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venerdì 15 novembre 2019

Giovanni Mazzaferro. Erudizione e mercato artistico nell'Italia dell'Ottocento: il caso di Michelangelo Gualandi



Giovanni Mazzaferro
Erudizione e mercato artistico nell’Italia dell’Ottocento: il caso di Michelangelo Gualandi


Figura 1) Diploma di nomina di Michelangelo Gualandi a membro onorario dell'Accademia di belle arti di Bologna (17 novembre 1846). Archivio Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna Busta 130 Fasc. 7. Foto: Giovanni Mazzaferro


AVVERTENZA: Quest'articolo è stato scritto prima che scoprissi l'epistolario inedito fra Michelangelo Gualandi e Charles Lock Eastlake presso la biblioteca universitaria di Francoforte. Contiene pertanto alcune inesattezze (poche, a dire il vero), ma soprattutto, va integrato col materiale venuto alla luce successivamente. Vi prego pertanto di far riferimento a G. Mazzaferro, Il mercato artistico nel carteggio fra Michelangelo Gualandi e Charles Lock Eastlake (1855-1865): un'introduzione, pubblicato sulla rivista MDCC1800 9/2020 e liberamente scaricabile al link http://doi.org/10.30687/MDCCC/2280-8841/2020/01/005 e a S. Avery-Quash, G. Mazzaferro, Michelangelo Gualandi (1793-1887) and the National Gallery in Journal of the History of Collections, Oxford University Press, 2020, consultabile al link: 

In una breve autobiografia redatta con calligrafia tremante nel 1884, all’età di novantuno anni, Michelangelo Gualandi (Bologna, 1793 – Bologna, 1887) scriveva:

«Ebbi la sorte di fare la conoscenza del celebre inglese ser [sic] E[a]stlake; venuto fra noi per acquisti di Pitture, egli mi accordò la intera sua fiducia, che seppi meritare come mediatore sì in Bologna che in altre Città; così mi volle seco, e se ne dichiarò appieno contento col rimunerarmi generosamente. Morte, che taglia i migliori e lascia stare i rei lo tolse alla mia stima ed affezione» [1].

In verità, Gualandi è citato in ambito artistico essenzialmente per due sue opere erudite, vale a dire le sei serie delle Memorie originali italiane risguardanti le belle arti [2] e i tre tomi della Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura: scritte da più celebri personaggi dei secoli XV. a XIX. / […] in aggiunta a quella data in luce da Bottari e dal Ticozzi [3]. La Nuova raccolta di lettere si presenta come una costola delle Memorie. Gualandi cominciò a pubblicare sotto questo titolo sia documenti d’archivio sia missive d’artisti; poi, con il lievitare del materiale raccolto personalmente o ricevuto dalla sua rete di corrispondenti, decise di separare le cose, inserendo tutte le lettere in un’opera a parte che si richiamava alle precedenti esperienze di Bottari e di Ticozzi. Uno dei motivi fondamentali del successo delle raccolte gualandiane fu che esse, a partire dalla Serie Quarta delle Memorie, cominciarono a presentare anche documenti inediti tratti dagli archivi medicei, facendo sì che Gualandi fosse percepito come legittimo successore di Giovanni Gaye (1804-1840) e del suo Carteggio inedito d’artisti [4].

In realtà la produzione a stampa di natura erudita di Gualandi è nutritissima; prima e dopo le Memorie e la Nuova raccolta di lettere Michelangelo si rintana, però, su argomenti di carattere prettamente locale senza mai suscitare un vero e proprio interesse nazionale. Sterminata, poi, è la produzione manoscritta autografa, che spesso si innerva sulla trascrizione di documenti d’archivio. Lo smembramento degli archivi di Gualandi (suddivisi quanto meno fra Bologna, Francoforte sul Meno, Washington e la Pennsylvania) ha impedito sino ad oggi di avere una visione d’insieme dell’indefessa attività di studio dell’erudito bolognese [5].

Proprio grazie al reperimento e alla scoperta di nuovi materiali, il cui studio è ancora in fase iniziale, questo saggio ambisce a proporre all’attenzione degli studiosi una figura piena di limiti e contraddizioni, ma, nel suo complesso per nulla secondaria. E punta soprattutto, abbinando prove «documentali» e indiziarie», a far luce sull’attività mercantile del bolognese, condotta per svariati decenni parallelamente rispetto alla ricerca erudita, e praticamente ignota sino a oggi; attività che culminò nella collaborazione decennale con Charles Lock Eastlake, di cui Gualandi fu fiduciario e agente nel reperimento di opere d’arte sul mercato emiliano (e non solo).


Una formazione mercantile

Michelangelo Gualandi nacque a Bologna il 13 marzo 1793 da Romano Gualandi (1756-1824) e Maria Pozzi (?-1826) [6]. La famiglia apparteneva probabilmente al piccolo ceto mercantile [7]. Michelangelo studiò fino a quattordici anni e poi – come scrisse nell’autobiografia – fu «destinato al commercio» per volontà paterna (non ebbe quindi una formazione universitaria). In effetti, la tenuta della contabilità e la pratica commerciale appaiono essere le attività della giovinezza, abbinate a una particolare predisposizione per le lingue (imparò perfettamente il francese e riusciva a farsi ben comprendere con l’inglese) [8]. Inizialmente al servizio di terzi, poi operando in proprio, Gualandi praticò l’attività di ‘negoziante’, spostandosi frequentemente sia in Italia sia all’estero. Il termine «negoziante» va inteso in senso assai più lato di quello odierno: siamo ancora in tempi in cui, sostanzialmente, il significato si può assimilare a quello di imprenditore. Il «negoziante» è colui che opera un «negotium», un affare; cioè, sostanzialmente, agisce in proprio facendo viaggiare merci a proprio rischio e pericolo. Di quali merci stiamo parlando? Gli indizi a nostra disposizione sono pochissimi: a) un frammento di una lettera indirizzata da Gualandi (che si trovava in quel momento ad Ancona) nel 1818 a Geremia Delsette, erudito residente a Bologna e collezionista di maioliche [9]; b) l’acquisto di due affreschi di Bartolomeo Cesi a Imola nel 1824 [10]; c) la pubblicazione (assieme a un gruppo di amici) di un opuscolo celebrativo intitolato A Lodovico Lipparini pittore nel 1828 [11]; d) la conoscenza di fatti legati all’esportazione di quadri da Bologna in Inghilterra [12]. Tutti elementi che inducono a pensare che Gualandi si occupasse (forse facendo anche altro) di commercio di libri, quadri e oggetti di belle arti sin dagli anni Venti.

Tuttavia, la prima notizia certa che abbiamo in merito a Gualandi come «negoziante risale al 1831, e ha a che fare con i moti rivoluzionari dei mesi di febbraio e marzo di quell’anno. Sul n. 1 dell’8 febbraio 1831 de Il Monitore Bolognese appare un annuncio che oggi non si può leggere se non con un pizzico di ironia: si invitano tutti i membri della Guardia Nazionale che vogliano dotarsi di un’arma per affrontare l’esercito austriaco e le truppe papaline a rivolgersi a Michele Angelo Gualandi, negoziante in Via de’ Libri, che provvederà a mostrar loro un particolare esemplare di fucile e, dietro il pagamento di una caparra, a farlo pervenire nei giorno successivi [13]. L’annuncio introduce un tema che sarà una costante nella vita di Michelangelo: il suo militare nel fronte liberale, la manifesta ostilità nei confronti dello Stato pontificio e la patriottica aspirazione all’unità d’Italia. Nella sua autobiografia Gualandi scrive con una buona dose di retorica:

«Nei moti del 21 (e più tardi del 31, del 48 e del 60) mi associai coi veri patrioti colla voce, cogli scritti, coi fatti, allo scopo di accellerare [sic], affrontando rischi e persecuzioni, il giorno di vedere liberata dalla schiavitù interna ed estranea la diletta Patria, cancellando dalla sua Storia quel terribile pronostico “Per servir sempre o vincitrice o vinta”».

A dire il vero, un coinvolgimento diretto risulta solo nel 1831. Michelangelo fu Sergente maggiore della Guardia civica di Bologna [14]. Dopo il fallimento della rivolta, «Gualandi Michelangelo, d’anni 42, di Bologna, possidente e negoziante [n.d.r. è definito] esaltato liberale, nemico del Governo, istigatore maldicente» [15] e compare fra i rivoltosi massoni che hanno lasciato Bologna e sono scappati all’estero [16]. Il ritorno a Bologna, senza dubbio, fu successivo all’amnistia del 1832. Le idee politiche di Gualandi e la sua adesione alla massoneria sono comunque da tenere presenti perché probabilmente gli permisero di entrare in un circuito di amicizie di cui poté avvalersi anche professionalmente.


«Negoziante», «procuratore», «amatore di belle arti»

Stando all’autobiografia, nel 1834 Gualandi decise di abbandonare l’attività di negoziante (nel 1834), cedendola al fratello minore Pietro e di dedicarsi interamente, da quel momento in poi, allo studio delle belle arti e della storia [17]. Una scelta di vita, quindi. In realtà le cose devono essere andate in maniera assai più traumatica, come risulta dalla visione di alcuni documenti custoditi presso la Deputazione di Storia Patria: nel 1834 Michelangelo ebbe problemi finanziari con un banchiere bolognese, Gaetano Mazzanti, e molto probabilmente non riuscì a onorare una cambiale. Pur esibendo un certificato (in data giugno 1834) da cui risultava che Mazzanti, alla fine, era stato pagato, compresi gli interessi, c’è da supporre che sia stato inibito, almeno temporaneamente, all’esercizio della negoziazione [18].

Una cosa è certa: Gualandi non abbandonò le pratiche commerciali, ma le svolse in maniera diversa: non più negoziante, ma procuratore, preferibilmente nel mondo dell’arte contemporanea. L’idea, insomma, era quella di diminuire il rischio e lavorare, in sostanza, a provvigione. L’esame delle lettere spedite da Gualandi allo scultore bolognese Cincinnato Baruzzi (1796-1878) dimostra, ad esempio, che almeno fra 1837 e 1839 Michelangelo seguì gli affari economici del richiestissimo allievo di Antonio Canova, da un lato provvedendo alla spedizione delle sue opere, dall’altro cercando di stabilire contatti per l’ottenimento di nuove commissioni. Dallo stesso carteggio emerge che Michelangelo promosse anche l’attività artistica di un giovane Cesare Masini (1812-1891), giungendo a caldeggiarne, sin dal 1839, la nomina a titolare della cattedra di Pittura nell’Accademia bolognese [19].

Accanto all’attività di procuratore, Michelangelo portò avanti anche quella di commissionario, ed è questo l’aspetto per noi più importante. Risale molto probabilmente agli anni fra il 1834 (in cui cessò di essere negoziante) e il 1840, un altro documento prezioso, reperibile nella versione manoscritta delle Memorie resa disponibile online dall’Università di Francoforte. Si tratta di una correzione dell’ultima ora, effettuata su un pezzo di carta riciclato. In particolare, a carta 380b della Serie Seconda, è inserito un foglietto con correzioni che, sul retro, riporta il seguente testo a stampa:

«Palace Zambeccari
near St. Paul’s Church
Bologna
Michelangelo Gualandi begs leave to inform the English Nobility and Gentry passing through this town that he has established a Commercial commission-house concerning the purchase, sale, and expedition of pictures, statues, books, engravings, and any other precious object belonging to the branch of the liberal Arts.
Mr. Gualandi has an active correspondence abroad.
The Commission-house will be opened from 10 in the morning to 4 o’ clock in the afternoon…
» [20].


Figura 2) Il volantino pubblicitario della commissionaria di Michelangelo Gualandi. Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte sul Meno, Ms. lat. qu. 97 Bd. 2 http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222521#dcId=1571239300277&p=1, c. 380b.


Il volantino, a questo punto, è mutilo e purtroppo non abbiamo modo di continuare a leggerne il testo. Quanto ci è pervenuto, permette, tuttavia, di chiarire un punto. Gualandi non aveva più il suo ‘negozio’ in via dei Libri, come risultava nel 1831, ma uno studio a Palazzo Zambeccari a San Paolo. Probabile che il trasloco fosse avvenuto con la cessione dell’attività di negoziante nel 1834. La permanenza a Palazzo Zambeccari, tutto sommato, fu breve. In un avviso rivolto ai lettori, questa volta legato alla Serie Prima delle Memorie, Michelangelo invitava gli interessati a scrivergli presso il suo studio a Palazzo Zambeccari. La data è 15 settembre 1840 [21]. Nel programma a stampa dell’opera, datato 31 luglio 1841, lo studio di Gualandi è a Palazzo Fava [22].

