Emanuela Fogliadini
L'invenzione dell'immagine sacra
La legittimazione ecclesiale dell'icona
al secondo concilio di Nicea
Parte Seconda
Jaca Book, 2015
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Icona dei Santi Boris e Gleb con scene dalle loro vite Mosca, Museo Tretyakov, seconda metà XIV secolo Fonte: http://www.tretyakovgallery.ru/en/collection/_show/image/_id/2937# |
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Nicea
Una cosa è certa: senza una teologia iconoclasta non ce ne
sarebbe stata nemmeno una iconofila. È solo grazie a Hieria che si può spiegare
Nicea. E, su un piano squisitamente teorico, mentre Hieria sembra lo sbocco
naturale di un pensiero maturo, è proprio Nicea ad apparire invece come un
Concilio imposto da più evidenti elementi geopolitici: l’intervento
dell’imperatrice Irene e il gioco di sponda offerto da Papa Adriano I. Se cioè
Hieria propone una visione teologica compiuta, Nicea fornisce l’impressione che
il partito iconofilo giunga all’appuntamento con un sistema ancora non
perfettamente oliato. Sarà solo dopo il Concilio, con gli interventi di
Niceforo di Costantinopoli e di Teodoro Studita, che le argomentazioni
iconofile assumeranno forza e credibilità. Non è certo un caso, peraltro, che
il concilio non porti alla vittoria definitiva dei sostenitori delle immagini,
ma sia seguito dal periodo del “Secondo iconoclasmo”. Nicea innanzi tutto significa scagliarsi con rabbia e
veemenza contro gli iconoclasti. Vuol dire inoltre sostenere che le immagini
possono e debbono essere venerate perché così accadeva dal tempo degli
Apostoli: un’affermazione che, se volta a rivendicare il ritorno a un
cristianesimo genuino ed autentico, non trova in realtà filologicamente
riscontro alcuno.
Naturalmente non tutto si risolse nella denigrazione.
Abbiamo detto come Hieria basi l’iconoclastia sull’impossibilità di raffigurare
l’incarnazione. Anche Nicea parte proprio dall’incarnazione, e comincia col
dire che le immagini non solo possono, ma devono essere venerate: esse sono la prova
dell’incarnazione. Non solo: a partire da Nicea gli iconofili cominciano a
sostenere (e lo faranno in ogni occasione da quel momento in poi) che essere
iconoclasti vuol dire negare l’incarnazione, ovvero negare la natura divina e
terrena del Cristo. Nulla di tutto ciò, come abbiamo visto.
Se le icone sono prova del dogma dell’incarnazione ne consegue
che esse assumono natura rivelativa. In questo senso esse vengono poste sullo
stesso piano dei Vangeli. Esattamente come i Vangeli esse annunciano la
salvezza attraverso l’incarnazione e la rivelazione divina. Nicea recita testualmente
che la rappresentazione pittorica è “apportatrice di un beneficio simile a
quello del racconto evangelico”. Le conseguenze di questa visione delle
immagini sono drammatiche: le immagini non hanno più, come nel mondo
occidentale, un significato narrativo e memorativo. Non servono più di ausilio
ai Vangeli, non sono più la Bibbia dei poveri; vengono invece poste sullo
stesso piano dei Vangeli stessi, con una precisa valenza teologica (l’annuncio
della salvezza tramite l’incarnazione). Ed ecco quindi che le immagini invadono
la liturgia, ne diventano parte integrante e lo sono a tutt’oggi. Non esiste
cerimonia ortodossa che non sia accompagnata dall’ostensione delle immagini.
Noi però ci occupiamo di storia dell’arte e non possiamo non segnalare come la
diretta conseguenza di tutto ciò sia la tipizzazione delle immagini.
Esattamente come i Vangeli sono solo quattro, e gli altri sono apocrifi, dare
un valore teologico all’immagine vuol dire stabilire che essa sia replicata in
tipi che risulteranno essere di fatto immutabili nel corso dei secoli.
L’artista è prima di tutto un mistico, e poi un artigiano; certo, non un
“creativo”. Il concetto di “invenzione” individuale esce per sempre dal mondo
artistico orientale.
Tutto l’impianto iconofilo si regge però su un’importante
puntualizzazione, volta a rifiutare nettamente le accuse di idolatria: quella
riservata alle immagini è venerazione, non adorazione. L’unico oggetto di
adorazione non può essere che Dio. Si venerano invece oggetti come la croce, le
reliquie, le immagini. In particolare la venerazione non riguarda le immagini
nel loro aspetto materico, ma è ad esse tributata perché rimandano al
prototipo, a Dio unico archetipo che si è voluto rivelare all’uomo tramite
l’incarnazione. L’immagine sacra rende simbolicamente presente la persona
divina che vi è rappresentata.
