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lunedì 18 gennaio 2016

Veronica Ricotta. 'Ut pictura lingua'. Tessere lessicali dal 'Libro dell'Arte' di Cennino Cennini


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Veronica Ricotta
Ut pictura lingua. Tessere lessicali dal Libro dell’Arte di Cennino Cennini

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Studi di Memofonte 15/2015


La copertina del numero 15/2015 di Studi di Memofonte

L'indice del fascicolo 15/2015 (dicembre 2015)


L’ultimo numero di Studi di Memofonte, la rivista online dell’omonima Fondazione, è dedicato ad arte e lingua [1]. Nulla di sorprendente, se si tiene conto della antica e meritoria frequentazione che Paola Barocchi (fondatrice dell’associazione) ha sempre praticato nei confronti del lessico artistico [2], e della pluridecennale collaborazione con Giovanni Nencioni, presidente dell’Accademia della Crusca per quasi trent’anni. Il lavoro condotto in comune da Fondazione Memofonte e Accademia della Crusca, del resto, continua a dare i suoi frutti e il segno più tangibile di ciò è dato dalla recentissima pubblicazione online della banca dati dedicata ai Trattati d’arte del Cinquecento, che è possibile interrogare e porre a confronto col lemmario artistico vasariano [3].


Firenze, Palazzo Vettori-Barocchi, sede della Fondazione Memofonte

Il contributo di Veronica Ricotta pubblicato sulla rivista è dedicato all’esame del lessico nel Libro dell’Arte di Cennino Cennini. Si tratta, in realtà, di anticipazioni, posto che la stessa autrice sta lavorando a una sua edizione dell’opera cenniniana che costituirà la sua tesi di dottorato. Ci pare di capire che in questa nuova edizione (si veda p. 35 n. 66) l’autrice si discosterà dalla tradizionale numerazione in capitoli proposta dai fratelli Milanesi nel 1859, operando una scelta coraggiosa e adottata solo di recente nell’ultima lezione dell’opera stabilita da Lara Broecke ad inizio 2015 [4].
Ad essere onesti sin dai tempi della sua Letteratura artistica (1924) lo Schlosser scrive:

“Il trattato del Cennini è anche la prima notevole testimonianza di una terminologia delle espressioni artistiche sviluppatasi dalla pratica dei laboratorii e già sufficientemente determinata […]. Senza diffondermi su particolari espressioni tecniche voglio soltanto citare qui brevemente alcuni concetti di valore generale: «disegno», che nel Cennini ha già il senso in cui lo usano i teorici posteriori; esso è il «fondamento dell’arte» insieme col colorito («il colorire», c. 4) e significa, al di là del puro disegno, la forma interiore, determinata dalla teoria: «(il disegnare di gesso)… ti farà sperto pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua» (c. 13) […]. Mentre l’espressione «esempio» (c. 8 e altrove) appartiene alla terminologia artistica medievale, quelle già citate di «rilievo» (c. 9) per modellatura,  «naturale» (c. 28; passata anche nel libro dei pittori dell’Athos), «l’ignudo» (c. 71),  «sfumare» (c. 31, 71), «maniera» (c. 27) sono espressioni che sono rimaste fino ad allora nel linguaggio artistico." (p. 98)


L'edizione del Libro dell'Arte curata da Fabio Frezzato (2003)

Non si contano poi (in pratica dalla prima edizione) i glossari a spiegazione dei termini tecnici utilizzati da Cennino. Eppure credo di poter concordare con Ricotta quando dice che il Libro dell’Arte nella sostanza non è stato oggetto di grande attenzione da parte degli studiosi del lessico artistico, tant’è che la maggior parte dei glossari è scritta da restauratori. Quando poi si torna alle argomentazioni dello Schlosser ci si accorge che la lingua è utilizzata in senso strumentale, ovvero per definire una presunta “modernità” dell’opera (o, al contrario, il suo essere uno scritto “superato” già nel momento in cui veniva scritto).

Fra le tessere del mosaico che l’autrice comporrà prossimamente nella sua interezza, ho selezionato tre esempi, che sono invece – a mio avviso – dimostrazione di come lo studio della lingua possa cogliere aspetti che altrimenti rischiano di passare in secondo piano.


Circolazione cinquecentesca del Libro dell’Arte

Nel suo trattato Cennino utilizza il termine “acquerella” (al femminile). L’autrice nota che il termine “assume per la prima volta in Cennini l’accezione pittorica, con riferimento alla tinta acquosa e non al manufatto che ne risulta” (quest’ultima accezione è successiva). Per l’operazione Cennino invita a mescolare due gocce d’inchiostro assieme ad “acqua quanto un ghuscio di nocie tenessi dentro” (c. X). Nel Riposo di Raffaello Borghini, pubblicato nel 1584, l’”acquerella” cenniniana è diventata maschile, ma la somiglianza con le prescrizioni del Libro dell’Arte sono impressionanti. Per Borghini l’acquerello si fa “mettendo due gocciole d’inchiostro in tant’acqua quanto starebbe in un guscio di noce”. Sostanzialmente, ci troviamo di fronte a un calco che allarga il perimetro delle figure interessate alla possibile circolazione cinquecentesca del manoscritto [5]. Se a questa espressione si aggiunge poi l’affermazione famosissima sul ruolo di Giotto che “rimutò l’arte del dipingere dal greco al latino” travasata in centinaia di testi successivi, a partire dal Vasari, si possono dire due cose: o Cennino per primo testimonia su carta “luoghi comuni” che sono tipici del mondo artistico a fine Trecento, oppure l’influenza esercitata dalla sua opera sulla trattatistica del Cinquecento è molto superiore a quanto si potesse pensare.

