Storia delle antologie di letteratura artistica
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Herschel B. Chipp
Theories of Modern Art: a Source Book by Artists and Critics.
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Quarta
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Quarta
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L’ultima parte del post sull’antologia di
Herschel B. Chipp è dedicata agli scritti degli artisti Dada, surrealisti e
metafisici (settimo capitolo) e di quelli considerati dall’autore come
contemporanei, attivi tra 1945 al 1968 (nono capitolo). Con il suo lavoro del
1968, Chipp è il primo autore americano a proporre una codificazione della
letteratura artistica del XX secolo. Il suo testo rimarrà fondamentale per far
conoscere a studenti e altri lettori gli scritti sull’arte di pittori e
scultori del loro tempo.
Dada,
Surrealismo e Scuola metafisica: l’irrazionale e il sogno
La produzione letteraria del primo
Novecento legata all’irruzione dell’assurdo e dell’onirico come principi della
creazione artistica è vastissima. Per accogliere i testi nella sua antologia,
Chipp rispetta due criteri principali. In primo luogo, evita di citare tutti
quegli scritti in cui esponenti del mondo dell’arte s’ispirano sì
all’irrazionale e al sogno, ma non fanno derivare da essi un preciso indirizzo
stilistico e iconografico volto a rompere con le convenzioni
estetiche prevalenti. In secondo luogo, seleziona quei testi che discutono
questioni di arti figurative, isolandoli da una quantità impressionante di pagine
letterarie, filosofiche o di natura polemica più generale. In conclusione,
identifica tre indirizzi: l’arte Dada, il surrealismo e la scuola metafisica.
Quanto a quest’ultima, data la necessità di tradurre fonti italiane, Chipp si
affida all’aiuto di Joshua C. Taylor.
Va detto che Elizabeth Gilmore Holt, nella
sua recensione all’opera (ci è capitato di citarla spesso), non esita a
criticare la scelta dei testi di questa sezione, discostandosi dal tono
ampiamente positivo con cui valuta il resto della fatica di Chipp: “All’esplorazione del mondo inaugurato da
Goya e per la prima volta abbozzato da Freud ed associati, ovvero il regno del Dada,
dei surrealisti e della scuola metafisica, è dedicato un capitolo di citazioni interessanti
ed uniche. E tuttavia il capitolo manca purtroppo di struttura organizzativa.
La sezione surrealista avrebbe avuto bisogno di qualche chiarimento per renderla
più utile a chi non è familiare con le tendenze generali e con il lessico”
[69].
Il mondo Dada
Il movimento Dada nasce a Zurigo nel 1916.
I primissimi testi svizzeri, pur citati da Chipp nella prefazione sulla
sezione, non sono inclusi nella raccolta. I dadaisti trovano un’eco a Parigi
dopo la guerra, ma anche i testi francesi non sono presenti. È invece
rappresentato il dadaismo tedesco, con il testo storico-programmatico En avant dada dello scrittore Richard
Huelsenbeck (1892-1974) del 1920, un articolo dell’artista Kurt Schwitters
(1887-1948), tratto dalla rivista monacense Ararat
e, infine un ultimo articolo del poeta franco-rumeno Tristan Tzara (1896-1963),
pubblicato sulla rivista dadaista di Hannover Merz, di cui Schwitters era direttore.
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Fig. 60) A sinistra: lo scritto En avant dada di Richard Huelsenbeck, pubblicato a Hannover e Lipsia nel 1921 (Fonte: www.zvab.de); a destra, il numero di gennaio 1921 della rivista monacense Ararat (fonte: http://sdrc.lib.uiowa.edu/dada/Ararat/1zj/images/000cover.pdf). |
I motivi di esclusioni (svizzere e
francesi) e inclusioni (tedesche) sono spiegati dall’antologizzatore nell’introduzione
e nell’apparato critico: i componenti del gruppo dadaista svizzero – che hanno
come loro riferimento Hugo Ball (1886-1927) – si riuniscono al Club Voltaire di Zurigo e si dedicano
molto alla scrittura: compongono poesie e canzoni in un linguaggio
intenzionalmente assurdo, scrivono testi nichilisti e organizzano azioni e
serate dadaiste, “ma non hanno un leader,
né una teoria né un gruppo organizzato. Solamente nel 1918, dopo quasi tre anni
di attività, viene scritto un manifesto e anche in quel caso l’autore, Tristan
Tzara, non ha alcuna pretesa di spiegare il movimento” [70]. Insomma, si
tratta di letteratura, ma non di letteratura artistica. Chipp scarta anche
testi di quegli anni di Marcel Duchamp e Francis Picabia (ovvero di artisti che
introducono elementi di anarchia nella loro produzione già prima della
fondazione del movimento Dada a Zurigo).
Finita la guerra, il movimento si diffonde
in Germania: prima a Colonia con Max Ernst (1891-1976) e poi a Hannover, dove
ai già menzionati Huelsenbeck e Schwitters si uniscono anche costruttivisti
giunti dalla Russia (El Lissitzky - Лазарь Маркович Лисицкий – 1890-1941) e
dall’Olanda (Piet Mondrian 1872-1944, e Theo van Doesburg 1883-1931). È quest'incontro che rende la parola dei dadaisti di lingua tedesca più capace di
descrivere le preferenze estetiche Dada (senza che la scrittura intacchi la
radicalità dell’estetica). Sono pagine da cui si deduce anche come il dadaismo
– un tempo semplicemente neutralista – sia fortemente permeato in Germania dal
comunismo, in anni in cui la giovanissima Repubblica di Weimar è scossa da
tentativi rivoluzionari opposti (i dadaisti sostengono i tentativi di lanciare
insurrezioni sovietiche a pochi anni dalla Rivoluzione d’Ottobre a Pietroburgo)
e dal crollo delle strutture portanti dell’economia (con l’iperinflazione).