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Icona della Trinità coi Santi. Mosca, Museo Tretyakov Inizio del XV secolo Fonte: http://www.tretyakovgallery.ru/en/collection/_show/image/_id/2936 |
Da Nicea al Trionfo
dell’Ortodossia
Nicea viene celebrata nel 787. Il Trionfo dell’Ortodossia
nell’843. Nell’oltre mezzo secolo che separa queste date sono racchiusi la
ripresa dell’iconoclastia (il cosiddetto ‘secondo iconoclasmo’) e il lungo
dipanarsi di un dibattito che vedrà spiccare da un lato (quello contrario alle
icone) la figura di Giovanni il Grammatico e dall’altro quelle di Niceforo di
Costantinopoli e di Teodoro Studita. È bene ricordare che nell’815 il concilio
di Costantinopoli abolisce la dichiarazione di fede di Nicea e, richiamandosi
in gran parte (ma non in termini identici) a Hieria torna a proclamare
l’iconoclastia. Questa fase vede però un’attenuazione della condanna delle
immagini: “Decretiamo che la manifattura delle icone è inidonea al culto ed
inutile. Ci tratteniamo, tuttavia, dal chiamarle idoli, dal momento che c’è una
distinzione tra i diversi tipi del male” (p. 225). È evidente che un conto è
l’accusa di idolatria e un altro l’affermazione che le icone sono inutili. Si è
voluto vedere nelle dichiarazioni di Costantinopoli un’implicita ammissione di
debolezza delle tesi iconoclaste; molto più probabilmente si tratta di sano
realismo. Entrambe le parti hanno avuto modo di sperimentare nei decenni
precedenti che non basta uscire vincenti da un concilio per assicurarsi il
risultato finale; e il mondo bizantino probabilmente avverte la necessità di
arrivare a un compromesso che possa ricomporre una società che su questi
argomenti si è dilaniata senza risparmiarsi colpi. Sono Niceforo e Teodoro
Studita, da parte iconofila, che più degli altri avvertono la pericolosità di
un simile atteggiamento: considerano il secondo iconoclasmo come più subdolo
del primo perché induce alla convivenza di due posizioni che ritengono
assolutamente divergenti. Insomma, se vi è durezza nel dibattito teologico,
questa proviene da parte dei sostenitori delle icone. Ma questa volta, partendo
dalla dichiarazione di fede di Nicea, gli iconofili possono completare in
maniera convincente la loro proposta di fede.
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Il Miracolo dell'Icona del Volto di Nostra Signora (Battaglia fra i soldati di Novgorod e Suzdal) Mosca, Museo Tretyakov, metà XV secolo Fonte: http://www.tretyakovgallery.ru/en/collection/_show/image/_id/2607 |
Ancora una volta si parte dal rapporto fra icona e
prototipo. Teodoro costruisce “la propria teologia dell’icona attorno al dogma
del farsi carne del Verbo di Dio, risolvendo in tal modo la problematica
questione della circoscrivibilità della natura divina in una raffigurazione
materiale sollevata dagli iconoclasti. Il ragionamento […] contrasta la tesi di
Costantino V secondo la quale se l’icona non rende i tratti della forma che raffigura
esattamente com’è il volto personale del suo modello originario, non può essere
un’icona. Teodoro ritenne invece che «l’icona di qualcuno rappresenta non la
sua natura, bensì la sua persona» […] Il Logos divino ha assunto la natura
umana incarnandosi e, poiché questa sussiste solo nella singolarità di ciascun
individuo, Cristo non si è fatto genericamente uomo, ma è divenuto un uomo
preciso. Quindi, poiché le particolarità sono proprie della persona e non della
natura, Teofilo affermò, controbattendo il punto centrale della dottrina
iconoclastica, che i tratti del volto di Gesù erano quelli della persona
divina: il modello archetipo è dunque realmente presente nell’immagine
raffigurata perché «l’icona mira alla somiglianza senza pretendere di intrattenere
con lui la relazione di similitudine che questo intrattiene con la sua propria
sostanza» (pp. 238-239).