Senza contare, poi, che, ancora nel 1681, nel Vocabolario Toscano dell’Arte del disegno, uno che il manoscritto di Cennino lo conosce, ossia il Baldinucci definisce l’acquerello come qualcosa che si fa “mettendo due gocciole d’inchiostro in tant’acqua quanta starebbe in un guscio di noce” (p. 30).

L'ultima edizione pubblicata del Libro dell'Arte, a cura di Lara Broecke (2015)


Lingua in trasformazione

Trovo estremamente interessante l’osservazione che il Libro dell’Arte è il primo a testimoniare in senso pittorico l’espressione “lavorare in fresco” (p. 34) e lo fa molto spesso dopo un “cioè”: si “lavora in muro cioè in frescho”. Ora, sappiamo benissimo che la realizzazione di affreschi era del tutto collaudata, e storicamente buona parte del successo del trattato cenniniano è legata proprio al fatto che se ne illustrino le tecniche (si pensi – uno per tutti – all’esempio precocissimo di Mary P. Merrifield, che nel 1844 traduce in inglese l’edizione di Tambroni proprio per favorire lo sviluppo di una scuola inglese dell’affresco [6]. Eppure Cennino ne parla come se “in fresco” fosse un’espressione nuova, da spiegare a un pubblico che è invece abituato al lavorare in muro. Stiamo definendo peraltro la tipologia della lavorazione (si dipinge sulla parete quando l’intonaco è fresco) e non il prodotto finale (l’affresco come realizzazione conclusa è una testimonianza del Baldinucci). Ricotta segnala dunque che ci troviamo molto probabilmente di fronte a un momento di transizione linguistica nel volgare, in cui l’ “in fresco” sta subentrando alla lavorazione “in muro”.


Il frontespizio della prima edizione a stampa, a cura di Giuseppe Tambroni (1821)


Ciò che ancora manca

Un’analisi di tipo lessicografico può portare a ragionare anche su un vocabolario che non è ancora maturato. Le assenze possono essere significative come le presenze. Nel Libro dell’Arte il termine “quadro” è attestato unicamente in accezione geometrica (pp. 35-36). Senza scomodare un classico come L’invenzione del quadro di Victor Stoichita [7] la tesi prevalente è che l’utilizzo del termine “quadro” a definire un’opera d’arte sia un fenomeno degli ultimi anni del Quattrocento ampiamente consolidatosi nel Cinquecento. Verificare l’assenza del termine nel Libro dell’Arte è ovviamente un argomento a sostegno di questa tesi, così come è importante che nemmeno Leon Battista Alberti nella sua redazione in volgare del De Pictura parli di quadri, qualche decennio dopo il trattato di Cennino Cennini.

Quelli che ho riportato dalle pagine proposte da Veronica Ricotta sono esempi che mi sembrano chiarire come la lingua di Cennino non sia di per sé “antica” o “moderna”, ma restituisca invece la cultura materiale di una società dinamica e in trasformazione. Non credo, in tutta onestà, che ciò possa aiutare a capire se il trattato cenniniano sia stato redatto su incarico di una corporazione o se (come personalmente ritengo più probabile) si tratti dell’iniziativa spontanea di un artista in cerca del riconoscimento di un proprio ruolo nell’ambito della corte patavina. Certamente permetterà di comprendere meglio una fase della storia della nostra lingua in cui una tradizione lessicale precedentemente orale e trasmessa di bottega in bottega finisce su un pezzo di carta (o, più correttamente, su una pergamena) chiudendo una fase storica e aprendone un’altra che giunge fino ai nostri giorni. Attendiamo quindi con impazienza il lavoro di Veronica Ricotta.


NOTE

[1] Il fascicolo 15/2015 è stato pubblicato nei primissimi giorni del 2016; curato da Nicoletta Maraschio, è consultabile e scaricabile online cliccando qui.

[2] Si ricorda, a puro titolo di esempio, la partecipazione al Convegno nazionale sui lessici tecnici del Sei e Settecento (Pisa, Scuola Normale Superiore, 1-3 dicembre 1980) i cui atti sono stati pubblicati da Eurografica nel 1981).

[3] Questo l’indirizzo internet della banca dati: 
http://memofonte.accademiadellacrusca.org/index.asp. I 14 trattati artistici compresi nella banca dati sono quelli pubblicati in tre volumi dalla Barocchi per i tipi dell’editore Laterza fra 1960 e 1962; allo stesso modo il lemmario vasariano proviene dall’edizione Bettarini-Barocchi delle Vite dello scrittore aretino, pubblicata prima da Sansoni, poi da S.P.E.S. fra 1966 e 1997.

[4] Per un riepilogo di tutte le edizioni del Libro dell’Arte dalla princeps del 1821 in poi mi permetto di rinviare al mio Cennino Cennini e il “Libro dell’Arte”: censimento delle edizioni a stampa, pubblicato in questo blog. Per ciò che riguarda approfondimenti sulle singole edizioni, sulla fortuna critica e sulla natura del testo rinvio invece all’indice dei contributi pubblicati nell’ambito del “Progetto Cennini”.

[5] Tale perimetro era nella sostanza riferito sino ad oggi a Vasari e a Vincenzio (non Raffaello) Borghini. Si veda Giovanni Mazzaferro. Il 'Libro dell'Arte' di Cennino Cennini (1821-1950): un esempio di diffusione della cultura italiana nel mondo in Zibaldone, Estudios italianos, vol III, issue 1, enero 2015.


[7] Victor Stochita, L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea. Roma, Il Saggiatore, 2004.

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