Ai testi di lingua tedesca seguono pagine
di artisti scritte negli Stati Uniti negli anni Quaranta, e dunque in una fase
storica in cui il movimento Dada si è ormai frammentato in indirizzi estetici
diversi. Insomma, quegli scritti hanno più la natura di una ricostruzione
storica che di un’affermazione programmatica; cercano di spiegare al mondo
americano le ragioni della rottura di ogni continuità con il passato. Si tratta
in un particolare di uno scritto di Jean Arp (1887-1966) del 1942, tratto da un
catalogo di una mostra collettiva tenutasi alla galleria newyorkese Art of this Century di Peggy Guggenheim,
e di un’intervista di Marcel Duchamp (1887-1968) con il critico d’arte James
Johnson Sweeney (1900-1986), in occasione di un’altra mostra collettiva
tenutasi al MoMa di New York nel 1946. Incontreremo di nuovo Sweeney in numerose altre
occasioni.
All’epoca della loro pubblicazione i testi Dada
erano ancora di difficile reperimento. È proprio grazie a un’istituzione
accademica americana – ovvero all’Università dell’Iowa – che a partire dal 2000 la situazione è
radicalmente mutata: l’intera produzione scritta dei dadaisti è stata
digitalizzata ed è oggi direttamente accessibile su Internet (si veda http://sdrc.lib.uiowa.edu/dada/index.html).
Anche sul mercato librario il numero di pubblicazioni di testi dada si è
inoltre moltiplicato. Solamente a titolo d’esempio, l’Almanacco dada di Richard Huelsenbeck, pubblicato a Berlino in tedesco
nel 1920, è ormai comparso in traduzione integrale inglese nel 1993, russa nel
2000, giapponese nel 2002, francese nel 2005, italiana nel 2007 (a cura di
Biblioteca d'Orfeo) e spagnola nel 2015. In italiano l’Almanacco
esisteva già dal 1976 nel repertorio collettivo delle riviste dadaiste a cura
di Arturo Schwarz edito da Feltrinelli.
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Fig. 62) L’antologia di Arturo Schawarz del 1976 e l’edizione italiana integrale dell’Almanacco Dada del 2007. |
Surrealismo
Nella sezione surrealista Chipp include
testi di Giorgio De Chirico (1888-1978), André Breton (1896-1966), Salvator
Dalí (1904-1989), Max Ernst (1891-1976), Joan Miró (1893-1983), André
Masson (1896-1987), March Chagall (1887-1985) e Roberto Matta (1911-2002).
È evidente che Chipp ci offre una selezione più ampia e rappresentativa di
surrealisti rispetto a quanto non abbia fatto per l’arte Dada. Con il
surrealismo – scrive Chipp – la letteratura artistica compie infatti un salto
di qualità: la scrittura degli artisti surrealisti è più matura, e riflette la
capacità di organizzare una discussione ordinata all’interno del movimento
artistico., anche grazie alla frequentazione di intellettuali di ambiti diversi
da quello artistico. Tra di essi, André Breton – letterato e critico d’arte
capace di rielaborare l’insegnamento Dada – esercita una chiara leadership
culturale ed è in grado di elaborare orientamenti estetici precisi. Breton è
fortemente influenzato dagli insegnamenti di Sigmund Freud (1856-1939) mettendoli in pratica durante la prima guerra mondiale, dato che lavora in un
manicomio militare. Chipp chiarisce che, oltre a Freud, Breton è anche legato
alle tesi politiche di Trotskij e alla filosofia estetica di Hippolyte Tayne (1828-1893).
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Fig. 63) A sinistra: il saggio di André Breton e Philippe Soupault sui campi magnetici del 1920 (Fonte: https://www.sl.nsw.gov.au/stories/andre-breton-early-surrealist-publications). A destra: il manifesto del surrealismo del 1924 (fonte: Wikimedia Commons). |
Con le sue iniziative Breton è il collante
del gruppo abbondantemente in anticipo rispetto alla prima mostra di surrealisti del 1925, l’Exposition Internationale du Surréalisme di
Parigi. Fin dai primissimi anni Venti, quando il gruppo non esiste ancora come
entità organizzata, egli studia l’effetto dei campi magnetici sui meccanismi di
creazione. Pubblica nel 1920 un saggio sui campi magnetici; nel 1922 studia con
Max Ernst l’automatismo in pittura (i surrealisti credono a un automatismo
psichico grazie al quale l’artista è un tramite per l’esecuzione automatica di
immagini); nel 1924 scrive infine il Manifesto
surrealista.
Breton compila nel 1928 l’articolo Il surrealismo e la pittura sulla Nouvelle Revue Française. Un volume
omonimo da lui curato e con contributi di Max Ernst, Giorgio de Chirico, Joan
Mirò, George Braque, Jean Arp, Francis Picabia, Pablo Picasso, Man Ray, André
Masson e Yves Tanguy esce lo stesso anno a cura di Gallimard e diviene il
maggior testo teorico sulla pittura del surrealismo, pubblicato in molte
lingue, senza interruzioni. Chipp ne pubblica un estratto molto
ampio, traendolo dalla traduzione parziale già disponibile in inglese nel 1936.
Aggiunge alcune pagine della conferenza Qu’est-ce-que
le Surréalisme? (Che cos’è il surrealismo) tenutasi a Bruxelles nel
1934 e disponibile anch’essa in inglese dal 1936.
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Fig. 65) Da sinistra a destra: Che cos’è il surrealismo?, la conferenza originale di André Breton a Bruxelles nel 1934, la traduzione inglese del 1936 e quella giapponese del 1969. |
La passione per la scrittura non è
caratteristica del solo Breton, ma coinvolge tutti i surrealisti, artisti inclusi.
“I membri del gruppo erano scrittori
prolifici, e pubblicarono un enorme corpus di articoli, racconti, saggi,
fascicoli di propaganda e numerosi manifesti. La maggior parte dei loro scritti
teorici si occupava di esperimenti e studi di metodo, alcuni dei quali tratti
dalla psicologia, stimolando il subcosciente per ottenere alcuni esempi delle
immense serie di immagini fantastiche e oniriche. Essi avevano un profondo
rispetto per il metodo scientifico, specialmente quello psicologico;
accettavano in pieno la realtà del mondo fisico, sebbene credessero di essersi
immersi in esso in modo talmente profondo da poter trascenderlo; e credevano in
una stretta interrelazione tra la loro arte ed elementi rivoluzionari nella
società” [71].
