English Version
London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820
[Londra e l'affermazione di un mercato europeo dell'arte, 1780-1820]
A cura di Susanna Avery-Quash e Christian Huemer
Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019
Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda
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Paolo Veronese, Ritratto di donna con un cane, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza (dalla collezione Orléans) Fonte: https://www.museothyssen.org/en/collection/artists/veronese/portrait-woman-dog |
Indice della Parte II -
Collezioni
- Malcolm Baker, Introduction to Part Two;
- Camilla Murgia, From Private to National: Exhibiting Fine Arts in London around 1800;
- David Alexander, The Evolution of the Print Market and Its Impact on the Art Market, 1780-1820;
- Wendy Wassyng Roworth, Angelica Kauffman: The Acquisition and Dispersal of an Artist’s Collection, 1782-1825;
- Susanna Avery-Quash and Nicholas Penny, The Dispersal of the Orléans Collection and the British Art Market;
- Sarah Bakkali, The Trumbull Sale of 1797: Players in the Paris-London Art Market during the French Revolution;
- Rebecca Lyons, Selling the Collection of Welbore Ellis Agar in 1806
La collezione Orléans
Si è parlato nella prima parte
della vendita della collezione Orléans come momento che sancisce il primato del
mercato artistico londinese rispetto al resto d’Europa. In un saggio molto
denso Susanna Avery-Quash e Nicholas Penny ne richiamano gli estremi e svolgono
importanti considerazioni a margine in proposito. La raccolta, messa insieme da
Filippo d’Orleans-Borbone (reggente di Francia fra il 1715 e il 1723, durante
la minore età di Luigi XV), comprendeva opere provenienti a loro volta dalla
collezione di Cristina di Svezia, e in precedenza appartenute all’imperatore
Rodolfo II d’Asburgo.
Messa in vendita a fine
Settecento, fu alienata in due tronconi; il primo, costituito da quadri
francesi e italiani, fu venduto nel 1792 al banchiere belga Édouard
de Walckiers (1758-1837), il quale lo cedette a François Louis Jean-Joseph de
Laborde de Méréville (1761-1801), anch’egli operatore finanziario emigrato in
Inghilterra in seguito alla rivoluzione. A sua volta Laborde era riuscito a
entrarne in possesso solo dietro l’accensione di un’ipoteca col banchiere
Jeremiah Harman (1763-1844), in quegli anni appena nominato direttore della
Bank of England. Harman, divenutone il proprietario a inizio 1798, cedette
infine la raccolta al commerciante Michael Bryan (1757-1821), che era il
rappresentante di un patto di sindacato stretto fra lui, il Duca di
Bridgewater, suo nipote Lord Gower e il cugino di quest’ultimo, conte di
Carlisle. Fra fine 1798 e luglio 1799 il primo troncone della collezione a
essere stato alienato fu dunque esposto e messo in vendita fra la Galleria di
Bryan e una seconda collocazione (il Lyceum, allo Strand), dov’era possibile
ospitare i quadri di dimensioni più ragguardevoli.
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Sebastiano del Piombo, La resurrezione di Lazzaro, Londra, The National Gallery (dalla collezione Orléans) Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Sebastiano_del_Piombo,_The_Raising_of_Lazarus.jpg |
Curiosamente, molto più rapida (e
precedente) fu la dispersione della seconda tranche della collezione a essere
acquistata, con le opere tedesche, olandesi e fiamminghe, comprata e venduta
già nell’aprile del 1793 da Thomas Moore Slade (1749-1831), intermediario che
agiva anch’egli come rappresentante di un patto di sindacato.
Già da queste poche note emergono
chiari alcuni elementi basilari: la vendita della collezione Orléans
rappresenta una ‘prima volta’. È la prima volta in cui una raccolta di
quest’importanza non cambia proprietario o per diritto di conquista o per
accordi fra corti europee (si pensi alla vendita della collezione estense ad
Augusto di Sassonia nel 1745). Condizioni indispensabili perché tutto ciò si
possa verificare sono l’esistenza di un sistema bancario molto versatile e
flessibile, la presenza di grande liquidità in denaro, ma anche l’affermarsi di
un pubblico che consideri uno status-symbol il possedere un’opera di provenienza
così prestigiosa e veda, quindi, nel collezionismo un fatto di affermazione
sociale. Contemporaneamente sono proprio queste le circostanze che rendono
lecito parlare di ‘dispersione’ della raccolta e non di cessione della
medesima. I quadri sono esposti e venduti singolarmente e finiscono quindi in
mille rivoli. A conferma di quanto importante sia possedere un’opera un tempo
facente parte della collezione Orléans basti pensare che, ancora a metà anni Trenta
dell’Ottocento, conoscitori come Passavant e Waagen, in visita in Inghilterra,
cercano di ricostruirla ‘idealmente’ individuandone le collocazioni in essere
in quegli anni.
