
degli anni che vanno succedendosi… Pensi un poco a me, mi trovi un cantuccio
ove essere utile a me, e spererei ad altri; l’occupazione non mi è mai di peso,
seppi fin dall’infanzia fare a modo di abituarmi a lunghe veglie. Amo le arti,
e ciò che vi ha rapporto» [48].
Gualandi ed Eastlake
Gualandi ed Eastlake si incontrarono
per la prima volta nel 1855 [49]. Lo scrisse l’erudito bolognese al marchese
Giuseppe Campori il 25 ottobre di quell’anno:
«Nella scorsa settimana fu qui
di passaggio il celebre Ser Eastlake autore, come sapete, di un bel volume
sulla pittura tradotto dal Bezzi, pittore raro a quanto sento, direttore
dell’accademia di Londra, ec ec. Egli si è dichiarato mio amico, mi promette la
sua corrispondenza, le sue commissioni e me ne ha dato un saggio scrivendomi da
Venezia; coi primi di novembre sarà di ritorno a Londra colla sua Signora che
sento essere letterata come il marito» [50].
Il lavoro di Eastlake a cui
Gualandi fa riferimento è il fondamentale Materials for a History of Oil
Painting (di cui l’inglese pubblicò in vita solo il primo volume, mentre il
secondo uscì postumo a cura della moglie, Elizabeth Rigby) [51]. Giovanni A.
Bezzi ne aveva fornito, appena due anni dopo, la traduzione in italiano [52].
Da parte sua, Eastlake conosceva sicuramente di nome Gualandi. Nel 1846 Mrs.
Merrifield, inviata in Italia alla ricerca di manoscritti sulle tecniche della
pittura ad olio degli Antichi Maestri italiani, una volta ricevuta
l’offerta di Gualandi per i due affreschi trasportati su tela di Cesi e per il
Carracci aveva soprasseduto e deciso di segnalare la cosa all’erudito inglese,
una volta tornata in patria [53]. La studiosa, inoltre, a fine viaggio, spedì
da Milano una serie di libri che erano destinati per lo più allo stesso
Eastlake. Fra essi compaiono diversi titoli di Gualandi (fra i quali le prime
cinque serie delle Memorie) [54]. Anche se la biblioteca di Eastlake
comprende in realtà un numero molto maggiore di opere gualandiane,
evidentemente ricevute in seguito dall’italiano, è assai probabile che i primi
ingressi di opere di Michelangelo fra i suoi scaffali si registrino in questo
periodo [55].
Non escludo, peraltro, che
Eastlake possa aver contattato Gualandi anche in virtù della sua fama di
commerciante di libri. Nel gennaio 1855 (dieci mesi prima dell’incontro fra i
due) Michelangelo scrisse sempre al marchese Campori:
«Vi mando esemplare di un mio
cataloghetto di libri tirato a sole 50 copie. L’ho fatto per mio comodo per
avere commissioni dall’Inghilterra di dove attendo riscontro. Se mai trovasse
cosa che potesse tornarvi gradita e fosse tuttora invenduta fra un mese,
datemene nota» [56].
E, rimanendo sempre in ambito di
libri, nel settembre 1856 il bolognese pubblicava il terzo e ultimo volume
(anche se ne prometteva un quarto) della Nuova raccolta di lettere. Erano
passati dieci anni dal tomo precedente e qualcosa, evidentemente, era andato
storto (senza contare lo scoppio della Prima guerra d’Indipendenza).
Concludendo il volume, Gualandi scriveva così:
«Ci corre più che mai il debito
di mostrarci grati a Chi c’incoraggia con detti e con fatti a proseguire nelle
nostre imprese ad onta degli ostacoli d’ogni natura che fecero e fanno guerra
agli studi cui dedicammo ogni nostro pensiero. Duolci non potere in queste
pagine far noto il nome di un illustre straniero cui le Arti e le Lettere vanno
debitrici di opere preclare; accolga almeno, nel suo secreto, i sensi
dell’incancellabile nostra riconoscenza» [57].
Resti fra noi, non mi stupirei
affatto se si scoprisse, anche alla luce della stretta collaborazione degli
anni successivi, che quel misterioso straniero era Charles L. Eastlake.
La prima, tangibile, prova che
Gualandi lavorava come agente di Eastlake si ha nel 1858. Il 12 settembre di
quell’anno qualcuno (probabilmente Ubaldo Sgherbi, agente del marchese
Costabili) scrisse al direttore della National Gallery (all’epoca nelle Marche)
dicendo che il nobile ferrarese si era molto stupito di aver ricevuto una
lettera in cui si subordinava il ricevimento del prezzo pattuito per l’acquisto
di due quadri della collezione al conseguimento del relativo permesso
all’esportazione. Lo scrivente faceva presente che la richiesta di tale
permesso spettava all’acquirente, e confermava piena disponibilità a spedire le
due opere a Bologna, «al di lei amico Sig. Gualandi», fermo restando che alla
consegna delle opere doveva corrispondere il versamento del contante [58]. Nel
carteggio i due quadri non sono citati; mi pare tuttavia che sulla base delle
evidenze interne dei taccuini di viaggio di Eastlake e (soprattutto) dei
cataloghi coevi della National Gallery vi possano essere pochi dubbi sul fatto
che si trattasse del San Vincenzo Ferrer oggi attribuito a Francesco del
Cossa e custodito alla National Gallery con numero d’inventario NG597 e del San
Francesco con Angeli di Sandro Botticelli (NG598). Va precisato che, quando
furono acquistati, furono attribuiti rispettivamente a Marco Zoppo e a
Filippino Lippi [59].
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Figura 3) Francesco Del Cossa. San Vincenzo Ferrer, in origine scomparto centrale della Pala Griffoni in San Petronio, a Bologna. Acquistato nel 1858 come Marco Zoppo, San Domenico fondatore del Rosario. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/francesco-del-cossa-saint-vincent-ferrer |
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Figura 4 Sandro Botticelli. San Francesco d'Assisi con Angeli. Acquistato nel 1858 con attribuzione a Filippino Lippi. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/sandro-botticelli-saint-francis-of-assisi-with-angels |
Circa un mese dopo, il 26 ottobre
1858, Eastlake, sulla strada del ritorno per l’Inghilterra, si fece vivo da
Torino informando il marchese Costabili che Gualandi gli aveva scritto e che la
cassa contenente le due opere era stata inviata a Livorno da dove era destinata
ad essere spedita in Inghilterra [60]; ne approfittava per chiedere (sottolineando
furbescamente che, di per loro, valevano poco) di acquistare per complessivi
100 napoleoni la Vergine e Santi di Pisanello, due quadretti attribuiti
a Lorenzo Costa e uno a Cosmè Tura [61]. Il marchese rifiutò sdegnosamente,
chiarendo che gli acquisti andavano fatti in blocco. Senonché, evidentemente
spinto a più miti consigli dalla disastrosa situazione economica familiare, finì
per aderire alla richiesta sul concludersi del 1860. Il 3 dicembre 1860
Giuseppe Molteni, restauratore milanese di fiducia di Eastlake, scriveva a Giovanni Morelli, informandolo che stava per arrivare l’opera di Pisanello,
acquistata insieme a un San Girolamo di Bono da Ferrara e a un altro San
Girolamo di Cosmè Tura [62]. Alla fine, i quadri di accompagnamento al
Pisanello sono diversi (inizialmente di Cosmè Tura si chiedeva una Madonna adorante
il Bambino), ma l’affare si è chiuso [63].
Qualche particolare in più
sull’acquisto di queste opere è ora disponibile, alla luce di un rapido
appunto, davvero un promemoria, che ho avuto modo di rinvenire in un foglietto
sciolto di un manoscritto di Gualandi intitolato Gite artistiche in alcune
città della media e meridionale Italia nell’anno 1861 conservato presso
l’Archivio della Fondazione Carisbo [64]. Il foglietto, piegato in quattro,
contiene la seguente dicitura riportata a penna:
“N[apoleoni?] Van Eyck Zambeccari 140
custode 2
per me 24
spesa 3
[Totale] 170
custode 2
per me 24
spesa 3
[Totale] 170
N[apoleoni?] Costabili 175
Sgherbi 12
spese 3
[Totale] 190
Sgherbi 12
spese 3
[Totale] 190
12/11/[18]60 Nap. 360
Da Renoli, ove sono anche da
disporre circa Napol…. [non indicato].”
Giovanni Battista Renoli era un
banchiere che esercitava a Bologna [65] (e ciò fa pensare che, a queste date,
Perotti fosse morto). È chiaro che, con questa nota, del novembre 1860,
antecedente di pochi giorni la già citata lettera di Molteni a Morelli,
Gualandi scriveva un promemoria relativo ai pagamenti relativi a due contratti:
il primo riguardava la collezione Zambeccari; il secondo era l’acquisto da
parte di Eastlake delle tre opere di cui abbiamo appena parlato. Rispetto all’offerta
iniziale (che però oltre al Pisanello prevedeva tre diversi quadretti) la
transazione è conclusa a un prezzo superiore (175 napoleoni invece di 100).
Eastlake si fa carico, oltre che delle spese, della provvigione di Sgherbi,
agente di Costabili, nell’ordine del 7%.
Il ‘Van Eyck’ della Collezione
Zambeccari è venduto anch’esso a Eastlake, per la sua collezione privata. Si
tratta della Vergine e Bambino coi santi Pietro e Paolo che si trova
oggi alla National Gallery di Londra con numero d’inventario NG774 e
attribuzione alla bottega di Dierick Bouts (1400?-1475).