Ma torniamo al volantino scritto in inglese: dalla sua lettura appare chiarissimo che i destinatari sono i visitatori inglesi in città. Non chiare sono le circostanze grazie alle quali Gualandi riesce a contattarli. L’annuncio, ovviamente, non fu pubblicato sulla stampa locale in lingua italiana, che non era letta dagli inglesi; né mi risulta che esistessero pubblicazioni locali in lingua inglese. La cosa più probabile è che il volantino fosse distribuito presso gli alberghi più esclusivi della città, in particolare alla prestigiosa Pensione Svizzera, o Hotel Brun, presso la quale alloggiava la gran parte dei turisti stranieri. Oppure è possibile che il volantino venisse materialmente consegnato ai forestieri da un personaggio di cui conosciamo pochissimo, ma che sembra avere un ruolo importante in questa situazione: si tratta del banchiere Flavio Perotti, vice-console inglese a Bologna, corrispondente di Coutts, uno degli istituti bancari più antichi e prestigiosi dell’Inghilterra [23].  Il meccanismo che possiamo immaginare è semplice:  Perotti (sfruttando la sua carica) si occupava dell’accoglienza dei viaggiatori inglesi, delle prime indicazioni di carattere pratico  e introduceva Gualandi (consegnando, fra l’altro, il volantino di cui abbiamo parlato) per la visita della città. Quest’ultimo stimolava acquisti mostrando agli ospiti opere della propria collezione o, eventualmente, contattando la nobiltà locale se il potenziale acquirente si dimostrava interessato a quadri appartenenti ad altri.

Alcuni indizi per suffragare questa ipotesi: è certo che Gualandi fece spesso il cicerone per i viaggiatori inglesi. Così ad esempio scriveva a Baruzzi il 15 aprile 1839:

«Domani sarò in faccende perché accompagnerò il Duca e la Duchessa di Sutherland, spero bene; così altri personaggi; se ne aspetta un diluvio» [24].

Il meccanismo che ho sopra descritto è esattamente quanto accadde nel caso del soggiorno bolognese di Mary Philadelphia Merrifield nel 1846 [25]: una volta arrivata a Bologna, Mrs. Merrifield fu innanzi tutto visitata da Perotti ed ebbe poi come suo referente privilegiato proprio Gualandi che, oltre ad aiutarla fattivamente per consultare un importante manoscritto presso il convento di S. Salvatore, le propose  l’acquisto dei due affreschi di Bartolomeo Cesi comprati a Imola nel 1824 [26] per 150 napoleoni e di una non meglio identificata «Donna che accarezza il bambino» (una Madonna, presumo) per altri 50 napoleoni [27].

E, infine, nel 1846, Gualandi comprò, proprio dalla collezione Zambeccari, tramite Perotti, un ritratto di Carlo V che Gaetano Giordani aveva attribuito a Tiziano e che poi fu trasportato in Inghilterra, dove se ne perdono le tracce [28]. La circostanza è nota perché la vendita fece scalpore e fu istruita un’inchiesta della Commissione Ausiliaria di Antichità e Belle Arti che, in sostanza, sfociò in un nulla di fatto. Perotti, peraltro, si occupava già da anni dell’esportazione di quadri bolognesi in Inghilterra, come dimostra il suo acquisto di diciotto quadri (di cui sei dalla medesima collezione Zambeccari), risalente al giugno del 1838, per cui chiese il permesso di invio oltre Manica [29]; non è affatto escluso che, anche in questa vicenda, ci fosse lo zampino di Gualandi.

Come si vede, gli elementi per sospettare che fra l’erudito e il banchiere bolognesi esistesse una società di fatto ci sono tutti. Resta da capire quale fosse la reale consistenza della collezione Gualandi prima a Palazzo Zambeccari (fino al 1840) e poi a Palazzo Fava (fino al 1857). È fra quelle opere, in prima battuta, che Michelangelo proponeva acquisti ai suoi visitatori. Della raccolta sappiamo purtroppo pochissimo, ed è senza dubbio questa una delle principali lacune che dobbiamo colmare. Mi sembra assai strano, ad esempio, che Gualandi non abbia mai compilato un catalogo da distribuire per posta o da consegnare a mano. Di scarsa utilità mi sembra essere l’opuscolo che Luciano Scarabelli diede alle stampe a Piacenza nel 1843, intitolato Alcuni quadri di Michelangelo Gualandi in Bologna. Qui viene presentata solo una selezione di opere, con uno stile prettamente letterario e attribuzioni probabilmente molto fantasiose. Si tratta chiaramente di uno scritto destinato a essere diffuso presso un pubblico ristretto di aristocratici o alto borghesi italiani che di belle arti, probabilmente, capivano poco, ma che desideravano però avere nelle loro abitazioni quadri etichettati coi nomi dei principali esponenti della scuola bolognese dai Carracci in poi [30] o moderni di ispirazione ancora classicista [31]. Non compare nemmeno un primitivo, il che è in chiaro contrasto con gli interessi dei conoscitori dell’Ottocento [32] e con la stessa attività mercantile di Gualandi, che, nelle vesti di agenti di Eastlake (come vedremo) solo di primitivi si occupò.

Comunque siano andate le cose, si può senz’altro dire che l’erudito bolognese rientra in una categoria di operatori per sua natura ambigua: amava definirsi ‘amatore di belle arti’, utilizzando un’espressione che voleva dire tutto e il contrario di tutto. Più in generale, potremmo dire che, mentre in alcuni paesi (come ad esempio in Inghilterra) tendeva a professionalizzarsi la figura del conoscitore, a cui erano richieste competenze ben precise sia dai privati sia dalle nascenti istituzioni museali [33], in altri – e l’Italia è senza dubbio uno di questi – a occuparsi di transazioni continuavano a essere pittori, restauratori, o, come nel caso di Michelangelo, amatori ed eruditi. In linea di massima i motivi sono evidenti: quello inglese era un mercato di compratori, che avevano i capitali e a cui premeva innanzi tutto essere rassicurati su paternità, originalità e qualità di ciò che stavano comprando; l’italiano era un mercato sbilanciato sul lato dell’offerta, alla spasmodica ricerca di capitali. La situazione economica era molto pesante e il ceto nobiliare vendeva prima i propri beni mobili, e, se non basta, passava agli immobili [34]. Più o meno tutti gli stati di antico regime, primo fra tutti lo Stato pontificio, posero in essere una legislazione di contrasto del fenomeno che da un lato fece maturare un’idea più strutturata di tutela del patrimonio artistico e dall’altro, però, pose in essere pratiche che un liberista definirebbe protezionistiche, disincentivando le esportazioni anche tramite l’introduzione di un pesante sistema daziario [35]. Sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda si cercavano (come comprensibile) intermediari che riuscissero a muoversi fra i paletti fissati dall’editto Pacca del 1820, se del caso aggirandoli in maniera poco ortodossa. Più che conoscitori di opere erano richiesti i conoscitori di persone, perché in un sistema con molte regole, spesso non rispettate, l’importante era che le figure a cui ci si rivolgeva sapessero a chi indirizzarsi in caso di problemi. Gualandi fu, senza dubbio, un personaggio di questo tipo. Proprio per questo motivo, ogni suo comportamento si presta a una duplice lettura, una letterale e l’altra più ambigua.


Gli anni Quaranta

Nel 1840 Michelangelo Gualandi cominciò a pubblicare le sue Memorie originali italiane risguardanti le belle arti. La prima cosa da dire è che si trattava di un bel cambiamento, rispetto ai resoconti sulle esposizioni artistiche a Bologna degli anni dal 1835 al 1837 [36]. Si passava dal contemporaneo alla storia, e da una tradizionale interpretazione letteraria dell’opera d’arte a un filone di ricerca documentario che aveva visto precedenti e vide successori soprattutto in area toscana, grazie alle esperienze dell’Antologia Viesseux prima e dell’Archivio storico italiano poi, pubblicazioni periodiche a loro volta più attente alla moderna storiografia tedesca [37].

Non starò qui a esaminare dettagliatamente contenuti e storia editoriale delle Memorie e della Nuova raccolta di lettere (cosa che mi riprometto di fare in altra occasione). Vorrei però operare in questa sede alcune osservazioni.

Nella presentazione al primo volume delle Memorie Gualandi scrisse: «Non è nuovo in Italia il pensiero di raccogliere documenti storici risguardanti le arti del disegno, vuoi d’una città e sua provincia, vuoi dell’intera nazione… Il mio assunto è di pubblicare nuovi Documenti inediti o rari, che abbiano relazione alle arti e agli artisti; anzi per non incorrere in voce di servile raccoglitore, ho divisato di aggiungere ai documenti note opportune ad illustrarli e a renderli vie più interessanti» [38]. Vorrei soffermarmi sulla prima frase: io non escludo affatto che, fra le motivazioni che portano alla pubblicazione dell’opera ve ne siano di ordine patriottico; nel titolo le Memorie artistiche sono rivendicate come ‘italiane’ e Gualandi parla di documenti riguardanti l’intera ‘nazione’. Naturalmente, vi sono esempi precedenti come gli Annali d’Italia di Ludovico Antonio Muratori o la Storia pittorica della Italia di Luigi Lanzi che potrebbero smentire la mia impressione; fatta sta che i precedenti politici di Gualandi mi portano a pensare che quell’ ‘italiane’ non sia casuale e, in fondo, sia un modo, innocuo per la censura, di parlare di ‘nazione’ da parte di un uomo che appena otto anni prima era in esilio.

Se ci sia o non ci sia stata una motivazione ‘patriottica’ (e qui torna il discorso della sostanziale ambiguità di figure come il nostro erudito bolognese) una cosa è certa: con la pubblicazione delle Memorie Gualandi ottenne almeno due obiettivi.

Il primo è il raggiungimento della fama. Gualandi si vide ufficialmente riconosciuto quel ruolo di ‘amatore delle belle arti’ che già si era attribuito da sé.  Prima del 1839 Michelangelo non poteva vantare altro titolo che essere socio onorario dell’Accademia Reale dei Filomati di Scienze Lettere e Belle Arti di Lucca (dal 1836). Entro il 1846, grazie a un’accorta politica di invio di copie omaggio e al sostegno di Cesare Masini (che non fu nominato professore di Pittura all’Accademia di Bologna nel 1839 come sperava Gualandi, ma divenne professore e presidente di quella di Perugia fino al 1845 e poi arrivò finalmente all’Accademia felsinea come Segretario) e di Carlo Ernesto Liverati, divenne membro di altre diciassette accademie. Di questo fatto fu, ovviamente, molto orgoglioso, tanto da rilegare tutti i suoi diplomi in un elegante volume che è oggi conservato presso la Deputazione di Storia Patria di Bologna [39]. Fra le tante recensioni ne spiccano due internazionali: Alfred von Reumont presentò tutte le nuove uscite sul Kunstblatt (la Serie Prima fu recensita sul volume I, n. 103 recante data 1840) e Carlo Pepoli (ma in realtà la recensione fu pubblicata anonima [40]) ne parlò sull’Art-Union di settembre 1842. Fra 1853 e 1856, poi, Ernst Karl Guhl pubblicò (in due volumi) le sue lettere d’artisti (il titolo originale è Künstler-Briefe [41]) che attingevano esplicitamente dalle raccolte epistolari di Bottari-Ticozzi e dello stesso Gualandi.

Il risultato ultimo del successo editoriale fu che Gualandi venne consegnato alla storia come erudito. Ancor oggi le Memorie e la Nuova raccolta di lettere sono citate nella letteratura scientifica. Il Gualandi che conosciamo è quello che emerge dall’attività editoriale che condusse fra 1840 e 1846, con un’appendice nel 1856 (l’ultimo volume delle Lettere uscì infatti a dieci anni di distanza dal precedente). Un’immagine, come è facile capire, estremamente parziale, che prescinde dal resto della produzione a stampa (oggettivamente di respiro molto locale) e non considera proprio l’attività mercantile che, pure, tanto peso ebbe nella sua vita.

Un secondo obiettivo raggiunto con la pubblicazione delle sue raccolte è che, grazie a esse, Gualandi creò (o più probabilmente consolidò) una rete erudita di corrispondenti che copriva buona parte dell’Italia. E qui c’è da chiarire, come risulta dall’esame dei manoscritti pronti per la stampa con relativi documenti originali che, non di rado, lo studioso bolognese si limitò al ruolo di puro curatore, trascrivendo (e citando sempre con grande correttezza) materiali che gli pervennero da corrispondenti come Carlo d’Arco (Mantova), Ranieri Bartolini e Carlo Ernesto Liverati (Firenze), Luciano ed Enrico Scarabelli (Piacenza), Giuseppe Boschini (Ferrara), Giuseppe Campori (Modena), l’abate Cadorin (Venezia), Carlo Milanesi (Siena), Luigi Bonfatti (Gubbio), i fratelli De Minicis (Fermo) e molti altri ancora. In particolare Gualandi ebbe probabilmente un debito di riconoscenza con l’amico Carlo Ernesto Liverati (1805-1844), «pittore storico» bolognese che, dopo un’esperienza di studio in Inghilterra, esercitava a Firenze [42]. Liverati, oltre a inviare tantissimi documenti, fu probabilmente colui che fornì a Gualandi i giusti contatti per ottenere che Leopoldo II, gran duca di Toscana, disponesse, con rescritto del 3 settembre 1841, di trarre estratti utili per la raccolta gualandiana dagli archivi medicei. 