Tra gli artisti surrealisti Chipp dà molto
spazio a Giorgio de Chirico, presentando nella sua raccolta pagine addirittura
precedenti, in termini cronologici, alle iniziative di Breton. L’antologia
accoglie due estratti dell’artista italiano. Il primo è Meditazioni di un pittore, un manoscritto del 1912 di contenuto
filosofico, rimasto inedito e pubblicato per la prima volta in inglese dal
collezionista e critico d’arte James Thrall Soby (1906-1979) nel 1955 (e in
italiano solamente nel 1970). Il secondo è Mistero
e creazione, scritto nel 1913 e contenuto nella già citata raccolta Il surrealismo e la pittura di Breton
del 1928. Si tratta, dunque, di testi ‘proto-surrealisti’. Nella bibliografia
ragionata Chipp cita anche la fantasia autobiografica Hebdomeros. Le peintre et son génie chez l'écrivain, pubblicata da
de Chirico in francese nel 1929 e poi tradotta in numerose lingue (a partire
dall’italiano nel 1942) e ripubblicata più volte nel corso di molti decenni.
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Fig. 67) A sinistra: La rivista Le Surréalisme au service de la révolution, uscita in sei numeri nel 1931. Fonte: https://www.edition-originale.com/it/riviste/periodici-letterari-ed-arte/collectif-le-surrealisme-au-service-de-la-1930-18138. A destra: La rivista Partisan Review in cui James Johnson Sweeney intervista March Chagall. Fonte: http://www.bu.edu/partisanreview/books/PR1944V11N1/HTML/files/assets/basic-html/index.html#I . |
L’antologia offre inoltre alcune pagine di
Salvador Dalí da Objets surréalistes
del 1931. È un testo pubblicato in una rivista surrealista militante di lingua
francese, intitolata Le Surréalisme au
service de la révolution, periodico di cui escono solamente sei numeri. Il
titolo della rivista contiene una chiara indicazione politica in favore del
comunismo, ma l’articolo di Dalí è invece tutto centrato su questioni estetiche
(l’artista spagnolo non era certo un comunista e accettò il dialogo critico
sull’arte con il franchismo). L'anno precedente l’artista aveva pubblicato un saggio sul suo ‘metodo artistico paranoico-critico’,
intitolandolo La Femme Visible. Nel
1935 esce un suo secondo volume teorico: La Conquête de
l’irrationnel, edito lo stesso anno anche in
inglese.
Questioni di metodo sono al centro dei due
contributi di Max Ernst del 1936 (sul collage e sul frottage)
tratti dall’articolo Au delà de la Peinture
(Al di là della pittura), pubblicato sulla rivista Cahiers d’Art del 1936. La traduzione inglese è disponibile dal
1948, a cura del MoMa di New York. Mirò è presente invece con due interviste:
una del 1936 con lo storico d’arte francese Georges Duthuit (1891-1973) e
l’altra con James Johnson Sweeney nel 1947 (è il critico di cui già sappiamo
che aveva intervistato l’anno prima Duchamp). Tra gli artisti vicini ai
surrealisti lo stesso Sweeney aveva intervistato March Chagall nel 1944 in Partisan Review (testo anch’esso
inserito nell’antologia).
Importante anche il ruolo di André Masson,
cui si deve una serie di pubblicazioni in francese negli anni Cinquanta, tradotte
integralmente in altre lingue solamente in parte. L’antologia di Chipp include
due testi: Peindre est une Gageure (la pittura
è una sfida) del 1941 (tradotto in inglese nel 1943) e Una crisi dell’immaginario del 1944 (disponibile in inglese nel
1945).
L'arte metafisica
Come già spiegato, le pagine sull’arte
metafisica sono curate da Joshua C. Taylor, lo studioso che assiste Chipp su
tutti i testi italiani. Taylor racconta dell’incontro tra de Chirico e Carlo
Carrà (1881 – 1966) a Ferrara, negli anni del primo conflitto mondiale. I due
pittori (insieme al fratello di de Chirico, che usa lo pseudonimo di Alberto
Savinio (1891 – 1952) hanno una vocazione per la scrittura e la teorizzazione
estetica. Utilizzano la rivista d’arte Valori
Plastici (1918-1921) di Mario Broglio (1891 – 1948) come strumento di
diffusione delle loro convinzioni sull’arte metafisica, una teoria basata
sull’irruzione dell’irrazionale nella creazione artistica che avrà effetto sui
surrealisti francesi.
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Fig. 70) A sinistra: la raccolta di Valori Plastici del 1919. A destra: Il volume Pittura metafisica di Carlo Carrà del 1919. |
Di de Chirico (già incluso nella sezione
precedente sul surrealismo con due testi) compaiono qui due ulteriori estratti:
Zeusi l'esploratore e Sull’arte metafisica. Mai tradotti fino
ad allora in inglese, erano comparsi nella rivista Valori plastici rispettivamente nei numeri di gennaio e aprile-maggio del 1918. Di Carrà – di cui Taylor sottolinea le differenze sia
rispetto a de Chirico sia rispetto ai surrealisti – l’antologia ospita Il quadrante dello spirito, articolo
pubblicato sempre sul numero di aprile-maggio di Valori plastici. La bibliografia ragionata segnala anche il saggio La pittura metafisica del 1919,
pubblicata da Vallecchi. Non ne esiste traduzione in altra lingua (e anche in
italiano, dopo la pubblicazione della seconda edizione rivista del 1945, non ne
risultano di successive).