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Figura 6) Bottega di Dierick Bouts, Vergine e Bambino coi santi Pietro e Paolo. Comprato nel 1860 dalla collezione Zambeccari. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/workshop-of-dirk-bouts-the-virgin-and-child-with-saint-peter-and-saint-paul |
Non mi risulta che, a oggi,
l’opera sia stata messa in connessione in Italia con la tavola custodita nel
museo inglese [66], ma mi pare che non vi siano dubbi. Descritta al n. 29
nell’inventario dei quadri eseguito alla morte di Giacomo Zambeccari (1795)
come «un
quadro dipinto in Tavola rappresentante la Beata Vergine col Bambino, e due
altri Santi alto Piedi 1:10 Largo Piedi 1:5 di Scuola Fiaminga, Cornice
intagliata, e dorata», fu attribuita da Gaetano Giordani a Van Eyck nel suo
inventario del 1850 [67] . Il quadro fu visto nell’agosto del 1856 da Otto
Mündler (Travelling Agent della National Gallery) che lo ritenne a sua
volta di Hugo van der Goes: «A beautifully painted composition, interior of a church with a subject
of sacred history by an early flemish artist, such as Hugo van der Goes – Large
price asked» [68]. Anche Charles Lock Eastlake ebbe modo di vedere
l’opera nel settembre del 1857 e, in via dubitativa, concordò con Mündler sulla
paternità di van der Goes: «M. & C. enthroned – St Peter &
St Paul at sides – wood 1– 8 ½ w. about 2 – 3 h. perhaps Vander Goes – price
100 Nap.»
[69]. Non sapevamo fino ad ora in che circostanze la tavola avesse
lasciato la collezione: lo fece a fine 1860, e fu venduta a un prezzo finale di
140 napoleoni, superiore alla cifra iniziale indicata da Eastlake (non è
chiaro, però, se si trattasse di una sua valutazione sul valore del quadro o,
meno probabilmente, della richiesta iniziale del venditore). Comprato dal
direttore della National Gallery per la sua collezione personale, fu poi
rivenduto dalla moglie al museo nel 1867. Da notare che il prezzo del solo ‘Van
Eyck’ è quasi pari a quello tre quadri prelevati dalla collezione Costabili, in
cui c’è il Pisanello che oggi è assai più quotato. Incisero probabilmente
l’attribuzione (van Eyck o van der Goes che fosse) e le condizioni generali
della tavola. Non irrilevante, infine, vedere che la provvigione per Gualandi è
di 24 napoleoni, una percentuale assai alta (il 17%) rispetto al 7% che Sgherbi
riuscì a realizzare per la vendita dei quadri Costabili (sempre che in quei 24
napoleoni non ci fosse, a sua volta, la cifra che Eastlake riconobbe al
bolognese per il successo nell’acquisto delle opere ferraresi).
Naturalmente Gualandi ed Eastlake
tennero un carteggio, che fino a oggi è disperso. Le carte Gualandi presso la
Deputazione di Storia Patria delle province della Romagna conservano, come
detto, la lista dei corrispondenti dell’erudito bolognese, fra i quali compare
anche il direttore della National Gallery. Sarebbe auspicabile aver modo di
capire se le lettere si sono conservate presso la corrispondenza (in fase di
riordino) oggi conservata presso l’Università di Francoforte [70]. In assenza
delle lettere può comunque essere importante la consultazione di un manoscritto
di Gualandi che ho rintracciato presso la Fondazione Carisbo di Bologna e che
chiamerò (per semplicità) Gita artistica del 1861 [71]. Mi riprometto di
presentare in un prossimo futuro un’edizione annotata del manoscritto. Per ora
mi sembra essenziale rimarcare alcuni elementi. Il primo è, ovviamente, la data
del viaggio: siamo nel marzo 1861. In seguito alle vicende belliche (Seconda
Guerra d’Indipendenza (1859) e Spedizione dei Mille (1860)), Romagne e Marche,
che facevano parte dello Stato pontificio, hanno deciso, con plebisciti
tenutisi fra marzo e novembre dell’anno precedente, l’adesione al Regno di
Sardegna, che il 17 marzo 1861 cambia ufficialmente il nome in Regno d’Italia. È
una data storica: nasce l’Italia unita. Eppure, il 17 marzo 1861 il patriota
Gualandi, che ha atteso questo momento tutta la vita, non è nella sua Bologna,
a qualche solenne cerimonia che celebri l’evento, ma fra Cagli e Gubbio, a
cercar quadri potenzialmente acquistabili per Eastlake e per se stesso. Il
mercante l’ha avuta vinta sul patriota. Dal punto di vista del patrimonio, sono
giorni delicatissimi. Con decreti dell’anno precedente i Commissari
(provvisori) delle Romagne e delle Marche, rispettivamente Gioacchino Pepoli e
Lorenzo Valerio, si erano richiamati alla legislazione del Regno di Sardegna
per quanto riguardava la gestione dei beni di diversi ordini ecclesiastici.
Tali ordini venivano soppressi (il Regno di Sardegna lo aveva già fatto in anni
precedenti) e i beni relativi incamerati nel Demanio. Nel caso specifico, i
Commissari avevano deciso, ritenendo in perfetta buona fede di venire incontro
alle esigenze dei territori, che le opere d’arte diventassero di proprietà dei
relativi municipi. In realtà i municipi ben poco sapevano della reale entità
del patrimonio e non erano in grado di assicurare una tutela adeguata; la
chiusura di molte chiese aveva portato peraltro a seri problemi legati alla
gestione dei beni di giuspatronato privato presenti negli ex-edifici sacri.
Dovevano finire ai municipi o tornare ai privati? La totale incertezza e la
situazione economica disastrosa avevano fatto sì che improvvisamente molte
opere d’arte venissero immesse sul mercato. Di questa situazione,
evidentemente, Eastlake era perfettamente cosciente e, senza indugio alcuno,
incaricò Gualandi (a sua volta interessato all’acquisto di opere) di monitorare
il territorio. La Gita artistica del 1861 non fu ovviamente una gita di
piacere, ma il resoconto più aggiornato che noi si conosca sulla situazione del
patrimonio prima della contromossa del governo italiano, che dal 27 aprile al 9
luglio 1961, inviò Giovanni Morelli e Giovanni
Battista Cavalcaselle a inventariare i beni artistici di chiese e conventi
soppressi [72]. Ha un valore storico, e una chiara connotazione commerciale.
Per questi motivi merita un approfondimento a parte.
Il problema principale relativo
ai rapporti fra Eastlake e Gualandi è che noi conosciamo, bene o male, le
situazioni che portarono all’acquisto di opere per conto della National Gallery
o per la collezione personale dello studioso inglese. Nulla sappiamo, invece,
dei tentativi andati a vuoto. Una fortunata coincidenza ci permette tuttavia di
far luce almeno su uno di essi. Nel settembre del 1861 (poco prima del viaggio
a Napoli, quindi) Eastlake era a Modena e individuò in Casa Coccapani un quadro
che ritenne eligible (ovvero che era adatto per essere acquistato dalla
National Gallery). Si tratta di una Santa Barbara di Francesco Francia
che così venica descritta: «Francia – Santa Barbara – with her Tower on [[embraced & held
by]] her left arm – an arrow in her right – half figure- signed in gold letters
“Francia Aurifex” – requires a very little putting in order, but apparently has
never been restored – El.» [73]. Il 26 dicembre 1861 (tornato
dal viaggio napoletano col direttore della National Gallery) Gualandi scrisse
al suo amico modenese Giuseppe Campori e gli fece una richiesta: «Sono
a chiedervi un favore. La nobile casa Coccapani possiede alcune pitture fra le
quali due del Francia e particolarmente una mezza figura di s. Barbara col nome
del pittore. Sareste gentile di visitare la Signora [n.d.r. vedova del marito
Ercole Coccapani da appena un mese; era morto l’11 novembre 1861] ed indurla a
cedere ad eque condizioni la tavoletta? Ve ne fareste un merito incancellabile;
provatevi a ciò e consolatemi con un cenno di riuscita» [74]. Non se ne fece nulla,
ma è evidente che Gualandi agì su indicazione di Eastlake.
Non esiste nessun riscontro, invece, a supporto dell’intermediazione di Gualandi per l’acquisto della Madonna con Bambino e Santi di Benvenuto Tisi detto il Garofalo dalla ferrarese collezione Mazza (NG671) [75], a fine 1860. Tuttavia, il fatto che tutti gli acquisti in quella città (che Michelangelo conosceva e frequentava spesso perché la moglie era ferrarese) siano stati operati tramite l’erudito bolognese, mi induce a ritenere logico che anche quest’unico caso non sfugga alla regola (un secondo acquisto dalla collezione Mazza fu effettuato da Gualandi a fine 1866).
Restando a Ferrara, nell’ottobre del 1862, Gualandi continuò a occuparsi della collezione Costabili, e scrisse al marchese che il 4 di quel mese, assieme a Eastlake, sua moglie Elizabeth Rigby e Otto Mündler era tornato a visitarla. Allegò una lista di diciotto quadri (più il battente in bronzo della porta d’ingresso) di cui il suo datore di lavoro inglese voleva conoscere i prezzi. Questo è l’elenco delle opere (con le attribuzioni dell’epoca): [76]
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Figura 7) Francesco Francia, Santa Barbara. Fonte: https://www.christies.com/lotfinder/Lot/francesco-francia-bologna-c-1450-1517-saint-barbara-6068910-details.aspx |
Non esiste nessun riscontro, invece, a supporto dell’intermediazione di Gualandi per l’acquisto della Madonna con Bambino e Santi di Benvenuto Tisi detto il Garofalo dalla ferrarese collezione Mazza (NG671) [75], a fine 1860. Tuttavia, il fatto che tutti gli acquisti in quella città (che Michelangelo conosceva e frequentava spesso perché la moglie era ferrarese) siano stati operati tramite l’erudito bolognese, mi induce a ritenere logico che anche quest’unico caso non sfugga alla regola (un secondo acquisto dalla collezione Mazza fu effettuato da Gualandi a fine 1866).
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Figura 8 Benvenuto Tisi detto il Garofalo, Vergine col Bambino e santi. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/garofalo-the-virgin-and-child-enthroned-with-saints |
Restando a Ferrara, nell’ottobre del 1862, Gualandi continuò a occuparsi della collezione Costabili, e scrisse al marchese che il 4 di quel mese, assieme a Eastlake, sua moglie Elizabeth Rigby e Otto Mündler era tornato a visitarla. Allegò una lista di diciotto quadri (più il battente in bronzo della porta d’ingresso) di cui il suo datore di lavoro inglese voleva conoscere i prezzi. Questo è l’elenco delle opere (con le attribuzioni dell’epoca): [76]
«Pitture prese in nota dalla
Galleria Costabili
Num. Soggetti Autori
citati
N. 29 Santino in piedi entro nicchia …..
N. 53 Madonna, Bambino e due angeli Botticelli
N. 70 Piccolo s. Girolamo col leone …
N. 151 Madonna, Bambino Santi e Angeli Lorenzo Costa
N. 156 Manna degli Ebrei Ercole Grandi
N. 158 Viaggio con Mosè detto
N. 201 Mad. Bambino e S. Gius. Affresco Garofalo
N. 225 Mad. Bambino, e Santi, piccolo con scim[m]ia Ercole Grandi
N. 226 S. Cecilia figura intera Garofalo
N. 231 Presentazione al Tempio, piccolo Dom. Panetti
N. 245 Due quadretti in assai Mazzolino
N. 246 cattivo stato [detto]
N. 255 Piccola s. Famiglia, rovinata Garofalo
N. 308 Pietà, due figurine Mazzolino
N. 428 Madonna e Bambino, quadretto Ercolino
N. 498 Ritratto in piedi di bambino ….
N. 531 Due ritratti, tavola rovinata ….
… In sala, mezza figura di Santa Pordenone?