Corrispondenti e commercio

Dietro a queste frequentazioni epistolari erudite si nascondeva però, quasi sempre, un interesse di carattere commerciale. I corrispondenti erano visti come potenziali venditori di beni artistici e naturalmente come clienti nel commercio di quadri, libri, monete, disegni e stampe. È lo stesso Michelangelo, a volte, a introdurre il discorso. Così, ad esempio, con lettera del 15 dicembre 1855, Gualandi scriveva al marchese modenese Giuseppe Campori (1821-1887), a cui era appena morto uno zio:

«Delle pitture che vi toccheranno in sorte [n.d.r. dall’eredità] gradirò un Catalogo e se antiche sentirò ancora (detto fra noi) se intendete alienarle, nel quale caso v’invito entrare con me soltanto per ciò in relazione e ve ne troverete contento; ho tali conoscenze da sperare nella riescita [sic] e già un bel saggio ha avuto luogo in questi passati giorni» [43].

In queste poche righe Gualandi condensava due informazioni: innanzi tutto, che non operava in regime di monopolio, ma che, anzi, ci doveva essere parecchia concorrenza; in secondo luogo che a interessargli erano i dipinti antichi (contrariamente a quanto risulterebbe dal catalogo Scarabelli del 1843 [44]).

Il ricorso ai corrispondenti epistolari a scopo mercantile non è, del resto, un aspetto inedito, a queste date. Nella direzione opposta (ovvero come tentativo di vendere un’opera già acquisita) va vista, ad esempio, la lettera di accompagnamento di un opuscolo in italiano e francese intitolato L’adorazione dei Magi. Pittura del XVI secolo che Gualandi spedì a Pelagio Palagi il 4 aprile 1853 [45]:

«Eccovi un mio articolo bilingue che interessa, come vedrete, la nostra scuola di pittura; piacciavi delle cinque copie che rimangono passarne una all’Accademia e distribuire le altre a persone atte a farne buon uso».

Il «buon uso» di cui parlava Gualandi voleva dire, semplicemente, che fossero interessate all’acquisto del dipinto. Tutte le precisazioni presenti nel fascicolo sono volte ad attirare l’attenzione del collezionista e a convincerlo in merito a provenienza e attribuzione del quadro. Così viene riportata l’expertise dell’8 marzo 1853 di Giuseppe Guizzardi, Napoleone Angiolini e Clemente Alberi, tutti professori presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e l’indicazione che il dipinto è stato acquisito il 18 febbraio 1853 e che proviene dalla Galleria Marescalchi [46].

A volte, peraltro, le indicazioni, le richieste e i suggerimenti sono assai meno professionali, e al di là dei toni camerateschi, lasciano intravvedere una spregiudicatezza che è elemento da tenere sempre ben presente quando si vuole giudicare il personaggio. Così, ad esempio, vent’anni prima, il 29 maggio 1837, dando consigli a Cincinnato Baruzzi (a cui si rivolge dandogli del tu) Michelangelo lo invitava a prender contatto a Torino con Pelagio Palagi per alienare la sua Leda, unica statua rimasta invenduta fra quelle che l’artista aveva portato all’Esposizione presso l’Accademia di Belle Arti di Milano dello stesso anno:

«E la sventurata Leda? Negletta perché innocente! Obbrobrio della presunta umana razza! Pensa, agisci, fa di tutto onde rinvenire un cane che almeno ami cacciare il Cigno, allora (tu dici bene) regala di Tindaro la viziosa moglie. Fa un tentativo. Scrivi a Palagi il risultato totale di Milano e accenagli [sic] rimanente la Leda che ben conosce, e che lodò assai, fallo arbitro di offerirla a Torino, proponi di spedirgliela, ecc. ecc.» [47].

Il tono suona un po’ irriguardoso nei confronti di un artista (Palagi) a cui lo stesso Gualandi, circa un mese prima, aveva chiesto di trovargli un lavoro a Torino presso la Corte reale:

«Quando Ella torna in Torino, pensi un poco a me: sono qui come vagabondo, quando vorrei, e dovrei profittare degli anni che vanno succedendosi… Pensi un poco a me, mi trovi un cantuccio ove essere utile a me, e spererei ad altri; l’occupazione non mi è mai di peso, seppi fin dall’infanzia fare a modo di abituarmi a lunghe veglie. Amo le arti, e ciò che vi ha rapporto» [48].


Gualandi ed Eastlake

Gualandi ed Eastlake si incontrarono per la prima volta nel 1855 [49]. Lo scrisse l’erudito bolognese al marchese Giuseppe Campori il 25 ottobre di quell’anno:

«Nella scorsa settimana fu qui di passaggio il celebre Ser Eastlake autore, come sapete, di un bel volume sulla pittura tradotto dal Bezzi, pittore raro a quanto sento, direttore dell’accademia di Londra, ec ec. Egli si è dichiarato mio amico, mi promette la sua corrispondenza, le sue commissioni e me ne ha dato un saggio scrivendomi da Venezia; coi primi di novembre sarà di ritorno a Londra colla sua Signora che sento essere letterata come il marito» [50].

Il lavoro di Eastlake a cui Gualandi fa riferimento è il fondamentale Materials for a History of Oil Painting (di cui l’inglese pubblicò in vita solo il primo volume, mentre il secondo uscì postumo a cura della moglie, Elizabeth Rigby) [51]. Giovanni A. Bezzi ne aveva fornito, appena due anni dopo, la traduzione in italiano [52]. Da parte sua, Eastlake conosceva sicuramente di nome Gualandi. Nel 1846 Mrs. Merrifield, inviata in Italia alla ricerca di manoscritti sulle tecniche della pittura ad olio degli Antichi Maestri italiani, una volta ricevuta l’offerta di Gualandi per i due affreschi trasportati su tela di Cesi e per il Carracci aveva soprasseduto e deciso di segnalare la cosa all’erudito inglese, una volta tornata in patria [53]. La studiosa, inoltre, a fine viaggio, spedì da Milano una serie di libri che erano destinati per lo più allo stesso Eastlake. Fra essi compaiono diversi titoli di Gualandi (fra i quali le prime cinque serie delle Memorie) [54]. Anche se la biblioteca di Eastlake comprende in realtà un numero molto maggiore di opere gualandiane, evidentemente ricevute in seguito dall’italiano, è assai probabile che i primi ingressi di opere di Michelangelo fra i suoi scaffali si registrino in questo periodo [55].

Non escludo, peraltro, che Eastlake possa aver contattato Gualandi anche in virtù della sua fama di commerciante di libri. Nel gennaio 1855 (dieci mesi prima dell’incontro fra i due) Michelangelo scrisse sempre al marchese Campori:

«Vi mando esemplare di un mio cataloghetto di libri tirato a sole 50 copie. L’ho fatto per mio comodo per avere commissioni dall’Inghilterra di dove attendo riscontro. Se mai trovasse cosa che potesse tornarvi gradita e fosse tuttora invenduta fra un mese, datemene nota» [56].

E, rimanendo sempre in ambito di libri, nel settembre 1856 il bolognese pubblicava il terzo e ultimo volume (anche se ne prometteva un quarto) della Nuova raccolta di lettere. Erano passati dieci anni dal tomo precedente e qualcosa, evidentemente, era andato storto (senza contare lo scoppio della Prima guerra d’Indipendenza). Concludendo il volume, Gualandi scriveva così:

«Ci corre più che mai il debito di mostrarci grati a Chi c’incoraggia con detti e con fatti a proseguire nelle nostre imprese ad onta degli ostacoli d’ogni natura che fecero e fanno guerra agli studi cui dedicammo ogni nostro pensiero. Duolci non potere in queste pagine far noto il nome di un illustre straniero cui le Arti e le Lettere vanno debitrici di opere preclare; accolga almeno, nel suo secreto, i sensi dell’incancellabile nostra riconoscenza» [57].

Resti fra noi, non mi stupirei affatto se si scoprisse, anche alla luce della stretta collaborazione degli anni successivi, che quel misterioso straniero era Charles L. Eastlake.

La prima, tangibile, prova che Gualandi lavorava come agente di Eastlake si ha nel 1858. Il 12 settembre di quell’anno qualcuno (probabilmente Ubaldo Sgherbi, agente del marchese Costabili) scrisse al direttore della National Gallery (all’epoca nelle Marche) dicendo che il nobile ferrarese si era molto stupito di aver ricevuto una lettera in cui si subordinava il ricevimento del prezzo pattuito per l’acquisto di due quadri della collezione al conseguimento del relativo permesso all’esportazione. Lo scrivente faceva presente che la richiesta di tale permesso spettava all’acquirente, e confermava piena disponibilità a spedire le due opere a Bologna, «al di lei amico Sig. Gualandi», fermo restando che alla consegna delle opere doveva corrispondere il versamento del contante [58]. Nel carteggio i due quadri non sono citati; mi pare tuttavia che sulla base delle evidenze interne dei taccuini di viaggio di Eastlake e (soprattutto) dei cataloghi coevi della National Gallery vi possano essere pochi dubbi sul fatto che si trattasse del San Vincenzo Ferrer oggi attribuito a Francesco del Cossa e custodito alla National Gallery con numero d’inventario NG597 e del San Francesco con Angeli di Sandro Botticelli (NG598). Va precisato che, quando furono acquistati, furono attribuiti rispettivamente a Marco Zoppo e a Filippino Lippi [59].

Figura 3) Francesco Del Cossa. San Vincenzo Ferrer,  in origine scomparto centrale della Pala Griffoni in San Petronio, a Bologna. Acquistato nel 1858 come Marco Zoppo, San Domenico fondatore del Rosario. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/francesco-del-cossa-saint-vincent-ferrer
Figura 4 Sandro Botticelli. San Francesco d'Assisi con Angeli. Acquistato nel 1858 con attribuzione a Filippino Lippi. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/sandro-botticelli-saint-francis-of-assisi-with-angels


Circa un mese dopo, il 26 ottobre 1858, Eastlake, sulla strada del ritorno per l’Inghilterra, si fece vivo da Torino informando il marchese Costabili che Gualandi gli aveva scritto e che la cassa contenente le due opere era stata inviata a Livorno da dove era destinata ad essere spedita in Inghilterra [60]; ne approfittava per chiedere (sottolineando furbescamente che, di per loro, valevano poco) di acquistare per complessivi 100 napoleoni la Vergine e Santi di Pisanello, due quadretti attribuiti a Lorenzo Costa e uno a Cosmè Tura [61]. Il marchese rifiutò sdegnosamente, chiarendo che gli acquisti andavano fatti in blocco. Senonché, evidentemente spinto a più miti consigli dalla disastrosa situazione economica familiare, finì per aderire alla richiesta sul concludersi del 1860. Il 3 dicembre 1860 Giuseppe Molteni, restauratore milanese di fiducia di Eastlake, scriveva a Giovanni Morelli, informandolo che stava per arrivare l’opera di Pisanello, acquistata insieme a un San Girolamo di Bono da Ferrara e a un altro San Girolamo di Cosmè Tura [62]. Alla fine, i quadri di accompagnamento al Pisanello sono diversi (inizialmente di Cosmè Tura si chiedeva una Madonna adorante il Bambino), ma l’affare si è chiuso [63].

Qualche particolare in più sull’acquisto di queste opere è ora disponibile, alla luce di un rapido appunto, davvero un promemoria, che ho avuto modo di rinvenire in un foglietto sciolto di un manoscritto di Gualandi intitolato Gite artistiche in alcune città della media e meridionale Italia nell’anno 1861 conservato presso l’Archivio della Fondazione Carisbo [64]. Il foglietto, piegato in quattro, contiene la seguente dicitura riportata a penna:

“N[apoleoni?]                     Van Eyck Zambeccari      140
                                            custode                              2
                                            per me                               24
                                            spesa                                  3
                                            [Totale]                              170       
N[apoleoni?]                       Costabili                             175
                                            Sgherbi                               12
                                            spese                                  3
                                            [Totale]                              190
12/11/[18]60                       Nap.                                    360

Da Renoli, ove sono anche da disporre circa Napol…. [non indicato].”