Tradizionalmente si considera l’843 (con la proclamazione
del Trionfo dell’Ortodossia) l’anno in cui la controversia iconoclasta si
chiude. Ovviamente non è così, se non altro perché abbiamo visto che la parte
iconofila (vincente) si prodiga nel riscrivere la storia, nel cancellare i
documenti della fazione avversa e nel denigrare le figure che ne fecero parte.
Al di là di tutto – segnala giustamente Fogliadini – la stessa definizione di
“Trionfo dell’Ortodossia”, invece di un più circoscritto “Trionfo dell’Icona” sta a
significare che l’iconoclastia è considerata l’ultima grande eresia che aveva
portato alla serie dei concilii ecumenici, quasi tutti giocati
sull’interpretazione dei testi evangelici e qui invece sul dibattito sulle
immagini, che non a caso escono dalla controversia elevate a livello di
Vangeli.
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Icona del Giudizio Universale Mosca, Museo Tretyakov, XVI secolo Fonte: http://www.tretyakovgallery.ru/en/collection/_show/categories/_id/53/_page/5 |
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Michelangelo, Il Giudizio Universale, 1536-1541 Roma, Cappella Sistina |
L’Occidente e il
mancato recepimento di Nicea
L’ultima parte del volume è dedicata al mancato recepimento
della dichiarazione di fede di Nicea da parte dell’Occidente. Si tratta di un
tema spinoso; il mondo ortodosso non ha mancato storicamente di mettere
l’accento sull’apparente incoerenza di Papa Adriano I, che accettò le tesi di
Nicea (787) per poi però avallare le posizioni del sinodo di Francoforte (794)
che le condannava. I momenti da individuare sono due: la pubblicazione dei
cosiddetti Libri carolini (792) e
appunto il sinodo tedesco. Fogliadini insiste sulla necessità di leggerli
entrambi non unicamente come risposta a Nicea, ma come elaborazione di una
posizione teologica autonoma ed occidentale, di cui si fecero carico
soprattutto le gerarchie ecclesiastiche legate al mondo Franco di Carlo Magno.
I Libri carolini
furono pubblicati nel 792. In essi si condannavano le posizioni iconofile
nicene soprattutto per l’attribuzione all’immagine di quel carattere
teologico-rivelativo di cui abbiamo ampiamente parlato. In Occidente l’immagine
continua ad essere utilizzata in senso didascalico e continua ad essere
subordinata (non posta sullo stesso piano) rispetto ai Vangeli. Ne è un chiaro
sintomo la diffusione della prassi dei cosiddetti ‘tituli’, ovvero delle
spiegazioni scritte delle immagini che servivano appunto ad integrare il
significato dell'apparato figurativo. In questo senso si può dire che i Libri Carolini rappresentino un
approfondimento teologico ponderato rispetto ai risultati del Concilio di
Nicea, che probabilmente non erano stati immediatamente compresi nella loro
portata. Con tutto ciò, va detto che Papa Adriano respinse le tesi dei Libri: esse, a dire il vero, giungevano
a sostenere la proibizione delle immagini sacre (e non a caso si è parlato di
un’iconoclastia occidentale, che sarà ripresa ai tempi della Riforma da
Calvino); Carlo Magno, con grande acutezza, rinunciò alla loro diffusione,
salvo però farsi portavoce della richiesta di un Sinodo in cui le posizioni
delle gerarchie ecclesiastiche vicino ai Franchi potessero essere ridiscusse.
Il sinodo di Francoforte (794) segna senza dubbio un punto di svolta: da un
punto di vista sostanziale il risultato non è la proibizione delle immagini
sacre (come proposto nei Libri Carolini),
ma il rifiuto della venerazione delle immagini in una modalità che, attribuendo
valore teologico alle medesime, viene considerata alla stregua dell’adorazione
idolatrica.
I pochi anni che separano Nicea (787) dal sinodo di
Francoforte (794) bastano dunque a divaricare per sempre il modo di intendere
le immagini fra Oriente e Occidente e, di conseguenza, ad orientare su strade
completamente diverse il fare artistico nel millennio successivo.
P.S. Su questi argomenti si veda anche la recensione a 'Vedere l'Invisibile. Nicea e lo Statuto dell'immagine' a cura di Luigi Russo, Palermo, Aesthetica, 1997.
sono molto interessanti questi studi grazie non so se posso copiare e leggere con calma
RispondiEliminaCerto che puoi! Anzi, te lo consiglio. Oppure salva il link
RispondiEliminasempre ottime recensioni/articoli....grazie davvero
RispondiEliminaLorenzo Donati