… Il battente della porta d’ingresso
in bronzo. »
N. 53 Madonna, Bambino e due angeli Botticelli
N. 70 Piccolo s. Girolamo col leone …
N. 151 Madonna, Bambino Santi e Angeli Lorenzo Costa
N. 156 Manna degli Ebrei Ercole Grandi
N. 158 Viaggio con Mosè detto
N. 201 Mad. Bambino e S. Gius. Affresco Garofalo
N. 225 Mad. Bambino, e Santi, piccolo con scim[m]ia Ercole Grandi
N. 226 S. Cecilia figura intera Garofalo
N. 231 Presentazione al Tempio, piccolo Dom. Panetti
N. 245 Due quadretti in assai Mazzolino
N. 246 cattivo stato [detto]
N. 255 Piccola s. Famiglia, rovinata Garofalo
N. 308 Pietà, due figurine Mazzolino
N. 428 Madonna e Bambino, quadretto Ercolino
N. 498 Ritratto in piedi di bambino ….
N. 531 Due ritratti, tavola rovinata ….
… In sala, mezza figura di Santa Pordenone?
… Il battente della porta d’ingresso
in bronzo. »
Molte delle opere in questione
(ma non tutte) sono citate da Eastlake nel corso dei suoi taccuini di viaggio.
In particolare, proprio in data 4 ottobre 1862 il direttore della National
Gallery stilò una «List of pictures selected, with a
view to ascertain price» che
comprendeva otto dei diciotto quadri per cui Gualandi chiedeva informazioni sei
giorni dopo [77]. Il 12 ottobre 1862, da Casa Costabili, veniva spedita una
lettera a Gualandi con l’indicazione dei prezzi Purtroppo il foglio in allegato
con le richieste del marchese non è presente in quanto ci è arrivato delle
carte Costabili. Non sembra, però, che, questa volta, si sia giunti a una
qualche transazione.
I rapporti commerciali fra
Eastlake e Gualandi proseguirono in pratica fino alla morte dell’erudito
inglese, avvenuta a Pisa, la vigilia di Natale del 1865. Gli ultimi due
acquisti sono rappresentati dalla Madonna dell’Umiltà di Lippo di
Dalmasio, dalla bolognese collezione Hercolani (NG752) [78] e da una Vergine
col Bambino di Giovanni Santi, dalla ferrarese collezione Mazza (NG751).
Probabilmente accomunate nella spedizione a Londra, le due opere sembrano però acquistate con un processo decisionale molto diverso. Per quanto riguarda la tavola di Lippo, Eastlake l’aveva già segnalata ai Trustees del museo a fine 1861 [79]. L’acquisto dell’opera di Giovanni Santi è invece una decisione dell’ultimo minuto e s’intreccia con la morte del conoscitore inglese. Il 27 novembre 1865, col marito molto malato, Elizabeth Rigby scrisse da Pisa a Ralph Nicholson Wornum, Keeper della National Gallery, e lo invitò a mandare quaranta sterline a Gualandi, grazie al quale lo studioso inglese era riuscito a prelazionare l’acquisto (a nome di Gualandi, ma col patto di rivendita al museo) di un quadro attribuito da Cavalcaselle a Giovanni Santi. Vi era urgenza, perché si mirava a concludere l’affare prima che il giudizio di Cavalcaselle diventasse noto, evitando che il prezzo pattuito (centoventi sterline) si impennasse all’improvviso [80].
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Figura 9) Lippo di Dalmasio, Madonna dell'Umiltà. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/lippo-di-dalmasio-the-madonna-of-humility |
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Figura 10) Giovanni Santi. Madonna col Bambino. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/giovanni-santi-the-virgin-and-child |
Probabilmente accomunate nella spedizione a Londra, le due opere sembrano però acquistate con un processo decisionale molto diverso. Per quanto riguarda la tavola di Lippo, Eastlake l’aveva già segnalata ai Trustees del museo a fine 1861 [79]. L’acquisto dell’opera di Giovanni Santi è invece una decisione dell’ultimo minuto e s’intreccia con la morte del conoscitore inglese. Il 27 novembre 1865, col marito molto malato, Elizabeth Rigby scrisse da Pisa a Ralph Nicholson Wornum, Keeper della National Gallery, e lo invitò a mandare quaranta sterline a Gualandi, grazie al quale lo studioso inglese era riuscito a prelazionare l’acquisto (a nome di Gualandi, ma col patto di rivendita al museo) di un quadro attribuito da Cavalcaselle a Giovanni Santi. Vi era urgenza, perché si mirava a concludere l’affare prima che il giudizio di Cavalcaselle diventasse noto, evitando che il prezzo pattuito (centoventi sterline) si impennasse all’improvviso [80].
Un lento declino
Una cosa appare certa: con la
morte di Eastlake, che Gualandi omaggiò con un breve necrologio su Il
Monitore di Bologna n. 354, anno 1865 [81], la grande stagione ‘mercantile’
cessa; o, meglio, torna ad assumere una valenza locale, così come già era
successo per quanto riguarda le opere a stampa.
Sappiamo, da una lettera a
Campori del 16 giugno 1866, che Michelangelo incontrò William Boxall
(1800-1879), nuovo direttore del museo, nel primo viaggio di quest’ultimo in
Italia, ma è evidente che qualcosa andò storto [82]. In un’ulteriore missiva,
agli inizi del 1870, Gualandi raccontò a Campori di aver comprato il quadro di
Giovanni Santi per conto di Eastlake e si disse curioso di sapere se l’opera era
esposta alla National Gallery. Gli sarebbe piaciuto consultare l’ultima
edizione della guida del museo, ma non ce l’aveva «non avendo voluto continuare
le mie relazioni col troppo originale e testa balzana del successore essendo
uomo intrattabile» [83].
Naturalmente non mancarono altre
occasioni di soddisfazione, che Michelangelo ricordò nella sua breve
autobiografia: l’incontro col Re d’Italia e la consorte, la nomina a cavaliere
da parte dell’Imperatore del Brasile per averlo accompagnato in giro per
Bologna nel corso della sua visita, la partecipazione attiva alla vita della
Deputazione di Storia Patria [84]. Tutti episodi di scarsa importanza, visti in
una prospettiva storica. Così come cadremmo nell’aneddoto, se si vuole
divertente, ma comunque insignificante, puntualizzando occasioni in cui
Gualandi ricorse alle furbizie del venditore (disonesto) per realizzare
extra-profitti [85].
Il vero problema, accompagnando
lo studioso bolognese verso un declino lento, ma inesorabile, che lo portò a
morire a 94 anni, è capire la reale consistenza della sua collezione.
Nel dicembre del 1856,
comunicando a Pelagio Palagi che era sotto sfratto e che entro l’8 maggio
dell’anno successivo avrebbe dovuto liberare i locali di Palazzo Fava, Gualandi
si espresse così:
«Sono accomiatato dal Locale
che occupo nel Palazzo Fava ed eccomi alla disperazione: non so dove battere il
capo per rinvenire in luogo centrale altro appartamento che unisca quanto si
richiede a porre in vista oltre assai a 200 quadri, 6mila volumi, migliaia di
disegni, di stampe, di capi antichi, etc. Io non voglio figurarmi l’8 maggio
1857!»
[86]
A inizio anni ’80, invece,
Michelangelo, subito dopo aver parlato nell’autobiografia della sua
collaborazione con Eastlake aggiunse:
«Non lasciava nel frattanto di
raccogliere nel mio particolare quanto mi capitava d’interessante, così dopo
pochi anni mi trovai possessore di circa 400 pitture (fra le quali alcune
d’artisti miei concittadini) ornate di analoghe cornici adattate alla diversa
scuola, e non poche delle quali ricche d’intagli e di dorature; di alcune
centinaia di Disegni; altre centinaia di stampe e non pochi intagli originali
in metallo o in legno» [87].
I quadri sono dunque passati da oltre
200 a 400. Si tratta di cifre che sostanzialmente Michelangelo confermò a
Giovan Battista Cavalcaselle in una lettera del 7 agosto 1880 che ce lo
riconsegna, ottantasettenne, ormai molto attardato sul succedersi degli eventi
(pensa che l’erudito di Legnago viva a Londra, aggiunge di non aver più
contatti con la città dalla morte di Eastlake e lo prega di salutarne la
vedova, se ancora viva), ma comunque sempre lucido [88]. Non è per nulla chiaro
perché Gualandi decise di non seguire l’esempio di molti suoi illustri
concittadini regalando quanto meno i suoi documenti e la biblioteca
all’Archiginnasio, magari in cambio di un vitalizio agli eredi. Molto probabilmente
ebbe urgentemente bisogno di soldi. Il 13 ottobre 1883, un anno e mezzo dopo
aver venduto la sua biblioteca e gli archivi dei documenti manoscritti alla
ditta del libraio/editore di Francoforte Joseph Baer, Gualandi fece scrivere al
conte Revedin da un amico di Ferrara, che semplicemente si siglò e che non sono
stato in grado di identificare. Nella lettera si proponeva al conte, che si era
visto annullare l’acquisto della raccolta Zambeccari (una vicenda che abbiamo
già raccontato e che si era trascinata per tantissimi anni [89]), di comprare
la collezione Gualandi, non di molto inferiore (stando allo scrivente) a quella
a cui aveva dovuto rinunciare [90]. Non se ne fece nulla.
Due anni dopo venne stampato un
fascicolo dal titolo eloquente: Collezione del cavaliere Michelangelo
Gualandi di pitture, disegni, album, stampe, incisioni, rami incisi, sculture,
oggetti antichi e diversi esistenti nella Via S. Felice N. 65 (1° Piano) in
Bologna. Vendita quotidiana dalle 12 meridiane alle 2 pomeridiane, Bologna,
Tipografia militare, 1886, che presentava un sommario inventario in cui i
numeri erano però ridimensionati rispetto a quanto dichiarato da Gualandi
nell’autobiografia (i quadri, ad esempio, sono 266). Siamo, chiaramente, ai
saldi finali. Michelangelo Gualandi morì il 19 giugno 1887. Con atto n. 2880
del 13 settembre 1887 del notaio Giovanni Pradella si apriva la successione a
vantaggio dei quattro nipoti del defunto: è presentato un inventario piuttosto
generico che quantifica in 247 il numero dei dipinti che entra a far parte
dell’asse ereditario. Nulla sappiamo delle modalità con cui la raccolta fu
dispersa e di chi furono gli acquirenti. Il nome di Michelangelo Gualandi si
perde nel silenzio e nell’oblio a cui lo condannò una vita troppo lunga.