Figura 5) Appunto sugli acquisti dalle collezioni Zambeccari e Costabili nel 1860. Bologna, Archivio della Fondazione Carisbo, Fondo Ambrosini C XII op. 559, «Gite artistiche in alcune città della media e meridionale Italia», fasc. 1/15, carta sciolta


Giovanni Battista Renoli era un banchiere che esercitava a Bologna [65] (e ciò fa pensare che, a queste date, Perotti fosse morto). È chiaro che, con questa nota, del novembre 1860, antecedente di pochi giorni la già citata lettera di Molteni a Morelli, Gualandi scriveva un promemoria relativo ai pagamenti relativi a due contratti: il primo riguardava la collezione Zambeccari; il secondo era l’acquisto da parte di Eastlake delle tre opere di cui abbiamo appena parlato. Rispetto all’offerta iniziale (che però oltre al Pisanello prevedeva tre diversi quadretti) la transazione è conclusa a un prezzo superiore (175 napoleoni invece di 100). Eastlake si fa carico, oltre che delle spese, della provvigione di Sgherbi, agente di Costabili, nell’ordine del 7%.

Il ‘Van Eyck’ della Collezione Zambeccari è venduto anch’esso a Eastlake, per la sua collezione privata. Si tratta della Vergine e Bambino coi santi Pietro e Paolo che si trova oggi alla National Gallery di Londra con numero d’inventario NG774 e attribuzione alla bottega di Dierick Bouts (1400?-1475).

Figura 6) Bottega di Dierick Bouts, Vergine e Bambino coi santi Pietro e Paolo. Comprato nel 1860 dalla collezione Zambeccari. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/workshop-of-dirk-bouts-the-virgin-and-child-with-saint-peter-and-saint-paul


Non mi risulta che, a oggi, l’opera sia stata messa in connessione in Italia con la tavola custodita nel museo inglese [66], ma mi pare che non vi siano dubbi. Descritta al n. 29 nell’inventario dei quadri eseguito alla morte di Giacomo Zambeccari (1795) come «un quadro dipinto in Tavola rappresentante la Beata Vergine col Bambino, e due altri Santi alto Piedi 1:10 Largo Piedi 1:5 di Scuola Fiaminga, Cornice intagliata, e dorata», fu attribuita da Gaetano Giordani a Van Eyck nel suo inventario del 1850 [67] . Il quadro fu visto nell’agosto del 1856 da Otto Mündler (Travelling Agent della National Gallery) che lo ritenne a sua volta di Hugo van der Goes: «A beautifully painted composition, interior of a church with a subject of sacred history by an early flemish artist, such as Hugo van der Goes – Large price asked» [68]. Anche Charles Lock Eastlake ebbe modo di vedere l’opera nel settembre del 1857 e, in via dubitativa, concordò con Mündler sulla paternità di van der Goes: «M. & C. enthroned – St Peter & St Paul at sides – wood 1– 8 ½ w. about 2 – 3 h. perhaps Vander Goes – price 100 Nap.» [69]. Non sapevamo fino ad ora in che circostanze la tavola avesse lasciato la collezione: lo fece a fine 1860, e fu venduta a un prezzo finale di 140 napoleoni, superiore alla cifra iniziale indicata da Eastlake (non è chiaro, però, se si trattasse di una sua valutazione sul valore del quadro o, meno probabilmente, della richiesta iniziale del venditore). Comprato dal direttore della National Gallery per la sua collezione personale, fu poi rivenduto dalla moglie al museo nel 1867. Da notare che il prezzo del solo ‘Van Eyck’ è quasi pari a quello tre quadri prelevati dalla collezione Costabili, in cui c’è il Pisanello che oggi è assai più quotato. Incisero probabilmente l’attribuzione (van Eyck o van der Goes che fosse) e le condizioni generali della tavola. Non irrilevante, infine, vedere che la provvigione per Gualandi è di 24 napoleoni, una percentuale assai alta (il 17%) rispetto al 7% che Sgherbi riuscì a realizzare per la vendita dei quadri Costabili (sempre che in quei 24 napoleoni non ci fosse, a sua volta, la cifra che Eastlake riconobbe al bolognese per il successo nell’acquisto delle opere ferraresi).

Naturalmente Gualandi ed Eastlake tennero un carteggio, che fino a oggi è disperso. Le carte Gualandi presso la Deputazione di Storia Patria delle province della Romagna conservano, come detto, la lista dei corrispondenti dell’erudito bolognese, fra i quali compare anche il direttore della National Gallery. Sarebbe auspicabile aver modo di capire se le lettere si sono conservate presso la corrispondenza (in fase di riordino) oggi conservata presso l’Università di Francoforte [70]. In assenza delle lettere può comunque essere importante la consultazione di un manoscritto di Gualandi che ho rintracciato presso la Fondazione Carisbo di Bologna e che chiamerò (per semplicità) Gita artistica del 1861 [71]. Mi riprometto di presentare in un prossimo futuro un’edizione annotata del manoscritto. Per ora mi sembra essenziale rimarcare alcuni elementi. Il primo è, ovviamente, la data del viaggio: siamo nel marzo 1861. In seguito alle vicende belliche (Seconda Guerra d’Indipendenza (1859) e Spedizione dei Mille (1860)), Romagne e Marche, che facevano parte dello Stato pontificio, hanno deciso, con plebisciti tenutisi fra marzo e novembre dell’anno precedente, l’adesione al Regno di Sardegna, che il 17 marzo 1861 cambia ufficialmente il nome in Regno d’Italia. È una data storica: nasce l’Italia unita. Eppure, il 17 marzo 1861 il patriota Gualandi, che ha atteso questo momento tutta la vita, non è nella sua Bologna, a qualche solenne cerimonia che celebri l’evento, ma fra Cagli e Gubbio, a cercar quadri potenzialmente acquistabili per Eastlake e per se stesso. Il mercante l’ha avuta vinta sul patriota. Dal punto di vista del patrimonio, sono giorni delicatissimi. Con decreti dell’anno precedente i Commissari (provvisori) delle Romagne e delle Marche, rispettivamente Gioacchino Pepoli e Lorenzo Valerio, si erano richiamati alla legislazione del Regno di Sardegna per quanto riguardava la gestione dei beni di diversi ordini ecclesiastici. Tali ordini venivano soppressi (il Regno di Sardegna lo aveva già fatto in anni precedenti) e i beni relativi incamerati nel Demanio. Nel caso specifico, i Commissari avevano deciso, ritenendo in perfetta buona fede di venire incontro alle esigenze dei territori, che le opere d’arte diventassero di proprietà dei relativi municipi. In realtà i municipi ben poco sapevano della reale entità del patrimonio e non erano in grado di assicurare una tutela adeguata; la chiusura di molte chiese aveva portato peraltro a seri problemi legati alla gestione dei beni di giuspatronato privato presenti negli ex-edifici sacri. Dovevano finire ai municipi o tornare ai privati? La totale incertezza e la situazione economica disastrosa avevano fatto sì che improvvisamente molte opere d’arte venissero immesse sul mercato. Di questa situazione, evidentemente, Eastlake era perfettamente cosciente e, senza indugio alcuno, incaricò Gualandi (a sua volta interessato all’acquisto di opere) di monitorare il territorio. La Gita artistica del 1861 non fu ovviamente una gita di piacere, ma il resoconto più aggiornato che noi si conosca sulla situazione del patrimonio prima della contromossa del governo italiano, che dal 27 aprile al 9 luglio 1961, inviò Giovanni Morelli e Giovanni Battista Cavalcaselle a inventariare i beni artistici di chiese e conventi soppressi [72]. Ha un valore storico, e una chiara connotazione commerciale. Per questi motivi merita un approfondimento a parte.

Il problema principale relativo ai rapporti fra Eastlake e Gualandi è che noi conosciamo, bene o male, le situazioni che portarono all’acquisto di opere per conto della National Gallery o per la collezione personale dello studioso inglese. Nulla sappiamo, invece, dei tentativi andati a vuoto. Una fortunata coincidenza ci permette tuttavia di far luce almeno su uno di essi. Nel settembre del 1861 (poco prima del viaggio a Napoli, quindi) Eastlake era a Modena e individuò in Casa Coccapani un quadro che ritenne eligible (ovvero che era adatto per essere acquistato dalla National Gallery). Si tratta di una Santa Barbara di Francesco Francia che così venica descritta: «Francia – Santa Barbara – with her Tower on [[embraced & held by]] her left arm – an arrow in her right – half figure- signed in gold letters “Francia Aurifex” – requires a very little putting in order, but apparently has never been restored – El.» [73]. Il 26 dicembre 1861 (tornato dal viaggio napoletano col direttore della National Gallery) Gualandi scrisse al suo amico modenese Giuseppe Campori e gli fece una richiesta: «Sono a chiedervi un favore. La nobile casa Coccapani possiede alcune pitture fra le quali due del Francia e particolarmente una mezza figura di s. Barbara col nome del pittore. Sareste gentile di visitare la Signora [n.d.r. vedova del marito Ercole Coccapani da appena un mese; era morto l’11 novembre 1861] ed indurla a cedere ad eque condizioni la tavoletta? Ve ne fareste un merito incancellabile; provatevi a ciò e consolatemi con un cenno di riuscita» [74]. Non se ne fece nulla, ma è evidente che Gualandi agì su indicazione di Eastlake.

Figura 7) Francesco Francia, Santa Barbara. Fonte: https://www.christies.com/lotfinder/Lot/francesco-francia-bologna-c-1450-1517-saint-barbara-6068910-details.aspx

Non esiste nessun riscontro, invece, a supporto dell’intermediazione di Gualandi per l’acquisto della Madonna con Bambino e Santi di Benvenuto Tisi detto il Garofalo dalla ferrarese collezione Mazza (NG671) [75], a fine 1860. Tuttavia, il fatto che tutti gli acquisti in quella città (che Michelangelo conosceva e frequentava spesso perché la moglie era ferrarese) siano stati operati tramite l’erudito bolognese, mi induce a ritenere logico che anche quest’unico caso non sfugga alla regola (un secondo acquisto dalla collezione Mazza fu effettuato da Gualandi a fine 1866).

Figura 8 Benvenuto Tisi detto il Garofalo, Vergine col Bambino e santi. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/garofalo-the-virgin-and-child-enthroned-with-saints


Restando a Ferrara, nell’ottobre del 1862, Gualandi continuò a occuparsi della collezione Costabili, e scrisse al marchese che il 4 di quel mese, assieme a Eastlake, sua moglie Elizabeth Rigby e Otto Mündler era tornato a visitarla. Allegò una lista di diciotto quadri (più il battente in bronzo della porta d’ingresso) di cui il suo datore di lavoro inglese voleva conoscere i prezzi. Questo è l’elenco delle opere (con le attribuzioni dell’epoca): [76]

«Pitture prese in nota dalla Galleria Costabili

Num.     Soggetti                                                                Autori citati 
      
N. 29     Santino in piedi entro nicchia                              …..
N. 53     Madonna, Bambino e due angeli                         Botticelli
N. 70     Piccolo s. Girolamo col leone                              
N. 151   Madonna, Bambino Santi e Angeli                      Lorenzo Costa
N. 156   Manna degli Ebrei                                                Ercole Grandi
N. 158   Viaggio con Mosè                                                 detto
N. 201   Mad. Bambino e S. Gius. Affresco                      Garofalo
N. 225   Mad. Bambino, e Santi, piccolo con scim[m]ia   Ercole Grandi
N. 226   S. Cecilia figura intera                                          Garofalo
N. 231   Presentazione al Tempio, piccolo                         Dom. Panetti
N. 245   Due quadretti in assai                                           Mazzolino                                                      
N. 246   cattivo stato                                                          [detto]
N. 255   Piccola s. Famiglia, rovinata                                Garofalo
N. 308   Pietà, due figurine                                                Mazzolino
N. 428   Madonna e Bambino, quadretto                           Ercolino
N. 498   Ritratto in piedi di bambino                                 ….
N. 531   Due ritratti, tavola rovinata                                  ….
            In sala, mezza figura di Santa                            Pordenone?
            Il battente della porta d’ingresso
               in bronzo. »

Molte delle opere in questione (ma non tutte) sono citate da Eastlake nel corso dei suoi taccuini di viaggio. In particolare, proprio in data 4 ottobre 1862 il direttore della National Gallery stilò una «List of pictures selected, with a view to ascertain price» che comprendeva otto dei diciotto quadri per cui Gualandi chiedeva informazioni sei giorni dopo [77]. Il 12 ottobre 1862, da Casa Costabili, veniva spedita una lettera a Gualandi con l’indicazione dei prezzi Purtroppo il foglio in allegato con le richieste del marchese non è presente in quanto ci è arrivato delle carte Costabili. Non sembra, però, che, questa volta, si sia giunti a una qualche transazione.     
 