La
letteratura artistica dal 1945 al 1969
Chipp tenta in questo capitolo l’operazione
forse più difficile: quella di codificare i testi di pittori e scultori dei
suoi decenni, quando New York, immediatamente dopo la seconda guerra mondiale,
surclassa Parigi, Londra, Roma o Tokio come centro di sviluppo dell’arte
contemporanea. Fino a questo punto era normale chiedersi in che lingua erano
stati pubblicati in origine gli scritti riportati in antologia e se erano già
stati tradotti in inglese prima dell’iniziativa di Chipp, ora la questione è
invertita: per la diffusione globale della letteratura artistica è importante
che scritti americani vengano tradotti nelle maggiori lingue del globo. Per
molti di essi ciò non è ancora avvenuto: alcuni scritti fondamentali di
letteratura artistica americana sono incomprensibili a chi non parli inglese.
I testi inclusi nel capitolo sull’arte
contemporanea sono raccolti da Chipp in due sezioni, la prima dedicata agli
americani e la seconda agli europei (tutti europei occidentali, in realtà).
Secondo Chipp, l’interpretazione della letteratura artistica del dopoguerra è
accomunata dalla convinzione che
l’arte contemporanea si deve leggere come strumento di piena realizzazione, al di qua e al di là dell’Atlantico, dell’autonomia delle opere. Dunque, implicitamente, con l’arte del
presente si conclude un lungo percorso di indipendenza dell’artista dalla
semplice produzione di beni, che si era avviato sin dal Rinascimento.
Ciò che succede negli
Stati Uniti e in Europa, tuttavia, non è in realtà affatto identico: nella sua
recensione del 1972 Elizabeth Gilmore Holt sottolinea anzi il contributo di
Chipp di comprendere pienamente le differenze fra artisti statunitensi ed
europei nei loro approcci teorici [72]. I giovani pittori americani si
rivelano, anche in pittura, più individualisti e maggiormente portati
all’espressione dei sentimenti, gli europei sono guidati invece da schemi
concettuali comuni e ispirati da teorie filosofiche.
Vi sono due ulteriori aspetti che vanno
immediatamente segnalati dal punto di vista metodologico. In primo luogo, in
questa sezione diventano predominanti le dichiarazioni degli artisti
pubblicate nei cataloghi in occasione delle loro mostre. “Infine, la crescente pratica di musei e gallerie, che pubblicano
dichiarazioni degli artisti in cataloghi sempre più elaborati, incoraggia gli
artisti a enunciare direttamente le loro intenzioni verso il pubblico.
Ma tutte queste opportunità e incoraggiamenti, anche se talvolta risultano in
idee che sembrano forzate, producono in generale un corpus importante di teoria
chiara e rilevante” [73]. Sono importanti anche articoli e interviste
pubblicati su riviste. Oggi esiste in realtà anche una vasta produzione di
letteratura artistica in monografie che copre i decenni tra 1945 e 1969.
Evidentemente, al momento della comparsa dell’antologia, la raccolta degli
scritti dei contemporanei in forma di volumi non era ancora avviata.
In secondo luogo, diviene importante il ruolo dei critici, i cui
testi sono presentati a fianco di quelli degli artisti (un riferimento ai
critici esiste nel titolo dell’antologia, ma in realtà li si trova solamente
qui). È evidente come divenga importante per l’antologizzatore riferirsi
all’interpretazione dei suoi colleghi per aiutare il lettore nella comprensione
critica di testi che fanno riferimento a sviluppi spesso sorprendenti e forse
criptici. I quattro critici presi in considerazione nell’antologia sono gli
americani Clement Greenberg
(1909-1994), Harold Rosenberg (1906-1978), e Hilton Kramer (1928-2012) nonché
l’europeo Michel Tapié (1909-1987). Non è certo un caso che si debba a questi
quattro la fissazione di alcune delle categorie più famose relative all’arte
dell’epoca (come l’invenzione del termine ‘action
painting’ da parte di Rosenberg nel 1952 e ‘art informel’ da parte di Michel Tapié, sempre nel 1952). Pur
cosciente del loro contributo fondamentale, ho deciso
di non presentare riferimenti ai loro scritti in questa recensione per motivi
di spazio.
Gli artisti americani
Robert Henri (1865-1929),
il primo degli americani i cui scritti sono illustrati nella sezione, in realtà
anticipa almeno di una generazione tutti gli altri. È infatti leader della Ash Can School, una scuola realista
sviluppatasi a New York tra 1907 e 1912. Insomma, Henri è il padre nobile di
tutti i modernisti americani, e i suoi scritti, riordinati nel 1923 dalla
pittrice Margery Ryerson (1886-1936) in un volume che si intitola The Art Spirit, divengono una fonte
d’ispirazione per molti suoi epigoni. Henri sostiene la vocazione degli artisti
americani a trovare nella rappresentazione della realtà una ragione etica che
vada al di là di ogni idea di puro estetismo, ossia del principio dell’ ‘arte
per l’arte’. The Art Spirit viene
ripubblicato negli Stati Uniti ben undici volte, l’ultima della quale proprio
quest’anno (2019), ed è dunque una dei punti di riferimento della letteratura
artistica americana. Ne esiste un’edizione tedesca solamente dal 2015 (Der Weg zur Kunst), mentre non risultano
altre traduzioni in altre lingue.
In contrapposizione a
questa chiave di lettura ‘etico-realista’ della funzione dell’arte si afferma
nel mondo americano anche la visione di chi fa arte per il solo piacere di
sperimentare. Si tratta in realtà di un’idea mutuata dalla Francia. Già prima
della Grande Guerra artisti e appassionati d’arte statunitensi cercano di
soggiornare a Parigi, che offre loro occasioni di apprendimento, sviluppo e
sperimentazione di un nuovo modo di guardare l’arte. Spendere qualche anno
della propria vita tra Montmartre e Montparnasse diviene ancor più
comune dopo che la gioventù americana fa la conoscenza dell’Europa sui campi di
battaglia. Nella capitale francese gli americani si entusiasmano per Cézanne e
i cubisti. Alcuni di loro, come Marsden Hartley (1877-1943) e Joseph Stella
(1877-1946) non frequentano solamente Parigi, ma portano negli Stati Uniti
anche gli insegnamenti dell’espressionismo tedesco e del futurismo italiano. Al
ritorno negli USA i modernisti si raccolgono spesso attorno al gallerista e
fotografo Alfred Stieglitz (1864-1946) a New York.