Ancora: la forte presenza
dell’elemento finanziario, a volte, è finalizzata all’acquisto di parte della
collezione da parte dei contraenti i patti di sindacato. Un gruppo di persone
stringe un accordo per l’acquisto di una raccolta e si riserva l’acquisto delle
opere considerate migliori, prevedendo di poter rientrare della propria spesa
grazie ai profitti realizzati con la vendita del resto della collezione.
I quadri – come detto – sono
esposti per lo più nella Galleria di Bryan, e anche qui siamo di fronte a un
fenomeno nuovo, che Camilla Murgia ricostruisce nella sua genesi in From
Private to National, evidenziando come, inizialmente, gli scopi commerciali
delle esposizioni siano assenti o solamente indiretti (ad esempio, la vendita
di stampe tratte dagli originali) e riguardino non solo gli Antichi Maestri, ma
anche gli artisti inglesi contemporanei. A fine Settecento esiste già una serie
di ‘luoghi dell’arte’ che comprende le case d’asta e le gallerie commerciali.
La maggior parte di queste strutture si trovano nel West End di Londra, fra
Pall Mall e St. James’s Street, dove si insedia una sorta di ‘distretto
dell’arte’ (analogo fenomeno, anche se in modalità diverse, avviene per i
produttori di stampe, come segnalato da Alexander in The Evolution of the
Print Market and Its Impact on the Art Market, 1780-1820).
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Rembrandt, Il mulino, Washington, National Gallery of Art (dalla collezione Orleans) Fonte: https://www.nga.gov/collection/art-object-page.1201.html |
La vendita poi, non avviene
tramite aggiudicazione all’asta, ma col meccanismo della vendita su base
privata. Si tratta di un’ ‘invenzione’ (che oggi per noi appare del tutto
ovvia) di quel Noël Desenfans a cui abbiamo accennato nella prima parte di
questa recensione, che introdusse il sistema nel 1786 (cfr. p. 197) e che ha
ampio successo per una serie di motivi: parte del pubblico è renitente a
operare acquisti nelle case d’asta perché teme di essere troppo influenzata
dall’eloquio dei banditori; la vendita privata prevede la fissazione di un
prezzo fisso (naturalmente determinato dal venditore) su cui è più facile
ragionare; esistono vantaggi di ordine fiscale rispetto al sistema della aste,
ma, soprattutto, il sistema introdotto da Desenfans prevede una durata assai
più lunga delle esposizioni, che durano mesi (a volte con la richiesta di un
biglietto d’ingresso) e permettono di fruire delle opere d’arte a un pubblico
molto più numeroso. Va peraltro aggiunto che vendite su base privata e all’asta
non si collocano necessariamente in concorrenza l’una con l’altra, ma semmai in
maniera complementare. Non sono rari i casi in cui tele rimaste invendute dopo
il lungo periodo di esposizione destinato alla vendita privata sono poi
ripresentate in occasione di aste tenutesi successivamente.
Altre collezioni
Ogni collezione, naturalmente, ha
una storia peculiare, e in questa sezione sono riassunte le vicende relative a
quelle appartenute ad Angelica Kauffman, a John Trumbull e a Welbore Ellis
Algar.
La raccolta di Angelica Kauffman
(1741-1807) in realtà si costituisce quando l’artista, vissuta per quindici
anni a Londra, si trasferisce a Roma. L’aspetto di interesse maggiore è che,
dopo la morte della donna, molte delle sue opere vengono acquistate e rivendute
in Inghilterra. Siamo di fronte a un caso in cui la provenienza delle opere e
il fatto che fossero appartenute a un’artista che era stata cofondatrice della
Royal Academy conferiscono a esse un valore particolare agli occhi dei
potenziali acquirenti.
La vendita Trumbull merita
un’attenzione particolare. Dispersa all’asta fra il 17 e il 18 febbraio 1797,
quella di John Trumbull (1756-1843), pittore americano trasferitosi in Europa a
partire dagli anni ’80, è una ‘collezione’ sui generis, nel senso che è
costituita nell’arco di poche settimane, chiaramente a scopo speculativo. Nel
catalogo stampato in occasione dell’asta, James Christie, che la diresse, parla
di una raccolta di opere raccolte fortunosamente in una situazione di caos
totale, in cui le collezioni dei proscritti francesi venivano disperse ai quattro venti.