NOTE
[1] Archivio della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna,
in deposito presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Carte di
Michelangelo Gualandi, busta 131 fasc. 14, «Alcune notizie intorno Michelangelo Gualandi
di Bologna».
[2] M. Gualandi, Memorie
originali italiane risguardanti le belle arti. Sei serie, Bologna,
1840-1845 (ma 1846).
[3] Nuova raccolta di
lettere sulla pittura, scultura ed architettura: scritte da più celebri
personaggi dei secoli XV. a XIX / con note e illustrazioni di Michelangelo
Gualandi; in aggiunta a quella data in luce da Bottari e dal Ticozzi, tre
volumi, Bologna 1844-1856.
[4] Carteggio inedito
d’artisti dei secoli XIV. XV. XVI pubblicato ed illustrato con documenti pure
inediti dal Dott. Giovanni Gaye, tre volumi, Firenze, 1839-1840.
[5] Le vicende degli archivi Gualandi sono
complicate e, per molti versi, ancora da chiarire. Spero di avere la
possibilità di farlo in futuro. Qui riassumo: nel maggio 1882, a ottantanove
anni, Michelangelo Gualandi vendette tutta la sua biblioteca e i materiali
archivistici (compresa la corrispondenza) al libraio di Francoforte Joseph
Baer. Difficile seguire da qui in poi la dispersione di libri e manoscritti.
Secondo il Report of the Librarian of Congress and Report of
the Superintendent of the Library Building and Grounds for the Fiscal Year
Ending June 30, 1914, Washington, Government Printing Office, 1914, p.
35 «in
November [n.d.r. si suppone del 1913] was added a collection of 1,557 volumes
and pamphlets (bound in 199 volumes) relating to the arts and artist of Italy
gathered together by Michelangelo Gualandi» (si presume che l’acquisto sia stato fatto rivolgendosi a Baer). I
volumi furono probabilmente assorbiti nella collezione della biblioteca, mentre
i ‘pamphlets’ furono classificati in un’unica scheda nell’Old Catalog della Library
of Congress. Non ho però maggiori informazioni su loro contenuto. Non tutti i
manoscritti appartenuti o di cui Gualandi fu autore furono ceduti a Baer. A
Bologna esistono tre distinti nuclei archivistici con sue carte. Quello della Deputazione
di Storia Patria per le province di Romagna (vedi nota 1, buste 130 e 131) è
senza dubbio il più organico, perché contiene carte personali (a cominciare
dalla già citata autobiografia) che furono trattenute dall’erudito bolognese,
riordinate dallo stesso Gualandi dopo la vendita a Baer e cedute alla
Deputazione. Da segnalare in particolare che nella busta 130, fasc. 4 è
contenuta la rubrica dei corrispondenti di Gualandi (oltre seicento) con
l’esplicita indicazione che il carteggio è stato ceduto a Baer: «Carteggio particolare per
molti anni di Uomini distinti, Artisti e Negozianti con Michelangelo Gualandi.
Fa parte della vendita della Libreria fatta ai noti Librai di Francoforte Gius.
Baer e Comp». Gli altri archivi si trovano presso l’Archiginnasio di Bologna (si veda
http://badigit.comune.bologna.it/fondi/fondi/257.htm) e presso il fondo Ambrosini della
Fondazione Carisbo di Bologna. Non è noto quando Raimondo Ambrosini (1855-1914)
entrò in possesso delle carte Gualandi, se le acquistò o ricevette in dono
dallo stesso o successivamente (magari da Baer). La Raccolta di opere riguardanti
Bologna nella biblioteca di Raimondo Ambrosini (Bologna, A. Garagnani,
1906) elenca, fra gli altri, tutti i documenti appartenuti a Gualandi esistenti
nella collezione, ma non è del tutto attendibile, perché Lorenzo Ambrosini,
figlio di Raimondo, dopo la morte del padre ne alienò una parte per problemi di
natura economica, salvo finire per venderne il grosso alla Cassa di Risparmio
di Bologna nel 1948. Il Fondo Ambrosini
non è ancora schedato informaticamente, motivo per cui la reale consistenza dei
documenti appartenuti a Gualandi che ne fanno parte è desumibile solo tramite
la consultazione del catalogo cartaceo. Ciò che è certo, comunque, è che buona
parte del materiale manoscritto facente parte della vendita del 1882 a Joseph
Baer rimase presso l’editore fino alla cessazione dell’attività del medesimo,
nel 1938. Quando e con quali modalità
(se cioè al momento della chiusura o in seguito ai bombardamenti della Seconda guerra
mondiale) il materiale residuo sia finito presso la biblioteca universitaria
Johann Christian Senckenberg di Francoforte è circostanza che ignoro. La
biblioteca ha provveduto a rendere disponibili online alcuni dei manoscritti
appartenuti o scritti da Gualandi, ma solo di recente il riesame del materiale
ha permesso di capire che comprende anche tutta (o quasi) la corrispondenza e i
documenti amministrativi del bolognese. Il materiale è in fase di riordino, con
la speranza che possa essere presto consultabile al pubblico.
A complicare ulteriormente le cose va detto che Gualandi, prima di vendere a Baer, regalò almeno in una circostanza sue carte all’amico veneziano Andrea Tessier (e non si può escludere che abbia fatto qualcosa del genere con altri). È il caso del Ms. Codex 471 dell’Università della Pennsylvania che si intitola «Documenti artistici di scuola ferrarese, parte originali, parte copie [del Arch. comunale e Arch. notarile di Ferrara], e fac-simile, mandati in dono in più volte da Luigi Napoleone Cittadella, ora 1862 bibliotecario del comune, a Michelangelo Gualandi» (materiale non consultato), donato a Tessier nel 1881.
[6] Per motivi che ignoro, in molti repertori internazionali, Gualandi risulta essere nato nel 1793 e morto nel 1865 (curiosamente gli stessi anni di nascita e morte di Charles L. Eastlake). Gualandi si chiamava Angelo Michele, come il nonno. Per distinguersene, cominciò sin da giovane a farsi chiamare Michelangelo. Ed è così (o come Michele Angelo) che lo si trova sempre citato, persino sulla lapide della sua tomba, presso la Certosa di Bologna. Va detto, infine, che bisogna stare attenti a non confondere Michelangelo Gualandi con l’avvocato Angelo Gualandi (nemmeno parente), nato nel 1828 e morto nel 1903, anch’egli storico ed erudito bolognese.
[7] Gualandi spese tutta la vita nel cercare di costruire un nesso fra la sua famiglia e antenati di alto lignaggio. Si tratta di un costume piuttosto frequente all’epoca, ma che senza dubbio, nel caso specifico, tradisce un senso di inferiorità nei confronti degli ambienti dell’erudizione italiana, composti per lo più da esponenti di famiglie aristocratiche. Si vedano ad esempio i fascicoli 2 e 3 della busta 130 delle carte Gualandi nell’Archivio della Deputazione di Storia Patria, che si intitolano rispettivamente «Alberi della famiglia Gualandi venuti da Pisa e loro diramazioni in Romagna ed altrove. Stemmi blasonici» e «Notizie intorno la famiglia Gualandi di Pisa e Gualandi di Bologna sino dal 12° secolo». Non a caso la sua autobiografia è preceduta dall’esergo «Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi» (verso tratto dalla Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII). I Gualandi citati da Dante erano appunto un’antica famiglia pisana.
A complicare ulteriormente le cose va detto che Gualandi, prima di vendere a Baer, regalò almeno in una circostanza sue carte all’amico veneziano Andrea Tessier (e non si può escludere che abbia fatto qualcosa del genere con altri). È il caso del Ms. Codex 471 dell’Università della Pennsylvania che si intitola «Documenti artistici di scuola ferrarese, parte originali, parte copie [del Arch. comunale e Arch. notarile di Ferrara], e fac-simile, mandati in dono in più volte da Luigi Napoleone Cittadella, ora 1862 bibliotecario del comune, a Michelangelo Gualandi» (materiale non consultato), donato a Tessier nel 1881.
[6] Per motivi che ignoro, in molti repertori internazionali, Gualandi risulta essere nato nel 1793 e morto nel 1865 (curiosamente gli stessi anni di nascita e morte di Charles L. Eastlake). Gualandi si chiamava Angelo Michele, come il nonno. Per distinguersene, cominciò sin da giovane a farsi chiamare Michelangelo. Ed è così (o come Michele Angelo) che lo si trova sempre citato, persino sulla lapide della sua tomba, presso la Certosa di Bologna. Va detto, infine, che bisogna stare attenti a non confondere Michelangelo Gualandi con l’avvocato Angelo Gualandi (nemmeno parente), nato nel 1828 e morto nel 1903, anch’egli storico ed erudito bolognese.
[7] Gualandi spese tutta la vita nel cercare di costruire un nesso fra la sua famiglia e antenati di alto lignaggio. Si tratta di un costume piuttosto frequente all’epoca, ma che senza dubbio, nel caso specifico, tradisce un senso di inferiorità nei confronti degli ambienti dell’erudizione italiana, composti per lo più da esponenti di famiglie aristocratiche. Si vedano ad esempio i fascicoli 2 e 3 della busta 130 delle carte Gualandi nell’Archivio della Deputazione di Storia Patria, che si intitolano rispettivamente «Alberi della famiglia Gualandi venuti da Pisa e loro diramazioni in Romagna ed altrove. Stemmi blasonici» e «Notizie intorno la famiglia Gualandi di Pisa e Gualandi di Bologna sino dal 12° secolo». Non a caso la sua autobiografia è preceduta dall’esergo «Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi» (verso tratto dalla Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII). I Gualandi citati da Dante erano appunto un’antica famiglia pisana.
[8] In Archivio Dep. Storia
Patria, carte Gualandi, busta 130 fascicolo 6 («Ben-serviti commerciali, che
civili, che militari…») Michelangelo risulta essere stato al servizio del
banchiere bolognese (ma oriundo francese) Luigi Couderc dal 1807 al 1813,
tenendo «scrittura
doppia in lingua francese, e la corrispondenza»; far parte dell’armata
napoleonica in Italia in qualità di «aggiunto alla Cassa»
nel 1814; essere in trattativa con una società svizzera per la gestione degli
affari di sbarco/imbarco della medesima presso il porto di Livorno nel 1818; e,
infine, è nominato il 13 marzo 1820 procuratore generale in Italia del negoziante
bolognese (anch’egli di chiare origini francesci) Nicodemo Laplanche.
[9] L’Università di
Francoforte (come già accennato) ha reso disponibili online alcuni dei
manoscritti di Gualandi ai suoi tempi ceduti al libraio Joseph Baer. Fra
questi, sono visionabili i manoscritti pronti per la stampa di quattro delle
sei serie delle Memorie originali italiane risguardanti le belle arti.