Chipp interpreta lo
sviluppo dell’arte americana come un andamento ciclico di incontri e
scontri tra i due orientamenti, quello realista e più intimamente americano,
spesso caratterizzato da esigenze etiche, e quello internazionale, più libero
ed estetico. Un momento di rara unità è l’organizzazione comune dell’International Exhibition of Modern Art (Armory
Show) del 1913, una mostra
itinerante tenutasi a New York, Chicago e Boston che fa conoscere al pubblico
le scuole d’arte europee e i giovani artisti americani [74]. Tuttavia, quando
la Grande Depressione colpisce il paese nel 1929, la frattura tra i due fronti
si riallarga: messo di fronte al dramma dell’impoverimento della società, il
mondo dell’arte si divide nuovamente tra
regionalisti e internazionalisti. I primi ritengono doveroso ritornare
alla rappresentazione fedele della vita semplice della tradizione americana del
Midwest (in nome di un isolazionismo che non è solo culturale, ma anche
politico). I secondi (ormai privi di fonti di sostentamento perché le famiglie
non li possono più mantenere all’estero) sono costretti a ritornare nel paese
dagli anni parigini, ma vogliono fare di New Work il nuovo centro di creazione
dell’arte contemporanea. Ancora una volta si ha un riavvicinamento tra i due
indirizzi quando il Federal Art Project,
sponsorizzato dalla Works Progress
Administration (WPA) nel quadro del New
Deal rooseveltiano, interviene a soccorso degli artisti ridotti alla
miseria più nera promuovendo un intenso programma di decorazione degli edifici
pubblici e sostenendo consapevolmente artisti di tutti gli orientamenti.
Il progetto federale del
WPA, conclude Chipp, riesce là dove le accademie d’arte avevano fallito,
creando un’arte contemporanea innovativa, ma di impronta fortemente etica. “Nonostante lo ‘stile del WPA’, in
particolare nel caso dell’arte per edifici pubblici, sia spesso un genere di
realismo stilizzato privo di ispirazione, vi sono anche alcuni importanti
monumenti, come i murali di Arshile Gorky per l’aeroporto di Newark (oggi
perduti o distrutti) che combinano un tema socialmente utile con uno stile
vigorosamente moderno basato sul cubismo” [75]. Quando la WPA alla fine della stagnazione
economica viene sciolta per aver raggiunto il suo scopo , essa “ha rafforzato l’identità degli artisti. (…)
Avendo sofferto insieme durante la depressione e avendo provato di poter
comunque sostentarsi grazie alla loro professione, questi uomini ne escono con
un’accresciuta consapevolezza di se stessi come artisti, e, in particolare, come
artisti americani. (…) Nel modo di pensare degli artisti, anche se non nelle
loro opere, rimane un forte elemento di ciò che è allora chiamato ‘importanza
sociale’. Questa tradizione di pensiero, che è stata vigorosamente divulgata da
Robert Henri ancor prima della grande guerra, rinforza il sentimento americano
che l’arte sia un mestiere serio, connesso con la vita, con il modo con cui la
si deve osservare e sperimentare e con tutti i suoi problemi. È ormai un punto
di vista del tutto opposto a quello che prevaleva in America prima dell’Armory
Show (…) ovvero che l’arte fosse un bene culturale raro, normalmente creato in
Europa, che esisteva solamente nei musei oppure come decorazione dei ricchi” [76].
Inevitabilmente, gli
eventi geopolitici rafforzano l’identità americana anche nel campo dell’arte.
Il patto Molotov-Ribbentrop devasta la legittimità culturale del comunismo, la
caduta della Francia in mano a Hitler elimina il ruolo monopolistico di Parigi
come culla dell’arte, l’attacco di Peal Harbour pone gli Stati Uniti al centro
della Guerra Mondiale. “La nuova consapevolezza
di vivere in un mondo globale e il conseguente cosmopolitismo sono il colpo
finale all’isolazionismo politico degli anni della depressione e all’arte
regionalista che lo riflette” [77]. È questo il contesto in cui un gruppo
di artisti del programma WPA produce – all’interno della cosiddetta scuola di
New York – un nuovo stile che finirà per conquistare l’interesse del mondo
intero: sono Stuart Davis (1892-1964), Mark Tobey (1890-1976), Bradley Walker Tomlin (1899-1953),
Mark Rothko (1903-1970), Arshile Gorky (1904-1948), Willem de Kooning (1904-1997), Jackson Pollock (1912-1956), William Baziotes (1912-1963) e Robert
Motherwell (1915-1991). Sul mercato dell’arte molti di loro saranno lanciati
da Peggy Guggenheim (1898-1979) con la sua Art
of This Century Gallery a New York. È soprattutto ai loro scritti che Chipp
dedica il suo corpus di letteratura artistica americana contemporanea.
Consideriamo ora gli
scritti inclusi in questa sezione dell’antologia. Vorrei ricordare in primo
luogo Stuart Davis e Marsden Hartley, due artisti attivi tra le due guerre
mondiali.
Di Stuart Davis
(1892-1964) Chipp presenta numerosi scritti. In pittura Davis combina
l’ispirazione alla rappresentazione della vita nelle strade delle grandi città,
tipica di Robert Henri (di cui è studente) e della pittura Ash Can, con
un forte attaccamento all’arte d’avanguardia. Durante gli anni a Parigi si
innamora del cubismo e dell’arte di Fernand Léger, che interpreta sotto il
punto di vista dell’efficientismo americano. Ne nasce uno stile personalissimo,
che combina il paesaggio americano, gli influssi della musica jazz di cui è
grande esperto e la plasticità cubista. Davis discute sul tema in Vi è un’arte americana? già nel 1930 e
descrive L’arte astratta nella scena
americana nel 1941. Nel 1945 pubblica, grazie all’American Artists Group,
una breve autobiografia dal titolo Stuart
Davis da cui Chipp pubblica lunghi estratti: sono pagine che trattano di
Robert Henri, dell’Armory Show e di natura e astrazione.
