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giovedì 24 ottobre 2019

S. Avery-Quash e C. Huemer (a cura di), [Londra e l'affermazione di un mercato europeo dell'arte, 1780-1820]. Parte Seconda


English Version

London and the Emergence of a European Art Market, 1780-1820
[Londra e l'affermazione di un mercato europeo dell'arte, 1780-1820]
A cura di Susanna Avery-Quash e Christian Huemer


Los Angeles, The Getty Research Institute, 2019

Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda

Paolo Veronese, Ritratto di donna con un cane, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza (dalla collezione Orléans)
Fonte: https://www.museothyssen.org/en/collection/artists/veronese/portrait-woman-dog



Indice della Parte II - Collezioni
  • Malcolm Baker, Introduction to Part Two;
  • Camilla Murgia, From Private to National: Exhibiting Fine Arts in London around 1800;
  • David Alexander, The Evolution of the Print Market and Its Impact on the Art Market, 1780-1820;
  • Wendy Wassyng Roworth, Angelica Kauffman: The Acquisition and Dispersal of an Artist’s Collection, 1782-1825;
  • Susanna Avery-Quash and Nicholas Penny, The Dispersal of the Orléans Collection and the British Art Market;
  • Sarah Bakkali, The Trumbull Sale of 1797: Players in the Paris-London Art Market during the French Revolution;
  • Rebecca Lyons, Selling the Collection of Welbore Ellis Agar in 1806


La collezione Orléans

Si è parlato nella prima parte della vendita della collezione Orléans come momento che sancisce il primato del mercato artistico londinese rispetto al resto d’Europa. In un saggio molto denso Susanna Avery-Quash e Nicholas Penny ne richiamano gli estremi e svolgono importanti considerazioni a margine in proposito. La raccolta, messa insieme da Filippo d’Orleans-Borbone (reggente di Francia fra il 1715 e il 1723, durante la minore età di Luigi XV), comprendeva opere provenienti a loro volta dalla collezione di Cristina di Svezia, e in precedenza appartenute all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo.

Messa in vendita a fine Settecento, fu alienata in due tronconi; il primo, costituito da quadri francesi e italiani, fu venduto nel 1792 al banchiere belga Édouard de Walckiers (1758-1837), il quale lo cedette a François Louis Jean-Joseph de Laborde de Méréville (1761-1801), anch’egli operatore finanziario emigrato in Inghilterra in seguito alla rivoluzione. A sua volta Laborde era riuscito a entrarne in possesso solo dietro l’accensione di un’ipoteca col banchiere Jeremiah Harman (1763-1844), in quegli anni appena nominato direttore della Bank of England. Harman, divenutone il proprietario a inizio 1798, cedette infine la raccolta al commerciante Michael Bryan (1757-1821), che era il rappresentante di un patto di sindacato stretto fra lui, il Duca di Bridgewater, suo nipote Lord Gower e il cugino di quest’ultimo, conte di Carlisle. Fra fine 1798 e luglio 1799 il primo troncone della collezione a essere stato alienato fu dunque esposto e messo in vendita fra la Galleria di Bryan e una seconda collocazione (il Lyceum, allo Strand), dov’era possibile ospitare i quadri di dimensioni più ragguardevoli.

Sebastiano del Piombo, La resurrezione di Lazzaro, Londra, The National Gallery (dalla collezione Orléans)
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Sebastiano_del_Piombo,_The_Raising_of_Lazarus.jpg

Curiosamente, molto più rapida (e precedente) fu la dispersione della seconda tranche della collezione a essere acquistata, con le opere tedesche, olandesi e fiamminghe, comprata e venduta già nell’aprile del 1793 da Thomas Moore Slade (1749-1831), intermediario che agiva anch’egli come rappresentante di un patto di sindacato.

Già da queste poche note emergono chiari alcuni elementi basilari: la vendita della collezione Orléans rappresenta una ‘prima volta’. È la prima volta in cui una raccolta di quest’importanza non cambia proprietario o per diritto di conquista o per accordi fra corti europee (si pensi alla vendita della collezione estense ad Augusto di Sassonia nel 1745). Condizioni indispensabili perché tutto ciò si possa verificare sono l’esistenza di un sistema bancario molto versatile e flessibile, la presenza di grande liquidità in denaro, ma anche l’affermarsi di un pubblico che consideri uno status-symbol il possedere un’opera di provenienza così prestigiosa e veda, quindi, nel collezionismo un fatto di affermazione sociale. Contemporaneamente sono proprio queste le circostanze che rendono lecito parlare di ‘dispersione’ della raccolta e non di cessione della medesima. I quadri sono esposti e venduti singolarmente e finiscono quindi in mille rivoli. A conferma di quanto importante sia possedere un’opera un tempo facente parte della collezione Orléans basti pensare che, ancora a metà anni Trenta dell’Ottocento, conoscitori come Passavant e Waagen, in visita in Inghilterra, cercano di ricostruirla ‘idealmente’ individuandone le collocazioni in essere in quegli anni.