I rapporti commerciali fra Eastlake e Gualandi proseguirono in pratica fino alla morte dell’erudito inglese, avvenuta a Pisa, la vigilia di Natale del 1865. Gli ultimi due acquisti sono rappresentati dalla Madonna dell’Umiltà di Lippo di Dalmasio, dalla bolognese collezione Hercolani (NG752) [78] e da una Vergine col Bambino di Giovanni Santi, dalla ferrarese collezione Mazza (NG751).

Figura 9) Lippo di Dalmasio, Madonna dell'Umiltà. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/lippo-di-dalmasio-the-madonna-of-humility
Figura 10) Giovanni Santi. Madonna col Bambino. Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/giovanni-santi-the-virgin-and-child

Probabilmente accomunate nella spedizione a Londra, le due opere sembrano però acquistate con un processo decisionale molto diverso. Per quanto riguarda la tavola di Lippo, Eastlake l’aveva già segnalata ai Trustees del museo a fine 1861 [79]. L’acquisto dell’opera di Giovanni Santi è invece una decisione dell’ultimo minuto e s’intreccia con la morte del conoscitore inglese. Il 27 novembre 1865, col marito molto malato, Elizabeth Rigby scrisse da Pisa a Ralph Nicholson Wornum, Keeper della National Gallery, e lo invitò a mandare quaranta sterline a Gualandi, grazie al quale lo studioso inglese era riuscito a prelazionare l’acquisto (a nome di Gualandi, ma col patto di rivendita al museo) di un quadro attribuito da Cavalcaselle a Giovanni Santi. Vi era urgenza, perché si mirava a concludere l’affare prima che il giudizio di Cavalcaselle diventasse noto, evitando che il prezzo pattuito (centoventi sterline) si impennasse all’improvviso [80].


Un lento declino

Una cosa appare certa: con la morte di Eastlake, che Gualandi omaggiò con un breve necrologio su Il Monitore di Bologna n. 354, anno 1865 [81], la grande stagione ‘mercantile’ cessa; o, meglio, torna ad assumere una valenza locale, così come già era successo per quanto riguarda le opere a stampa.

Sappiamo, da una lettera a Campori del 16 giugno 1866, che Michelangelo incontrò William Boxall (1800-1879), nuovo direttore del museo, nel primo viaggio di quest’ultimo in Italia, ma è evidente che qualcosa andò storto [82]. In un’ulteriore missiva, agli inizi del 1870, Gualandi raccontò a Campori di aver comprato il quadro di Giovanni Santi per conto di Eastlake e si disse curioso di sapere se l’opera era esposta alla National Gallery. Gli sarebbe piaciuto consultare l’ultima edizione della guida del museo, ma non ce l’aveva «non avendo voluto continuare le mie relazioni col troppo originale e testa balzana del successore essendo uomo intrattabile» [83].

Naturalmente non mancarono altre occasioni di soddisfazione, che Michelangelo ricordò nella sua breve autobiografia: l’incontro col Re d’Italia e la consorte, la nomina a cavaliere da parte dell’Imperatore del Brasile per averlo accompagnato in giro per Bologna nel corso della sua visita, la partecipazione attiva alla vita della Deputazione di Storia Patria [84]. Tutti episodi di scarsa importanza, visti in una prospettiva storica. Così come cadremmo nell’aneddoto, se si vuole divertente, ma comunque insignificante, puntualizzando occasioni in cui Gualandi ricorse alle furbizie del venditore (disonesto) per realizzare extra-profitti [85].

Il vero problema, accompagnando lo studioso bolognese verso un declino lento, ma inesorabile, che lo portò a morire a 94 anni, è capire la reale consistenza della sua collezione.

Nel dicembre del 1856, comunicando a Pelagio Palagi che era sotto sfratto e che entro l’8 maggio dell’anno successivo avrebbe dovuto liberare i locali di Palazzo Fava, Gualandi si espresse così:

«Sono accomiatato dal Locale che occupo nel Palazzo Fava ed eccomi alla disperazione: non so dove battere il capo per rinvenire in luogo centrale altro appartamento che unisca quanto si richiede a porre in vista oltre assai a 200 quadri, 6mila volumi, migliaia di disegni, di stampe, di capi antichi, etc. Io non voglio figurarmi l’8 maggio 1857!» [86]

A inizio anni ’80, invece, Michelangelo, subito dopo aver parlato nell’autobiografia della sua collaborazione con Eastlake aggiunse:

«Non lasciava nel frattanto di raccogliere nel mio particolare quanto mi capitava d’interessante, così dopo pochi anni mi trovai possessore di circa 400 pitture (fra le quali alcune d’artisti miei concittadini) ornate di analoghe cornici adattate alla diversa scuola, e non poche delle quali ricche d’intagli e di dorature; di alcune centinaia di Disegni; altre centinaia di stampe e non pochi intagli originali in metallo o in legno» [87].

I quadri sono dunque passati da oltre 200 a 400. Si tratta di cifre che sostanzialmente Michelangelo confermò a Giovan Battista Cavalcaselle in una lettera del 7 agosto 1880 che ce lo riconsegna, ottantasettenne, ormai molto attardato sul succedersi degli eventi (pensa che l’erudito di Legnago viva a Londra, aggiunge di non aver più contatti con la città dalla morte di Eastlake e lo prega di salutarne la vedova, se ancora viva), ma comunque sempre lucido [88]. Non è per nulla chiaro perché Gualandi decise di non seguire l’esempio di molti suoi illustri concittadini regalando quanto meno i suoi documenti e la biblioteca all’Archiginnasio, magari in cambio di un vitalizio agli eredi. Molto probabilmente ebbe urgentemente bisogno di soldi. Il 13 ottobre 1883, un anno e mezzo dopo aver venduto la sua biblioteca e gli archivi dei documenti manoscritti alla ditta del libraio/editore di Francoforte Joseph Baer, Gualandi fece scrivere al conte Revedin da un amico di Ferrara, che semplicemente si siglò e che non sono stato in grado di identificare. Nella lettera si proponeva al conte, che si era visto annullare l’acquisto della raccolta Zambeccari (una vicenda che abbiamo già raccontato e che si era trascinata per tantissimi anni [89]), di comprare la collezione Gualandi, non di molto inferiore (stando allo scrivente) a quella a cui aveva dovuto rinunciare [90]. Non se ne fece nulla.

Due anni dopo venne stampato un fascicolo dal titolo eloquente: Collezione del cavaliere Michelangelo Gualandi di pitture, disegni, album, stampe, incisioni, rami incisi, sculture, oggetti antichi e diversi esistenti nella Via S. Felice N. 65 (1° Piano) in Bologna. Vendita quotidiana dalle 12 meridiane alle 2 pomeridiane, Bologna, Tipografia militare, 1886, che presentava un sommario inventario in cui i numeri erano però ridimensionati rispetto a quanto dichiarato da Gualandi nell’autobiografia (i quadri, ad esempio, sono 266). Siamo, chiaramente, ai saldi finali. Michelangelo Gualandi morì il 19 giugno 1887. Con atto n. 2880 del 13 settembre 1887 del notaio Giovanni Pradella si apriva la successione a vantaggio dei quattro nipoti del defunto: è presentato un inventario piuttosto generico che quantifica in 247 il numero dei dipinti che entra a far parte dell’asse ereditario. Nulla sappiamo delle modalità con cui la raccolta fu dispersa e di chi furono gli acquirenti. Il nome di Michelangelo Gualandi si perde nel silenzio e nell’oblio a cui lo condannò una vita troppo lunga.


NOTE

[1] Archivio della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, in deposito presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Carte di Michelangelo Gualandi, busta 131 fasc. 14, «Alcune notizie intorno Michelangelo Gualandi di Bologna».

[2] M. Gualandi, Memorie originali italiane risguardanti le belle arti. Sei serie, Bologna, 1840-1845 (ma 1846).

[3] Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura: scritte da più celebri personaggi dei secoli XV. a XIX / con note e illustrazioni di Michelangelo Gualandi; in aggiunta a quella data in luce da Bottari e dal Ticozzi, tre volumi, Bologna 1844-1856.

[4] Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV. XV. XVI pubblicato ed illustrato con documenti pure inediti dal Dott. Giovanni Gaye, tre volumi, Firenze, 1839-1840.

[5] Le vicende degli archivi Gualandi sono complicate e, per molti versi, ancora da chiarire. Spero di avere la possibilità di farlo in futuro. Qui riassumo: nel maggio 1882, a ottantanove anni, Michelangelo Gualandi vendette tutta la sua biblioteca e i materiali archivistici (compresa la corrispondenza) al libraio di Francoforte Joseph Baer. Difficile seguire da qui in poi la dispersione di libri e manoscritti. Secondo il Report of the Librarian of Congress and Report of the Superintendent of the Library Building and Grounds for the Fiscal Year Ending June 30, 1914, Washington, Government Printing Office, 1914, p. 35 «in November [n.d.r. si suppone del 1913] was added a collection of 1,557 volumes and pamphlets (bound in 199 volumes) relating to the arts and artist of Italy gathered together by Michelangelo Gualandi» (si presume che l’acquisto sia stato fatto rivolgendosi a Baer). I volumi furono probabilmente assorbiti nella collezione della biblioteca, mentre i ‘pamphlets’ furono classificati in un’unica scheda nell’Old Catalog della Library of Congress. Non ho però maggiori informazioni su loro contenuto. Non tutti i manoscritti appartenuti o di cui Gualandi fu autore furono ceduti a Baer. A Bologna esistono tre distinti nuclei archivistici con sue carte. Quello della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna (vedi nota 1, buste 130 e 131) è senza dubbio il più organico, perché contiene carte personali (a cominciare dalla già citata autobiografia) che furono trattenute dall’erudito bolognese, riordinate dallo stesso Gualandi dopo la vendita a Baer e cedute alla Deputazione. Da segnalare in particolare che nella busta 130, fasc. 4 è contenuta la rubrica dei corrispondenti di Gualandi (oltre seicento) con l’esplicita indicazione che il carteggio è stato ceduto a Baer: «Carteggio particolare per molti anni di Uomini distinti, Artisti e Negozianti con Michelangelo Gualandi. Fa parte della vendita della Libreria fatta ai noti Librai di Francoforte Gius. Baer e Comp». Gli altri archivi si trovano presso l’Archiginnasio di Bologna (si veda http://badigit.comune.bologna.it/fondi/fondi/257.htm) e presso il fondo Ambrosini della Fondazione Carisbo di Bologna. Non è noto quando Raimondo Ambrosini (1855-1914) entrò in possesso delle carte Gualandi, se le acquistò o ricevette in dono dallo stesso o successivamente (magari da Baer). La Raccolta di opere riguardanti Bologna nella biblioteca di Raimondo Ambrosini (Bologna, A. Garagnani, 1906) elenca, fra gli altri, tutti i documenti appartenuti a Gualandi esistenti nella collezione, ma non è del tutto attendibile, perché Lorenzo Ambrosini, figlio di Raimondo, dopo la morte del padre ne alienò una parte per problemi di natura economica, salvo finire per venderne il grosso alla Cassa di Risparmio di Bologna nel 1948.  Il Fondo Ambrosini non è ancora schedato informaticamente, motivo per cui la reale consistenza dei documenti appartenuti a Gualandi che ne fanno parte è desumibile solo tramite la consultazione del catalogo cartaceo. Ciò che è certo, comunque, è che buona parte del materiale manoscritto facente parte della vendita del 1882 a Joseph Baer rimase presso l’editore fino alla cessazione dell’attività del medesimo, nel 1938.  Quando e con quali modalità (se cioè al momento della chiusura o in seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale) il materiale residuo sia finito presso la biblioteca universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte è circostanza che ignoro. La biblioteca ha provveduto a rendere disponibili online alcuni dei manoscritti appartenuti o scritti da Gualandi, ma solo di recente il riesame del materiale ha permesso di capire che comprende anche tutta (o quasi) la corrispondenza e i documenti amministrativi del bolognese. Il materiale è in fase di riordino, con la speranza che possa essere presto consultabile al pubblico.
A complicare ulteriormente le cose va detto che Gualandi, prima di vendere a Baer, regalò almeno in una circostanza sue carte all’amico veneziano Andrea Tessier (e non si può escludere che abbia fatto qualcosa del genere con altri). È il caso del Ms. Codex 471 dell’Università della Pennsylvania che si intitola
«Documenti artistici di scuola ferrarese, parte originali, parte copie [del Arch. comunale e Arch. notarile di Ferrara], e fac-simile, mandati in dono in più volte da Luigi Napoleone Cittadella, ora 1862 bibliotecario del comune, a Michelangelo Gualandi» (materiale non consultato), donato a Tessier nel 1881.