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Fig. 75) L’autobiografia di Marsden Hartley, nell’edizione originale del 1921 e nella più recente edizione nel 2011 |
Marsden Hartley, membro
dei circoli modernisti raccolti a New York attorno a Stieglitz, è artista di
successo già nei primi decenni del secolo sia a Parigi sia a Monaco di Baviera.
La sua autobiografia – mai tradotta in nessuna altra lingua – celebra però il
suo ritorno all’arte americana e ai suoi valori. Oltre a estratti da quel
testo, Chipp trae numerosi passi da riviste e cataloghi.
L’antologia fa un salto
temporale ai primi anni della Seconda Guerra Mondiale, quando il gruppo dei
surrealisti europei si trasferisce a New York per sfuggire al conflitto, dopo
aver conquistato il pubblico americano già nel 1936 con la mostra al MoMa
dedicata a Fantastic Art, Dada,
Surrealism, curata da Alfred H. Barr (1902-1981).
L’artista americano che è
più influenzato dall’arrivo dei surrealisti a New York è Arshile Gorky, che
beneficia di un’introduzione a firma di André Breton nel catalogo edito in occasione della sua
prima mostra a New York nel 1945. Chipp pubblica citazioni di Gorky tratte da numerosi
saggi a lui dedicati della pittrice Ethel Schwabacher (1903-1984) negli anni
Cinquanta.
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Fig. 77) Il testo Alla ricerca del reale nell’edizione originale del 1948 e in quella pubblicata vent’anni più tardi dal MIT. |
Per Chipp è fondamentale
il ruolo di intermediazione culturale svolto da Hans Hoffman (1880-1966),
pittore astratto che si forma tra Francia e Germania già nei primi decenni del
secolo. Hoffman è vicino a tutti i grandi dell’astrazione europea e fonda
addirittura a Monaco di Baviera la prima scuola d’arte astratta. Già negli anni
Trenta gli scritti di Hoffmann per la scuola monacense (Form und Farbe in der Gestaltung: Ein Lehrbuch für den Kunstunterricht
– Forma e colore nella creazione: un manuale per la lezione d’arte) circolano
in inglese a uso degli studenti statunitensi (Creation in Form and Color: A Textbook for Instruction in Art). Con
la presa del potere del nazismo Hofmann trasferisce la sua scuola a New York.
Ormai più che sessantenne viene scoperto anche come pittore e maestro degli
espressionisti astratti americani. Una traduzione di suoi testi pedagogici in
tedesco compare nel 1948 in occasione di una mostra alla Addison Gallery of
American Art, in una raccolta con il titolo Alla
ricerca del reale.
“La teoria di Hoffmann – scrive Chipp – si basa sulla convinzione che l’arte astratta abbia la sua origine
nella natura. Riflette il suo credo nella dualità del mondo dell’arte e del
mondo dell’esteriorità, simile alla teoria dei simbolisti. Tratta del colore
come un elemento in sé stesso che è capace di esprimere le sensazioni più
profonde, in modo simile alle teorie di Kandinskij e degli espressionisti, se
non addirittura direttamente derivate da loro. Inoltre egli si occupa anche
della forma nella tradizione di Cézanne e del cubismo. Le teorie di Hofmann
sono rimaste essenzialmente le stesse durante circa cinquant’anni
d’insegnamento e pittura e hanno costituito il fondamento di molta della teoria
contemporanea sull’arte astratta” [78].
Con gli anni Cinquanta si
insedia nell’East Side di New York il gruppo degli artisti espressionisti
astratti e action painters che verrà poi conosciuto come Scuola di New York. Citando il critico e
storico dell’arte Meyer Shapiro (1904-1996), Chipp osserva che l’irruzione
dell’espressionismo astratto negli Stati Uniti ha il tono di una vera e propria
ribellione generazionale [79]. Si tratta in realtà dell’azione simultanea di un raggruppamento di personalità contraddistinte
da stili ed esigenze diverse. Al di là del fatto di operare dall’East Side e
coltivare un rapporto di amicizia fraterna tra loro – scrive Chipp – gli artisti non hanno quasi nulla in comune.
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Fig. 78) Raccolte di scritti di Robert Motherwell nelle versioni del 1994, 1997 e 2007 |
Oggi si tende a pensare
che la personalità di maggior spicco per
capacità teoriche e di scrittura nella Scuola di New York sia stata quella di Robert Motherwell. Raccolte
di suoi scritti compaiono fin dagli anni Novanta. A Motherwell, per inciso,
dobbiamo anche un’antologia di scritti e pittori Dada pubblicata nel 1951 dal
MoMa. Eppure, nell’antologia di Chipp, Motherwell compare solamente una volta,
con una brevissima citazione (due righe!) del 1944. Anche gli estratti degli
altri maggiori artisti dell’epoca (Jackson Pollock, Mark Rothko, Willem de
Kooning) sono davvero brevi. La loro voce si legge collettivamente nel testo di
una conferenza tenutasi al MoMa di New York (Quel che l’arte moderna significa per me) e nella trascrizione di
una sessione comune di lavoro (Una
sessione degli artisti) entrambe del 1951. Più consistente è la presenza
nell’antologia di scritti di Barnett Newman (1905-1970), che colpiscono Chipp
per la loro attitudine molto individualista [80].
Oggi esistono scritti e
testimonianze di ognuna delle grandi personalità della Scuola di New York. La raccolta di scritti (Collected Writings) di de Kooning è stata curata da George Scrivani
nel 1988; quella di Barnett Newmann (Selected
Writings and Interviews) nel 1990 grazie a John Philip O'Neill; una
raccolta postuma di Works, Writings,
Interviews di Pollock esiste dal 2011 grazie a Nancy Jachec; di scritti di
Rothko sono usciti, anch’essi postumi, due volumi: The artist's reality: philosophies of art a cura del figlio
Christopher nel 2004 e Writings on art
nel 2006 a cura di Miguel López Remiro.