Su questi esemplari Michelangelo eseguì le ultimissime correzioni, e lo fece
incollando ai manoscritti pezzi di carta che sul retro risultano già essere
stati utilizzati (la carta costava e non andava sprecata). Nel manoscritto
relativo alla Serie Prima, è inserita appunto una correzione sul cui retro è
riportata la prima parte della lettera in questione. Si veda Ms. lat. qu 97
Bd1 http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222503, c. 213b.
[10] Si tratta di due
lunette originariamente nella cappella della SS. Vergine della Cattedrale di
Imola. I due affreschi furono trasportati su tela nel 1774 in coincidenza con
la demolizione del duomo imolese che venne poi ricostruito secondo un nuovo
progetto. Gualandi li acquistò dalla famiglia Dalla Volpe nel 1824. Si veda G.
Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori. Mary P. Merrifield.
Lettere dall’Italia 1845-1846, Milano, Officina Libraria, 2018, p. 158 nota
8.
[11] Da notare che la copia
consultabile su Internet tramite Google Books riporta, nel contropiatto,
assieme a una segnatura G47 la frase (probabilmente scritta da Andrea Tessier):
«L’Editore, e in parte autore, è Michelangelo Gualandi». La copia è custodita
nell’Università della Pennsylvania (si veda la fine di nota 5).
[12] M. Gualandi, Memorie
originali italiane… cit., Serie Prima, p. 48 nota 3: «Questa
bella pittura di mezzana grandezza [n.d.r. una Cacciata di Adamo ed Eva dal
Paradiso terrestre di Francesco Albani dipinta fra 1647 e 1649) passò
nell’indicato anno 1828 in proprietà di Mr. Park inviato dalla Gran Bretagna,
ed indefesso ricoglitore di opere d’arti [n.d.r. sic] italiane. Alla sua
partenza quel quadro, che aveva patito qualche ingiuria, passò coll’acquirente
in Inghilterra.»
[13] Via dei Libri
corrisponde all’attuale Via Farini. Si segnala che il locale si trovava di
fronte al Caffè della Barchetta, all’epoca noto ritrovo di liberali e massoni.
[14] La relativa
documentazione originale (accompagnata da una nutrita raccolta di giornali
rivoluzionari) è conservata nel Fondo speciale Avvisi, notificazioni e documenti
del periodo 1831-1832 in Archiginnasio, a Bologna, (http://badigit.comune.bologna.it/fondi/fondi/257.htm).
Mi limito a far presente che, fino alla caduta dello Stato Pontificio, si
trattava di materiale scottante, che Gualandi conservò egualmente a suo rischio
e pericolo.
[15] A. Sorbelli (a cura
di), Libro dei compromessi politici nella rivoluzione del 1831-32,
Roma-Vittoriano, 1935, p. 73.
[16] C. Manelli, E.
Bonvicini, S. Sarri, La massoneria a Bologna dal XVIII al XX secolo, Bologna,
1986. Consultata la versione in ebook del 2014, senza indicazione pagina.
[17] Archivio Deputazione
Storia Patria, Carte Gualandi, busta 141 fasc. 14, «Alcune notizie intorno
Michelangelo Gualandi di Bologna», c. 5.
[18] Archivio Deputazione
Storia Patria, Carte Gualandi, busta 130 fasc. 5, «Concorso d’Ispettore
dimostratore al Cimitero Comunale», sub-fascicolo «Appello
di Michelangelo Gualandi all’Illustrissima Magistratura, all’Eccellentissimo
Arringatore, all’Illustrissimo Consiglio nella prossima nomina l’Ispettore
Custode del Cimitero Comunale di Bologna» in data 13 ottobre 1845. Da notare
che nello stesso fascicolo si trova un certificato a firma di tre pubblici
ragionieri bolognesi (sempre in data 1845) in cui si asserisce di aver
verificato che Gualandi conosce perfettamente la scrittura a partita doppia, e
che la usa con particolare perizia nell’esercizio di attività legate alle
agenzie commerciali.
[19] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio, Fondo Speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1 Sono
conservate quarantacinque lettere di Gualandi allo scultore in occasione di
viaggi o permanenze del medesimo a Milano e a Roma (1837 e 1839). La cattedra
del nuovo Professore di Pittura era, in realtà, contesa fra Clemente Albèri,
figlio del precedente titolare, Lucchini e l’anziano Giuseppe Guizzardi. Cfr.
Gian Piero Cammarota, Le origini della pinacoteca nazionale di Bologna. Una
raccolta di fonti. Vol. II. Dalla rifondazione all’autonomia (1815-1907),
Bologna, Minerva, 2004, p. 55. La candidatura Masini, caldeggiata da Gualandi,
ma mai formalizzata, era, evidentemente, assai precoce e soprattutto mancava di
uno sponsor importante: Gualandi all’epoca non aveva alcun incarico all’interno
dell’Istituto, di cui divenne membro onorario solo nel novembre 1846. Sorprende
tuttavia la familiarità con gli ambienti accademici, che gli permiss di inviare
a Baruzzi resoconti dettagliati delle adunanze dell’Istituto in tempi
strettissimi.
[20] Si veda Biblioteca
Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte, Ms. lat. qu. 97 Bd.
2
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222521#dcId=1571239300277&p=1, c. 380b.
[21] Si veda Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte, Ms. lat. qu. 97 Bd. 1
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222503#dcId=1571239300277&p=1 c. 276.
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222521#dcId=1571239300277&p=1, c. 380b.
[21] Si veda Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte, Ms. lat. qu. 97 Bd. 1
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222503#dcId=1571239300277&p=1 c. 276.
[22] Una cosa è certa: sia
la sede di Palazzo Zambeccari a S. Paolo sia quella di Palazzo Fava (dove
Michelangelo ebbe in affitto fino al 1857 i locali affrescati dai Carracci con
il ciclo di Giasone e Medea) eranodi estremo prestigio. La raccolta di quadri
della famiglia Zambeccari era famosissima e occupava il piano nobile del
palazzo di proprietà. A renderla particolare era il fatto che due generazioni
successive, ovvero quelle di Francesco (morto nel 1767) e del figlio Giacomo
(scomparso nel 1795) si erano esplicitamente adoperate perché la collezione
rimanesse intatta e fosse fruibile a bolognesi e forestieri. Di fatto, con le
disposizioni testamentarie di Giacomo, la collezione Zambeccari assumeva una
natura ibrida, in cui la proprietà privata trovava una limitazione a garanzia
del godimento del pubblico. A memoria della circostanza, lo stesso Giacomo
aveva fatto scolpire una lapide sulla facciata del palazzo in cui ricordava che
la pinacoteca era destinata ad bonorum artium patriaeque utilitatem. In
realtà, le cose andarono diversamente (almeno in parte): il declino economico
che, nel corso dell’Ottocento, colpì gli Zambeccari come quasi tutte le altre
famiglie nobili bolognesi, nonché l’incuria degli eredi, fecero sì che la
collezione fosse privata di diverse opere vendute all’estero (e Gualandi ebbe
un ruolo in tutto ciò). L’Unità d’Italia coincide, grosso modo, con
l’estinzione del ramo della famiglia. Ciò che rimase della collezione fu
venduto al marchese Ferdinando Bevilacqua Ariosti nel 1867 e, quattro anni
dopo, passò in mano al conte Giovanni Revedin. Ma qui scattò un caso
giudiziario che si trascinò per anni: facendo riferimento alle disposizioni
testamentarie di Giacomo, e alle testimonianze scritte e orali, si stabilì che
la vendita era nulla e che la raccolta doveva mantenere la fruibilità pubblica
delle opere. La collezione Zambeccari fu aggregata alla Pinacoteca di Bologna
nel 1884. Tutt’ora la quadreria Zambeccari fa parte del patrimonio della Pinacoteca; la collezione è
visitabile presso il piano nobile di Palazzo Pepoli Campogrande. Si veda G.P.
Cammarota, Le origini della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Una raccolta di
fonti. Vol. III: La collezione Zambeccari, Bologna, Minerva, 2000.
[23] Non esiste, purtroppo,
uno studio sui banchieri privati a Bologna nell’Ottocento. Una lista dei
banchieri privati bolognesi compare in Elenco classificato per ordine
alfabetico delli signori banchieri – fabbricatori – negozianti qualunque e
principali artieri […] della città di Bologna e suoi sobborghi…,
Bologna, Pei Tipi delle Muse in S. Mammolo, 1845. Su Perotti mi permetto di
rinviare ad alcune brevi note in G. Mazzaferro (a cura di), La donna che
amava i colori. Mary P. Merrifield. Lettere dall’Italia 1845-1846, Milano,
Officina Libraria, 2018 e ad alcune citazioni in Cammarota, Le origini della
Pinacoteca… Vol. II Dalla rifondazione… cit.
[24] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio, Fondo Speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1, lettera del
15 aprile 1839.
[25] Vedi G. Mazzaferro (a
cura di), La donna che amava i colori… cit., pp. 146 sgg.
[26] Vedi nota 10.
[27] Vedi G. Mazzaferro (a
cura di), La donna che amava i colori… cit., pp. 173 e 179.
[28] G.P. Cammarota, Le
origini della Pinacoteca Nazionale… Vol. III La collezione Zambeccari…
cit., p. 317 nota 183.
[29] G.P. Cammarota, Le
origini della Pinacoteca Nazionale… Vol. III La collezione Zambeccari…
cit., p. 88 nota 10.
[30] L. Scarabelli, Alcuni
quadri di Michelangelo Gualandi in Bologna, Piacenza, 1843. Consultabile
online all’indirizzo http://badigit.comune.bologna.it/books/sol/59040_INV.pdf.
[31] Fra i quadri, vale la
pena citare il Ritratto di Domenico Marini (famoso giocatore di pallone
romano), opera di Karl Bryullov (1799-1852), un pittore neoclassico russo a
lungo vissuto in Italia. Il quadro è oggi conservato al Museo di Belle Arti di Novgorod.
Sul sito della Presidential Library russa è oggi reperibile una scheda dell’opera
redatta dal bolognese in data ignota: https://www.prlib.ru/en/node/465668?mode=archive.
[32] A questo proposito
vale la pena riportare quanto scrisse Otto Mündler nei suoi diari visitando
nell’agosto del 1856 la collezione del «Ragioniere di Casa Buschi [n.d.r ma Boschi]. This amateur has some
really good pictures, but mostly of the Carraccis and their school, Guercino da
Cento etc.». Si veda The Travel Diaries of
Otto Mündler 1855-1858, edited and indexed by Carol
Togneri Dowd, introduction by Janyie Anderson, The Walpole Society, 1985, cit.,
p. 117.
[33] Si veda S. Avery-Quash
e Christian Meyer (a cura di), London and the Emergence of a European Art
Market, 1780-1820, Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019.