Ancora: la forte presenza dell’elemento finanziario, a volte, è finalizzata all’acquisto di parte della collezione da parte dei contraenti i patti di sindacato. Un gruppo di persone stringe un accordo per l’acquisto di una raccolta e si riserva l’acquisto delle opere considerate migliori, prevedendo di poter rientrare della propria spesa grazie ai profitti realizzati con la vendita del resto della collezione.

I quadri – come detto – sono esposti per lo più nella Galleria di Bryan, e anche qui siamo di fronte a un fenomeno nuovo, che Camilla Murgia ricostruisce nella sua genesi in From Private to National, evidenziando come, inizialmente, gli scopi commerciali delle esposizioni siano assenti o solamente indiretti (ad esempio, la vendita di stampe tratte dagli originali) e riguardino non solo gli Antichi Maestri, ma anche gli artisti inglesi contemporanei. A fine Settecento esiste già una serie di ‘luoghi dell’arte’ che comprende le case d’asta e le gallerie commerciali. La maggior parte di queste strutture si trovano nel West End di Londra, fra Pall Mall e St. James’s Street, dove si insedia una sorta di ‘distretto dell’arte’ (analogo fenomeno, anche se in modalità diverse, avviene per i produttori di stampe, come segnalato da Alexander in The Evolution of the Print Market and Its Impact on the Art Market, 1780-1820).

Rembrandt, Il mulino, Washington, National Gallery of Art (dalla collezione Orleans)
Fonte: https://www.nga.gov/collection/art-object-page.1201.html


La vendita poi, non avviene tramite aggiudicazione all’asta, ma col meccanismo della vendita su base privata. Si tratta di un’ ‘invenzione’ (che oggi per noi appare del tutto ovvia) di quel Noël Desenfans a cui abbiamo accennato nella prima parte di questa recensione, che introdusse il sistema nel 1786 (cfr. p. 197) e che ha ampio successo per una serie di motivi: parte del pubblico è renitente a operare acquisti nelle case d’asta perché teme di essere troppo influenzata dall’eloquio dei banditori; la vendita privata prevede la fissazione di un prezzo fisso (naturalmente determinato dal venditore) su cui è più facile ragionare; esistono vantaggi di ordine fiscale rispetto al sistema della aste, ma, soprattutto, il sistema introdotto da Desenfans prevede una durata assai più lunga delle esposizioni, che durano mesi (a volte con la richiesta di un biglietto d’ingresso) e permettono di fruire delle opere d’arte a un pubblico molto più numeroso. Va peraltro aggiunto che vendite su base privata e all’asta non si collocano necessariamente in concorrenza l’una con l’altra, ma semmai in maniera complementare. Non sono rari i casi in cui tele rimaste invendute dopo il lungo periodo di esposizione destinato alla vendita privata sono poi ripresentate in occasione di aste tenutesi successivamente.


Altre collezioni

Ogni collezione, naturalmente, ha una storia peculiare, e in questa sezione sono riassunte le vicende relative a quelle appartenute ad Angelica Kauffman, a John Trumbull e a Welbore Ellis Algar.

La raccolta di Angelica Kauffman (1741-1807) in realtà si costituisce quando l’artista, vissuta per quindici anni a Londra, si trasferisce a Roma. L’aspetto di interesse maggiore è che, dopo la morte della donna, molte delle sue opere vengono acquistate e rivendute in Inghilterra. Siamo di fronte a un caso in cui la provenienza delle opere e il fatto che fossero appartenute a un’artista che era stata cofondatrice della Royal Academy conferiscono a esse un valore particolare agli occhi dei potenziali acquirenti.