[6] Per motivi che ignoro, in molti repertori internazionali, Gualandi risulta essere nato nel 1793 e morto nel 1865 (curiosamente gli stessi anni di nascita e morte di Charles L. Eastlake). Gualandi si chiamava Angelo Michele, come il nonno. Per distinguersene, cominciò sin da giovane a farsi chiamare Michelangelo. Ed è così (o come Michele Angelo) che lo si trova sempre citato, persino sulla lapide della sua tomba, presso la Certosa di Bologna. Va detto, infine, che bisogna stare attenti a non confondere Michelangelo Gualandi con l’avvocato Angelo Gualandi (nemmeno parente), nato nel 1828 e morto nel 1903, anch’egli storico ed erudito bolognese.

[7] Gualandi spese tutta la vita nel cercare di costruire un nesso fra la sua famiglia e antenati di alto lignaggio. Si tratta di un costume piuttosto frequente all’epoca, ma che senza dubbio, nel caso specifico, tradisce un senso di inferiorità nei confronti degli ambienti dell’erudizione italiana, composti per lo più da esponenti di famiglie aristocratiche. Si vedano ad esempio i fascicoli 2 e 3 della busta 130 delle carte Gualandi nell’Archivio della Deputazione di Storia Patria, che si intitolano rispettivamente «Alberi della famiglia Gualandi venuti da Pisa e loro diramazioni in Romagna ed altrove. Stemmi blasonici» e «Notizie intorno la famiglia Gualandi di Pisa e Gualandi di Bologna sino dal 12° secolo». Non a caso la sua autobiografia è preceduta dall’esergo «Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi» (verso tratto dalla Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII). I Gualandi citati da Dante erano appunto un’antica famiglia pisana.

[8] In Archivio Dep. Storia Patria, carte Gualandi, busta 130 fascicolo 6 («Ben-serviti commerciali, che civili, che militari…») Michelangelo risulta essere stato al servizio del banchiere bolognese (ma oriundo francese) Luigi Couderc dal 1807 al 1813, tenendo «scrittura doppia in lingua francese, e la corrispondenza»; far parte dell’armata napoleonica in Italia in qualità di «aggiunto alla Cassa» nel 1814; essere in trattativa con una società svizzera per la gestione degli affari di sbarco/imbarco della medesima presso il porto di Livorno nel 1818; e, infine, è nominato il 13 marzo 1820 procuratore generale in Italia del negoziante bolognese (anch’egli di chiare origini francesci) Nicodemo Laplanche.

[9] L’Università di Francoforte (come già accennato) ha reso disponibili online alcuni dei manoscritti di Gualandi ai suoi tempi ceduti al libraio Joseph Baer. Fra questi, sono visionabili i manoscritti pronti per la stampa di quattro delle sei serie delle Memorie originali italiane risguardanti le belle arti. Su questi esemplari Michelangelo eseguì le ultimissime correzioni, e lo fece incollando ai manoscritti pezzi di carta che sul retro risultano già essere stati utilizzati (la carta costava e non andava sprecata). Nel manoscritto relativo alla Serie Prima, è inserita appunto una correzione sul cui retro è riportata la prima parte della lettera in questione. Si veda Ms. lat. qu 97 Bd1  http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222503, c. 213b.

[10] Si tratta di due lunette originariamente nella cappella della SS. Vergine della Cattedrale di Imola. I due affreschi furono trasportati su tela nel 1774 in coincidenza con la demolizione del duomo imolese che venne poi ricostruito secondo un nuovo progetto. Gualandi li acquistò dalla famiglia Dalla Volpe nel 1824. Si veda G. Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori. Mary P. Merrifield. Lettere dall’Italia 1845-1846, Milano, Officina Libraria, 2018, p. 158 nota 8.

[11] Da notare che la copia consultabile su Internet tramite Google Books riporta, nel contropiatto, assieme a una segnatura G47 la frase (probabilmente scritta da Andrea Tessier): «L’Editore, e in parte autore, è Michelangelo Gualandi». La copia è custodita nell’Università della Pennsylvania (si veda la fine di nota 5).

[12] M. Gualandi, Memorie originali italiane… cit., Serie Prima, p. 48 nota 3: «Questa bella pittura di mezzana grandezza [n.d.r. una Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre di Francesco Albani dipinta fra 1647 e 1649) passò nell’indicato anno 1828 in proprietà di Mr. Park inviato dalla Gran Bretagna, ed indefesso ricoglitore di opere d’arti [n.d.r. sic] italiane. Alla sua partenza quel quadro, che aveva patito qualche ingiuria, passò coll’acquirente in Inghilterra.»

[13] Via dei Libri corrisponde all’attuale Via Farini. Si segnala che il locale si trovava di fronte al Caffè della Barchetta, all’epoca noto ritrovo di liberali e massoni.

[14] La relativa documentazione originale (accompagnata da una nutrita raccolta di giornali rivoluzionari) è conservata nel Fondo speciale Avvisi, notificazioni e documenti del periodo 1831-1832 in Archiginnasio, a Bologna, (http://badigit.comune.bologna.it/fondi/fondi/257.htm). Mi limito a far presente che, fino alla caduta dello Stato Pontificio, si trattava di materiale scottante, che Gualandi conservò egualmente a suo rischio e pericolo.

[15] A. Sorbelli (a cura di), Libro dei compromessi politici nella rivoluzione del 1831-32, Roma-Vittoriano, 1935, p. 73.

[16] C. Manelli, E. Bonvicini, S. Sarri, La massoneria a Bologna dal XVIII al XX secolo, Bologna, 1986. Consultata la versione in ebook del 2014, senza indicazione pagina.

[17] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 141 fasc. 14, «Alcune notizie intorno Michelangelo Gualandi di Bologna», c. 5.

[18] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 130 fasc. 5, «Concorso d’Ispettore dimostratore al Cimitero Comunale», sub-fascicolo «Appello di Michelangelo Gualandi all’Illustrissima Magistratura, all’Eccellentissimo Arringatore, all’Illustrissimo Consiglio nella prossima nomina l’Ispettore Custode del Cimitero Comunale di Bologna» in data 13 ottobre 1845. Da notare che nello stesso fascicolo si trova un certificato a firma di tre pubblici ragionieri bolognesi (sempre in data 1845) in cui si asserisce di aver verificato che Gualandi conosce perfettamente la scrittura a partita doppia, e che la usa con particolare perizia nell’esercizio di attività legate alle agenzie commerciali.

[19] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Fondo Speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1 Sono conservate quarantacinque lettere di Gualandi allo scultore in occasione di viaggi o permanenze del medesimo a Milano e a Roma (1837 e 1839). La cattedra del nuovo Professore di Pittura era, in realtà, contesa fra Clemente Albèri, figlio del precedente titolare, Lucchini e l’anziano Giuseppe Guizzardi. Cfr. Gian Piero Cammarota, Le origini della pinacoteca nazionale di Bologna. Una raccolta di fonti. Vol. II. Dalla rifondazione all’autonomia (1815-1907), Bologna, Minerva, 2004, p. 55. La candidatura Masini, caldeggiata da Gualandi, ma mai formalizzata, era, evidentemente, assai precoce e soprattutto mancava di uno sponsor importante: Gualandi all’epoca non aveva alcun incarico all’interno dell’Istituto, di cui divenne membro onorario solo nel novembre 1846. Sorprende tuttavia la familiarità con gli ambienti accademici, che gli permiss di inviare a Baruzzi resoconti dettagliati delle adunanze dell’Istituto in tempi strettissimi.

[20] Si veda Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte, Ms. lat. qu. 97 Bd. 2
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222521#dcId=1571239300277&p=1, c. 380b.

[21] Si veda Biblioteca Universitaria Johann Christian Senckenberg di Francoforte, Ms. lat. qu. 97 Bd. 1
http://sammlungen.ub.uni-frankfurt.de/msneuz/urn/urn:nbn:de:hebis:30:2-222503#dcId=1571239300277&p=1 c. 276.

[22] Una cosa è certa: sia la sede di Palazzo Zambeccari a S. Paolo sia quella di Palazzo Fava (dove Michelangelo ebbe in affitto fino al 1857 i locali affrescati dai Carracci con il ciclo di Giasone e Medea) eranodi estremo prestigio. La raccolta di quadri della famiglia Zambeccari era famosissima e occupava il piano nobile del palazzo di proprietà. A renderla particolare era il fatto che due generazioni successive, ovvero quelle di Francesco (morto nel 1767) e del figlio Giacomo (scomparso nel 1795) si erano esplicitamente adoperate perché la collezione rimanesse intatta e fosse fruibile a bolognesi e forestieri. Di fatto, con le disposizioni testamentarie di Giacomo, la collezione Zambeccari assumeva una natura ibrida, in cui la proprietà privata trovava una limitazione a garanzia del godimento del pubblico. A memoria della circostanza, lo stesso Giacomo aveva fatto scolpire una lapide sulla facciata del palazzo in cui ricordava che la pinacoteca era destinata ad bonorum artium patriaeque utilitatem. In realtà, le cose andarono diversamente (almeno in parte): il declino economico che, nel corso dell’Ottocento, colpì gli Zambeccari come quasi tutte le altre famiglie nobili bolognesi, nonché l’incuria degli eredi, fecero sì che la collezione fosse privata di diverse opere vendute all’estero (e Gualandi ebbe un ruolo in tutto ciò). L’Unità d’Italia coincide, grosso modo, con l’estinzione del ramo della famiglia. Ciò che rimase della collezione fu venduto al marchese Ferdinando Bevilacqua Ariosti nel 1867 e, quattro anni dopo, passò in mano al conte Giovanni Revedin. Ma qui scattò un caso giudiziario che si trascinò per anni: facendo riferimento alle disposizioni testamentarie di Giacomo, e alle testimonianze scritte e orali, si stabilì che la vendita era nulla e che la raccolta doveva mantenere la fruibilità pubblica delle opere. La collezione Zambeccari fu aggregata alla Pinacoteca di Bologna nel 1884. Tutt’ora la quadreria Zambeccari fa parte del patrimonio della Pinacoteca; la collezione è visitabile presso il piano nobile di Palazzo Pepoli Campogrande. Si veda G.P. Cammarota, Le origini della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Una raccolta di fonti. Vol. III: La collezione Zambeccari, Bologna, Minerva, 2000. 

[23] Non esiste, purtroppo, uno studio sui banchieri privati a Bologna nell’Ottocento. Una lista dei banchieri privati bolognesi compare in Elenco classificato per ordine alfabetico delli signori banchieri – fabbricatori – negozianti qualunque e principali artieri […] della città di Bologna e suoi sobborghi…, Bologna, Pei Tipi delle Muse in S. Mammolo, 1845. Su Perotti mi permetto di rinviare ad alcune brevi note in G. Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori. Mary P. Merrifield. Lettere dall’Italia 1845-1846, Milano, Officina Libraria, 2018 e ad alcune citazioni in Cammarota, Le origini della Pinacoteca… Vol. II Dalla rifondazione… cit.

[24] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Fondo Speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1, lettera del 15 aprile 1839.

[25] Vedi G. Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori… cit., pp. 146 sgg.

[26] Vedi nota 10.

[27] Vedi G. Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori… cit., pp. 173 e 179.

[28] G.P. Cammarota, Le origini della Pinacoteca Nazionale… Vol. III La collezione Zambeccari… cit., p. 317 nota 183.

[29] G.P. Cammarota, Le origini della Pinacoteca Nazionale… Vol. III La collezione Zambeccari… cit., p. 88 nota 10.

[30] L. Scarabelli, Alcuni quadri di Michelangelo Gualandi in Bologna, Piacenza, 1843. Consultabile online all’indirizzo http://badigit.comune.bologna.it/books/sol/59040_INV.pdf.   

[31] Fra i quadri, vale la pena citare il Ritratto di Domenico Marini (famoso giocatore di pallone romano), opera di Karl Bryullov (1799-1852), un pittore neoclassico russo a lungo vissuto in Italia. Il quadro è oggi conservato al Museo di Belle Arti di Novgorod. Sul sito della Presidential Library russa è oggi reperibile una scheda dell’opera redatta dal bolognese in data ignota: https://www.prlib.ru/en/node/465668?mode=archive.

[32] A questo proposito vale la pena riportare quanto scrisse Otto Mündler nei suoi diari visitando nell’agosto del 1856 la collezione del «Ragioniere di Casa Buschi [n.d.r ma Boschi]. This amateur has some really good pictures, but mostly of the Carraccis and their school, Guercino da Cento etc.». Si veda The Travel Diaries of Otto Mündler 1855-1858, edited and indexed by Carol Togneri Dowd, introduction by Janyie Anderson, The Walpole Society, 1985, cit., p. 117.