[34] A puro titolo di
esempio, si pensi che in provincia di Bologna, nei decenni centrali
dell’Ottocento, si formarono due grandi latifondi terrieri: il primo è quello
del romano Alessandro Torlonia (1800-1886), il secondo quello del genovese (ma
a lungo abitante a Parigi) Raffaele De Ferrari (1803-1876). In entrambi i casi
a essere esautorate furono le ‘tradizionali’ famiglie nobili bolognesi. Su
Torlonia (che al momento della morte era proprietario di 5.300 ettari di
terreni bolognesi) si veda L. Govoni e L. Vittori, I Torlonia in Romagna e
nel Bolognese. Formazione e declino di un grande patrimonio fondiario in La
proprietà fondiaria in Emilia-Romagna, Bologna, Zanichelli, 1984, vol. IV,
pp. 15 sgg, Raffaele De Ferrari, il cui primo acquisto nel bolognese (il Ducato
di Galliera) si spiega solo con la volontà di passare da marchese a duca, nel
1876 possedeva 5.700 ettari. Si veda G. Mazzaferro, Un finanziere di rango
europeo a San Giovanni in Persiceto. Le tenute acquistate da Raffaele De
Ferrari (1833-1876) in Strada maestra. Quaderni della Biblioteca
comunale G.C. Croce di San Giovanni in Persiceto, 34 (1° semestre 1993),
pp. 71-93.
[35] Sull’argomento si
consulti A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni
artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860, Bologna,
Edizioni Alfa, 1978.
[36] [M. Gualandi], Dell’Esposizione di Belle
Arti in Bologna nel 1835 e pochi cenni su quella di Milano, Firenze,
Tipografia All’Insegna di Dante, 1835; [M. Gualandi], Dell’Esposizione di
Belle Arti in Bologna nel 1836, Firenze, Tipografia di Gius. Galletti,
1836; [M. Gualandi], Sulle Esposizioni di Belle Arti in Bologna nel 1837.
Lettere ad Epifanio Fagnani di Mortara, Firenze, Coi tipi della Galileiana,
1838. La serie ebbe una continuazione ad anni di distanza con [M. Gualandi], Esposizione
di Belle Arti in Bologna nel 1844, Bologna, Tipografia Sassi, 1844.
[37] Sulla contrapposizione
(che nel caso di Gualandi divenne quasi una convivenza) fra tradizione
ecfrastica letteraria e filone di ricerca documentaria toscana si veda, ad
esempio, D. Levi, Cavalcaselle, Il pioniere della conservazione dell’arte
italiana, pp. XXVI-XXVII. Inoltre è impossibile non rimandare a P. Barocchi
(a cura di), Gli scritti d’arte dell’Antologia di G.P.Viesseux 1821.1833,
Firenze, S.P.E.S. Studio per Edizioni Scelte, 6 volumi, 1975-1979. Non
risultano contributi di Gualandi per l’Antologia Viesseux. L’erudito fu
invece Socio corrispondente dell’Archivio Storico Italiano dal 1842.
L’Archivio della Fondazione Carisbo a Bologna conserva un fascicolo nel Fondo
Ambrosini (Ambr. C. XII op. 538) intitolato «Invii fatti alla Società
dell’Archivio Storico Italiano in Firenze» in cui Gualandi inserì copia
del materiale spedito appunto a Firenze (nell’agosto 1841, giugno 1842 e maggio
1843) con una postilla eloquente aggiunta attorno al 1870: «Non
n’ebbi in cambio che vergognosa ingratitudine».
[38] M. Gualandi, Memorie
originali italiane… cit., Serie Prima, p. 1.
[39] Archivio Deputazione
Storia Patria, Carte Gualandi, busta 13° fasc. 7, «Diplomi accademici inviati a
Michelangelo Gualandi di Bologna».
[40] Fu
lo stesso Gualandi a esplicitare che l’autore della recensione è Carlo Pepoli,
facendo stampare sui due contropiatti della Serie Terza la lista dei riscontri
a stampa avuti dalla sua opera. Il bolognese Carlo Pepoli (1796-1881), primo
sindaco della città dopo l’Unità d’Italia, fu uno dei nove attivisti felsinei
dei moti rivoluzionari del 1831 a non essere amnistiati nel 1832 e, quindi, a
restare in esilio fino al 1859. A Londra, Pepoli visse oltre vent’anni,
insegnando lingua e letteratura italiana all’Università. Mi pare un
classico esempio di reciproco sostegno fra due persone che, in realtà, si conoscevano
bene e avevano le stesse idee (anche Pepoli era liberale e massone).
[41] E.K. Guhl, Künstler-Briefe,
Tomo I, Berlino, T. Trautwein’sche Büch und Musikalienhandlung, 1853; Tomo II,
Berlino, Guttenberg, 1856.
[42] Si noti, per inciso,
che, all’interno del necrologio di Liverati, pubblicato su Archivio storico
italiano. Appendice. Tomo I, 1844, p. 361, Carlo Milanesi scrisse: «Frutto
di questo suo zelo [n.d.r. si riferisce a Liverati] fu, tra le altre, la
cooperazione di Michelangelo Gualandi, suo compatriotta ed amico, benemerito
quant’onesto uomo, il quale fu tra’ primi a mandarci note ed estratti di
manoscritti e documenti storici dalla sua patria Bologna». Vedi anche nota 37.
[43] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 15
dicembre 1855.
[44] Cfr. nota 30.
[45] Lettera di mia
proprietà, acquisita sul mercato antiquario.
[46] Dell’opera,
probabilmente del solo Bartolomeo Cesi, ma assegnata dai tre professori in
questione in solido a Cesi e Agostino Carracci, non si ha alcuna notizia dopo
la stampa dell’opuscolo. Cfr. M. Preti Hamard, Ferdinando Marescalchi
(1754-1816). Un collezionista italiano nella Parigi napoleonica, Bologna,
Minerva, 2005, vol. I, p. 102 nota 25.
[47] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio
Bologna, Fondo speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1, lettera del 29 maggio
1837.
[48] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Pelagio Palagi, Cartone X, lettera
31 del 2 maggio 1837.
[49] Secondo Janye
Anderson, Eastlake e Gualandi si conobbero già nel 1842. In proposito l’autrice
cita una lettera del 10 ottobre 1842 in cui Gualandi scrisse al marchese
Costabili dicendo che il 4 dello stesso mese aveva visitato la collezione del
nobile ferrarese assieme a Eastlake, sua moglie, e Otto Mündler;
allega alla lettera una richiesta di prezzi per alcune opere. Si vedano The
Travel Diaries of Otto Mündler 1855-1858, cit. p. 9. La
questione mi pare di facile risoluzione: Anderson è caduta in un infortunio e
ha interpretato male la data della lettera (che ho visto personalmente), che è
10 ottobre 1862 (ricordo che Eastlake ed Elizabeth Rigby si sposarono nel 1849,
e quindi è impossibile che nel 1842 viaggiassero insieme). L’errore non è stato
recepito da Susanna Avery-Quash in S. Avery-Quash e J. Sheldon, Art for the
Nation. The Eastlakes and the Victorian Art World, Londra, The National
Gallery, 2011. Purtroppo è invece stato accolto acriticamente nel mondo
scientifico italiano, generando confusione soprattutto sui tempi di dispersione
della raccolta ferrarese. Si vedano L. Majoli e O. Orsi, La collezione
Costabili: formazione, vendita e dispersione in E. Mattaliano, La
collezione Costabili, Venezia, Marsilio, 1998, p. 21.
[50] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 25
ottobre 1855.
[51] C.L. Eastlake, Materials
for a History of Oil Painting, Londra, Longman, Brown, Green and Longmans,
1847.
[52] Notizie e pensieri
sopra la storia della pittura ad olio di Charles L. Eastlake […] tradotti
dall’inglese da Giovanni A. Bezzi, Livorno-Londra, Pietro Rolandi, 1849.
[53] G. Mazzaferro (a cura
di), La donna che amava i colori… cit., p. 159.
[54] Ibidem, pp. 195-198.
[55] G.M. Green, Catalogue
of the Eastlake Library in the National Gallery, London, Printed by George
E. Eyre and William Spottiswoode, 1872. La trascrizione moderna del catalogo (a
cura di S. Avery-Quash) è consultabile sul sito della Fondazione Memofonte
all’indirizzo http://www.memofonte.it/home/files/pdf/EASTLAKE_S_LIBRARY.pdf.
[56] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 15
gennaio 1855.
[57] M. Gualandi (a cura
di), Nuova raccolta di lettere… cit., vol. III, p. 324.
[58] Ferrara, Musei di Arte
Antica, Archivio Medri, carta sciolta. La collezione Costabili è stata una
delle più importanti raccolte private d’arte primitiva ferrarese. Raggiunto
l’apice del suo splendore nella prima metà dell’Ottocento, fu progressivamente
smembrata per le difficoltà finanziarie della famiglia fino a essere totalmente
dispersa nel 1884. Si può senz’altro definire deleteria (anche se
comprensibile, qualora la si contestualizzi nel momento storico ed economico)
la scelta del Municipio di Ferrara di non acquistarla nella sua integrità
quando (1856) il marchese Giovanni la offrì in vendita, biblioteca compresa,
dando dimostrazione di una sensibilità che mi pare non gli sia stata
riconosciuta dagli studiosi moderni. Si veda in proposito A. Colombi Ferretti, Presentazione
in E. Mattaliano, La collezione Costabili…
cit., p. 9. Va peraltro detto che, probabilmente, il già citato erroneo
spostamento della data della lettera del Gualandi dal 1862 al 1842 (cfr. nota
49) ha portato a credere che il nobile ferrarese avesse già provveduto ad
alienazioni, mentre appare ora chiaro che, per prima cosa, si rivolse nel 1856
al Comune per mantenere integra (e far diventare pubblica) la raccolta.
[59] L’unico quadro
attribuito a Marco Zoppo descritto da Eastlake, a fine agosto 1858, è il
seguente: «No. 21 – called Marco Zoppo – St.
Dominick as the institutor of the Rosary – The St standing holds an open book
with his left hand (the fingers naturally disposed among the leaves as if
marking several texts – the imitation of the foreshortened leaves & of the
printing or MS. excellent). He points with his right to a Rosary suspended from
a rod crossing the picture behind the St. a similar rosary hangs from the rod
on his left side but is there partly concealed by the book – the rosary
consists of red & glass beads & through the latter is seen a
[[the]] red string which connects them» (S. Avery-Quash, The Travel
Notebooks… cit., p. 417). Si tratta per l’appunto del quadro oggi
attribuito a Francesco del Cossa con NG597 (il santo raffigurato è divenuto S.