In realtà i toni drammatici di Christie (famoso per le sue iperboli) non
corrispondevano totalmente alla realtà. Trumbull aveva acquistato nel 1795
un’ottantina di opere facendosi finanziare da tre industriali americani e
rivolgendosi a intermediari francesi che avevano i quadri nei loro stock da
anni. Primo fra tutti, vi era, naturalmente Jean-Baptiste-Pierre Lebrun (che
già abbiamo incontrato nella prima parte della recensione) che, oltre a fornire
alcuni dipinti, aveva sollecitato altri commercianti a lui legati a fare
altrettanto. Lebrun si era comunque assicurato (oltre all’incasso del prezzo di
cessione) una quota pari a un terzo dei profitti realizzati in sede di
rivendita. Salvo eccezioni, quindi, le opere erano pervenute agli intermediari
non in seguito ai mesi del Terrore, ma erano già in loro possesso, per lo più
ottenute per alienazioni legate a vicende di eredità dopo la morte (naturale)
dei loro proprietari. Si può, piuttosto, immaginare che, in un quadro
complessivo di crisi monetaria, i commercianti francesi avessero i loro
magazzini pieni, pochissime richieste da parte della clientela interna e,
quindi, l’esigenza di ‘fare liquidità’, trovando uno sbocco in Inghilterra. Va
comunque segnalato che tutti, a partire da Lebrun, non si fecero scrupoli di
praticare una politica dei ‘due forni’, specie dopo la costituzione del Louvre,
individuando nell’istituzione museale un altro interlocutore potenziale a cui
vendere le opere in loro possesso.
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John Trumbull, Autoritratto, New Haven, Yale University Art Gallery Fonte: https://artgallery.yale.edu/collections/objects/24912 |
Nel caso di Welbore Ellis Agar
(1735-1805) siamo cronologicamente un po’ più avanti, ovvero a metà del primo
decennio dell’Ottocento. Il caso è emblematico per sottolineare come, in
occasioni di vendite particolarmente importanti, gli eventi fossero
pubblicizzati non solo in Inghilterra, ma anche all’estero. Ancora una volta
seguita da Christie, l’asta della collezione era prevista per il 2 e 3 maggio
1806 (gli eredi ne avevano deciso la dispersione dopo la morte del loro padre
naturale avvenuta nel 1805). Conosciamo un catalogo ragionato scritto in
francese (la lingua franca dell’epoca) e stampato a Dresda qualche mese prima
dell’asta. Tale catalogo fu distribuito sul continente. Tuttavia, non esiste un
catalogo in inglese, e il motivo è molto semplice: nell’aprile del 1806 Robert
Grosvenor (1767-1845) fece un’offerta irrifiutabile e comprò tutta la
collezione in blocco prima che si tenesse l’asta. Veniva meno, dunque,
l’esigenza di stampare un catalogo anche in Inghilterra. Tutta la vicenda
dimostra, tuttavia, che la prima preoccupazione di chi organizzava le aste era
quella di allertare il mercato internazionale (secondo le cronache furono non
pochi i mercanti che giunsero da tutta Europa, visto che non si era riusciti ad
avvisare tutti che l’asta non si sarebbe più tenuta) e, in seconda battuta, di
coinvolgere i connazionali.
Indice della Parte III –
Rivenditori
- Filip Vermeylen, Introduction to Part Three;
- Julia Armstrong-Totten, From Jack-of-All-Trades to Professional: the Development of the Early Modern Picture Dealer in Eighteenth-Century London;
- Francis Russell, James Christie: Auctioneer and More;
- Carol Blumenfeld, Pierre-Joseph Lafontaine and His Exploitation of European Art Market Imbalances in Paris and London, 1795-1815;
- Maria Celeste Cola, Thomas Hope and Gioacchino Marini: “Roman Agent of English Gentleman”;
- Ana María Fernández García, Commercial Agents of Spanish Painting in the United Kingdom, 1780-1820.