La vendita Trumbull merita un’attenzione particolare. Dispersa all’asta fra il 17 e il 18 febbraio 1797, quella di John Trumbull (1756-1843), pittore americano trasferitosi in Europa a partire dagli anni ’80, è una ‘collezione’ sui generis, nel senso che è costituita nell’arco di poche settimane, chiaramente a scopo speculativo. Nel catalogo stampato in occasione dell’asta, James Christie, che la diresse, parla di una raccolta di opere raccolte fortunosamente in una situazione di caos totale, in cui le collezioni dei proscritti francesi venivano disperse ai quattro venti. In realtà i toni drammatici di Christie (famoso per le sue iperboli) non corrispondevano totalmente alla realtà. Trumbull aveva acquistato nel 1795 un’ottantina di opere facendosi finanziare da tre industriali americani e rivolgendosi a intermediari francesi che avevano i quadri nei loro stock da anni. Primo fra tutti, vi era, naturalmente Jean-Baptiste-Pierre Lebrun (che già abbiamo incontrato nella prima parte della recensione) che, oltre a fornire alcuni dipinti, aveva sollecitato altri commercianti a lui legati a fare altrettanto. Lebrun si era comunque assicurato (oltre all’incasso del prezzo di cessione) una quota pari a un terzo dei profitti realizzati in sede di rivendita. Salvo eccezioni, quindi, le opere erano pervenute agli intermediari non in seguito ai mesi del Terrore, ma erano già in loro possesso, per lo più ottenute per alienazioni legate a vicende di eredità dopo la morte (naturale) dei loro proprietari. Si può, piuttosto, immaginare che, in un quadro complessivo di crisi monetaria, i commercianti francesi avessero i loro magazzini pieni, pochissime richieste da parte della clientela interna e, quindi, l’esigenza di ‘fare liquidità’, trovando uno sbocco in Inghilterra. Va comunque segnalato che tutti, a partire da Lebrun, non si fecero scrupoli di praticare una politica dei ‘due forni’, specie dopo la costituzione del Louvre, individuando nell’istituzione museale un altro interlocutore potenziale a cui vendere le opere in loro possesso.

John Trumbull, Autoritratto, New Haven, Yale University Art Gallery
Fonte: https://artgallery.yale.edu/collections/objects/24912

Nel caso di Welbore Ellis Agar (1735-1805) siamo cronologicamente un po’ più avanti, ovvero a metà del primo decennio dell’Ottocento. Il caso è emblematico per sottolineare come, in occasioni di vendite particolarmente importanti, gli eventi fossero pubblicizzati non solo in Inghilterra, ma anche all’estero. Ancora una volta seguita da Christie, l’asta della collezione era prevista per il 2 e 3 maggio 1806 (gli eredi ne avevano deciso la dispersione dopo la morte del loro padre naturale avvenuta nel 1805). Conosciamo un catalogo ragionato scritto in francese (la lingua franca dell’epoca) e stampato a Dresda qualche mese prima dell’asta. Tale catalogo fu distribuito sul continente. Tuttavia, non esiste un catalogo in inglese, e il motivo è molto semplice: nell’aprile del 1806 Robert Grosvenor (1767-1845) fece un’offerta irrifiutabile e comprò tutta la collezione in blocco prima che si tenesse l’asta. Veniva meno, dunque, l’esigenza di stampare un catalogo anche in Inghilterra. Tutta la vicenda dimostra, tuttavia, che la prima preoccupazione di chi organizzava le aste era quella di allertare il mercato internazionale (secondo le cronache furono non pochi i mercanti che giunsero da tutta Europa, visto che non si era riusciti ad avvisare tutti che l’asta non si sarebbe più tenuta) e, in seconda battuta, di coinvolgere i connazionali.


Indice della Parte III – Rivenditori

  • Filip Vermeylen, Introduction to Part Three;
  • Julia Armstrong-Totten, From Jack-of-All-Trades to Professional: the Development of the Early Modern Picture Dealer in Eighteenth-Century London;
  • Francis Russell, James Christie: Auctioneer and More;
  • Carol Blumenfeld, Pierre-Joseph Lafontaine and His Exploitation of European Art Market Imbalances in Paris and London, 1795-1815;
  • Maria Celeste Cola, Thomas Hope and Gioacchino Marini: “Roman Agent of English Gentleman”;
  • Ana María Fernández García, Commercial Agents of Spanish Painting in the United Kingdom, 1780-1820.