Vincenzo Ferrer) e ritenuto il pannello centrale del Polittico Griffoni un
tempo in S. Petronio, a Bologna. Più tardi, nell’agosto dell’anno successivo,
Eastlake visitò Berlino e vide la Madonna con santi e bambino oggi allo
Staatliche Museum (N. inv. 1170). In merito scrisse: «A large signed
altarpiece by Marco Zoppo leaves no doubt whatever that the picture ascribed to
that master in the National Gallery is correctly named. The style of the
drapery in the Berlin picture, the rocky & sharply finished landscape
background & architectural details, & even the festoons of red
beads passing behind the central figure (the subject is the enthroned Madonna
surrounded by Saints) all strikingly resemble the fine specimen from the
Costabile collection & now in the N. Gallery» ((S. Avery-Quash, The Travel Notebooks… cit., p. 485). A
questo punto temo di dover segnalare un errore (uno dei pochissimi)
nell’edizione dei taccuini curata da Susanna Avery-Quash. All’epoca c’era un
unico quadro nel museo ritenuto di Zoppo ed era appunto l’NG597. Nel 1857 era
sì stato comprato un quadro raffigurante una Pietà con S. Giovanni Battista
e S. Giuseppe di Arimatea (NG590), ma era attribuito a Cosmè Tura, e la
paternità di Marco Zoppo fu un’acquisizione successiva. Il quadro proveniva
dalla collezione Lombardi-Baldi di Firenze ed era appartenuto in precedenza al
prof. Rosini. Quando Eastlake, a Berlino, fece riferimento all’opera di Zoppo
in National Gallery stava parlando quindi dell’NG597 e non dell’NG590, come si
dice nell’edizione moderna dei taccuini del Direttore (v. I, p. 498 nota 4). È evidente
peraltro che, in base alla descrizione, il quadro è l’N597: nell’N590, infatti,
non c’è uno sfondo roccioso, né un filo di perle che passa dietro alla figura
centrale. Il Descriptive and Historical Catalogue of the Pictures in The
National Gallery: with Biograpichal Notices of the Painters. Foreign Schools,
by Ralph N. Wornum, Londra, 1863 chiarisce poi (a p. 260) che il quadro era
stato comprato dalla collezione Costabili nel 1858. Sempre la consultazione del
medesimo catalogo permette poi (a p. 125) di capire che l’altra opera comprata
dalla medesima collezione e spedita da Gualandi nell’autunno 1858 era un San
Francesco in gloria attribuito a Filippino Lippi e, oggi, a Botticelli
(NG598). Del quadro Eastlake parlò nel diciottesimo dei suoi taccuini (31
agosto 1858, v. I, p. 423 dell’edizione Avery-Quash).
[60] Questo passaggio mi permette di affrontare una questione che solo marginalmente riguarda il rapporto Eastlake-Gualandi, ma che è comunque importante sotto un profilo storico-commerciale. Recentemente alcuni stimabilissimi studiosi hanno cercato di quantificare i flussi di opere d’arte diretti in Inghilterra dagli Stati italiani di antico regime facendo ricorso all’esame dei registri delle dogane inglesi al momento dello sbarco delle merci. L’idea mi sembra affascinante. Si veda C. Guerzoni, The Export of Works of Art from Italy to the United Kingdom, 1792-1830 in S. Avery-Quash e C. Huemer (a cura di), London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820, Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019. Eppure, si impone un’osservazione: i dati delle importazioni dallo Stato Pontificio si dimostrano estremamente bassi (nessuna opera spedita in Inghilterra nel 1821, 1822, 1824, 1825, 1826, 1827, 1829, 1830, 1831, 1834, 1835, 1836 e 1838 per limitarsi al ventennio 1820-1840), mentre altissimi sono quelli del Granducato di Toscana (in media più di un migliaio di dipinti all’anno). È senz’altro vero che questa situazione riflette due diversi ordinamenti giuridici a tutela del patrimonio, ma faccio presente che a spiegare questi numeri non è tanto l’efficacia dell’editto Pacca, quanto il fatto che i quadri dello Stato Pontificio venivano normalmente spediti dal porto di Livorno, dove la presenza della logistica inglese era preminente. Nel caso bolognese, poi, è un dato acquisito che il porto utilizzato per le esportazioni era normalmente Livorno e non quello di Ancona (si veda, per l’esportazione della canapa, L. Dal Pane, Economia e società a Bologna nell’età del Risorgimento, 1° ed Zanichelli 1969, 2° ed. Editrice Compositori 1999, p. 341).
[60] Questo passaggio mi permette di affrontare una questione che solo marginalmente riguarda il rapporto Eastlake-Gualandi, ma che è comunque importante sotto un profilo storico-commerciale. Recentemente alcuni stimabilissimi studiosi hanno cercato di quantificare i flussi di opere d’arte diretti in Inghilterra dagli Stati italiani di antico regime facendo ricorso all’esame dei registri delle dogane inglesi al momento dello sbarco delle merci. L’idea mi sembra affascinante. Si veda C. Guerzoni, The Export of Works of Art from Italy to the United Kingdom, 1792-1830 in S. Avery-Quash e C. Huemer (a cura di), London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820, Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019. Eppure, si impone un’osservazione: i dati delle importazioni dallo Stato Pontificio si dimostrano estremamente bassi (nessuna opera spedita in Inghilterra nel 1821, 1822, 1824, 1825, 1826, 1827, 1829, 1830, 1831, 1834, 1835, 1836 e 1838 per limitarsi al ventennio 1820-1840), mentre altissimi sono quelli del Granducato di Toscana (in media più di un migliaio di dipinti all’anno). È senz’altro vero che questa situazione riflette due diversi ordinamenti giuridici a tutela del patrimonio, ma faccio presente che a spiegare questi numeri non è tanto l’efficacia dell’editto Pacca, quanto il fatto che i quadri dello Stato Pontificio venivano normalmente spediti dal porto di Livorno, dove la presenza della logistica inglese era preminente. Nel caso bolognese, poi, è un dato acquisito che il porto utilizzato per le esportazioni era normalmente Livorno e non quello di Ancona (si veda, per l’esportazione della canapa, L. Dal Pane, Economia e società a Bologna nell’età del Risorgimento, 1° ed Zanichelli 1969, 2° ed. Editrice Compositori 1999, p. 341).
[61] Ferrara, Musei di Arte
Antica, Archivio Medri, carta sciolta.
[62] Jaynie Anderson, The Restoration of Renaissance
Painting in mid Nineteenth-Century Milan. Giuseppe Molteni in Correspondence
with Giovanni Morelli, Firenze, Edifir, 2014, p. 43.
[63] Tutti e tre i quadri
si trovano oggi alla National Gallery. Acquistati da Eastlake per la sua
collezione privata, furono ceduti dalla moglie al museo che lo studioso inglese
aveva diretto nel 1867, poco dopo la morte del marito (24 dicembre 1865). Si
tratta, per la precisione, della Vergine col Bambino e i santi Antonio Abate
e Giorgio (NG776) (ceduta a titolo gratuito), del San Girolamo di
Cosmè Tura (NG773) e del San Girolamo in un paesaggio di Bono da Ferrara
(NG771), questi ultimi due venduti e non regalati).
[64] Archivio Fondazione
Carisbo, Fondo Ambrosini C XIII op. 559. Vedi nota 71.
[65] Si veda Elenco classificato per ordine alfabetico delli signori banchieri… cit., p. 5.
[66] Sicuramente non lo è da G. P Cammarota nel suo Le origini della Pinacoteca Nazionale di Bologna… Vol. III La collezione Zambeccari, cit., che, pur non avanzando ipotesi, segnala un’errata attribuzione precedente di Andrea Emiliani (p. 289 nota 29).
[67] Ibidem, p. 402.
[65] Si veda Elenco classificato per ordine alfabetico delli signori banchieri… cit., p. 5.
[66] Sicuramente non lo è da G. P Cammarota nel suo Le origini della Pinacoteca Nazionale di Bologna… Vol. III La collezione Zambeccari, cit., che, pur non avanzando ipotesi, segnala un’errata attribuzione precedente di Andrea Emiliani (p. 289 nota 29).
[67] Ibidem, p. 402.
[68] The Travel Diaries
of Otto Mündler… cit., p. 167.
[69] S. Avery Quash, The
Travel Notebooks…, cit. v. I, p. 372. Avery-Quash fa presente che il quadro
è quello oggi alla National Gallery.
[70] Vedi nota 5.
[71] Il titolo del
manoscritto (che ha segnatura Fondo Ambrosini, C. XIII op. 559) è assai più
lungo: «Gite
artistiche in alcune città della media e meridionale Italia nell’anno 1861 (nel
mese di marzo) / Gita a Napoli (via di Firenze, Livorno ivi imbarcato) e suoi
dintorni nel mese di settembre ed ottobre 1861 accompagnando il celebre artista
letterato ser [sic] Charles Lock Eastlake, Presidente etc..
dell’Accademia di Belle arti a Londra». In realtà la seconda parte
di quanto promesso (ovvero il resoconto del viaggio a Napoli) non c’è (sono presenti
solo alcune pezze d’appoggio relative agli alberghi in cui Michelangelo ebbe
modo di soggiornare e poco altro), ma sappiamo che effettivamente Eastlake si
recò a Napoli anch’egli nello stesso periodo. Che il primo viaggio sia eseguito
su richiesta dello studioso inglese è dimostrato da almeno un paio di passaggi
del manoscritto: «Da Siena, ove mi trattenni un giorno, passai a Firenze di
dove ripartii per Bologna. Delle cose rivedute o vedute a Firenze farò menzione
nella seconda gita artistica che dovrò intraprendere verso il termine
dell’estate, ben grato intanto a quell’illustre straniero che promosse e favorì
la prima gita colla promessa che gli sarei compagno nella seconda, come poi
avenne per ben mia rara fortuna». Il corsivo è mio e dimostra che il
resoconto del primo viaggio è stato steso prima di settembre-ottobre 1861, per
poi essere oggetto di integrazioni successivamente (Gite artistiche in
alcune città…, cit., fasc. 1.1 c. 21). E ancora, a Pesaro: «Collezione di
Pitture Bonamini. Molto degne di rimarco e tutte vergini di ritocchi. Ho in
pensiero che l’illustre signor Eastlake conosca questa Raccolta della quale in
conseguenza non faccio alcuna particolare menzione» (fasc. 1.2 c. 5).
[72] Il frutto più immediato dell’azione di Morelli e di Cavalcaselle fu innanzi tutto la presentazione al Ministero del Catalogo delle opere d’arte nelle Marche e nell’Umbria (1862), Gli appunti personali di Morelli sul viaggio (in relazione alle sole Marche) sono stati pubblicati in J. Anderson, I Taccuini manoscritti di Giovanni Morelli, Milano, Federico Motta, 2000.