La serie dei passi dedicati
alla pittura americana si conclude con Claes Oldenburg (1929-) e George Rickey
(1907-2002). Il primo è l’unico degli artisti della Pop art inserito
nell’antologia, anche se il suo testo è tratto dalle discussioni radiofoniche
tra Oldenburg stesso, Roy Lichtenstein (1923-1997) e Andy Warhol (1928-1987), pubblicate in Artforum nel
1966. Rickey è il promotore della scultura cinetica; è presente con
un’intervista del 1965, il testo più recente nell’opera di Chipp.
Gli artisti europei
Gli artisti europei del dopoguerra sono presenti
con scritti di undici personalità. Prevalgono – in termini numerici – gli scultori: sono Henry Moore (1898-1986),
Alberto Giacometti (1901-1966), Étienne Hajdú (1907-1996), Hans Uhlmann (1900-1975),
Eduardo Paolozzi (1924-2005), Davide Boriani (1936-) e Philipp King (1934-).
La pittura è presente con Constant Nieuwenhuys (1920-2005), Jean Dubuffet (1901-1985) e Francis Bacon (1909-1992). Michel Tapié, come già ricordato, è incluso nell’antologia come
critico d’arte e teorico dell’informale.
L’Europa del secondo dopoguerra, ricorda
Chipp, non è solamente devastata e impoverita dal conflitto, ma ha subito
l’emigrazione e la fuga di gran parte dei gruppi d’artisti dei decenni
precedenti. Spesso la destinazione è stata New York. I surrealisti si sono
trasferiti in massa nella metropoli americana; torneranno con qualche eccezione
a Parigi, ma non saranno più interpreti di riferimento del sentimento artistico
europeo. Se ne sono andati negli USA altri artisti-teorici come Mondrian. Il
destino è stato crudele con molti dei maggiori pittori e scultori degli anni
Trenta. Quando è stato possibile gli espressionisti tedeschi sono fuggiti dal
nazismo, ma le loro opere sono state in gran parte distrutte. I cubisti, con
l’eccezione di Léger, sono rimasti in Francia a causa della tarda età, finendo
però in pieno isolamento. I pittori più giovani, come i francesi Alfred
Manessier (1911-1993) e Pierre Soulages (1919-) e il tedesco Fritz Winter (1905-1976),
sono stati arruolati e sono finiti in prigionia.
Chiunque inizi a fare arte in Europa negli
anni Cinquanta non può che iniziare da una riflessione esistenziale sui
fallimenti e sulle tragedie, anche personali, dei pittori e scultori delle
generazioni precedenti. Al tempo stesso, Chipp aggiunge, i giovani artisti
europei possono beneficiare di un’esposizione all’arte internazionale come mai
era stato possibile sino ad allora. Gli artisti europei “hanno dunque due fonti ideologiche differenti: la conoscenza e il
rispetto radicato per i valori tradizionalmente accettati – sebbene essi siano
stati seriamente posti in dubbio dallo spirito di delusione e cambiamento del
dopoguerra – ed un’esposizione a idee provenienti da paesi diversi, idee che
erano facilmente accessibili come risultato di un nuovo punto di vista sul
mondo, ormai considerato come un sistema unitario” [81].
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Fig. 80) Raccolte di scritti di Moore in inglese, pubblicate (da sinistra a destra) nel 1966, 1971, 2002 e 2010.. |
Gli europei, insomma, hanno un istinto
diverso dai colleghi americani. Soprattutto in Francia essi producono un’arte
intellettuale, basata sulla conoscenza della letteratura e della filosofia
(fondamentale la conoscenza dell’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre (1905-1980) e sulla “teorizzazione delle sensazioni”
[82]. La rivoluzione degli schemi
iconografici tradizionali è meno ribellista e individualista di quella
americana, e si basa su convincimenti comuni tra artisti.
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Fig. 81) Edizioni degli scritti di Henry Moore in tedesco (1959), francese (1994) e italiano (2010) |
Henry Moore viene presentato come uno dei “commentatori più acuti e intelligenti della
scultura moderna” [83] anche grazie alla sua attività come insegnante e
dirigente al Chelsea College of Arts di Londra. “Nonostante abbia scritto poco d’arte, i suoi pochi commenti sono
notevoli in termini di chiarezza ed importanza. (…) I suoi scritti teorici si occupano di problemi fondamentali come
l’interazione tra volume e spazio nella scultura, temi che sono questioni
universali e a lui molto care” [84]. L’antologia presenta un articolo di
Henry Moore intitolato The sculptor
speaks, comparso nel 1937 sulla rivista The
Listener, pubblicata dalla BBC. La sezione bibliografica segnala anche la
raccolta di scritti Henry Moore on
Sculture: a collection of the sculptor's writings and spoken words, a
cura del critico Philip James (1901-1974), pubblicata prima in Inghilterra nel
1966 e poi negli Stati Uniti nel 1971. Nuove collezioni di scritti di Moore
sono comparse nel 2002 (a cura di Alan Wilkinson) e nel 2010 (Tate Publishing).
Alberto Giacometti viene visto come
l’espressione della dualità dell’artista europeo, che da un lato esprime la sua
ammirazione per l’arte rinascimentale e dall’altro aderisce alle riflessioni
esistenzialiste, al punto che Sartre ne è corrispondente privilegiato. Chipp
sceglie per l’antologia una lettera al gallerista e collezionista Pierre
Matisse (1900-1989), pubblicata da Matisse stesso nel catalogo di una mostra
di Giacometti a New York nel 1948 alla Pierre Matisse Gallery. Una prima
raccolta di scritti di Giacometti è stata pubblicata dalla Fondazione Maeght in
occasione di una mostra nel 1978. Una seconda, curata dallo scrittore Michel
Leiris (1901-1990) e dal critico d’arte Jacques Dupin (1927-2012), ha visto
la luce per i tipi dell’editore Hermann nel 1990 ed è stata oggetto di numerose
ristampe. Una terza è stata curata da Ángel González nel 2006 ed è uscita
contemporaneamente in francese e spagnolo. L’edizione curata da Leiris-Dupin è
stata pubblicata anche in giapponese (1994) e italiano (1995, 2001 e 2011),
quella di González in inglese (2017).