La sezione conclusiva del volume
curato da Avery-Quash e Huemer è dedicata ad approfondimenti su singoli
operatori del mondo dell’arte, con interessanti ‘sconfinamenti’ in Italia e in
Spagna. Non vi è dubbio, tuttavia, che il contributo che si dimostra di maggior
respiro sia quello di Julia Armstrong-Totten, che, partendo dai casi di Slade e
Bryan (ovvero dei due capi-cordata che acquistarono per poi disperdere la
collezione Orlèans) cerca di tracciare un profilo di come cambi il ‘mestiere’
del rivenditore nell’arco di pochi decenni. È evidente che si va verso un
processo di specializzazione (viene in mente la ‘divisione del lavoro’
teorizzata da Adam Smith), in cui ognuno si ritaglia una specifica competenza
andando incontro (e spesso riuscendo ad anticipare) le esigenze del mercato.
Sotto questo punto di vista è forse giusto sottolineare che noi oggi abbiamo
presente le figure prominenti dell’epoca, ma che in realtà, in questa gara ad
emergere come punti di riferimento commerciale, i fallimenti furono più dei
successi, secondo un processo di selezione naturale che ricorda molto le
vicende dell’evoluzione della specie darwiniana. La fortuna degli stessi Slade
e Bryan, pur duratura, fu comunque temporanea: entrambi furono accusati, a
inizio Ottocento, di vendere quadri falsi e dichiararono bancarotta nel 1809.
Se c’è un elemento da evidenziare, semmai, è che le turbolenze fra Sette e
Ottocento vedono anche emergere le grandi dinastie di moderni rivenditori
inglesi come i Colnaghi o i Christie.
Nel caso di James Christie
(1730-1803), a cui successe il primogenito (anch’egli James Christie
1773-1831), siamo di fronte, naturalmente, a una figura leggendaria. Fondatore
dell’omonima casa d’aste, Christie viene qui preso in considerazione perché
capace di comprendere appieno la necessità di rendere occasioni mondane le
vendite delle collezioni che avvenivano nella sua sede in Pall Mall. Ma
Christie non fu solo quello che oggi chiameremmo un ‘uomo di marketing’; ebbe
la capacità di proporsi come vero proprio confidente e consigliere,
fidelizzando una clientela sulla base della fiducia che seppe conquistarsi. Non
è certo un caso - scrive Francis Russel
- se fra i suoi clienti troviamo in moltissimi casi acquirenti che poi gli
affidarono la vendita delle loro collezioni (rara, ma anch’essa presente la
casistica inversa).
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Rembrandt, Ritratto di Gerard de Lairesse, New York, Metropolitan Museum of Art (venduto da Lafontaine tramite Christie's nel 1807) Fonte: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/459082 |
Una figura meno nota, ma la cui
importanza, in termini quantitativi è emersa proprio dallo spoglio dei dati
compresi nel Getty Provenance Index©
è quella di Pierre-Joseph Lafontaine (1758-1835) di cui
Carole Blumenfeld fornisce un primo ritratto biografico. Fra 1795 e 1815 il
database evidenzia 1690 transazioni a suo nome avvenute in Germania, Francia,
Belgio, Olanda e Gran Bretagna; e già così è possibile farsi un’idea di quanto
sia ampia l’area in cui opera il mercante nel corso della sua carriera. Di
origini fiamminghe, Lafontaine nasce pittore (come spesso, in questi casi), si
trasferisce a Parigi e diventa membro dell’Accademia nel luglio del 1789,
praticamente in coincidenza con la presa della Bastiglia (14 luglio). Forse non
dotato di particolare talento, ma molto più probabilmente travolto da un mondo
che crolla, a partire dalla metà degli anni ’90 abbraccia l’attività
mercantile. Lafontaine rappresenta l’esatto prototipo dell’intermediario che
trae il suo aggio comprando in mercati ‘a basso costo’ e rivendendo in altri in
cui è possibile spuntare quotazioni maggiori. Naturalmente, una delle piazze a
cui riserva maggior attenzione è Londra, ma una delle caratteristiche che più
son proprie della sua attività è l’estrema mobilità non solo sua personale,
ma del suo stock di opere (nel cui ambito non rientrano solo dipinti, ma
oggetti preziosi in generale, compreso il mobilio). Intervenendo personalmente,
senza servirsi di agenti per il trasporto, e quindi risparmiando tempo
(fors’anche denaro), Lafontaine ruota in un vorticoso tourbillon gli oggetti
che faticano a essere venduti su una determinata piazza spostandoli in altri
paesi e andando a cercare fisicamente i compratori: l’aspetto più stupefacente
è che tutto ciò avviene in anni certo non tranquilli per l’Europa, in
coincidenza di conflitti bellici e blocchi navali che sembrano non turbarlo
eccessivamente.
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