[72] Il frutto più immediato dell’azione di Morelli e di Cavalcaselle fu innanzi tutto la presentazione al Ministero del Catalogo delle opere d’arte nelle Marche e nell’Umbria (1862), Gli appunti personali di Morelli sul viaggio (in relazione alle sole Marche) sono stati pubblicati in J. Anderson, I Taccuini manoscritti di Giovanni Morelli, Milano, Federico Motta, 2000.
[73] S. Avery-Quash, The
Travel Notebooks of Sir…, cit., v. I, p. 578.
[74] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 26
dicembre 1861. Il quadro fu venduto da Giulia Seghizzi Coccapani entro il 1872
e, dopo una serie di passaggi, è stato battuto a un’asta di Old Masters
di Christie’s il 27 aprile 2017, dove è stato aggiudicato per quasi un milione
e mezzo di dollari. Si veda https://www.christies.com/lotfinder/Lot/francesco-francia-bologna-c-1450-1517-saint-barbara-6068910-details.aspx
[75] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir…, cit., vol. II, 85. L’opera è citata da Giuseppe Molteni come in arrivo per il restauro assieme al Pisanello e agli altri due quadretti acquistati dalla collezione Costabili. Cfr. Jaynie Anderson, The Restoration of Renaissance Painting…, cit., p. 43 (vedi anche nota 62).
[76] Purtroppo la numerazione esposta nella lettera non aiuta nell’identificazione dei quadri, perché non corrisponde a quella della Descrizione della quadreria Costabili di Camillo Laderchi in quattro volumi (Ferrara, 1838-1841) né ovviamente può essere riferita al catalogo di Gaetano Giordani, scritto nel 1870. Se ne desume che sia esistita una redazione intermedia della raccolta, oggi persa.
[75] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir…, cit., vol. II, 85. L’opera è citata da Giuseppe Molteni come in arrivo per il restauro assieme al Pisanello e agli altri due quadretti acquistati dalla collezione Costabili. Cfr. Jaynie Anderson, The Restoration of Renaissance Painting…, cit., p. 43 (vedi anche nota 62).
[76] Purtroppo la numerazione esposta nella lettera non aiuta nell’identificazione dei quadri, perché non corrisponde a quella della Descrizione della quadreria Costabili di Camillo Laderchi in quattro volumi (Ferrara, 1838-1841) né ovviamente può essere riferita al catalogo di Gaetano Giordani, scritto nel 1870. Se ne desume che sia esistita una redazione intermedia della raccolta, oggi persa.
[77] S. Avery-Quash, The
Travel Notebooks of Sir… cit., v. I, p. 608. La discrepanza quantitativa
lascia interdetti. Perché fare una lista di otto quadri il 4, e farne spedire
una di diciotto il 10? Mi pare che l’unica risposta possibile sia che la
richiesta sia stata avanzata a nome di Eastlake, ma che fosse in realtà
espressione di un ‘sindacato’ di compratori (Eastlake e Mündler?
E con essi anche lo stesso Gualandi?).
[78] Eastlake aveva
adocchiato l’opera sin dal settembre del 1861. All’epoca aveva però segnato sui
suoi appunti che per il momento non era in vendita. Cfr. The Travel
Notebooks of Sir… cit., v. I, p. 566.
[79] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir… cit., v. II, p. 126.
[79] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir… cit., v. II, p. 126.
[80] J. Sheldon, The
letters of Elizabeth Rigby, Lady Eastlake, Liverpool, Liverpool University
Press, 2009, p. 235. Non mi è chiaro quale sia, in questa vicenda, il ruolo di
Cavalcaselle. Se cioè il conoscitore di Legnago avesse rilasciato a Gualandi
una consulenza per conto di Eastlake (e in tal caso saremmo nell’ambito delle
attività commerciali dell’uomo di cui si parla in D. Levi, Cavalcaselle
cit…, pp. 143 sgg. e 322 sgg.) o se Michelangelo l’avesse saputo casualmente,
riferendo a Eastlake che, in tal caso, si sarebbe semplicemente fidato di
quanto saputo.
[81] «L'illustre
cav. CARLO LOCKE EASTLAKE, presidente dell'Accademia di Belle Arti e direttore
del Museo Nazionale di Londra, non è più: partito mesi sono dall'Inghilterra,
come soleva ogni anno, per un viaggio artistico in Italia, colpito per via da
fiero morbo, e condotto a Pisa in cerca di aria mite, ogni rimedio riusciva
vano a prolungarne i giorni preziosi. Egli spirava colà nella mattina del 24
fra le braccia della desolata moglie, notissima al pari di lui come valente
artista e letterata. Quanti conobbero e poterono apprezzare le doti della mente
e del cuore di sir EASTLAKE possono soli sentire quale perdita abbiano fatto le
Arti ed i numerosi di lui ammiratori, tra i quali non mancherà certamente chi
vorrà scriverne condegni elogi ed utile biografia. Ma il vivo dolore non
consente dettare altre parole a Michelangelo Gualandi.
Bologna, 26 dicembre 1865».
[82] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 16 giugno 1866.
[83] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 2 dicembre 1870.
[84] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 14.
[85] Una sola merita di essere citata perché mette in discussione il patriottismo dell’erudito bolognese. Nell’ottobre del 1862 Maria Pia di Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele II si sposò e divenne regina del Portogallo. Per festeggiare l’evento il comune di Bologna decise di regalare alla futura sposa un quadro di Francesco Francia, comprato dalla collezione di Michelangelo Gualandi. Poco prima del matrimonio, sull’Osservatore Romano e su una serie di giornali di ispirazione cattolica uscì un articolo in cui, in sostanza, si diceva che l’opera non era di Francesco Francia, ma di Giacomo, che Michelangelo, «liberalone a tutta prova», l’aveva comprata per pochi soldi da un rigattiere e fatta ritoccare pesantemente da un’artista da strapazzo (la signora Gargalli). «Or bene questo patriota puro sangue ha appiccicata la pittura al nostro intelligentissimo e illuminatissimo municipio per la piccola bagatella di 1200 scudi romani a pronti contanti, spacciandolo per un capolavoro di Francesco Francia, quando non è che una informe e rappezzata copia di un altro Francia. Dico rappezzata, perché il prefato liberalissimo sig. Michelangelo Gualandi l’ha fatta allungare ed allargare di qualche pollice, facendo poi per altra mano aggiungere una specie d’aureola attorno alla testa della Madonna l’ha comprata per pochi soldi da un rigattiere, l’ha fatta ritoccare pesantemente». Gualandi allestì una memoria difensiva che è giunta sino a noi, in cui tentò di smontare una a una le accuse dell’anonimo accusatore. Si veda Archivio Deputazione Storia Patria, busta 131 fasc. 13, «Regalo di nozze di Pia di Savoia». Senonché, se leggiamo i diari di Otto Mündler, veniamo a sapere che nel 1857 il Travelling Agent della National Gallery vide l’opera e così scrisse: «Went to see Sigr Michaelangelo [sic] Gualandi, who has a “Francia” to show. The Virgin is holding the Infant Christ asleep, placing him on a red cushion. It strikes me as being a Giacomo Francia, an indifferent specimen and by no means in a satisfactory state» (The Travel Diaries of Otto Mündler, cit. p. 218). Impossibile che Michelangelo non conoscesse questo giudizio. Assieme a lui, probabilmente ne era al corrente qualcuno (del fronte papalino) che ebbe modo di assistere alla visita di Mündler e se ne ricordò anni dopo.
Bologna, 26 dicembre 1865».
[82] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 16 giugno 1866.
[83] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 2 dicembre 1870.
[84] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 14.
[85] Una sola merita di essere citata perché mette in discussione il patriottismo dell’erudito bolognese. Nell’ottobre del 1862 Maria Pia di Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele II si sposò e divenne regina del Portogallo. Per festeggiare l’evento il comune di Bologna decise di regalare alla futura sposa un quadro di Francesco Francia, comprato dalla collezione di Michelangelo Gualandi. Poco prima del matrimonio, sull’Osservatore Romano e su una serie di giornali di ispirazione cattolica uscì un articolo in cui, in sostanza, si diceva che l’opera non era di Francesco Francia, ma di Giacomo, che Michelangelo, «liberalone a tutta prova», l’aveva comprata per pochi soldi da un rigattiere e fatta ritoccare pesantemente da un’artista da strapazzo (la signora Gargalli). «Or bene questo patriota puro sangue ha appiccicata la pittura al nostro intelligentissimo e illuminatissimo municipio per la piccola bagatella di 1200 scudi romani a pronti contanti, spacciandolo per un capolavoro di Francesco Francia, quando non è che una informe e rappezzata copia di un altro Francia. Dico rappezzata, perché il prefato liberalissimo sig. Michelangelo Gualandi l’ha fatta allungare ed allargare di qualche pollice, facendo poi per altra mano aggiungere una specie d’aureola attorno alla testa della Madonna l’ha comprata per pochi soldi da un rigattiere, l’ha fatta ritoccare pesantemente». Gualandi allestì una memoria difensiva che è giunta sino a noi, in cui tentò di smontare una a una le accuse dell’anonimo accusatore. Si veda Archivio Deputazione Storia Patria, busta 131 fasc. 13, «Regalo di nozze di Pia di Savoia». Senonché, se leggiamo i diari di Otto Mündler, veniamo a sapere che nel 1857 il Travelling Agent della National Gallery vide l’opera e così scrisse: «Went to see Sigr Michaelangelo [sic] Gualandi, who has a “Francia” to show. The Virgin is holding the Infant Christ asleep, placing him on a red cushion. It strikes me as being a Giacomo Francia, an indifferent specimen and by no means in a satisfactory state» (The Travel Diaries of Otto Mündler, cit. p. 218). Impossibile che Michelangelo non conoscesse questo giudizio. Assieme a lui, probabilmente ne era al corrente qualcuno (del fronte papalino) che ebbe modo di assistere alla visita di Mündler e se ne ricordò anni dopo.
[86] Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Pelagio Palagi, Cartone X, lettera
70 del 24 dicembre 1836.
[87] Archivio Deputazione
Storia Patria, Carte Gualandi, busta
131 fasc. 14.
[88] Biblioteca Nazionale
Marciana, Cod. It. IV 2035 [=12276], n. 95.
[89] Cfr. nota 22.
[90] Archivio Deputazione
Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 11, «Dispacci ministeriali di varie regie
deputazioni di storia patria».
Devo complimentarmi per questo interessantissimo articolo, quasi voce di enciclopedia. Alle prossime scoperte! Gabriele, Urbino
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