La sezione conclusiva del volume curato da Avery-Quash e Huemer è dedicata ad approfondimenti su singoli operatori del mondo dell’arte, con interessanti ‘sconfinamenti’ in Italia e in Spagna. Non vi è dubbio, tuttavia, che il contributo che si dimostra di maggior respiro sia quello di Julia Armstrong-Totten, che, partendo dai casi di Slade e Bryan (ovvero dei due capi-cordata che acquistarono per poi disperdere la collezione Orlèans) cerca di tracciare un profilo di come cambi il ‘mestiere’ del rivenditore nell’arco di pochi decenni. È evidente che si va verso un processo di specializzazione (viene in mente la ‘divisione del lavoro’ teorizzata da Adam Smith), in cui ognuno si ritaglia una specifica competenza andando incontro (e spesso riuscendo ad anticipare) le esigenze del mercato. Sotto questo punto di vista è forse giusto sottolineare che noi oggi abbiamo presente le figure prominenti dell’epoca, ma che in realtà, in questa gara ad emergere come punti di riferimento commerciale, i fallimenti furono più dei successi, secondo un processo di selezione naturale che ricorda molto le vicende dell’evoluzione della specie darwiniana. La fortuna degli stessi Slade e Bryan, pur duratura, fu comunque temporanea: entrambi furono accusati, a inizio Ottocento, di vendere quadri falsi e dichiararono bancarotta nel 1809. Se c’è un elemento da evidenziare, semmai, è che le turbolenze fra Sette e Ottocento vedono anche emergere le grandi dinastie di moderni rivenditori inglesi come i Colnaghi o i Christie.

Nel caso di James Christie (1730-1803), a cui successe il primogenito (anch’egli James Christie 1773-1831), siamo di fronte, naturalmente, a una figura leggendaria. Fondatore dell’omonima casa d’aste, Christie viene qui preso in considerazione perché capace di comprendere appieno la necessità di rendere occasioni mondane le vendite delle collezioni che avvenivano nella sua sede in Pall Mall. Ma Christie non fu solo quello che oggi chiameremmo un ‘uomo di marketing’; ebbe la capacità di proporsi come vero proprio confidente e consigliere, fidelizzando una clientela sulla base della fiducia che seppe conquistarsi. Non è certo un caso -  scrive Francis Russel - se fra i suoi clienti troviamo in moltissimi casi acquirenti che poi gli affidarono la vendita delle loro collezioni (rara, ma anch’essa presente la casistica inversa).

Rembrandt, Ritratto di Gerard de Lairesse, New York, Metropolitan Museum of Art (venduto da Lafontaine tramite Christie's nel 1807)
Fonte: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/459082

Una figura meno nota, ma la cui importanza, in termini quantitativi è emersa proprio dallo spoglio dei dati compresi nel Getty Provenance Index©  è quella di Pierre-Joseph Lafontaine (1758-1835) di cui Carole Blumenfeld fornisce un primo ritratto biografico. Fra 1795 e 1815 il database evidenzia 1690 transazioni a suo nome avvenute in Germania, Francia, Belgio, Olanda e Gran Bretagna; e già così è possibile farsi un’idea di quanto sia ampia l’area in cui opera il mercante nel corso della sua carriera. Di origini fiamminghe, Lafontaine nasce pittore (come spesso, in questi casi), si trasferisce a Parigi e diventa membro dell’Accademia nel luglio del 1789, praticamente in coincidenza con la presa della Bastiglia (14 luglio). Forse non dotato di particolare talento, ma molto più probabilmente travolto da un mondo che crolla, a partire dalla metà degli anni ’90 abbraccia l’attività mercantile. Lafontaine rappresenta l’esatto prototipo dell’intermediario che trae il suo aggio comprando in mercati ‘a basso costo’ e rivendendo in altri in cui è possibile spuntare quotazioni maggiori. Naturalmente, una delle piazze a cui riserva maggior attenzione è Londra, ma una delle caratteristiche che più son proprie della sua attività è l’estrema mobilità non solo sua personale, ma del suo stock di opere (nel cui ambito non rientrano solo dipinti, ma oggetti preziosi in generale, compreso il mobilio). Intervenendo personalmente, senza servirsi di agenti per il trasporto, e quindi risparmiando tempo (fors’anche denaro), Lafontaine ruota in un vorticoso tourbillon gli oggetti che faticano a essere venduti su una determinata piazza spostandoli in altri paesi e andando a cercare fisicamente i compratori: l’aspetto più stupefacente è che tutto ciò avviene in anni certo non tranquilli per l’Europa, in coincidenza di conflitti bellici e blocchi navali che sembrano non turbarlo eccessivamente.




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