[33] Si veda S. Avery-Quash e Christian Meyer (a cura di), London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820, Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019.

[34] A puro titolo di esempio, si pensi che in provincia di Bologna, nei decenni centrali dell’Ottocento, si formarono due grandi latifondi terrieri: il primo è quello del romano Alessandro Torlonia (1800-1886), il secondo quello del genovese (ma a lungo abitante a Parigi) Raffaele De Ferrari (1803-1876). In entrambi i casi a essere esautorate furono le ‘tradizionali’ famiglie nobili bolognesi. Su Torlonia (che al momento della morte era proprietario di 5.300 ettari di terreni bolognesi) si veda L. Govoni e L. Vittori, I Torlonia in Romagna e nel Bolognese. Formazione e declino di un grande patrimonio fondiario in La proprietà fondiaria in Emilia-Romagna, Bologna, Zanichelli, 1984, vol. IV, pp. 15 sgg, Raffaele De Ferrari, il cui primo acquisto nel bolognese (il Ducato di Galliera) si spiega solo con la volontà di passare da marchese a duca, nel 1876 possedeva 5.700 ettari. Si veda G. Mazzaferro, Un finanziere di rango europeo a San Giovanni in Persiceto. Le tenute acquistate da Raffaele De Ferrari (1833-1876) in Strada maestra. Quaderni della Biblioteca comunale G.C. Croce di San Giovanni in Persiceto, 34 (1° semestre 1993), pp. 71-93.

[35] Sull’argomento si consulti A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860, Bologna, Edizioni Alfa, 1978.

[36]  [M. Gualandi], Dell’Esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1835 e pochi cenni su quella di Milano, Firenze, Tipografia All’Insegna di Dante, 1835; [M. Gualandi], Dell’Esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1836, Firenze, Tipografia di Gius. Galletti, 1836; [M. Gualandi], Sulle Esposizioni di Belle Arti in Bologna nel 1837. Lettere ad Epifanio Fagnani di Mortara, Firenze, Coi tipi della Galileiana, 1838. La serie ebbe una continuazione ad anni di distanza con [M. Gualandi], Esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1844, Bologna, Tipografia Sassi, 1844.

[37] Sulla contrapposizione (che nel caso di Gualandi divenne quasi una convivenza) fra tradizione ecfrastica letteraria e filone di ricerca documentaria toscana si veda, ad esempio, D. Levi, Cavalcaselle, Il pioniere della conservazione dell’arte italiana, pp. XXVI-XXVII. Inoltre è impossibile non rimandare a P. Barocchi (a cura di), Gli scritti d’arte dell’Antologia di G.P.Viesseux 1821.1833, Firenze, S.P.E.S. Studio per Edizioni Scelte, 6 volumi, 1975-1979. Non risultano contributi di Gualandi per l’Antologia Viesseux. L’erudito fu invece Socio corrispondente dell’Archivio Storico Italiano dal 1842. L’Archivio della Fondazione Carisbo a Bologna conserva un fascicolo nel Fondo Ambrosini (Ambr. C. XII op. 538) intitolato «Invii fatti alla Società dell’Archivio Storico Italiano in Firenze» in cui Gualandi inserì copia del materiale spedito appunto a Firenze (nell’agosto 1841, giugno 1842 e maggio 1843) con una postilla eloquente aggiunta attorno al 1870: «Non n’ebbi in cambio che vergognosa ingratitudine».

[38] M. Gualandi, Memorie originali italiane… cit., Serie Prima, p. 1.

[39] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 13° fasc. 7, «Diplomi accademici inviati a Michelangelo Gualandi di Bologna».

[40] Fu lo stesso Gualandi a esplicitare che l’autore della recensione è Carlo Pepoli, facendo stampare sui due contropiatti della Serie Terza la lista dei riscontri a stampa avuti dalla sua opera. Il bolognese Carlo Pepoli (1796-1881), primo sindaco della città dopo l’Unità d’Italia, fu uno dei nove attivisti felsinei dei moti rivoluzionari del 1831 a non essere amnistiati nel 1832 e, quindi, a restare in esilio fino al 1859. A Londra, Pepoli visse oltre vent’anni, insegnando lingua e letteratura italiana all’Università. Mi pare un classico esempio di reciproco sostegno fra due persone che, in realtà, si conoscevano bene e avevano le stesse idee (anche Pepoli era liberale e massone).

[41] E.K. Guhl, Künstler-Briefe, Tomo I, Berlino, T. Trautwein’sche Büch und Musikalienhandlung, 1853; Tomo II, Berlino, Guttenberg, 1856.

[42] Si noti, per inciso, che, all’interno del necrologio di Liverati, pubblicato su Archivio storico italiano. Appendice. Tomo I, 1844, p. 361, Carlo Milanesi scrisse: «Frutto di questo suo zelo [n.d.r. si riferisce a Liverati] fu, tra le altre, la cooperazione di Michelangelo Gualandi, suo compatriotta ed amico, benemerito quant’onesto uomo, il quale fu tra’ primi a mandarci note ed estratti di manoscritti e documenti storici dalla sua patria Bologna». Vedi anche nota 37.

[43] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 15 dicembre 1855.

[44] Cfr. nota 30.

[45] Lettera di mia proprietà, acquisita sul mercato antiquario.

[46] Dell’opera, probabilmente del solo Bartolomeo Cesi, ma assegnata dai tre professori in questione in solido a Cesi e Agostino Carracci, non si ha alcuna notizia dopo la stampa dell’opuscolo. Cfr. M. Preti Hamard, Ferdinando Marescalchi (1754-1816). Un collezionista italiano nella Parigi napoleonica, Bologna, Minerva, 2005, vol. I, p. 102 nota 25.

[47] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Cincinnato Baruzzi, busta 6.1, lettera del 29 maggio 1837.

[48] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Pelagio Palagi, Cartone X, lettera 31 del 2 maggio 1837.

[49] Secondo Janye Anderson, Eastlake e Gualandi si conobbero già nel 1842. In proposito l’autrice cita una lettera del 10 ottobre 1842 in cui Gualandi scrisse al marchese Costabili dicendo che il 4 dello stesso mese aveva visitato la collezione del nobile ferrarese assieme a Eastlake, sua moglie, e Otto Mündler; allega alla lettera una richiesta di prezzi per alcune opere. Si vedano The Travel Diaries of Otto Mündler 1855-1858, cit. p. 9. La questione mi pare di facile risoluzione: Anderson è caduta in un infortunio e ha interpretato male la data della lettera (che ho visto personalmente), che è 10 ottobre 1862 (ricordo che Eastlake ed Elizabeth Rigby si sposarono nel 1849, e quindi è impossibile che nel 1842 viaggiassero insieme). L’errore non è stato recepito da Susanna Avery-Quash in S. Avery-Quash e J. Sheldon, Art for the Nation. The Eastlakes and the Victorian Art World, Londra, The National Gallery, 2011. Purtroppo è invece stato accolto acriticamente nel mondo scientifico italiano, generando confusione soprattutto sui tempi di dispersione della raccolta ferrarese. Si vedano L. Majoli e O. Orsi, La collezione Costabili: formazione, vendita e dispersione in E. Mattaliano, La collezione Costabili, Venezia, Marsilio, 1998, p. 21.

[50] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 25 ottobre 1855.

[51] C.L. Eastlake, Materials for a History of Oil Painting, Londra, Longman, Brown, Green and Longmans, 1847.

[52] Notizie e pensieri sopra la storia della pittura ad olio di Charles L. Eastlake […] tradotti dall’inglese da Giovanni A. Bezzi, Livorno-Londra, Pietro Rolandi, 1849.

[53] G. Mazzaferro (a cura di), La donna che amava i colori… cit., p. 159.

[54] Ibidem, pp. 195-198.

[55] G.M. Green, Catalogue of the Eastlake Library in the National Gallery, London, Printed by George E. Eyre and William Spottiswoode, 1872. La trascrizione moderna del catalogo (a cura di S. Avery-Quash) è consultabile sul sito della Fondazione Memofonte all’indirizzo http://www.memofonte.it/home/files/pdf/EASTLAKE_S_LIBRARY.pdf.

[56] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 15 gennaio 1855.

[57] M. Gualandi (a cura di), Nuova raccolta di lettere… cit., vol. III, p. 324.

[58] Ferrara, Musei di Arte Antica, Archivio Medri, carta sciolta. La collezione Costabili è stata una delle più importanti raccolte private d’arte primitiva ferrarese. Raggiunto l’apice del suo splendore nella prima metà dell’Ottocento, fu progressivamente smembrata per le difficoltà finanziarie della famiglia fino a essere totalmente dispersa nel 1884. Si può senz’altro definire deleteria (anche se comprensibile, qualora la si contestualizzi nel momento storico ed economico) la scelta del Municipio di Ferrara di non acquistarla nella sua integrità quando (1856) il marchese Giovanni la offrì in vendita, biblioteca compresa, dando dimostrazione di una sensibilità che mi pare non gli sia stata riconosciuta dagli studiosi moderni. Si veda in proposito A. Colombi Ferretti, Presentazione in E. Mattaliano, La collezione Costabili… cit., p. 9. Va peraltro detto che, probabilmente, il già citato erroneo spostamento della data della lettera del Gualandi dal 1862 al 1842 (cfr. nota 49) ha portato a credere che il nobile ferrarese avesse già provveduto ad alienazioni, mentre appare ora chiaro che, per prima cosa, si rivolse nel 1856 al Comune per mantenere integra (e far diventare pubblica) la raccolta.

[59] L’unico quadro attribuito a Marco Zoppo descritto da Eastlake, a fine agosto 1858, è il seguente: «No. 21 – called Marco Zoppo – St. Dominick as the institutor of the Rosary – The St standing holds an open book with his left hand (the fingers naturally disposed among the leaves as if marking several texts – the imitation of the foreshortened leaves & of the printing or MS. excellent). He points with his right to a Rosary suspended from a rod crossing the picture behind the St. a similar rosary hangs from the rod on his left side but is there partly concealed by the book – the rosary consists of red & glass beads & through the latter is seen a [[the]] red string which connects them» (S. Avery-Quash, The Travel Notebooks… cit., p. 417). Si tratta per l’appunto del quadro oggi attribuito a Francesco del Cossa con NG597 (il santo raffigurato è divenuto S. Vincenzo Ferrer) e ritenuto il pannello centrale del Polittico Griffoni un tempo in S. Petronio, a Bologna. Più tardi, nell’agosto dell’anno successivo, Eastlake visitò Berlino e vide la Madonna con santi e bambino oggi allo Staatliche Museum (N. inv. 1170). In merito scrisse: «A large signed altarpiece by Marco Zoppo leaves no doubt whatever that the picture ascribed to that master in the National Gallery is correctly named. The style of the drapery in the Berlin picture, the rocky & sharply finished landscape background & architectural details, & even the festoons of red beads passing behind the central figure (the subject is the enthroned Madonna surrounded by Saints) all strikingly resemble the fine specimen from the Costabile collection & now in the N. Gallery» ((S. Avery-Quash, The Travel Notebooks… cit., p. 485). A questo punto temo di dover segnalare un errore (uno dei pochissimi) nell’edizione dei taccuini curata da Susanna Avery-Quash. All’epoca c’era un unico quadro nel museo ritenuto di Zoppo ed era appunto l’NG597. Nel 1857 era sì stato comprato un quadro raffigurante una Pietà con S. Giovanni Battista e S. Giuseppe di Arimatea (NG590), ma era attribuito a Cosmè Tura, e la paternità di Marco Zoppo fu un’acquisizione successiva. Il quadro proveniva dalla collezione Lombardi-Baldi di Firenze ed era appartenuto in precedenza al prof. Rosini. Quando Eastlake, a Berlino, fece riferimento all’opera di Zoppo in National Gallery stava parlando quindi dell’NG597 e non dell’NG590, come si dice nell’edizione moderna dei taccuini del Direttore (v. I, p. 498 nota 4). È evidente peraltro che, in base alla descrizione, il quadro è l’N597: nell’N590, infatti, non c’è uno sfondo roccioso, né un filo di perle che passa dietro alla figura centrale. Il Descriptive and Historical Catalogue of the Pictures in The National Gallery: with Biograpichal Notices of the Painters. Foreign Schools, by Ralph N. Wornum, Londra, 1863 chiarisce poi (a p. 260) che il quadro era stato comprato dalla collezione Costabili nel 1858. Sempre la consultazione del medesimo catalogo permette poi (a p. 125) di capire che l’altra opera comprata dalla medesima collezione e spedita da Gualandi nell’autunno 1858 era un San Francesco in gloria attribuito a Filippino Lippi e, oggi, a Botticelli (NG598). Del quadro Eastlake parlò nel diciottesimo dei suoi taccuini (31 agosto 1858, v. I, p. 423 dell’edizione Avery-Quash).