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Fig. 83) Raccolte di scritti di Alberto Giacometti in tedesco (1965), giapponese (1994), spagnolo (2006), italiano (1995 e 2001) e inglese (2017) |
Il gruppo Cobra è, forse, in Europa l'associazione più simile alla New York School. Chipp cita il manifesto Il nostro desiderio che fa la rivoluzione scritto dall’olandese
Constant Nieuwenhuys e pubblicato dalla rivista Cobra in lingua francese nel
1949.
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Fig. 84) A sinistra: l’articolo Il nostro desiderio che fa la rivoluzione pubblicato su Cobra in francese nel 1949. Fonte: https://www.postwarcultureatbeinecke.org/cobra?lightbox=image23si. A destra: la rivista Reflex del 1949, organo olandese del Gruppo Cobra. Fonte: https://www.kunstveiling.nl |
Di Jacques Dubuffet, inventore del concetto
di Art Brut, viene pubblicato
l’articolo Empreintes (Impronte)
del 1957. Art Brut è il termine con cui l’artista francese chiamava la sua
produzione negli anni Cinquanta. Dubuffet unisce il concetto che l’arte possa
essere l’effetto di pura casualità con l’adesione al mondo degli oggetti
fisici. “Uno degli aspetti essenziali del
suo lavoro è la contraddizione costante, il contrasto tra i paesaggi indefiniti
e quasi astratti e le figure chiaramente articolate e asimmetriche, tra il
disegno preciso e l’assenza di linea, tra il colore sgargiante e i monocromi
opachi, tra l’applicazione più pesante del materiale e la pittura più sottile.
Altri aspetti significativi del lavoro di Dubuffet sono sottolineati in questo
saggio, come la sua opposizione alla consapevolezza, che può solamente
interferire con la pienezza dell’esperienza e la sua enfasi sulla mutabilità
della materia in ogni complesso organico, come pure la sua attenzione agli
elementi più semplici, ordinari e grezzi, che spesso vengono dimenticati nella
ricerca di ogni categoria estetica” [85].
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Fig. 85) Da sinistra a destra: le versioni francese (1968), italiana (1969), argentina (1970), portoghese (1971), statunitense (1988) e turca (2005) di Cultura asfissiante di Jean Dubuffet |
L’insistenza di Chipp su Dubuffet non deve
sorprendere. Nello stesso anno in cui viene pubblicata l’antologia, ovvero nel
1968, Dubuffet fa uscire Cultura
asfissiante, un saggio assai polemico che gode di enorme popolarità. La sua
tesi è che la cultura abbia ormai sostituito la religione come oppio dei
popoli. Il libro diviene punto di riferimento per tutti gli artisti di
ispirazione libertaria negli anni Settanta. Nel mondo americano, come abbiamo
già visto nei diari di Keith
Haring (1958-1990), l’artista francese è considerato un maestro
fondamentale ancora negli anni Ottanta.
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Fig. 86) Diverse versioni in lingua inglese delle interviste di David Sylvester a Francis Bacon (da sinistra a destra: 1971, 1975, 1980, 1987, 1988 e 2016) |
Con Francis Bacon (l’ultimo autore che
vogliamo citare in questa recensione) ci imbattiamo in una figura singolare. Da
un lato Chipp sottolinea come – pur essendo autodidatta – egli sia uomo di
cultura, che ha studiato Nietzsche, ha tratto motivi iconografici da Bosch, Velázquez
e Van Gogh, e ha studiato manieristi e romantici [86]. L’artista traduce questi
stimoli in una sua maniera “disperata,
brutale e spesso terrificante (…) che esprime la crisi spirituale della vita
urbana contemporanea” [87]. D’altro canto gli unici testi a lui riferibili
sono esclusivamente tratti da interviste, dialoghi e conversazioni con diversi
intelocutori, comprese le nove interviste tra 1962 e 1986 realizzate on il
critico David
Sylvester (1924-2001). Ne risulta la pubblicazione di numerose raccolte di
colloqui, interviste e conversazioni, edite in molte lingue e molto
frequentemente, mentre non vi è ancora oggi nulla di stampato che possa essere
direttamente attribuibile alla sua persona.
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Fig. 87) Edizioni italiane delle interviste a Francis Bacon di David Sylvester (1991, 2003 e 2008) e conversazioni di Franck Maubert con Francis Bacon (2010) |
NOTE
https://www.jstor.org/stable/3048987?read-now=1&seq=2#page_scan_tab_contents. Citazione a pagina 231.
[70] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book by Artists and Critics, with contributions by Peter Selz and Joshua C. Taylor, Oakland, University of California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile all’indirizzo internet
[70] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book by Artists and Critics, with contributions by Peter Selz and Joshua C. Taylor, Oakland, University of California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile all’indirizzo internet
https://archive.org/details/theoriesofmodern00chip. Citazione a pagina 367.
[71] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 369.
[72] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 231.
[73] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 513.
[74] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 503.
[75] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 505.
[76] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp. 506-507.
[77] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 507.
[78] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp. 511-512.
[79] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 501.
[80] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 515.
[81] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[82] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[83] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[84] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 591.
[85] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 592.
[86] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 593.
[87] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 593.
[71] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 369.
[72] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 231.
[73] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 513.
[74] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 503.
[75] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 505.
[76] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp. 506-507.
[77] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 507.
[78] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp. 511-512.
[79] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 501.
[80] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 515.
[81] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[82] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[83] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 590.
[84] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 591.
[85] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 592.
[86] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 593.
[87] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p. 593.
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