[60] Questo passaggio mi permette di affrontare una questione che solo marginalmente riguarda il rapporto Eastlake-Gualandi, ma che è comunque importante sotto un profilo storico-commerciale. Recentemente alcuni stimabilissimi studiosi hanno cercato di quantificare i flussi di opere d’arte diretti in Inghilterra dagli Stati italiani di antico regime facendo ricorso all’esame dei registri delle dogane inglesi al momento dello sbarco delle merci. L’idea mi sembra affascinante. Si veda C. Guerzoni, The Export of Works of Art from Italy to the United Kingdom, 1792-1830 in S. Avery-Quash e C. Huemer (a cura di), London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820, Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019. Eppure, si impone un’osservazione: i dati delle importazioni dallo Stato Pontificio si dimostrano estremamente bassi (nessuna opera spedita in Inghilterra nel 1821, 1822, 1824, 1825, 1826, 1827, 1829, 1830, 1831, 1834, 1835, 1836 e 1838 per limitarsi al ventennio 1820-1840), mentre altissimi sono quelli del Granducato di Toscana (in media più di un migliaio di dipinti all’anno). È senz’altro vero che questa situazione riflette due diversi ordinamenti giuridici a tutela del patrimonio, ma faccio presente che a spiegare questi numeri non è tanto l’efficacia dell’editto Pacca, quanto il fatto che i quadri dello Stato Pontificio venivano normalmente spediti dal porto di Livorno, dove la presenza della logistica inglese era preminente. Nel caso bolognese, poi, è un dato acquisito che il porto utilizzato per le esportazioni era normalmente Livorno e non quello di Ancona (si veda, per l’esportazione della canapa, L. Dal Pane, Economia e società a Bologna nell’età del Risorgimento, 1° ed Zanichelli 1969, 2° ed. Editrice Compositori 1999, p. 341).

[61] Ferrara, Musei di Arte Antica, Archivio Medri, carta sciolta.

[62] Jaynie Anderson, The Restoration of Renaissance Painting in mid Nineteenth-Century Milan. Giuseppe Molteni in Correspondence with Giovanni Morelli, Firenze, Edifir, 2014, p. 43.

[63] Tutti e tre i quadri si trovano oggi alla National Gallery. Acquistati da Eastlake per la sua collezione privata, furono ceduti dalla moglie al museo che lo studioso inglese aveva diretto nel 1867, poco dopo la morte del marito (24 dicembre 1865). Si tratta, per la precisione, della Vergine col Bambino e i santi Antonio Abate e Giorgio (NG776) (ceduta a titolo gratuito), del San Girolamo di Cosmè Tura (NG773) e del San Girolamo in un paesaggio di Bono da Ferrara (NG771), questi ultimi due venduti e non regalati).

[64] Archivio Fondazione Carisbo, Fondo Ambrosini C XIII op. 559. Vedi nota 71.

[65] Si veda Elenco classificato per ordine alfabetico delli signori banchieri… cit., p. 5.

[66] Sicuramente non lo è da G. P Cammarota nel suo Le origini della Pinacoteca Nazionale di Bologna… Vol. III La collezione Zambeccari, cit., che, pur non avanzando ipotesi, segnala un’errata attribuzione precedente di Andrea Emiliani (p. 289 nota 29).

[67] Ibidem, p. 402.

[68] The Travel Diaries of Otto Mündler… cit., p. 167.

[69] S. Avery Quash, The Travel Notebooks…, cit. v. I, p. 372. Avery-Quash fa presente che il quadro è quello oggi alla National Gallery.

[70] Vedi nota 5.

[71] Il titolo del manoscritto (che ha segnatura Fondo Ambrosini, C. XIII op. 559) è assai più lungo: «Gite artistiche in alcune città della media e meridionale Italia nell’anno 1861 (nel mese di marzo) / Gita a Napoli (via di Firenze, Livorno ivi imbarcato) e suoi dintorni nel mese di settembre ed ottobre 1861 accompagnando il celebre artista letterato ser [sic] Charles Lock Eastlake, Presidente etc.. dell’Accademia di Belle arti a Londra». In realtà la seconda parte di quanto promesso (ovvero il resoconto del viaggio a Napoli) non c’è (sono presenti solo alcune pezze d’appoggio relative agli alberghi in cui Michelangelo ebbe modo di soggiornare e poco altro), ma sappiamo che effettivamente Eastlake si recò a Napoli anch’egli nello stesso periodo. Che il primo viaggio sia eseguito su richiesta dello studioso inglese è dimostrato da almeno un paio di passaggi del manoscritto: «Da Siena, ove mi trattenni un giorno, passai a Firenze di dove ripartii per Bologna. Delle cose rivedute o vedute a Firenze farò menzione nella seconda gita artistica che dovrò intraprendere verso il termine dell’estate, ben grato intanto a quell’illustre straniero che promosse e favorì la prima gita colla promessa che gli sarei compagno nella seconda, come poi avenne per ben mia rara fortuna». Il corsivo è mio e dimostra che il resoconto del primo viaggio è stato steso prima di settembre-ottobre 1861, per poi essere oggetto di integrazioni successivamente (Gite artistiche in alcune città…, cit., fasc. 1.1 c. 21). E ancora, a Pesaro: «Collezione di Pitture Bonamini. Molto degne di rimarco e tutte vergini di ritocchi. Ho in pensiero che l’illustre signor Eastlake conosca questa Raccolta della quale in conseguenza non faccio alcuna particolare menzione» (fasc. 1.2 c. 5). 

[72] Il frutto più immediato dell’azione di Morelli e di Cavalcaselle fu innanzi tutto la presentazione al Ministero del Catalogo delle opere d’arte nelle Marche e nell’Umbria (1862), Gli appunti personali di Morelli sul viaggio (in relazione alle sole Marche) sono stati pubblicati in J. Anderson, I Taccuini manoscritti di Giovanni Morelli, Milano, Federico Motta, 2000.

[73] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir…, cit., v. I, p. 578.

[74] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 26 dicembre 1861. Il quadro fu venduto da Giulia Seghizzi Coccapani entro il 1872 e, dopo una serie di passaggi, è stato battuto a un’asta di Old Masters di Christie’s il 27 aprile 2017, dove è stato aggiudicato per quasi un milione e mezzo di dollari. Si veda https://www.christies.com/lotfinder/Lot/francesco-francia-bologna-c-1450-1517-saint-barbara-6068910-details.aspx

[75] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir…, cit., vol. II, 85. L’opera è citata da Giuseppe Molteni come in arrivo per il restauro assieme al Pisanello e agli altri due quadretti acquistati dalla collezione Costabili. Cfr. Jaynie Anderson, The Restoration of Renaissance Painting…, cit., p. 43 (vedi anche nota 62).

[76] Purtroppo la numerazione esposta nella lettera non aiuta nell’identificazione dei quadri, perché non corrisponde a quella della Descrizione della quadreria Costabili di Camillo Laderchi in quattro volumi (Ferrara, 1838-1841) né ovviamente può essere riferita al catalogo di Gaetano Giordani, scritto nel 1870. Se ne desume che sia esistita una redazione intermedia della raccolta, oggi persa.

[77] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir… cit., v. I, p. 608. La discrepanza quantitativa lascia interdetti. Perché fare una lista di otto quadri il 4, e farne spedire una di diciotto il 10? Mi pare che l’unica risposta possibile sia che la richiesta sia stata avanzata a nome di Eastlake, ma che fosse in realtà espressione di un ‘sindacato’ di compratori (Eastlake e Mündler? E con essi anche lo stesso Gualandi?).

[78] Eastlake aveva adocchiato l’opera sin dal settembre del 1861. All’epoca aveva però segnato sui suoi appunti che per il momento non era in vendita. Cfr. The Travel Notebooks of Sir… cit., v. I, p. 566.

[79] S. Avery-Quash, The Travel Notebooks of Sir… cit., v. II, p. 126.

[80] J. Sheldon, The letters of Elizabeth Rigby, Lady Eastlake, Liverpool, Liverpool University Press, 2009, p. 235. Non mi è chiaro quale sia, in questa vicenda, il ruolo di Cavalcaselle. Se cioè il conoscitore di Legnago avesse rilasciato a Gualandi una consulenza per conto di Eastlake (e in tal caso saremmo nell’ambito delle attività commerciali dell’uomo di cui si parla in D. Levi, Cavalcaselle cit…, pp. 143 sgg. e 322 sgg.) o se Michelangelo l’avesse saputo casualmente, riferendo a Eastlake che, in tal caso, si sarebbe semplicemente fidato di quanto saputo.

[81] «L'illustre cav. CARLO LOCKE EASTLAKE, presidente dell'Accademia di Belle Arti e direttore del Museo Nazionale di Londra, non è più: partito mesi sono dall'Inghilterra, come soleva ogni anno, per un viaggio artistico in Italia, colpito per via da fiero morbo, e condotto a Pisa in cerca di aria mite, ogni rimedio riusciva vano a prolungarne i giorni preziosi. Egli spirava colà nella mattina del 24 fra le braccia della desolata moglie, notissima al pari di lui come valente artista e letterata. Quanti conobbero e poterono apprezzare le doti della mente e del cuore di sir EASTLAKE possono soli sentire quale perdita abbiano fatto le Arti ed i numerosi di lui ammiratori, tra i quali non mancherà certamente chi vorrà scriverne condegni elogi ed utile biografia. Ma il vivo dolore non consente dettare altre parole a Michelangelo Gualandi.
Bologna, 26 dicembre 1865».

[82] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 16 giugno 1866.

[83] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo speciale Giuseppe Campori, lettera del 2 dicembre 1870.

[84] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 14.

[85] Una sola merita di essere citata perché mette in discussione il patriottismo dell’erudito bolognese. Nell’ottobre del 1862 Maria Pia di Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele II si sposò e divenne regina del Portogallo. Per festeggiare l’evento il comune di Bologna decise di regalare alla futura sposa un quadro di Francesco Francia, comprato dalla collezione di Michelangelo Gualandi. Poco prima del matrimonio, sull’Osservatore Romano e su una serie di giornali di ispirazione cattolica uscì un articolo in cui, in sostanza, si diceva che l’opera non era di Francesco Francia, ma di Giacomo, che Michelangelo, «liberalone a tutta prova», l’aveva comprata per pochi soldi da un rigattiere e fatta ritoccare pesantemente da un’artista da strapazzo (la signora Gargalli). «Or bene questo patriota puro sangue ha appiccicata la pittura al nostro intelligentissimo e illuminatissimo municipio per la piccola bagatella di 1200 scudi romani a pronti contanti, spacciandolo per un capolavoro di Francesco Francia, quando non è che una informe e rappezzata copia di un altro Francia. Dico rappezzata, perché il prefato liberalissimo sig. Michelangelo Gualandi l’ha fatta allungare ed allargare di qualche pollice, facendo poi per altra mano aggiungere una specie d’aureola attorno alla testa della Madonna l’ha comprata per pochi soldi da un rigattiere, l’ha fatta ritoccare pesantemente». Gualandi allestì una memoria difensiva che è giunta sino a noi, in cui tentò di smontare una a una le accuse dell’anonimo accusatore. Si veda Archivio Deputazione Storia Patria, busta 131 fasc. 13, «Regalo di nozze di Pia di Savoia». Senonché, se leggiamo i diari di Otto Mündler, veniamo a sapere che nel 1857 il Travelling Agent della National Gallery vide l’opera e così scrisse: «Went to see Sigr Michaelangelo [sic] Gualandi, who has a “Francia” to show. The Virgin is holding the Infant Christ asleep, placing him on a red cushion. It strikes me as being a Giacomo Francia, an indifferent specimen and by no means in a satisfactory state» (The Travel Diaries of Otto Mündler, cit. p. 218). Impossibile che Michelangelo non conoscesse questo giudizio. Assieme a lui, probabilmente ne era al corrente qualcuno (del fronte papalino) che ebbe modo di assistere alla visita di Mündler e se ne ricordò anni dopo.

[86] Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, Fondo speciale Pelagio Palagi, Cartone X, lettera 70 del 24 dicembre 1836.

[87] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 14.

[88] Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. It. IV 2035 [=12276], n. 95.

[89] Cfr. nota 22.

[90] Archivio Deputazione Storia Patria, Carte Gualandi, busta 131 fasc. 11, «Dispacci ministeriali di varie regie deputazioni di storia patria».



2 commenti:

  1. Devo complimentarmi per questo interessantissimo articolo, quasi voce di enciclopedia. Alle prossime scoperte! Gabriele, Urbino

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